Nel 2011 a distanza di tre anni Alessandro Boniuni il 6 gennaio scrive su Avvenire :”Materie prime, la corsa continua Fao: record per prezzi alimentari
Secondo Abdolreza Abbassian, capo economista dell’agenzia alimentare dell’Onu, «non significa necessariamente che c’è una crisi in corso». Il Food price index toccò 213,5 punti nel 2008. Allora l’aumento in un anno fu del 43%. Abbassian però ha avvertito che la situazione è «allarmante», aggiungendo che «sarebbe da pazzi sostenere che è stato raggiunto un picco». Complici il maltempo e la debolezza del dollaro, oltre all’incrollabile domanda asiatica, quasi tutte le materie prime sono aumentate nel 2010. E si prevede che la corsa, almeno per alcune di queste, continuerà: su tutte il petrolio, un fattore trainante dell’inflazione. Secondo le rilevazioni della Fao a dicembre hanno fatto registrare nuovi massimi i prezzi dello zucchero e della carne. Calcolatrice alla mano, gli aumenti più consistenti hanno riguardato però il sottoindice dei semi oleosi, balzato in un anno del 55,3%, e quello dei cereali, salito del 38,8%. Lo zucchero è aumentato del 19,2% e la carne del 18,4%, anche per i costi più cari dei mangimi per gli animali. I prodotti caseari sono invece diminuiti del 3,3%. Nel suo ultimo rapporto semestrale, presentato a novembre, la Fao ha ammonito che i rincari rischiano di colpire i Paesi più poveri e quelli in deficit alimentare. In base alle stime contenute nel rapporto, il costo delle importazioni alimentari a livello mondiale avrebbe raggiunto 1.026 miliardi di dollari nel 2010, in rialzo del 15% sul 2009 e a un soffio dal record toccato nel 2008 di 1.031 miliardi.
Ora anche quei massimi potrebbero essere frantumati. Secondo la Fao la produzione di cibo dovrà aumentare almeno del 70% entro il 2050 quando gli abitanti del pianeta saliranno a 9,1 miliardi dagli attuali 6,8 miliardi. Nel 2011, «se la produzione delle principali colture non aumenterà in modo significativo», i prezzi potrebbero salire ancora. A causa di siccità e alluvioni le quotazioni del grano e di altre materie prime agricole sono schizzate a due cifre nel 2010. A pesare è stata anche la debolezza del dollaro, valuta di riferimento sui mercati: i rincari hanno riguardato pressoché tutte le commodities, comprese quelle industriali e il petrolio. Gli aumenti sono destinati a proseguire, come dimostrano le stime degli economisti, per non dire delle recentissime inondazioni in Australia, che hanno già colpito le esportazioni di grano e zucchero. Ma a preoccupare è anche il prezzo del petrolio, che nelle scorse settimane ha superato i 90 dollari al barile. La maggioranza degli analisti prevede che quest’anno tornerà a varcare la soglia psicologica dei 100 dollari, come accaduto per la prima volta proprio nel 2008, l’anno della "bolla". Ieri l’Agenzia internazionale dell’energia ha detto che l’attuale prezzo del petrolio costituisce una minaccia alla ripresa economica. Secondo l’Aie nel 2010 i paesi Ocse hanno speso il 30% in più per le importazioni, pari a 790 miliardi di dollari o mezzo punto di Pil della regione. I rincari del greggio non comportano soltanto sacrifici al distributore di benzina.
Aumentano anche altri derivati, come alcune sostanze usate nei fertilizzanti. In ogni caso, quando il petrolio aumenta, sale il prezzo di tutto, poiché ogni merce prima di essere venduta dev’essere trasportata. “
Il paese è allo sbando e le sacche di povertà dell’entroterra come Sidi Bouzid, Sfax, Biserta e Kairouran molto lontane dalle ricchezze del turismo costiero sono oramai allo sbando. Questa protesta è già stata denominata la rivolta della baguette, ossia il pane che la gente necessita per sopravvivere. Il tasso di disoccupazione tunisino ha raggiunto livelli incredibili, secondo il governo solo al 14% mentre nella realtà tocca anche il 70% fra le giovani classi di laureati. Il regime ha infatti esclusivamente incoraggiato i giovani ad emigrare all’estero in cerca di fortuna. In media sonoemigrati circa 30mila individui l’anno sotto i 25 anni e altamente qualificati su un paese di soli 10 milioni di abitanti. Ma ora, come bene sappiamo, l’Europa sta sempre più chiudendo le sue porte all’emigrazione e quindi per i giovani tunisini le prospettive non sono delle più rosee. Già da cinque anni la Banca Mondiale ha stigmatizzato la mancanza di sbocchi lavorativi per i giovani in Tunisia e oggi il paese nordafricano sembra raccogliere i frutti di tutto ciò. Tutto ha avuto inizio il 17 dicembre quando un venditore di frutta ambulante di 26 anni di nome Muhammad Buazizi, stremato dalla combinazione di prezzi al rialzo e stipendio da fame si è dato fuoco dopo che la polizia gli ha sequestrato il suo bancone di frutta e verdura privo di autorizzazione dopo averlo schiaffeggiato. Il 20 dicembre un altro povero sfortunato si è suicidato in circostanze analoghe impiccandosi a un palo della luce. A tutt’oggi la rivolta infiamma e ha raggiunto anche Tunisi e a poco servono le parole del presidente Ben Ali che condanna senza riserve “la violenza inaccettabile di una minoranza di estremisti”.
I manifestanti dunque sono stati definiti dalla stampa araba khobz-isti (khobz vuol dire pane in arabo) ovvero cittadini, in massima parte giovani e giovanissimi, disperati per la crisi economica che ha messo la popolazione tunisina in ginocchio e tolto ogni prospettiva futura alle nuove generazioni. Fino a non avere neanche il pane.Miseria e oppressione politica, che si protrae da quasi un quarto di secolo sotto il regime del presidente Zine Al Abidine Ben Ali (1936), sono alla base della fiammata di proteste scoppiata a metà dicembre in tutta la Tunisia e repressa dalle forze di sicurezza con la violenza. Le autorità parlano di episodi isolati e ne sminuiscono l’entità, ma internet e la stampa straniera rendono conto di un fenomeno sociale
Rincari e sprechi si legano saldamente in una riflessione che abbiamo intenzione di continuare con i post di questi Blog dove già nel mese di novembre 2010 abbiamo pubblicato alla rubrica Sillabari :Spreco I, II e III e in dicembre Spreco IV
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