martedì 7 dicembre 2010

CANZONIERE : Autogrill

CANZONIERE : Autogrill


In “ Non so che viso avesse” pubblicato qualche settimana fa da Mondadori ,Francesco Guccini si racconta senza veli, segreti , pudori ma con molte emozioni. A tappe e brevi percorsi in realtà narra l’emozione di un viaggio ormai abbastanza lungo che arriva fino ai giorni nostri. Sono però qui gli anni Ottanta che ci interessano perché tra gli album “Metropolis” e “Quella che non “ come Guccini stesso dice le sue canzoni assumono :” … uno stile defintivo ,pacato essenziale ,legato ai ritmi fisiologici con cui nascono le nuove canzoni e al mio modo senza affanni di proporle su disco o in tournèe”.

Quel lungo cammino iniziato anni addietro trova nella canzoni di questa matura e consapevole stagione della vita un modo di esprimere o riesprimere se stesso proprio nel momento in cui lascia Bologna per vivere con Angela e Teresa a Pàvana e proprio nel momento in cui , consumata la rottura con alcuni collaboratori , si organizza attorno una nuova squadra composta da Renzo Fantini, Bandini e Tavolazzi, Biordini, Tempera e il sassofonista Claudio Pascoli con il quali continua ancora oggi il sodalizio.
Ricomincia così il viaggio che è uno dei temi di Metropolis dapprima con le canzoni dedicate ad alcune città” dal forte valore simbolico e dal ruolo storico –culturale rivestito dai grandi agglomerati urbani” e poi con emozioni di “Venezia” o il salire di tonalità ,indice della rabbia provata per certi aspetti della vita cittadina di “Milano” o canzoni generali come “ Bologna”, dichiarazione di amore e disamore per la città che lo ha accolto , o canzoni come “Lager”.

E al vertice “Bisanzio” con il suo tono apocalittico e in ambientazione storica tanto affascinante quanto inquietante. Bisanzio è una metafora tra due mondi e due aree , tra Oriente e Occidente . tra impero romano , popolazioni barbare e mondo arabo.

In Bisanzio,Filemazio il protagonista “ proto medico, matematico, astronomo/ forse saggio” rappresenta l’incarnazione dei limiti .I limiti appunto del viaggio nella conoscenza ma anche sulla strada e nel mondo vasto e grande che ci circonda fuori e nel mondo piccolo e a volte tanto angusto quanto turbinoso che ci sta dentro.

Tutto questo viene affinato e travasato nell’album successivo , l’undicesimo, del 1983 intitolato solo “ Guccini”, con un tono misterioso che ti mette però addosso una strana sensazione : quella della inutilità del viaggio come mezzo di conoscenza. In modo molto velato però, anzi proprio larvato, ai confini del mondo, della notte, della vita.

Proprio la prima canzone dell’album “Autogrill” appare proprio come una sorta di visione se non proprio di epifania. C’è in essa per esempio una ricostruzione scenica che inquieta . Sparsi nel testo si riconoscono elementi di arredamento : il bancone . i “ visi alle pareti”, i “ cerchi del bicchiere”, la vetrina in cui rispecchia il distributore , la soda-fountain, il juke box , il neon , le tendine di naylon rosa . Così sembrano relitti a galla su un mare ormai quietato. L’autore poi ci suggerisce l’accostamento tra ciò che accade e un road movie americano : “Vergognandomi , ma solo un poco appena, misi un disco nel juke box/ per sentirmi quasi in una scena di un film vecchio della Fox /” che in realtà fa presagire però tutto un altro armamentario mentale. Così vagano i relitti della vita come sogni in “ la ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e seven up e il sorriso da fossette e denti era di pubblicità come i visi alle pareti di QUEL PICCOLO AUTOGRILL mentre i sogni miei segreti li rombavano via i T.I.R.”

Magistrale l’uso della metrica che combacia con le esigenze ritmiche della struttura musicale in cui spiccano le rime eleganti le strofe che rimandano le apocopi, anche infra verso, le frequenti inversioni sintattiche , le raffinate rime al mezzo, gli endecasillabi perfetti di tipo novecentesco.

La narrazione di un amore è quasi irreale , sospesa in un non precisato contesto cronotopico lontano dallo scorrere naturale e oggettivo degli eventi . Si sente l’influenza di Borges tra due registri temprali : il presente e una dimensione aliena che non viene meglio definitita. Tutto però si confonde così che la sensazione nell’ascolto è quella di un frenetico susseguirsi di eventi che poi è menzognero.

Autogrill seppure ammantato di luci notturne splende di una sua propria luce , è una breve apparizione del magico e di un altrove.


Tutto questo anche perché le “ numerose parole straniere poste in rima non fanno che acuire la sensazione, che il ritmo narrativo ispirato a un montaggio di tipo cinematografico conferma anche se il segreto del testo è tutto racchiuso in un termine chimere. L’autogrill come il porto , è un luogo di passaggio, l’ambientazione estraniante e impersonale necessaria a un’epifania contemporanea , in qualche modo post moderna. L’io narrante, osservando quella ragazza ‘bella di una sua bellezza acerba, bionda senza averne l’aria’, intravede un’inattesa possibilità di vita , ma è questione di un attimo , un istante di esitazione e l’intuizione di tramuta in una possibilità non colta . L’illusione si spezza proprio quando tutto sta per cambiare, la realtà irrompe nel sogno e non resta che ripartire. Il brano scivola leggero , scandito dall’accenno di batteria , mentre i tappeti di Vince Tempera allargano il fronte sonoro e la chitarra fa da contrappunto , consegnadoci un arrangiamento che resiste al tempo e mantiene immutato il fascino del doppio ottonario finale ‘ Le lasciai un nichel di mancia , presi il resto e me ne andai’. “


Eremo Via vado di sole , L’Aquila, marted' 7 dicembre 2010



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