CANZONIERE : Cantata di Orfeo

“V’erano rocce
boschi spettrali. Ponti sopra il vuoto
e quello stagno grande, grigio, cieco
che incombeva sul suo letto remoto
come cielo piovoso su un paesaggio.
E la striscia dell’unico sentiero ,
scialba tra prati, facile e paziente,
pareva lino steso a imbiancare.
Per quell’unica via i tre vivevano .”
Da Ulalume di Poe
“ I cieli erano cupi e cinerei;
Increspate le foglie e appassite_
Ingiallite le foglie e appassite;
La notte era d’un eremo ottobre
Dell’anno più amaro al ricordo
Presso il lago nerastro dell’Auber,
in mezzo alla valle del Weir-
sul padule fangoso dell’ Auber ,
nel bosco di lamie del weir.
Quivi andavo in un viale titanico
Di cipressi con l’anima mia –
Con psiche con l’Anima mia …”

La discesa agli inferi aveva come scopo quello di confermarsi nel proprio esistere ed apprendere dalle anime dei trapassati il valore di vivere guardando la vita all’indietro. Ma per Orfeo – che fu il primo a compiere quel viaggio - la ragione è diversa : non ha nulla da imparare dai morti ; deve invece far rivivere la sua amata Euridice riportandola dal mondo delle tenebre al mondo della luce. Nella letteratura mondiale non esiste alcuna altra discesa ( o ascesa) nell’oltremondo che abbia questa inaudita finalità . Che infatti si rivela impossibile.
Qui Rilke realizza un miracolo poetico : Una “cantata” ( non saprei definirla diversamente ) di 95 versi sciolti , intitolata Orfeo. Euridice. Ermes. Tre sono infatti i personaggi che si muovono in una landa grigia e desolata : Orfeo in testa, più indietro e discosta Euridice che il dio guida tenendola per mano.
Brodskij analizza parola per parola quei 95 versi : un grande poeta mette sotto la sua lente d’ingrandimento un altro grande poeta(… ) Brodskij e Rilke dunque tutti e due europei dell’est, tutti e due russi, uno di nascita ed esule in Occidente e l’altro per adozione ad una cultura e a una sensibilità.
Due poeti una linea che li congiunge, la sconfitta di due vite spezzate nel dolore, due altissime voci che salgono da quella sconfitta.

I suopi amori furono pervasi di castità sentimentale, i corpi erano figure evanescenti nella sua fantasia,i desideri nascevano e si estenuavano nella menhte e nello sguardo,l’io si estingueva nella fisicità delle cose. Questa sua attitudine alla debolezza, alla deliquescenza, alla liquidità della vita, lo portò all’intreccio delle metamorfosi , alla trasfusione delle idee e delle immagini l’una nell’altra, a privilegiare il flusso rispetto alla staticità. Sentiva il respiro potente della forza; ne sentiva anche il fascino e l’attrazione, ma non era cosa sua , della sua natura.
I personaggi centrali delle elegie, sono gli angeli , depositari della luce e della forza, eterni, intangibili . Quindi terribili, anzi tremendi. Non perché siano portatori di castighi , ma per il fatto di essere ciò che sono : presenze di forze oltremondane , stipiti dell’Universo, cardini nei quali si esprime l’imperscrutabile divinità, di fronte alla quale l’uomo non può che uscirne annientato. O riscattato dalla sua liquidità spirituale che lo rende inafferrabile nei suoi nascondigli di tenebra.
Orfeo Dionisio è il mito che meglio lo rappresenta. C’è una polarità evidente tra gli angeli e le elegie di Orfeo; tra la luce e le ali d’argento dei primi e il canto nouminoso dell’altro; tra l’immortalità angelica e la continua metamorfosi affidata alla lira e al suo cantore. Al fondo è la stessa polarità tra Dionisio e Apollo sulla quale si era già innervata la filosofia da Zarathustra.

Chi mai s’io grido, m’udrà delle schiere celesti?
E d’improvviso un angelo al cuore m’afferri.
Io svanirei della forza in lui chiusa. Perché il bello
è la maschera solo del tremendo, che noi sopportiamo
ancora ammirati perché indifferente disdegna
di sgretolarci . Sono gli angeli, tutti tremendi .
……
Scendesse ora l’arcangelo, il pericoloso dagli astri
solo a un passo a noi incontro - battendo
alto ribatte il nostro stesso cuore .
…voi polline della fiorente
divinità, voi membra della luce ,vie , scale, troni
scudi voi di delizia, tumulto
di tempestoso tripudio e d’improvviso
specchi voi solitari a cui la scatenata bellezza
rifluendo, perenne ripullula del proprio viso.
.Ma dove sente, l’uomo svanisce; esaliamo
Noi fuggitivi, da brace a brace più lieve.

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