lunedì 6 giugno 2011

MEDITERRANEO : UN DOLORE SENZA NOME

MEDITERRANEO : UN DOLORE SENZA NOME

Nella parabola , evangelica degli operai della vigna quelli che hanno lavorato soltanto un'ora, l'ultima della giornata, ricevono lo stesso salario di quelli ingaggiati all'alba, che hanno lavorato tutto il giorno o Ma,se avevano atteso oziosi tutto il giorno, è perché nessuno prima li aveva chiamati; perché fino aquel momento non avevano avuto, a differenza degli altri, alcuna opportunità. L'inaccettabile disuguaglianza di partenza tra gli uomini, che destina alcuni ad una vita miserabile e impedisce ogni selezione di merito, va dunque corretta, anche con misure apparentemente parziali e disegualitarie, come fa il padrone della vigna.


Il mondo intero è un turpe, equivoco teatro di disuguaglianze; non di o inevitabili e positive diversità di qualità, tendenze, capacità, doti, risorse, ruoli sòciali, bensì di punti di partenza, di opportunìtà, E un' offesa all'individuo a tanti singoli individui, che diviene un dramma anche per l'efficienza di una società. I profughi che arrivano alle nostre coste e alle nostre isole appartengono a questi esclusi a priori, a questi corridori nella corsa della vita condannati a partire quando gli altri sono quasi già arrivati e quindi perdenti già prima della gara. A parte il caso specifico dell'emergenza di queste settimane, con tutte le sue variabili -l'improvvisa crisi nordafricana, la confusione e mistificazione di pietà, ragioni umanitarie, interessi economici e politica di potenza, la lacerazione e l'impotenza o meglio quasi l'inesistenza di un'Europa con una sua politica - quello che è successo e succede aLampedusa non è solo un grave momento, ma anche un'involontaria prova generale di eventi e situazìonì destinati a ripetersi nelle più varie occasioni e parti del mondo, di migrazioni inevitabili e impossibili, che potranno aprire un abisso fra umanità, sentimenti umani e doveri morali da una parte e possibilità concrete dall'altra.

Il numero dei dannati della terra, giustamente desiderosi di vivere con un minimo di dignità, è tale da poter un giorno diventare insostenibile e rendere materialmente impossibile cio che è moralmente doveroso ovvero la loro accoglienza.' In Italia certo ancora si strepita troppo facilmente, dinanzi a una situazione peraltro ancora sostenibile

e'meno drammatica di altre sinora affrontate in altri Paesi. Ma quello che è avvenuto a Lampedusa èun simbolico segnale di una possibilità drammatica ben più grande; se a Milano o a Firenze arrìvasse di colpo un numero

proporzionalmente altrettanto ingente di fuggiaschi, le reazioni sarebbero - sgradevolmente ma comprensibilmente - ben più aspre. Quello che è successo a Lampedusa dimostra, con la violenza e l'ambiguità di una parabola evangelica,la necessità e l'impossibilità di una autentica fraternità umana Universale, il dovere e il non potere accogliere tutti coloro che chiedo. no aiuto.


Proprio per questo, proprio perché la situazione è così gra­ve e implica contraddizioni for­se insanabili per la civiltà, quel di più di ottuso rifiuto razzista, di calcolato e manovrato allar­mismo, di livida chiusura è inac­cettabile.

C'è un elemento quasi simbo­lico e in realtà terribilmente concreto che esemplifica questa tragedia e richiama la parabola evangelica interpretata in que­sto senso da un saggio di Gio­vanni Bazoli. Barconi sono af­fondati nel Mediterraneo, perso­ne sono annegate senza che ai esse si conosca il nome. Questi operai non hanno avuto la chia­mata e nemmeno il salvagente dell'ultima ora; sono stati can­celIati dal mare come se non fos­sero mai esistiti, sepolti senza un nome. Di molti, nessuno forse saprà nemmeno che sono morti; ad essi è stato tolto an­che il minimo di una dignità, il nome, segno di un unico e ìrrìpetibiIé individuo. La cancella­zione del nome è un oltraggio supremo, di cui la storia umana è crudelmente prodiga.


Livio Sirovich, in un suo libro, racconta ad esempio di un bambino ebreo nato in un lager di stermì­nìo e ucciso prima di ricevere un nome. Meno tragico ma al­trettanto umiliante è quanto rac­conta iI maresciallo Chu Teh, lo stratega cinese della Lunga Mar­çìa, quando nelle sue memorie dice che sua madre contadina non aveva un nome, come non lo avevano le galline del pollaio, a differenza dagli animali che . amiamo e cui rivolgiamo affetti e cure. Nella cerchia allargata della mia famiglia acquisita c'è, in passato, una bambina illegit­tima, causa dell'ostracismo de.stìnato a quell'epoca a sua ma­dre nubile, morta piccola; ho cercato invario, à distanza di tanti decenni, di ritrovare iI suo nome e sento come una vergo­gna non esservi riuscito. e un mare è un enorme cimitero . di ignoti, come gli schiavi senza nome periti nella tratta dei neri e gettati nelle acque dalle navi negriere. Oggi - nonostante le gravi difficoltà, fra l'altro messe ingiustamente soprattutto sulle spalle dell'Italia - si può e quin­di si deve fare ancora molto per accogliere quelli che iI Vangelo chiama gli ultimi e che è diffici­le immaginare possano vera­mente un giorno diventare i pri­mi, come iI Vangelo annuncia Talvolta sono vilmente conten­to che la mia età mi possa forse preservare dal vedere un even­tuale giorno in cui non fosse materialmente possibile acco­gliere chi' fugge da una vita in­tollerabile .

Claudio Magris Un dolore senza nome Il Coriiere della sera


Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
lunedì 6 giugno 2011


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