MEDITERRANEO : Albania
All'indomani degli scontri del 21 gennaio scorso il giornalista e intellettuale albanese Fatos Lubonja ha pubblicato un commento sul sito della rivista culturale albanese Përpjekja .
Ma prima di dire la mia su questo vorrei analizzare la dinamica delle tragiche vicende di venerdì 21 gennaio.
Innanzitutto sulla questione vi è da chiedersi: la pubblicazione di quel video è stata qualcosa di spontaneo, dettato dalle logiche dell'informazione, o era più che altro una mossa pensata a tavolino da parte dell'opposizione? Temo che il fatto che Dritan Prifti non l'abbia consegnato alla magistratura ma a una televisione filo-socialista, il fatto che sia stato reso pubblico ora e non mesi fa quando era stato registrato, il taglio del video in un punto molto delicato in maniera tale che nell'affare risultasse coinvolto anche il premier Berisha e anche il fatto molto rilevante che questioni del genere non sconvolgono certo politici come Rama, che detiene il potere proprio grazie a questo tipo di affari, lascia pensare che tutto ciò sia volutamente pensato per dare inizio al movimento di protesta. Fa pensare nella direzione della non-spontaneità anche il fatto che l'opposizione abbia annunciato la manifestazione subito dopo la trasmissione del video: o ti dimetti, o noi protestiamo e non ci riteniamo responsabili se i manifestanti perdono il controllo.
Intanto da parte di Berisha è arrivato un fiume di insulti e minacce in Parlamento, parte di un odio infinito e metafora del suo desiderio di annientare moralmente e politicamente gli oppositori - che l'avevano accusato - ma anche appello ai militanti e sostenitori del suo partito. Le dimissioni di Meta non sono state interpretate da Berisha come un segno di responsabilità e colpevolezza. Tutt'altro, sono state accompagnate da dichiarazioni di vendetta nei confronti di chi Berisha riteneva responsabile di questa manipolazione ingiusta. La battaglia verbale, quindi, stava preparando una battaglia concreta. Questo è poi avvenuto il giorno della manifestazione.
Per quelli che hanno vissuto da vicino questi anni del post comunismo albanese, questo è uno scenario noto: la destabilizzazione del Paese per mezzo della folla sino a quando il governo in carica dà le dimissioni. Berisha conosce molto bene questo modo di fare, poiché ne ha fatto uso in prima persona. Di conseguenza non penso che le cose stiano come dichiara la maggioranza, e cioè che l'opposizione aveva intenzione di mettere in atto un golpe, di occupare le istituzioni e di dichiarare destituito il premier Berisha. La manifestazione mirava a costringere Berisha a dare le dimissioni e ad accettare elezioni anticipate, creando un clima tale da costringere anche gli internazionali a chiedere questo. Un Berisha dimissionario sarebbe stato costretto a portare il Paese alle elezioni per consegnare il potere ai suoi oppositori.
L'uso di tale strategia si deve anche al fatto che l'opposizione è ormai convinta - e non le si può dar torto del tutto – che non può ottenere il potere per mezzo di libere elezioni, poiché Berisha provvederà a truccarle.
Ad un certo punto durante la manifestazione in molti abbiamo avuto l'impressione che le forze dell'ordine si fossero ritirate per dare il via libera all'accesso alla sede del governo, ricordandoci che è stato proprio il 14 settembre 1998, in un episodio simile, che Berisha prese il potere. Questo a quanto pare lo sapevano anche coloro che dirigevano la manifestazione. Naturalmente loro avevano lasciato libera la folla affinché causassero più disordine possibile ma dall'altra parte nessuno aveva intenzione di farsi carico della responsabilità di tali mosse e quantomeno di occupare la televisione pubblica per poi apparire sugli schermi e dichiarare vittoria, come in seguito Berisha ha accusato l'opposizione di aver tentato di fare.
Gli organizzatori della manifestazione avevano pensato di giustificare tutto con l'esplosione della rabbia dei cittadini a causa del governo corrotto e incolpando le forze dell'ordine di un intervento violento, nonostante la polizia, in base a quanto è stato trasmesso sugli schermi, avrebbe dovuto intervenire molto prima.
Di conseguenza, la battaglia davanti alla sede del Governo, più che una rivolta per costringere Berisha a dimettersi, seguendo l'esempio tunisino, assomigliava di più a una dimostrazione di forza – in diretta su tutte le televisioni nazionali - dove senz'altro c'era anche spontaneità dei giovani, colti da un istinto combattivo (come del resto, sull'altro fronte, i membri della guardia repubblicana), ma vi era anche gestione dei rispettivi architetti dietro le quinte. A mio avviso era qualcosa che grazie all'amplificazione mediatica dei disordini, mirava a raggiungere il massimo profitto con il minor costo possibile. Non perché non si volesse ottenere di più, ma perché la maggior parte della popolazione conosce bene i due burattinai e non si sarebbe lasciata coinvolgere in questa vicenda, come d'altronde è successo.
FIN QUI L'OPINIONE DI FATUS LUBONJA che davanti agli incidenti sulla piazza continua :
Guardando quella folla si poteva davvero credere che se dentro il cortile non ci fossero state le forze dell'ordine sarebbe entrata e avrebbe commesso atti di vandalismo gridando “vittoria, vittoria”, ignorando il fatto che quella sarebbe stata una grave sconfitta. Tuttavia la domanda, legittima, è: ma non c'era altro modo per porre resistenza? I manifestanti stavano tirando pietre e non stavano sparando con armi da fuoco, questo non ridimensionava la loro pericolosità? Secondo me c'erano sicuramente altri modi per controllarli, anche eventualmente permettendo loro di entrare nella sede del Governo e di commettere atti di vandalismo. Ma mai sparargli addosso.
Si sarebbe potuto ad esempio utilizzare gli idranti, che abbiamo visto durante la manifestazione. Si potevano utilizzare proiettili di allenamento, o proiettili di plastica, senza causare la morte di alcuno. C'era anche un modo per fermare il vandalismo: Edi Rama e i suoi compagni avrebbero potuto mettersi a capo della folla, fermarla, mettersi con il petto contro il portone della sede del Governo. Oppure mettersi in contatto con i vertici della Guardia repubblicana invitandola ad avere un po' di pazienza, che sarebbero intervenuti loro a fermare i manifestanti.
Quello che è successo quasi subito dopo le uccisioni, mentre le parti iniziavano ad accusarsi a vicenda, senza alcuna inchiesta, era la continuazione di quella battaglia immorale sui morti, uccisi e strumentalizzati. I funzionari, e Berisha, nonostante avrebbero dovuto sapere che alcuni membri della Guardia repubblicana avevano sparato in orizzontale, si sono affrettati ad affermare che i morti erano stati uccisi dagli stessi manifestanti in modo da incolpare il governo. Invece i manifestanti hanno sottolineato la variante più criminale: l'uccisione con snyper a sangue freddo. Neanche la morte di tre persone non ha fermato questi uomini nella loro immoralità, irresponsabilità, e neanche le loro manipolazioni, accuse e fandonie reciproche.
Quello che è seguito a quel venerdì è una continuazione di questa lotta immorale e irresponsabile, nella quale la responsabilità sta pesando sempre più forte sul governo e su Berisha personalmente, senza però che i suoi oppositori facciano del loro meglio per evitare azioni inopportune.
Il rifiuto da parte del governo di eseguire l'ordine di cattura emesso da parte della procura di Tirana per sei capo-ufficiali della Guardia repubblicana, ha inaugurato una nuova crisi istituzionale che fa comprendere sempre più a fondo come l'uso della forza e della violenza stanno diventando prioritari in questo Paese. Le accuse nei confronti della procuratrice generale di essere parte di un golpe e l'iniziativa di Berisha di istituire una commissione parlamentare, che può anche sospendere le competenze della procuratrice su questa tragedia, de facto vuol dire che Sali Berisha sta acquisendo le competenze di un leader onnipotente, che controlla tutti, ma che non si fa controllare da nessuno, dando alla fragile democrazia albanese il volto di un autoritarismo puro.
In nome di tale prospettiva questi schieramenti ci invitano a partecipare alle manifestazioni di questa settimana cercando di convincerci che stiamo scendendo in piazza per la democrazia e la libertà. Ma non abbiamo già visto quanto abbiano a cuore la democrazia, la libertà, l'onestà, e la giustizia, e la felicità degli altri? Io sono dell'idea che non solo non occorra aderire alle loro manifestazioni, ma che vadano boicottati e denunciati entrambi. E' arrivato il momento in cui l'Albania sforni un movimento che faccia uscire la gente in strada a manifestare pacificamente, ma sempre con più forza, non per sostenere uno di questi due leader che ci ritroviamo, ma per mandarli a casa entrambi.
A qualcuno questa proposta sembra irrealistica, dato che le persone e i fenomeni che ho menzionato sono onnipresenti nella società albanese. Questo è vero, però d'altro canto è molto realistico dato che sono in molti in questo Paese a pensarla così, oggi più che mai. Ed è proprio la maturità della cittadinanza di queste persone, che sono tantissime, che sta facendo sì che gli irresponsabili e gli assetati di soldi e potere ci trascinino verso grandi tragedie. Per questo mi ha fatto molto piacere, quando mentre scrivevo questo commento, ricevere sulla posta elettronica un'e-mail da persone che rappresentano proprio questa parte della società che "rifiuta di diventare parte del clientelismo del militantismo partitico” e che ha iniziato a firmare una petizione che chiede le dimissioni sia di Sali Berisha sia di Edi Rama “ritenuti pubblicamente quali responsabili politici della morte di tre persone innocenti e di centinaia di feriti”. L'ho firmato subito e l'ho condivisa come meglio ho potuto.
Pubblicato originariamente sul blog di Fatos Lubonja, Përpjekja , il 25 gennaio 2011 (tit. orig. Ku po shkojmë, ç’duhet të bëjmë)
Traduzione per Osservatorio Balcani e Caucaso: Marjola Rukajhttp://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/Crisi-in-Albania-i-due-gruppi
Fatos LubonjaScrittore e intellettuale albanese, è editore della rivista letteraria Përpjekja, pubblicata a Tirana. Nato nella capitale nel 1951, laureato in fisica, fu arrestato nel 1974 per associazione e propaganda contro il regime e condannato a 17 anni di lavori forzati. Venne scarcerato solo nel 1991. Oggi è noto nel suo Paese e all’estero come uno degli analisti più lucidi e critici del periodo enverista, dello stalinismo e delle contraddizioni della nuova democrazia albanese. E’ stato l’unico intellettuale nel Paese a schierarsi contro la guerra in Iraq, scelta che gli è valsa un’accusa per diffamazione. Nel 2002 gli è stato conferito il Premio Moravia, seguito l’anno dopo dal Premio Herder. In Italia ha pubblicato Diario di un intellettuale in un gulag albanese (ed. Marco, 1994) ed Intervista sull'Albania ( Il Ponte, 2004)
Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
domenica 30 gennaio 2011
Nessun commento:
Posta un commento