Questi scenari straordinari, dai fascini infiniti -dove la natura ha creato stupefacenti prodigi non privi di mistero- sono stati testimoni silenziosi di civiltà antichissime che affondano le radici nella preistoria, nei miti e nelle leggende, trasmesse da tempo immemore di padre in figlio, oralmente e a memoria.
Ignazio Silone ha scritto che "il destino degli uomini della regione che da circa otto secoli viene chiamata Abruzzo e stato deciso principalmente dalle montagne", ma anche l'origine della fiera stirpe abruzzese, "forte e gentile", e legata ai monti; non a caso la Majella e stata chiamata "Magna Mater" da Ovidio, Macrobio e Lucrezio, e "Montagna materna" dal popolo abruzzese.
Nella località di Bocca di Valle - nei pressi di Guardiagrele, alle falde della Majella, il mito atavico della "Montagna Madre" rivive, superbamente, nella gigantesca epigrafe scolpita sulla nuda roccia, all'esterno del suggestivo sacrario che accoglie - in una grotta -Ie spoglie dell'eroe abruzzese Andrea Bafile, (medaglia d'oro 'al valor militare), caduto sul Basso Piave nella prima guerra mondiale; la mastodontica iscrizione rupestre, su parole dettate da Raffaele Paolucci, recita testualmente:
"Figli d'Abruzzo morti combattendo per l'italia e sepolti lontano tra le alpi e il mare la maiella madre vi guarda e benedice in eterno". Mai, come questo luogo, il nome di madre e appropriato e commovente. La montagna che nei secoli ha idealmente custodito le vigorose virtù delle genti d'Abruzzo, accoglie nel suo grembo materno un figlio eroico della sua terra, e rappresenta, ad imperituro ricordo, l'altare dell'eroismo abruzzese.
E' noto, del resto, che i popoli di tutto il mondo non intendono fermarsi ai meri avvenimenti della loro storia di ieri o di oggi, ma vogliono risalire molto indietro nel tempo, e ritrovare, attraverso le loro tradizioni e credenze, la propria identità e le proprie origini.
Il maestoso Gran Sasso, aspro e selvaggio, con le sue vette vertiginose - definito "Re degli Appennini" - e la Majella - denominata "Gran Madre" e "Montagna materna" - con forme gentili, sinuose e morbide, rappresentano i luoghi più incantati e più incantevoli dell'Appennino, e vantano una storia millenaria, antichissima, avvolta da miti e leggende
Le montagne, stagliate verso l'infinito e permeate di arcana magia, hanno sempre ispirato l'immaginario, sia individuale che collettivo, sia colto che popolare, con ampi margini di fantasia, ma sappiamo che le leggende che ne derivano, sottendono sempre un fondo di verità.
La fiaba "ci stea 'na 'ote", scritta dal poeta aquilano Mario Lolli, e ambientata nel nostro pianeta, paragonata ad un "gomitolo" (gammotta) - vagante nell'universo insieme alle stelle e ad altri corpi celesti - ricoperto da aridi oceani di rocce, da sconfinate distese di ghiacci e da immense fiumane d'acqua, agli albori delle primordiali e rare forme di vita, prima della comparsa dell'uomo sulla terra.
In questo scenario selvaggio e desolato, l'impervio Gran Sasso e la maestosa Majella - più bella delle altre montagne - assumono sentimenti umani e con la loro storia d'amore, accolta festosa¬mente dal primigenio rigoglio della natura trionfante e variopinta, diventano i protagonisti, responsabili dell'origine della fiera stirpe abruzzese, "forte e gentile".
La fiaba, desueta e al di fuori dei clìches convezionali, rappresenta suggestivamente la "La leggenda dell'Abruzzo" e come ogni favola incomincia con "c'era una volta" (ci stea 'na 'ote).
Camillo Berardi La fiaba suggestiva della Majella madre in Regione Abruzzo Luglio Agosto 2003 pag.35
lunedì 27 giugno 2011
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