La Stampa 10 settembre 2010
di LUCA RICOLFI

Poi, quando si cominciò a parlare di manovra e di sacrifici, e qualcuno propose di abolire le «Province inutili» (uno degli impegni del centrodestra in campagna elettorale), fu di nuovo la Lega a frenare.

Un altro dubbio mi venne la primavera scorsa, quando la sacrosanta protesta dei sindaci del Nord contro i vincoli del patto di stabilità ebbe ad incontrare la sorda ostilità dei dirigenti nazionali del Carroccio. Ma il dubbio più grande lo ebbi in occasione della recente manovra estiva, fondamentalmente basata su tagli «lineari» (eguali per tutti) a Regioni, Province e Comuni. Da un partito federalista mi sarei aspettato una dura battaglia per distribuire i tagli in modo da premiare i territori virtuosi e punire quelli spreconi, se non altro perché per un’amministrazione che ha già tagliato è molto più difficile continuare a farlo. Invece, nonostante qualche timido tentativo del governatore del Piemonte Roberto Cota, la Lega si defilò, lasciando passare un maxi-emendamento che permetterà ancora una volta di rimandare un intervento incisivo e selettivo sugli sprechi.

Ebbene, in questa situazione la Lega non si preoccupa di attuare il federalismo, ma di tornare al voto al più presto. E racconta ai suoi ingenui elettori che il federalismo è al sicuro, è «in cassaforte», perché nelle prossime settimane verranno approvati gli ultimi decreti delegati. Non è così. I decreti delegati, anche se riuscisse il miracolo di approvarli tutti prima dello scioglimento delle Camere, saranno inevitabilmente semi-vuoti, nel senso che toccherà ai prossimi esecutivi riempirli di contenuti, sempre ammesso che i prossimi governi vogliano insistere su una riforma già abortita tre volte. Ma nulla assicura che i nuovi equilibri parlamentari che usciranno dal voto saranno più favorevoli al federalismo di quelli attuali, e anzi molti indizi fanno pensare il contrario. Lo scenario più probabile prevede che Pdl e Lega conquistino il premio di maggioranza alla Camera, ma al Senato siano costretti a stringere alleanze con una parte della sinistra (Pd?) o con una parte del Terzo polo (Udc?).

Ma perché la Lega non teme di perdere il federalismo, proprio ora che è a un passo dalla meta?
L’unica risposta non ideologica che vedo è che per la Lega, ormai, il federalismo è diventato meno importante dell’allargamento della sua presenza nella pubblica amministrazione, dai Comuni alle Province, dalle Regioni al Parlamento, quella stessa amministrazione che la Lega delle origini voleva bonificare, e che ora sembra lentamente ma inesorabilmente trasformarsi in un terreno di pascolo, come accade a qualsiasi normale apparato di partito. Il federalismo all’inizio era prevalentemente un fine, ora sta diventando un mezzo, uno strumento di propaganda. Non dobbiamo stupircene, perché succede in tutti i partiti, e la Lega non fa eccezione. La notizia è solo che, crescendo, la Lega sta diventando un partito come gli altri. Un vero peccato, perché il federalismo è (era?) una buona meta, e sono ancora tantissimi i politici e gli amministratori che - nella Lega come negli altri partiti - fanno il loro dovere con serietà e con passione.
Le foto sono di William Gaarde-Nissen
Eremo Via Vado di sole, L'Aquila, 13 settembre 2010
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