Le virtù sono una pietanza rituale che si ripropone ogni anno il primo maggio nella zona del teramano.
Quella delle virtù è una tradizione molto antica e risale ai tempi in cui, dopo la lunga stagione invernale, i parchi resti della madia si univano alle primizie dell’entrante primavera e le "virtù della provincia povera e contadina sapevano trovare, attraverso le sapienti mani delle donne, la verve e la fantasia per approntare un cibo ricco e delicato". Si tratta, in pratica, di un minestrone molto particolare. I contadini di una volta, infatti, non buttavano via niente, neanche il pane vecchio per assicurarsi qualcosa in caso di carestia. Le donne in particolare conservavano tutto con cura e maestria e, in tempi in cui non c’erano frigoriferi o conservanti, mantenevano le provviste senza tarli o muffe. Il perché questo minestrone si prepari per il primo maggio deriva dall’usanza di celebrare la dea Maia (da cui maggio) per propiziare


Savini infatti, cita Poggio Bracciolini (1380-1459) che riferisce come questo piatto ai suoi tempi fosse molto noto a Roma, dove si consumava proprio alla data del 1º maggio ed era chiamato con lo stesso nome di Virtù, oggi usato in Teramo.
(LA)
« Facetum Contra Romanos Qui Edunt "Virtutes": Calendis Maii, Romani varia leguminum genera, quae virtutes appellant, simul coquunt mane eduntque. Franciscus Lavegnis, Mediolanensis, per jocum, cum is mos recitaretur inter socios: -- 'Nequaquam mirum est,' inquit, 'Romanos a superioribus degenerasse, cum singulis annis eorum virtutes edendo absumant' »
(IT)
« Detto giocoso su i romani che mangiano le "virtù": Ai primi di maggio i Romani raccolgono varie specie di legumi che chiamano virtù, le cociono e le mangiano alla mattina. Francesco Lavegni, di Milano, per ridere parlandosi fra amici di questo costume: «Non è da meravigliare», disse, «che i Romani abbiano degenerato dai loro maggiori, perché ogni anno le loro virtù hanno consumato mangiandole. »
(Poggio Bracciolini, oltre l'edizione citata da Savini cfr. ad esempio, Facezie, prefazione di Domenico Ciampoli, Lanciano, Carabba, stampa 1911 )

Si dice che in passato le Virtù venivano prodotte dall'intera comunità che le distribuiva agli indigenti. In effetti tale usanza sembra permanere nell'abitudine a cucinare le Virtù in grande abbondanza e ad offrirle in omaggio ai vicini, alle persone care e anche a semplici e occasionali conoscenti.
In tutti i casi le Virtù appaiono legate all'incerta esistenza dei contadini che al termine dell'inverno vuotavano le madie e le ripulivano da tutti gli avanzi. Ai legumi secchi, così raccolti, si univano gli ingredienti freschi che già la nuova stagione aveva iniziato a produrre in abbondanza.
Tale credenza tuttavia per quanto molto nota non è molto seguita nella pratica e gli ingredienti in realtà sono sempre in numero maggiore. Resta il fatto che il sapore deve nascere dalla realizzazione di una perfetta miscela nella quale nessun ingrediente deve emergere.
Secondo Giuseppe Savini le Virtù venivano un tempo chiamate anche "li zocche" o "cucine" ma si tratta di espressioni ormai non più in uso.
Eremo Via vado di sole , L'Aquila,giovedì 16 settembre 2010
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