Leggo sovente due poesie di Vittorio Sereni . “Appuntamento ad ora insolita” compresa nella raccolta “Gli strumenti umani “ di cui ne delimita una sezione e “Ancora sulla strada di Zenna” che appartiene sempre alla stessa raccolta.
In quel volume de I Meridiani di Mondadori ,oltre alle due poesie citate è compreso anche un altro testo “ Una visita in fabbrica “degli anni 1952-58 che pure mi piace leggere e rileggere.
Perché probabilmente mai come ora in questa realtà della città di L’Aquila del post terremoto e nella vita di quelli che vi sono rimasti a vivere si cercano delle certezze. E poiché le certezze sono poche e vanno accuratamente ricercate queste composizioni evidenziano un sentimento comune : Ill continuo bisogno di certificazione , come recupero della propria storia e ricerca di dialogo e rispecchiamento dell’altro. Dove l’altro sta anche per questa città e i suoi destini.
Identità e sicurezze minacciate da ridondanze verbali della vita di tutti i giorni in questa città e quindi anche in questi versi che rispecchiano alcuni sentimenti ed emozioni di quella vita.
A lungo negli anni il dibattito culturale ha meso l’accento sulla città e sulla sua conquista. Da dentro, da fuori , da ogni dove. Sereni è un esponente di questo dibattito come lo fu il sindaco santo di Firenze Giorgio la Pira per citare uno per tutti.
La conquista della città ci sprona dunque ad essere come dice Sereni “ rivoluzionari” Anche se è un termine che non si usa più pur rimanendo sostanzialmente momento di paragone nei modi di essere nel fare e nel non fare.
Ecco allora dunque la necessità di un appuntamento ad ora insolita a L’Aquila in un luogo non luogo che oggi è la strada .
APPUNTAMENTO A ORA INSOLITA
La città - mi dico - dove l'ombra
quasi più deliziosa è della luce
come sfavilla tutta nuova al mattino ...
« ... asciuga il temporale di stanotte» - ride
la mia gioia tornata accanto a me
dopo un breve distacco.
«Asciuga al sole le sue contraddizioni»
- torvo, già sul punto di cedere, ribatto.
Ma la forma l'immagine il sembiante
- d'angelo avrei dettò in altri tempi-
risorto accanto a me nella vetrina: '
«Caro - mi dileggia apertamente- caro,
con quella faccia di vacanza. E pensi
alla città socialista?».
Ha vinto. E già mi sciolgo: «Non
arriverò a vederla» le rispondo.
(Non saremo
più insieme, dovrei dire). ,«Ma è giusto,«
fai bene a non badarmi se dico queste cose,
se le dico per odio di qualcuno
o rabbia per qualcosa. Ma credi all' altra
cosa che si fa strada in me di tanto in tanto
che in sé le altre include e le fa splendide,
rara come questa mattina di settembre ...
giusto di te tra me e me parlavo:
della gioia».
«Non è vero che è rara, - mi correggo - c'è,
la si porta come una ferita
per le strade abbaglianti. È
quest' ora di settembre in me repressa
per tutto un anno, è la volpe rubata che il ragazzo
celava sotto i panni e il fianco gli straziava,
un' arma che si reca con abuso, fuori
dal breve sogno di una vacanza.
Potrei
con questa uccidere, con la sola gioia ... ».
Ma dove sei, dove ti sei mai persa?
«È a questo che penso se qualcuno
mi parla di rivoluzione»
dico alla vetrina ritornata deserta.
ANCORA SULLA STRADA DI ZENNA
Forse perché ridicono che il verde sì rinnova
a ogni primavera, ma non rifiorisce la gioia?
Ma non è questa volta un mio lamento
e non è primavera, è un'estate,
l'estate dei miei anni. .
Sotto i miei occhi portata dalla corsa
la costa va formandosi immutata
da sempre e non la muta il mio rumore
né, più fondo, quel repentino vento che la turba
e alla prossima svolta, forse, finirà.
E io potrò per ciò che muta disperarmi
portare attorno il capo bruciante di dolore ...
ma l'opaca trafila delle cose
la spola della teleferica nei boschi,
i minimi atti, i poveri
strumenti umani avvinti alla catena
della necessità, la lenza ,
buttata a vuoto nei secoli,
le scarse vite che all' occhio di chi torna
e trova che nulla nulla è veramente mutato
si ripetono identiche,
quelle agitate braccia che; presto ricadranno,
quelle inutilmente fresche mani
che si tendono a me e il privilegio
del moto mi rinfacciano ...
Dunque pietà per le turbate piante
evocate per poco nella spirale del vento
che presto da me arretreranno via via
salutando salutando.
Ed ecco già mutato il mio rumore
s'impunta un attimo e poi si sfrena
fuori da sonni enormi
e un altro paesaggio gira e passa.
venerdì 8 aprile 2011
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