"Non siamo i giovani". Con questo slogan il direttore Mario Adinolfi e i suoi compagni di viaggio tutti rigorosamente under 40 hanno varato il nuovo settimanale "The Week", in edicola dal 5 novembre 2010 . Il periodico nasce da un gruppo di giornalisti di nessunotv/REDTV e l'editore è La Locomotiva. Prima tiratura 130mila copie. sotto la testata riporta la dicitura: "Il settimanale degli italiani nati dopo il 1 gennaio 1970". E Adinolfi spiega: "Pochi sanno che dopo la data che noi abbiamo scelto come fatidica sono nati 28 milioni di persone nel nostro paese, poco meno della metà dell'intera popolazione.
Eppure questi sono cittadini di serie b, condannati all'irrilevanza in qualsiasi posto di potere, destinati a una condizione di eterno precariato non solo lavorativo ma esistenziale, utilizzati per lo scarico di qualsiasi costo della collettività, a partire da quello previdenziale. Veniamo identificati come 'i giovani', ma solo in Italia alle soglie dei quarant'anni o persino oltre si può essere definiti 'giovani'. Noi non siamo i giovani. Siamo quelli che pagano sempre, che non hanno diritto a un lavoro decente, a una prospettiva pensionistica, a emanciparsi dalla famiglia d'origine, ad acquistare una casa, a generare dei figli.
Proveremo a dare forza a quel cinque per cento e ad accrescere la percentuale di rappresentanza. Racconteremo i bisogni, le paure, le istanze, le passioni, i sogni, i modelli positivi e quelli negativi, indicheremo dei nemici. Questo sarà The Week". E' già attivo il sito che progressivamente diventerà il quotidiano online collegato al settimanale cartaceo.
Siamo un paese vecchio, con vertici logori che non hanno alcuna intenzione di investire sui giovani. Questa è la cantilena che sentiamo un po' ovunque. Ma quanti si impegnano effettivamente per proporre progetti di rottura con l'andamento del nostro Paese?
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Sessantaquattro pagine a colori (compreso un retro-giornale dedicato al poker), grafica accattivante e diversi articoli interessanti, scritti rigorosamente da under 40. Foliazione particolare, mi aspettavo una rivista più compatta, ma nel complesso promossa.
Su questa iniziativa scrive Barbara Spinelli in :GIOVENTU’ BRUCIATA di Barbara Spinelli
Filed under: Cronache,Pensiero — vbinaghi @ 4:32 pm Tags: Barbara Spinelli, Precariato giovanile, (Repubblica 8 dicembre 2010)
Lavorare gratis è una pratica in espansione, per chi non ha forze e soldi per fuggire all’estero. È una regressione, nei rapporti sociali e nel riconoscimento reciproco fra l’Italia che ha un posto e l’Italia che ha semplici attività, menzionata di rado. I giovani fanno questa scelta volontariamente, consapevoli d’essere immersi nella Necessità: dare il proprio tempo senza salario li rende visibili, consente di “accumulare punti”. Alla fine del tunnel, chissà, il riconoscimento verrà e avrà gli occhi di un lavoro decentemente pagato. Lo sfruttamento s’è fatto banale: è un’usanza dettata dal principe (un bando dell’autorità). È la morale del tempo presente.
Se questa è la realtà, si può capire come la riforma Gelmini sia solo una miccia – così Ilvo Diamanti, lunedì su Repubblica – che ha acceso risentimenti acuti, non limitati all’istruzione che pure è “crocevia nella vita” d’ognuno. Analoghe micce anti-riforme si moltiplicano, a occidente, ma cruciali non sono le riforme, così come per Heidegger l’essenza della tecnica non è la tecnica ma quel che essa disvela, provoca. Nella rivolta dei giovani francesi la pensione è un pretesto: essi sanno che il paese invecchia, che i soldi dello Stato sociale non bastano. Se protestano con tanto accanimento è perché qualcos’altro è in gioco: il disagio, più radicale, riguarda l’esistere stesso; il perché e il come si vive l’oggi e si pensa, tremando e temendo, il futuro.
Non così il precario nato dopo il ’70: la percentuale crolla dal 95 al 36. Fra 20 anni, quando andrà in pensione, riceverà – se avrà lavorato 32 anni su 40 – 340 euro al mese. Duro in tali condizioni fabbricare futuro, generare figli che non potremo sostenere e non ci sosterranno, impoveriti anch’essi.
I rivoltosi vedono questo, guardandosi allo specchio: uno scenario che mette spavento. Che ti porta a dire, visto che a nulla è servito il titolo di studio: non resta che farmi menare dalla polizia. Esibisco la mia bile nera, come gli eroi di Moby Dick che è uno dei miei libri-vessillo. Non mi resta, come in Gioventù Bruciata di Nicholas Ray, che il chicken run. Il chicken run è la gara mortale che James Dean ingaggia coi compagni: vince chi guida l’auto sino all’orlo del burrone, tentando di saltar fuori in extremis. Chi fugge la prova è un pollo, un vile. È significativo che a costoro si neghi oggi perfino il diritto a morire, quando sei attaccato a un tubo senz’averlo deciso.
Anche il popolo del disagio ha sue responsabilità. È un punto su cui Boldrin insiste crudamente: “Cosa volete fare, ragazzi e ragazze? A favore di cosa siete scesi in piazza, oltre che contro il ddl Gelmini? Perché è questa, non altra, la questione che dovete avere il coraggio d’affrontare”. Il risentimento è comprensibile, ma il tema del merito sollevato dalla riforma resta. E che significa rottamare un ceto politico, se non invocare palingenetiche facce giovani? Perché difendere lo status quo universitario, finito in marasma? È come desiderare la crescita squilibrata che nel 2007 causò la crisi economica nel mondo.
Molti si domandano come mai il malcontento non sia esploso prima di Berlusconi, visti gli errori della sinistra. Domanda sensata, ma vista parziale. Lo spirito dei tempi modellato da Berlusconi e dalle sue Tv ha dilatato al contempo i risentimenti dei dannati e lo sprezzo dei salvati, sostituendo lo Stato sociale con la compassione o l’ignoranza. Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, ha detto in Tv: “Se un uomo a 37 anni non può pagarsi il mutuo è colpa sua: vuol dire che è un fallito”. Nemmeno gli avversari del ’68 usavano aggettivi simili.
Negli italiani è stata svegliata nell’ultimo decennio, e nutrita, ingigantita, la parte peggiore. È come quando, nel febbraio 1932, il socialdemocratico Kurt Schumacher denunciò l’attacco di Goebbels ai socialdemocratici-partito dei disertori: “Tutta la propaganda nazionalsocialista è un costante appello alla brutta canaglia interiore (Schweinehund) che abita ciascun uomo”.
lunedì 31 gennaio 2011
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