martedì 5 aprile 2011

ET TERRA MOTA EST : 6 aprile 2011 ,3.32

ET TERRA MOTA EST : 6 aprile 2011 ,3.32

Oggi a L’Aquila fa di nuovo freddo a differenza dei giorni scorsi in cui sembrava essere arrivata primavera con il suo tepore. Oggi a L’Aquila c’è sempre silenzio. E’ il silenzio di ieri, il silenzio di mesi e settimane. Oggi è il cinque di aprile e quel cinque aprile del 2009 era domenica delle palme. Alla sera il silenzio annunciava il raccoglimento e l’attesa per la Pasqua vicina. Poi nella notte quel silenzio fu rotto da un fragrore, da un rumore : una scossa di terremoto più forte di tutte quelle che si andavano susseguendo almeno dal mese di ottobre dell’anno precedente. Poi di nuovo il silenzio, La polvere e i richiami per le strade, nei cortili, tra cumuli di mattoni e pietre cadute che ostruivano le strade. E piano piano un altro grande clamore, quello mediatico per mesi e mesi . Poi d’un tratto il silenzio ha riguadagnato tutto. I giorni, le notti la mente degli aquilani. Un silenzio che è diventato un abito mentale , che è diventato un modo per chiedere scusa di quello che è successo come se la colpa fosse degli aquilani. Un silenzio che non si alterna con i rumori che accompagna il vento, il sole, la pioggia , la vita e la morte. Questa è l’immagine di L’Aquila in questi due anni. L’alternarsi di un silenzio ad un altro silenzio .

In questo silenzio sono nate queste poesie , questo diario di un terremoto ,poesie per certi versi poesia e per certi versi prosa.

Passano le stagioni ,resta il silenzio

-poesie –

1.

Passano le stagioni e i colori

screziati tra le crepe del tempo

rosso cobalto, giallo e verde prato

si insinuano tra i bordi della città

e della campagna nel silenzio

delle notti rigide d’inverno dei giorni

assolati d’estate.

Disarticolare,smontare , disgregare

pietre, cemento, ferro ,asfalto,

ossido di carbonio

riarticolare,rimontare, aggregare

la città.

La città terremotata che sola sale

sul monte e resta lì macchiata

davanti al cielo macchiato

dalla gru dal collo di giraffa

affacciata sul grande buco nero

sul tetto dell’antica Collemaggio.

Passano le stagioni e i loro colori

ed è solo la seconda primavera

dopo l’ultimo terremoto.

2.

E’ silenzioso il vento stanotte

anche lui non ha più parole

e fischi e strepiti e ronzii

come le sagome stordite d’una folla

con le sue fiaccole alla commemorazione.

Stanotte, stanotte anche gli uccelli

si nascondono e le grida del tramonto

presago antico di festa per il riposo

distorcono ancora la notte

la notte che tutto crollò.

Dormiamo da mesi in questo composto

silenzio che sparge fragori

nella mente e nel cuore come rumori

d’una guerra mai conclusa.

E vale la pena di ritirare su

muri e raccogliere pietre e chiudere buche

e continuare a coltivare gerani.

Cari, cari gerani, cari come l’aria

cari come chi vi coltivava e non c’è più.

Sento sovente i suoi passi nella stanza

a fianco ed è come svegliarsi da un sonno

senza alcun altro sogno.

3.

Il vento vaneggia per notti e notti

e queste parole dette e ridette

sono come le ruote crepate d’un auto

come le rose sottocasa odorate e poi sognate.

Il vento delle stranite notti

dopo la paura , la paura delle scosse

sembra luna spolverata nel cielo

sembra acqua di cotone nel cielo .

Non è luna, non è acqua stanotte

è vento di tramontana

inchiodato alle ombre, alle ombre perenni

di una città vuota

tumulto di respiro che l’ha abbandonata

foglia caduta come le altre foglie

che non sono foglie ma pietre e calce

cadute da un cielo che rosicchia

l’anima di chi ha ancora paura

paura in questa città.

4 .

Non sprecate il tempo a parlare di città.

Non sprecate la pazienza,

il silenzio della città corrode le vertebre ,

e riempie il cervello .

E' un'acqua liquida

come uno tsumani .

Metti questo e togli quello

prendi quello e lascia questo.

Così non si fa la città.

Non sprecate il tempo a parlare di città.

5.

Sovente penso nel corso dell’anno

ai giorni d’aprile

e poi quando aprile viene

non ha più voce il ricordo

ma è uno stralunato silenzio

come un piangere senza pianto

perché non è rimasto più nemmeno il pianto

che in quei giorni fu liberazione

dall’inettitudine della disperazione

dal dolore.

Quelli che morirono e quelli che vissero

sono tutt’uno al tiepido sole

di quest’altro aprile che aggiunge

ora tempo al tempo.

Quanto tempo ancora per sommare

questo a quello e tirare la riga

d’un totale che non viene mai

nel verso giusto .

Il verso giusto delle cose che abbiamo abbandonato

nelle case là di pietre e mattoni caduti

di parole e desideri alle intemperie

e al sole delle stagioni.

Otto stagioni allora, è la somma

d’un tempo che può bastare

in un’attesa che non basta mai

fatta d’acqua luccicante che di botto

si ribalta. Si ribalta di botto.

E pensi ogni giorno a tutte quelle rovine

che sbocciano e si espandono.

Altre parole senti.

Zitto, come una volta blandisci

somme e sottrazioni ma già sono andati via anni

e anni dopo anni andranno ancora via e questa città

poi alla fine sarà più lontana della luna.

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, martedì 5 aprile 2011

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