Quando domani andrò – poesie -
1.
- Quando domani andrò – dice il verso
d’una canzone appena udita
alla radio . Quando domani andrò
tra lo spazio di un saluto e quello
più lungo d’un pensiero là dove
dorme il passero e canta la cicala
tra quelle alte mura solitarie
nate da crete dilavate
là dunque mi fermerò.
Là l’idea di vita si screzia
e anche se tra i poggi bruciati
e le sparse rocche ancora
senti voci e vedi ombre
passeggiare al sole ,là
dove passarono con tormento
di padre in figlio intere generazioni
là il vento non si dà tempo
e la vita non può andargli dietro.
E’ quella la terra senza risposte
alle domande che improntarono
la nostra pena
la terra affaticata dal mare
dei mutamenti .
2.
Giace la luna sul colle
e nella casa all’ombra tacciono
i rumori ,la poca luce irrequieta
disegna orli di candore
come fili di fumo sui tetti
anch’essi d’ombra candida.
Io tutte queste cose ti racconterei ,
queste cose che hai amato. Da quel tempo però
mutato il mondo per soffici
pennellate di verde pallido
e di azzurro chiaro ,tutto è ormai
solitudine e la vita
sta sola in un orto murato
dove anche i colori sono prigionieri .
Si è fatto sera
e più non volano i fragili uccelli
tra le tarde nuvole dissolte
come un giorno passato
e nel cielo si scorge di nuovo
l’azzurro quando
già sono apparse le stelle.
3..
Io vado a tentoni
tra didascalie delle lettere
e lettere come didascalie
appena scritte , verso dopo verso.
Io abbandono gabbiani e tramonti
e guardo oggetti veri
-non perché gabbiani e tramonti
non siano veri –
ma voglio dire più vicini : tazze da caffè
frullatori, piatti ,calzini e cappelli .
Io vado a tentoni
e il secondo verso non so che dirà .
Io non so se riuscirò
a visitare le terre più vicine
d’un cuore appena appena percorso.
Scrivo per antipatia
e fuggo dalla poesia ,poesia riparazione del mondo.
Il raccoglimento di fine giornata
nel domicilio della lingua
mi sorprende,
ahi quando è vera questa terra
della non poesia .
4.
Io vorrei chiamare le cose
con il loro nome .
Così un cane è un cane
e un dolore un dolore.
Perché almeno le cose
sono o non sono e faticano
a nascere diversamente. Occorre
scriverle perpetuamente per farle vivere.
Ma poi in queste poesie
osservo il mondo,
e , per esempio, L’Aquila
non è più L’Aquila ,
il lavoro non è più lavoro,
la vita non è più vita.
La terra senza dolcezza d’alberi
che ogni giorno attraversiamo
è un miraggio o un’evidenza
e la ragione non sa ancora scegliere.
Sa solo di essere smarrita
e smarrita ne afferra il senso ,
il senso di una terra devastata
da un evento appostato
ad una svolta dell’età.
Dell’età mia che sempre più
considera che forse
la mia ora , quando
s’insinua l’inquietudine
e penetra tra il dolore
e la gratitudine ,
la mia ora non è passata
quella volta ; rimane di essere stato là
dove le cose anche là
non sono state chiamate
con il loro nome .
5.
Chiedo scusa a questo mio vecchio cuore
se non riesco a raccontare
i giorni della vita
con la stessa emozione d’un ragazzo.
Ho imbottito di sonno
il dolore e il pianto
e anche le giornate di sole
quando potevo viceversa andare
a passeggiare in campagna.
Si arresta ora il vagare
del cuore ed è fermo
ad un giorno ad un’ora
come un orologio
che non segna più il tempo giusto.
Non restano che poche parole
e sanno raccontare
poche cose ,
l’aggirarsi quotidiano tra le stanze
della casa ,
l’attesa delle ore riconosciute
dall’orologio delle necessità,
la cura dei gerani sul balcone
ogni anno in primavera,
la pena per la pianta in vaso di rosmarino
che muore ogni volta per poca terra.
Quella terra di pietra e sassi
che il cuore ha attraversato
cercando ogni giorno il coraggio
di guardarsi indietro.
Le foto sono di Ale Iacchellini
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 5 maggio 2012
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