
L’’unico concreto esito normativo al sovraffollamento delle carceri è costituito da una legge - la 199 del 2010, in vigore dal 16 dicembre - che facilita l’accesso all’esecuzione della pena detentiva - purché non superiore a dodici mesi (anche quale residuo di pena più lunga) - presso l’abitazione del condannato o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza (cioè presso il “domicilio”). Si tratta di una nuova forma di detenzione domiciliare, per alcuni versi semplificata e più accessibile rispetto alle analoghe figure già previste dall’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario (il beneficio sarà applicabile, ad esempio, anche ai condannati recidivi), ma non per questo priva di limiti o addirittura automatica.
Resta infatti fermo che la detenzione domiciliare (un regime di esecuzione della pena che riproduce in sostanza quello della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta in corso di processo) non può essere applicata ai condannati per gravi delitti (terrorismo, criminalità organizzata, omicidio volontario, rapina od estorsione aggravata, violenza sessuale di gruppo, etc.), ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, né ai detenuti sottoposti alla sorveglianza particolare prevista dalla legge penitenziaria.

L’automaticità, prevista nell’originario disegno di legge per rendere più immediati gli effetti di scarcerazione, ha lasciato il posto a margini significativi di controllo da parte del magistrato di sorveglianza. Ciò anche per le pressanti richieste fatte in tal senso della stessa magistratura, peraltro sulla scorta della giurisprudenza costituzionale contraria ad ogni automatismo in materia.

Di indulto, per quanto “mascherato”, davvero non sembra comunque potersi parlare, se non altro per il fatto che il condannato non è rimesso in libertà ma sconta la pena (o un residuo di essa) in regime domiciliare. Resta però evidente l’approccio emergenziale, confermato dal carattere temporaneo della legge, destinata a valere soltanto “fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013”.


Queste ultime modifiche, per quanto di rilievo, non fanno tuttavia “sistema” nella legge, al centro della quale resta soprattutto la nuova forma di detenzione domiciliare. Si tratta però sotto più di un aspetto - non ultimo quello della misura in cui inciderà in concreto il controllo giudiziale - di una figura sfocata, che suscita i più seri interrogativi proprio in ordine alla sua capacità di realizzare in misura apprezzabile le attese finalità di scarcerazione che l’hanno ispirata.
Scrive però l’Associazione “Zone del silenzio “

Dati alla mano sono circa 9.600 i detenuti che potrebbero beneficiare dei domiciliari, a fronte di una popolazione carceraria che a fine anno sforerebbe il record storico di 70mila unità, a fronte di una capienza massima non superiore ai 44mila posti. Nella realtà, e fuori dalla propaganda governativa, moltissimi tra i detenuti che rientrano nelle categorie idonee per tale provvedimento, non potranno in pratica beneficiare di esso perché privi di residenza, e non potranno nemmeno passare questo anno nelle strutture di assistenza ed accoglienza che sono già al collasso, colpite dai tagli del governo nazionale e dai tagli regionali.


Insomma, la nostra classe politica, e neppure la cd opposizione pare differenziarsi in questo, à come imbrigliata nelle maglie e nelle gabbie che essa stessa ha costruito: questo uniforme giustizialismo e sicuritarismo che pervade la nostra società e di cui le leggi vergogna sull’immigrazione, sul possesso di sostanze psicotrope anche leggere, il concetto che ogni emergenza e dialettica sociale vada affrontata con la forza della repressione e del carcere, rappresentano ciò da cui smarcarsi per costruire un progetto di cambiamento e di alternativa all’attuale stato di cose. Questa legge lascia insoluti tutti i problemi e non affronta le cause del sovraffollamento, frutto non di un aumento della cd criminalità, ma soprattutto frutto di leggi, insensate e perverse, partorite da una classe politica fautrice e ormai schiava di un assurdo securitarismo.
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