CANZONIERE : Cantata di Orfeo
Da Orfeo.Euredice. Ermes di Rilke
“V’erano rocce
boschi spettrali. Ponti sopra il vuoto
e quello stagno grande, grigio, cieco
che incombeva sul suo letto remoto
come cielo piovoso su un paesaggio.
E la striscia dell’unico sentiero ,
scialba tra prati, facile e paziente,
pareva lino steso a imbiancare.
Per quell’unica via i tre vivevano .”
Da Ulalume di Poe
“ I cieli erano cupi e cinerei;
Increspate le foglie e appassite_
Ingiallite le foglie e appassite;
La notte era d’un eremo ottobre
Dell’anno più amaro al ricordo
Presso il lago nerastro dell’Auber,
in mezzo alla valle del Weir-
sul padule fangoso dell’ Auber ,
nel bosco di lamie del weir.
Quivi andavo in un viale titanico
Di cipressi con l’anima mia –
Con psiche con l’Anima mia …”
Scrive Eugenio Scalfari : “ La grandiosa cantata, scritta nel 1904 e – commenta Brodskij in un suo splendido saggio - ‘ qualcuno può domandarsi se quella non sia stata la più grande opera del Novecento : un viaggio agli Inferi che differisce da tutti i viaggi che la poesia ha immaginato e raccontato nel corso dei millenni , dall’Omero dell’Odissea al Virgilio dell’Eneide, a Dante, ad Amleto alle prese con lo spettro del padre, a Poe perseguitato dal Corvi sacro a Minerva.’
La discesa agli inferi aveva come scopo quello di confermarsi nel proprio esistere ed apprendere dalle anime dei trapassati il valore di vivere guardando la vita all’indietro. Ma per Orfeo – che fu il primo a compiere quel viaggio - la ragione è diversa : non ha nulla da imparare dai morti ; deve invece far rivivere la sua amata Euridice riportandola dal mondo delle tenebre al mondo della luce. Nella letteratura mondiale non esiste alcuna altra discesa ( o ascesa) nell’oltremondo che abbia questa inaudita finalità . Che infatti si rivela impossibile.
Qui Rilke realizza un miracolo poetico : Una “cantata” ( non saprei definirla diversamente ) di 95 versi sciolti , intitolata Orfeo. Euridice. Ermes. Tre sono infatti i personaggi che si muovono in una landa grigia e desolata : Orfeo in testa, più indietro e discosta Euridice che il dio guida tenendola per mano.
Brodskij analizza parola per parola quei 95 versi : un grande poeta mette sotto la sua lente d’ingrandimento un altro grande poeta(… ) Brodskij e Rilke dunque tutti e due europei dell’est, tutti e due russi, uno di nascita ed esule in Occidente e l’altro per adozione ad una cultura e a una sensibilità.
Due poeti una linea che li congiunge, la sconfitta di due vite spezzate nel dolore, due altissime voci che salgono da quella sconfitta.
E continua Scalfari : “ La vocazione di Rilke, narratore e poeta, fu quella di raccontare l’indescrivibile e l’indicibile. E non soltanto di raccontarli , ma di viverli. Forse come nessun altro poeta , tranne Leopardi e Holderin, la sua vita fu tutt’uno con la sua poesia.
I suopi amori furono pervasi di castità sentimentale, i corpi erano figure evanescenti nella sua fantasia,i desideri nascevano e si estenuavano nella menhte e nello sguardo,l’io si estingueva nella fisicità delle cose. Questa sua attitudine alla debolezza, alla deliquescenza, alla liquidità della vita, lo portò all’intreccio delle metamorfosi , alla trasfusione delle idee e delle immagini l’una nell’altra, a privilegiare il flusso rispetto alla staticità. Sentiva il respiro potente della forza; ne sentiva anche il fascino e l’attrazione, ma non era cosa sua , della sua natura.
I personaggi centrali delle elegie, sono gli angeli , depositari della luce e della forza, eterni, intangibili . Quindi terribili, anzi tremendi. Non perché siano portatori di castighi , ma per il fatto di essere ciò che sono : presenze di forze oltremondane , stipiti dell’Universo, cardini nei quali si esprime l’imperscrutabile divinità, di fronte alla quale l’uomo non può che uscirne annientato. O riscattato dalla sua liquidità spirituale che lo rende inafferrabile nei suoi nascondigli di tenebra.
Orfeo Dionisio è il mito che meglio lo rappresenta. C’è una polarità evidente tra gli angeli e le elegie di Orfeo; tra la luce e le ali d’argento dei primi e il canto nouminoso dell’altro; tra l’immortalità angelica e la continua metamorfosi affidata alla lira e al suo cantore. Al fondo è la stessa polarità tra Dionisio e Apollo sulla quale si era già innervata la filosofia da Zarathustra.
Ecco una parte della seconda Elegia :
Chi mai s’io grido, m’udrà delle schiere celesti?
E d’improvviso un angelo al cuore m’afferri.
Io svanirei della forza in lui chiusa. Perché il bello
è la maschera solo del tremendo, che noi sopportiamo
ancora ammirati perché indifferente disdegna
di sgretolarci . Sono gli angeli, tutti tremendi .
……
Scendesse ora l’arcangelo, il pericoloso dagli astri
solo a un passo a noi incontro - battendo
alto ribatte il nostro stesso cuore .
…voi polline della fiorente
divinità, voi membra della luce ,vie , scale, troni
scudi voi di delizia, tumulto
di tempestoso tripudio e d’improvviso
specchi voi solitari a cui la scatenata bellezza
rifluendo, perenne ripullula del proprio viso.
.Ma dove sente, l’uomo svanisce; esaliamo
Noi fuggitivi, da brace a brace più lieve.
Eremo Via vado di sole, L’Aquila ,giovedì 17 maggio 2012
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