sabato 2 ottobre 2010

SETTIMO GIORNO : C'era un uomo ricco

SETTIMO GIORNO : C’era un uomo ricco

Racconta il vangelo di Luca (16,19-31) che c’era un uomo ricco che si dava a lauti banchetti. Alla porta della sua casa sostava un povero di nome Lazzaro , coperto di piaghe che bramava di saziarsi delle briciole che cadevano dalla tavola di quell’uomo. Solo i cani leccavano le sue piaghe. Un giorno Lazzaro morì e fu accolto nel seno di Abramo . Morì anche il ricco e fu destinati ai tormenti del fuoco infernale. Da li vedendo Abramo per due volte lo implorò di far fare qualcosa a Lazzaro per lui . La prima di fargli bagnare la lingua per alleviare le sue sofferenze e la seconda di inviarlo sulla terra a riferire ai suoi parenti in quali tormenti si trovasse per ammonirli severamente sul modo di vivere .Entrambe le cose gli furono negate perché, nel primo caso , come gli dice Abramo “ Figlio ricordati che nella vita , tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali ; ma ora in questo modo lui è consolato tu invece sei in mezzo ai tormenti “e nel secondo : “ Se non ascoltano Mosè e i Profeti , non saranno persuasi neanche se uno risorgesse ai morti”.

Questo episodio, in realtà va inquadrato nell’economia dell’intero capitolo sedicesimo del Vangelo di Luca ed è la prosecuzione dell’altro racconto che inizia “ un uomo ricco aveva un amministratore..” L’intero capitolo, in sostanza, è la descrizione di quello che pensa e ci insegna Gesù Cristo sulla ricchezza.

L’episodio di Lazzaro come ci viene presentato articola e sviluppa l’idea della ricchezza , il rapporto dell’uomo con essa, il senso e il limite del suo uso dividendo l’episodio in due parti. Nella prima viene sviluppata la psicologia e l’etica morale del ricco Epulone che non vede il povero Lazzaro in quanto è completamente assorbito dalla sua riccehezza . Nella seconda il richiamo e l’esortazione sta nel porre attenzione sul fatto che la ricchezza vissuta in quella condizione psicologica e materiale ci impedisce di ascoltare la parola di Dio.

Nel racconto evangelico la storia del ricco e del povero divergono fortemente tenuto conto che c’è una specie di sarcasmo nelle parole di Gesù Cristo. Sarcasmo perché addirittura, il ricordo del ricco avviene in forma anonima. Questo ricco non ha diritto nemmeno ad un nome “ c’era una volta un uomo ricco …” non è nemmeno degno di essere ricordato con un nome mentre per il povero si dice che si chiamava Lazzaro .

Da questo racconto che Gesù fa rivolgendosi ai farisei si apprende appunto la condizione del ricco e del povero e si osserva quella legge del contrapasso, tanto cara al poeta Dante che nella Divina Commedia ne idealizza l’efficacia e i risultati. Inoltre questa concezione della ricchezza intesa come rottura di quella condizione psicologica per la quale il primo posto di tutte le cose della nostra vita è del Padre senza il quale, senza l’osservarnza della sua parola la vita non ha senso.

Quando la ricchezza ci chiude la mente e le orecchie l’egoismo della ricchezza fa crescere in noi una condizione di estraneamento dalla vita che pure ha bisogno per il suo sostentamento materiale anche la ricchezza , intesa appunto come sostentamento .

Tanto che il problema della ricchezza e della povertà diventa un problema di giustizia in cui spesso Dio può essere visto come il vendicatore delle lacrime dei poveri .

La ricchezza in alternativa, quella vera sta nell’amore per Dio che diventa sollecitudine per i poveri. D’altra parte vale la pena accumulare ricchezze sulla terra che possono essere rubate dai ladri o distrutte dai tarli ? O piuttosto vale la pena di costruire sulla terra il regno di Dio attraverso le buone opere che costituiscono un tesoro inattaccabili in terra e tali da pregustare appunto la pienezza di Dio che è la sua visione in un’altra condizione di vita che è quella che viene a ciascuno di noi dalla trasformazione di quella che abbiamo su questa terra.

Il biblista Gianfranco Ravasi così commenta questa parabola : “ Gesù parla a noi, figli del mondo dello spreco. Nel Libro della Sapienza si elencano le quattro virtù cardinali o morali. Ebbene, contrariamente alla tradizione successiva che collocherà al primo posto la prudenza, qui si propone quest’ordine: «La Sapienza insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza» (8,7). Certo è che la moderazione o sobrietà, non solo nel consumo dei cibi ma anche nel possesso, nell’egoismo, nell’intemperanza delle passioni, è una virtù preziosa. Il Libro dei Proverbi rappresenta questa vivacissima scenetta: «Per chi i guai, i lamenti, i litigi, i gemiti? A chi le percosse per futili motivi? A chi gli occhi rossi? Per quelli che si perdono dietro al vino e vanno a gustare vino puro. Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende giù piano piano. Finirà col morderti come un serpente e pungerti come una vipera… Ma quando mi sveglierò, ne chiederò dell’altro!» (23,29-32.35). Noi, per illustrare questa virtù, proporremo una parabola di Gesù molto famosa, quella del povero Lazzaro e del ricco gaudente (Luca 16,19-31).

La tradizione popolare ha usato un aggettivo ormai in disuso ma efficace per designare quel ricco, “epulone”. La lezione che il brano ci propone è chiara ed è attuale soprattutto per il mondo occidentale, che non conosce limite allo spreco e che ormai ha come problema principale quello della dieta e della linea, davanti a un altro mondo che è, al contrario, affamato e assetato. Isaia ribadiva che il vero digiuno è «dividere il pane con l’affamato» (58,7) e la testimonianza di Cristo e della prima comunità cristiana è, al riguardo, emblematica. La temperanza, però, che è soprattutto controllo di sé e delle passioni, non conduce al disprezzo del corpo e del cibo, tant’è vero che Gesù è ritratto spesso dagli evangelisti mentre è a mensa, così da essere bollato come «un mangione e un beone». In realtà la temperanza non è masochismo e cupezza o ascetismo acido e duro; è, invece, sobrietà, dignità, sereno distacco ed equilibrio. Anche san Paolo suggeriva al discepolo Timoteo di non rinunciare a «un po’ di vino a causa dello stomaco e delle frequenti indisposizioni» (1Timoteo 5,23).”


Scrive ancora Alberto Brignoli : “ Quando il Caravaggio, nel 1599, dipinge la Vocazione di Matteo per la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, rappresenta uno dei compagni dell’apostolo seduti con lui al banco delle imposte mentre fissa le monete riscosse indossando un paio di occhiali, quasi accecato dalla visione del denaro. È solo un’immagine pittorica; ma dice bene ciò che Luca vuol trasmettere anche con un brano di Vangelo come quello del “ricco epulone”, ovvero che la ricchezza acceca, impedisce all’uomo che ne è in possesso di vedere con occhi limpidi il mondo che lo circonda: e ciò che è peggio, lo trasforma nell’uomo delle tenebre, colui che nell’oscurità e nell’oscuramento delle proprie azioni si sente talmente a suo agio che nel momento delle tenebre fa addirittura emergere il suo senso di umanità. È la sottile ironia di Luca, quando – attraverso il racconto di Gesù – mette in bocca al ricco vestito di porpora e lino finissimo parole di pietà e misericordia solo nel momento in cui si trova nello Sheol, il Regno dei morti. Gretto e meschino nella vita di fronte al povero della porta accanto, questo ricco si dimostra signore dall’animo nobile e magnanimo nel mondo delle tenebre. Ma è ormaitroppo tardi. (…)Gesù racconta questa parabola (come Luca dice al versetto 14) per i farisei che, attaccati al denaro, si burlavano di lui, dopo aver ascoltato dal Maestro la frase finale del vangelo di domenica scorsa: “Non potete servire Dio e la ricchezza”. Gesù li conosce bene, e sa altrettanto bene che i farisei credevano molto alla resurrezione dai morti e all’Aldilà, visto come luogo in cui in anima e corpo si poteva portare a piena perfezione quanto operato nella vita. Se quindi un uomo benedetto da Dio aveva accumulato ricchezze nella vita terrena, quanto più in quella futura. Immaginiamoci la reazione dei farisei di fronte a una parabola in cui Gesù parla dell’ Altro Mondo come luogo in cui le situazioni terrene non solo non rimangono identiche, ma addirittura si ribaltano e – secondo la più classica delle teorie del contrappasso (di cui Seneca prima e Dante poi ci danno stupendi esempi letterari) – chi nella vita ha ricevuto beni, nell’Aldilà è fra i tormenti e chi nella vita ha ricevuto mali, nell’Altro Mondo è consolato”

Ci sono ancora uomini e donne ricchi e ciechi; ciechi perché non hanno mai sperimentato la gioia dell'amore che dona, che si dona, che si china, con umiltà e rispetto sulle piaghe dei poveri; quei poveri che, come abbiamo visto domenica scorsa, possono riscattare il male della ricchezza ingiusta, quando questa venga elargita a loro beneficio. Ma, anche questa volta, come per l'amministratore infedele, arriva la resa dei conti, quella più drammatica ed inevitabile, una resa dei conti spesso improvvisa, e che ognuno teme: la morte, che è il ribaltamento ultimo, totale e definitivo. C'è, infatti, un ribaltamento di situazioni che riguarda solo la vita presente: rovesci finanziari, perdita del potere, e simili; ma c'è un ribaltamento molto più serio che viene dal giudizio di Dio, quello di cui la stessa Vergine Maria ci parla nel suo sublime cantico di lode: "Ha rovesciato i potenti dai troni ed ha innalzato gli umili... ha rimandato i ricchi a mani vuote e ha saziato di beni gli affamati..."; è quanto può accadere già nel corso della vita, ma è quanto accadrà alla fine, quando Cristo stesso ci giudicherà.Ed è proprio Cristo, che ci ha ammonito su quei capovolgimenti che il Regno del Padre suo opera ed esige: "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che adesso avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete... Ma guai a voi che siete ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi, che adesso siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi, che adesso ridete, perché sarete tristi e piangerete.."(Lc. 6,20-26)



Eremo Via Vado di sole , L'Aquila, sabato 2 ottobre 2010

Nessun commento:

Posta un commento