macchina da scrivere, Milano,
Leonardo, 1989.
La macchina da scrivere nasce dai capricciosi
amori di un cembalo estroso e di una
mite mitragliatrice giocattolo. I suoi connotati
più suasivi sono la tastiera e il macchinoso
frastuono. Per codesto amore, il
cembalo ha deposto le sue arie, e la mitragliatrice
i suoi infantili, innocui furori. Le
lettere che leggete sui tasti sono quanto
pastorali in cui il cembalo, complice
consenziente, venne coinvolto. Fu un amabile
dono di nozze. Incidentalmente, per
questo la macchina da scrivere racconta
volentieri romanzi e progetta epistolari.
senso più ampio – si nasconde un solista
dei tasti; è consanguineo del pianista, del
clavicembalista, di tutto coloro che vivono
di e per una tastiera. Sommamente invitante
è la tastiera; davanti ai tasti neri, allelettere bianche, le dita si innervosiscono,
come danzatori prima del ballo. Così accadeva
davanti alla tastiera. Non cercava né pentagramma,
né metronomo; solo una tastiera
voleva, e un pubblico silenzioso.
Precipitosamente esatte percorrevano le
dita i tasti candidi e notturni: improvvisavano.
Per generazioni l’aria del mondo rabbrividì
di delizia a quelle volatili improvvisazioni
che non ascolteremo mai. Se Mozart avesse
potuto imprimere su di un mobile rullo
pentagrammato i capricci di una mano
danzante! Improvvisazione: la macchina
da scrivere ha questo dono difficile: cattura
pianisti, violinisti, cantanti, anche poeti: ne
resta solo la stupita testimonianza di qualche
spettatore. Altri improvvisò discorsi:
ne vennero catastrofi. Ma la minima,
umile macchina da scrivere è oggi la naturale
tastiera dell’improvvisatore. Esigua,
futile e svelta è l’improvvisazione: un po’ furba un po’ sciocca, un gioco patetico,
insulso soave, graziosa villania; infine,
istantaneo, già scomparso, è il rintocco di
un riso già dimentico di ciò di cui si è riso
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