La festa del Battesimo del Signore segna, come grande portale, il confine fra il tempo liturgico del Natale e quello Ordinario. Poco nota in occidente, è tenuta in somma considerazione nella chiesa orientale e a ragione: essa accanto al Natale, all'Epifania e alle nozze di Cana, è una delle grandi Manifestazioni del Signore. È nella cornice rupestre del Giordano che avviene la prima rivelazione del Mistero Trinitario, rivelazione che si imprime così profondamente nell'animo dei primi discepoli da essere menzionata da tutti e quattro gli evangelisti e dal libro degli Atti. L'accorata preghiera del profeta Isaia: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!" trova qui piena risposta: Giovanni Battista vede aprirsi i cieli e ode la voce del Padre certificare: "Questi è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo!". Lo Spirito Santo poi, sotto apparenze di colomba, scende su Gesù e vi rimane cancellando così l'antica maledizione: "Il mio spirito non rimarrà per sempre nell'uomo a causa del peccato" (Gen 6,3).
Chiunque aderisce per fede a Cristo, entra nell'esperienza del dimorare nello Spirito e contempla nel Figlio la gloria del Padre: Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito pieno di grazia e di verità.
Il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca, rimase fino al 1859 nella sua sede originaria: la Cattedrale di Borgo San Sepolcro (Toscana), paese natale di Piero. Fu venduta in quell'anno a un antiquario inglese ed approdò poi, nel 1861 alla National Gallery di Londra, ove risiede tuttora. Tale vendita (sia pure per la somma, considerevole a quei tempi, di 23.000 lire) testimonia la scarsa considerazione che veniva riservata all'opera di questo geniale artista.
Piero della Francesca, del quale non conosciamo la data di nascita, fu una grande e complessa personalità nell'arte del quattrocento. Il suo vero nome era Piero di Benedetto de' Franceschi, ma amava firmarsi Pietro del Borgo, con riferimento al suo paese natale. Il suo lavoro si svolse ad Arezzo, Borgo San Sepolcro, Rimini, Ferrara, Roma e soprattutto Urbino, ma la sua ricerca pittorica avrà orizzonti sempre più vasti, attingendo anche all'arte fiamminga. La sua opera artistica farà da cardine tra la cultura dell'Italia centro-meridionale (con Antonello da Messina) e quella settentrionale, rappresentata da Venezia con Giovanni Bellini. I contemporanei di Piero non compresero la straordinaria novità della sua arte e molte delle sue opere andarono perdute. Il pittore visse fino alla soglia degli ottant'anni. Gli ultimi anni della sua vita furono messi a dura prova dalla malattia: la cecità gli impedì di continuare a dipingere e di portare a completa maturazione la sua carriera artistica. Tuttavia egli non restò inattivo, ma si dedicò al perfezionamento e alla trascrizione degli studi sulle regole della prospettiva e della matematica, che aveva coscienziosamente indagate, al fine di offrire agli artisti successivi una guida e un aiuto.
Pier della Francesca morì il 12 ottobre del 1492, la stessa data della scoperta del Nuovo Mondo: si apriva una nuova era per l'umanità alla quale Piero lasciava un patrimonio di tal misura da essere stato veramente interpretato e compreso solo a partire dal XX secolo.
Piero invita l'osservatore ad andare a Dio attraverso l'umanità di Cristo. Tutto, nel dipinto, è estremamente umano e incarnato, eppure tutto è etereo e limpidissimo, di una bellezza che riporta alla creazione originaria. Il Giordano è raffigurato come uno dei torrenti umbri, così come umbra, e per nulla ispirata alla Palestina, è la vegetazione che lo attornia. Alla destra del Cristo, sullo sfondo, si intravede un piccolo centro abitato, è Borgo San Sepolcro cittadina dell'autore e cornice geografica della chiesa a cui era destinato il dipinto. Questo paesaggio, così noto al pittore e ai suoi contemporanei, è immerso in un aria diversa: in un'atmosfera carica di mistero e di bellezza.
L'incarnazione del resto è la restaurazione di tutte le cose in Cristo e chi aderisce a lui per mezzo della fede, entra nelle acque salutari del suo battesimo e riemerge rinnovato. Pier della Francesca celebra qui la tersa bellezza di un mondo rinnovato dalla grazia.
Contrariamente all'iconografia classica, che dipinge il Cristo immerso nel Giordano, Piero lo raffigura all'asciutto: le acque del Giordano, infatti, si ritirano dinanzi al passaggio del Signore, così come si ritrassero nei giorni antichi, al passaggio di Giosuè a capo del popolo (Secondo un antica tradizione fu grazie alla preghiera del Battista che le acque del Giordano si ritrassero davanti al Salvatore). Pace e concordia, rappresentata da due dei tre angeli, si abbracciano e l'uomo (in secondo piano sulle rive del ruscello) sciolto dal peccato che lo teneva ricurvo, si riveste del Signore Gesù Cristo.
L'arte si rivela così un mezzo prezioso per la preghiera e la meditazione dei semplici, aiutandoli a conoscere e a penetrare i misteri della Parola. Già San Gregorio Magno affermava: ciò che lo scritto ottiene a chi legge, la pittura fornisce agli analfabeti che la guardano; ed è necessario che tutti possano giungere alla conoscenza delle Scritture poiché, come attesta san Gerolamo: "ignoranza delle scritture è ignoranza di Cristo" e dunque conosce veramente Cristo, il suo mistero, solo chi penetra e conosce la sua Parola.
Il battesimo di conversione è pellegrinaggio del cuore, della coscienza, per condurci
insieme a contemplare il pellegrinaggio di Dio verso di noi, la sua condiscendenza
alla nostra esistenza. Chi accetta di essere preso per mano dalla liturgia può aprirsi allo
stupore.
Il tempo e gli uomini corrono, ma oggi più che mai mancano all’appuntamento essenziale:
udire l’invito a «vedere il volto di Dio». La storia cammina per vie maestre di
cecità, di distruzione, di incomunicabilità.
L’oggi è il limite delle nostre preoccupazioni e delle nostre pene. È lungo abbastanza per
trovare Dio o per perderlo, per conservare la fede o per cadere nel peccato e nel disonore.
[…] Comprendere ogni mattina in modo nuovo la fedeltà di Dio, poter iniziare ogni giorno,
in mezzo a una vita con Dio, una nuova vita con lui; questo è il dono che Dio fa con ogni
nuovo giorno (1)
Essere svegli significa vedere il mondo, per come è davanti a Dio, senza giudicarlo.
Essere svegli significa essere aperti, pronti al futuro, averlo davanti agli occhi senza impaurirsi.
Significa vedere la trasparenza del giorno di Dio per come è; amare la sua creazione e la
sua opera, ma al tempo stesso vedere la sofferenza della creatura, la miseria e disperazione
dell’altro uomo.
Questo essere svegli l’uomo non può darselo da sé, è qualcosa a cui lo deve chiamare Dio.
Vivi di fronte a Dio per come egli ti ha fatto!
Ma questo “vivi” non può essere un comando, ma la parola creatrice di Dio stesso.(2)
Un profeta è un uomo che, a un preciso e sconvolgente momento della sua vita, sa di essere
afferrato da Dio e chiamato da lui, e che non può fare altrimenti che andare dagli uomini
e annunciare la volontà di Dio. La chiamata è divenuta punto di svolta della sua vita, e
per lui vale oramai soltanto l’andare dietro a questa chiamata, anche se portasse alla disgrazia
e alla morte. Non è un vero profeta chi invoca sempre pace, pace e vittoria, ma lo è chi
ha il coraggio di annunciare la perdizione, come disse una volta Geremia (Ger 23,9s.). Il
punto centrale, a partire dal quale è acquisita la comprensione dell’anima profetica, è il fatto
che il profeta sa di essere alleato con Dio e che questa alleanza renderà la sua vita una
tragedia d’incomparabile serietà, proprio perché si tratta di un’alleanza con Dio.
Dal fatto che il profeta sia alleato con Dio dipende che le sue parole siano così strane, che
egli sia così inflessibile, così temibile, che sia incomprensibile dal punto di vista umano e
psicologico. Dio lacera, manda in frantumi, annienta l’armonia spirituale dell’uomo che è il
suo annunciatore. Dio stesso è autore della tragedia della vita del profeta, affinché in questa
sconfitta dell’uomo venga alla luce la forza e il peso della richiesta divina.(3)
3. La cecità / l’oscurità è la parabola della vicenda umana. Dio vede, conduce, illumina
attraverso la pietà, il dolore e la miseria; e si insinua in un pellegrinaggio di
spoliazione per incontrarci. Egli entra nella nostra storia senza devastarla; il suo rispetto
per la libertà umana è tale da rendersi ordinario.
parola, di finitudine. Egli si lascia scomporre nella parola umana, ridurre alla parte per
ricondurre al tutto, indebolire, per portare alla forza della rinascita, al suo disegno.
Egli si lascia fra-intendere nell’esistenza umana.
Attraverso il suo Figlio; alla sua umanità consegna il suo mistero, nella Parola, nella
vita, nel suo disegno di salvezza.
Il pellegrinaggio di Dio è la strada aperta per noi, tempo per un radicale battesimo
di conversione e di cammino, per giungere fino a «vedere il suo volto».
Credere all’incarnazione è oltrepassare la miseria della nostre aspettative, dei nostri
desideri, della nostra piccola fede. Trascendersi.
Dio cammina nella nostra umanità per trascenderla, lasciandosi contaminare. Si
dissemina nella Parola-Verbo-Logos, si perde, si annulla nel volto del crocifisso. Si dà
nelle mani e si lascia dire nella parola di tutti.
La gloria di Dio appare nel frammento, nel simbolo, in tracce sempre più impercettibili
nel nostro tempo. Il Logos è la salvezza di queste tracce di testimonianza, di
frammenti che sono andati perduti, che appaiono come sconfitti. È la memoria viva di
ciò che appare dimenticato; è il dono e la capacità di poter vedere le cose dal basso,
nella logica dei vinti.
Occorre lasciarsi battezzare dalla sua misericordia. Nel chiasso, nell’evanescenza,
nella sicurezza non si scorgono le sue orme. In molto strepito, agitazione, disperazione
possiamo guardare solo la fragilità delle nostre costruzioni. Siamo vinti, in altro caso,
da una pigra incredulità, volto del nostro tempo. Ed è solo nel silenzio dello stupore,
del dolore, della pietà, della coscienza che evochiamo le tracce della sua benevolenza.
E dunque allora per il battesimo nel Giordano possiamo dire in definitiva : “ Nel suo Figlio avvenne tutto, nulla di nulla senza di Lui.”.
(1) D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, a cura di M. WEBER, Traduzione dal tedesco di A.
AGUTI - G. FERRARI (Books), Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 14.
(2) D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, p. 258.
(3) D. BONHOEFFER, Voglio vivere questi giorni con voi, p. 390.
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