Addio a Luigi Di Ruscio
23 febbraio 2011 -
Si è spento stanotte ad Oslo Luigi Di Ruscio, grande poeta del Novecento. Aveva 81 anni. Molto amato da Franco Fortini, Paolo Volponi e da Salvatore Quasimodo, che lo definì "uomo d’avanguardia nel senso positivo, cioè della fede nell’attualità e per la violenza del discorso". Con l’ultimo libro ‘La neve nera di Oslò (Ediesse 2010) pubblicato lo scorso anno, Di Ruscio ha chiuso un’esperienza letteraria durata oltre mezzo secolo dove vita e scrittura si sono incontrate per diventare una cosa sola, mostrandoci cosa significa per uno scrittore emigrare in Scandinavia e vivere in un isolamento linguistico e sociale che è da sempre quello di tutti i migranti.
In questo blog ho parlato nei mesi scorsi di Luigi Di Ruscio e ho pubblicato sue poesie. Ora mi piace pensare a Luigi Di Ruscio con questi versi di Carmen Consoli dall’album Elettra :
Tra tutti i giorni in cui potevi partire
Perché hai pensato proprio al lunedì.
Gli uccelli cantano, l’estate è alle porte
tempo di mare e di granite al limone.
Chissà quale fine sarcasmo d’autore
Avresti sfoderato senza giri di parole.
Viva l’Italia, il calcio, il testosterone,
gli inciuci e le buttane in preda all’ormone
a noi ci piace assai la televisione
proprio l’oggetto – dico – esposto in salone
chissà quale amara considerazione
avresti concepito in virtù del pudore.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Che prendi il sole sulla spiaggia
Con la solita camicia bianca
Ed il giornale aperto sulla pagina sportiva
Mentre stai sul bagnasciuga
Beato tra le braccia di un tramonto.
Tra tutti i giorni in cui potevi morire
Perché hai pensato proprio al lunedì
Strade caotiche e litigi agli incroci
Quanti cafoni su veicoli osceni
Chissà quale fine sarcasmo d’autore
Avresti sfoderato in questa triste occasione.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Che prendi il sole sulla spiaggia
Con la solita camicia bianca
Ed il giornale aperto sulla pagina sportiva
Mentre stai sul bagnasciuga
canticchiando una canzone romantica.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Che prendi il sole sulla spiaggia
Con la solita camicia bianca.
Mandaci una cartolina e una ridente foto di te
Mentre stai sul bagnasciuga
E cogli con stupore il nuovo giorno.
Nato a Fermo nel 1930, emigra in Norvegia nel 1957 e per quarant’anni lavora a Oslo in una fabbrica metallurgica. La sua storia letteraria è lunga e inizia nei primi anni ‘50, quando pubblica la sua prima raccolta di versi ‘Non possiamo abituarci a morire ‘, con prefazione di Franco Fortini. La seconda raccolta, che è del 1966, ‘Le streghe s’arrotano le dentiere', la presenta Salvatore Quasimodo. In quegli stessi anni le sue poesie sono accolte nelle più importanti antologie dell’epoca, tra cui proprio ‘Poesia italiana del dopoguerra' di Quasimodo.
Tra i suoi libri di poesia: ‘Non possiamo abituarci a morire' (prefazione di Franco Fortini, Schwarz 1953), ‘Le streghe s’arrotano le dentiere' (prefazione di Salvatore Quasimodo, Marotta 1966), ‘Istruzioni per l’uso della repressione' (presentazione di Giancarlo Majorino, Savelli 1980), ‘Firmum’ (peQuod 1999), ‘L’ultima raccolta' (prefazione di Francesco Leonetti, Manni 2002), ‘Poesie Operaiè (prefazione di Massimo Raffaeli, Ediesse 2007). Tra i suoi testi di narrativa: ‘Palmiro' (1° ed. 1986, 3° edizione Baldini&Castoldi 1996), ‘L’Allucinazione' (Cattedrale 2008), ‘Cristi polverizzati' (prefazione di Andrea Cortellessa, Le Lettere 2009).
Paolo Di Stefano su il Corriere della sera il 25 febbraio u.s. ha scritto questo “ Addio a Luigi Di Ruscio,lo Jacopone operaio "
«La lingua con cui scrivo si è formata dentro di me frequentando giornalmente il norvegese». Il paradosso è che la lingua di
Luigi Di Ruscio dovrebbe essere l'italiano. Ma un italiano pasticciato, comico, fluviale.
Antonio Porta lo paragonò a «una talpa che continua a scavare» come una macchina macina-parole. Ora la morte ha spento la macchina di una vita che somigliava alle sue parole «in presa diretta», anzi direttissima. Nato a Fermo nel 1930,
Di Ruscio esordisce nel '53 con una raccolta poetica,
Non possiamo abituarci a morire, presentata da
Franco Fortini e salutata come una delle opere più importanti del neorealismo poetico. Quattro anni dopo, disoccupato e
militante di base del Pci, emigra a Oslo, dove lavora per quasi quarant' anni come operaio metallurgico. Si sposa con
Mary Standberg e con lei avrà quattro figli. Il secondo libro di poesie ha un titolo petroso:
Le streghe s' arrotano le dentiere. Lo presenta
Quasimodo a cui piace la sua follia, la violenza del discorso. Con gli anni si moltiplica il fan club di questo irregolare che scrive da un paese altro in una lingua «altra», radicata e sradicata insieme, comunque dall' effetto straniante, percorsa da neologismi, oralità e anacoluti: per
Sebastiano Vassalli,
Di Ruscio è
una sorta di Jacopone nello stilnuovo trionfante degli anni 70. A proposito di Poesie operaie (Ediesse 2007),
Massimo Raffaeli parla di una voce «capace di introiettare/metabolizzare/rielaborare la condizione operaia alla stregua della condizione umana tout court». Il lavoro in fabbrica è il fulcro anche della sua prosa macina-parole. Ma non solo quello:
Cristi polverizzati (Le Lettere 2009) è un romanzo autobiografico, picaresco e blasfemo, orientato verso una sorta di espressionismo materico e insieme visionario. Un attraversamento dell' Europa e di buona parte del Novecento, dall' infanzia marchigiana indigente alla scoperta del sesso, alla guerra, al rapporto con il partito, alle rivelazioni letterarie, ai viaggi andata e ritorno per quasi tutta l' Europa. «Noi del 1930 ne abbiamo fatte pochissime ma ne abbiamo viste praticamente tante (...) è stato come uno stare a teatro, abbiamo visto tutto mangiando i semi di zucca seccati salati e abbrustoliti». È, osserva
Andrea Cortellessa, il resoconto di un' «altra storia»: testimonianza distorta da uno sguardo sghembo, imprevedibile, a tratti delirante, da cui affiora la sensualità delle cose, gli «sfrusciamenti orgasmici», le rabbie, le crudeltà e le tenerezze di una vita pienamente vissuta.
Di Ruscio è stato riscoperto pochi anni fa da un gruppo di giovani amici marchigiani (primo fra tutti
Angelo Ferracuti) che avevano colto in lui l' eccezionalità dell' essere nel contempo ai margini e dentro l' incandescenza della storia, del mondo.
Dunque Addio a Luigi Di Ruscio.
Eremo Via vado di sole, L’Aquila, mercoledì 2 marzo 2011
Nessun commento:
Posta un commento