Fausto Coppi il più famoso e acclamato corridore dell’epoca d’oro del ciclismo, è considerato ancora oggi uno dei maggiori e popolari atleti di tutti i tempi. Paolo Alberati ne ha scritto una biografia intitolata appunto Coppi e pubblicata da Giunti 2009.
La strabiliante avventura di quest’uomo ,morto giovane per una strana malattia esotica, consiste in vittorie e sconfitte tutte legate alla rivalità con Gino Bartali a cui si contrappose nelle imprese sportive del ciclismo per circa quindici anni.
L’Airone fu il nome con il quale Coppi era conosciuto ; ha conquistato nella sua carriera agonistica 122 vittorie su strada e 83 su pista. Vincitore di ben cinque giri d’Italia (1940,1947,1949, 1952,1953 ) di due Tour de France (1949,1952) ,suo anche il record dell’ora stabilito nel 1942. Campione del mondo su strada nel 1953 a Lugano e su pista nell’Inseguimento nel 1947 a Parigi.
La sua leggendaria rivalità con Gino Bartali divise l’Italia nell’immediato dopoguerra anche per le diverse presunte diverse posizioni politiche dei due. C’è una foto che a lungo ha sollecitato l’immaginario collettivo degli italiana ed è quella in cui i due vengono ritratti mentre si passano una bottiglietta durante una salita al Tour del 1952. Non fu mai chiarito se fosse Coppi a dare la bottiglietta a Bartali o viceversa, mistero che anche i protagonisti contribuirono a far nascere affermando entrambi di aver passato, in segno di aiuto, la bottiglietta all’altro.Memorabile la frase di quella radiocronaca che iniziava così “ Un uomo solo al comando….”
Erano di solito i pomeriggi della mia infanzia alla radio durante il giro d’Italia . Avevo sette anni e poi nell’adolescenza quando Bartali , dopo la morte di Coppi continuò la sua epopea solitaria. Confesso di aver amato di più Bartali perché era un eroe guascone, aperto, chiassoso e anche un po’ ribelle e polemico. Ho conosciuto poco Coppi nelle cronache sportive ma lo sentivo fin da ora come qualcosa di veramente irraggiungibile dall’alto della sua bravura, della sua potenza fisica e del suo stile . E con piacere che si leggono nel libro di Alberati le testimonianze della grande umanità di Coppi riferite dai suoi gregari .
Ho raccontato questo ricordo per richiamare l’attenzione sulle opinioni di un sociologo Marc Augè che dopo aver scritto L’etnologo nel metrò abbandona questa veste per l’elogio di una vecchia cara passionaccia romantica che è quella della bicicletta cantata in un libro dal titolo Il bello della bicicletta ,Bollati Boringheri ,2009
Marc Augè direttore dell’Ecole des Hautes Etudes di Parigi , autore di libri cult come Il senso del male, Il dio oggetto, Nonluoghi, Perché viviamo , Ripensare la frontiera si fa prendere dalla commozione e in settanta pagine parla delle sfide, delle competizioni tra campioni di bicicletta . Ricorda le cronache leggendarie alla radio di queste imprese, i duelli tra Coppi e Bartali.In sostanza quasi un’ode alla bicicletta come è un’ode quella canzone di Paolo Conti a Bartali “ quel naso triste come una salita , quegli occhi allegri di italiano in gita.”
In realtà tra i miti del passato e la riscoperta ecologica la bicicletta di Augè è qualcosa di importante. Tanto importante che negli anni cinquanta dello scorso secolo pedalare era un segno di ottimismo e di energia ritrovata a cui affidare nella costruzione di questo nostro difficile futuro un pezzettino di speranza , di ottimismo.
Certo il ciclismo agonistico di allor4a era qualcosa di diverso da quello di oggi .Oggi c’è una macchina organizzativa efficiente, ci sono attrezzature e biciclette costruite con materiali e tecniche avanzatissime ma tutto questo a scapito dell’anima, del cuore di questo sport.
La bicicletta è un mezzo educativo dice Augè e ne abbiamo bisogno. Non solo ci fa scoprire il corpo ma il suo uso ci permette di misurare il tempo , cosa che non riusciamo più a fare in un mondo digitalizzato . Ci consente di attraversare spazi fisici e dell’anima che non sarebbe altrimenti possibile percorrere . In sostanza dà un diverso rapporto con lo spazio e il tempo.La bicicletta è libertà nell’ambiente senza inquinare come fanno gli altri mezzi. Ci permette allora di ritrovare noi stessi. E , ahimè, ci permette di riconoscere le città come non più adatte alla bicicletta . Mancano corsie preferenziali e protezioni. Ci sono troppe buche sull’asfalto. E anche quando si dovessero avere condizioni favorevoli in città per andare in bicicletta la bici rischia di essere più un piacere estemporaneo da assaporare periodicamente come un divertimento e non già uno stile di vita.
La bici stile di vita è dunque l’obiettivo che Augè vuole richiamare all’attenzione e alla memoria perché appunto nel passato la bici era un mezzo di lavoro : operai e impiegati la iusavano per andare al lavoro. E appunto in quel caso faceva parte della vita e del suo stile. Uno stile che non esiste quasi più anche se la bicicletta può aiutare , in tempi di crisi come questa e può essere ancora un ottimo mezzo di socializzazione.Pedalare dunque è attenzione agli altri e sviluppo della persona . Un’utopia ugualitaria e democratica ? Che grande compito sarebbe di nuovo assegnato alla bicicletta . E io ne sarei lieto perché amo la bicicletta .
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 11 settembre 2010
Nessun commento:
Posta un commento