DIARIO DI UN TERREMOTO .Diario per certi verso poesia e per certi versi prosa 6,7 e 8 agosto 2009
L’Aquila, 6 Agosto 2009
per intonare una litania
di popopò popopopopò popopò
e mi ero anche iscritto a second life
per svagarmi un po’
ma non sono io quel tipo che va a protestare
come uno scalmanato
anche se ora ci vorrebbe da protestare e
protestare bene
perché è mutato l’accento,altro il colore.
Sulle inutili macerie non si compirà
il miracolo
un’ombra si accamperà e l’illusione
non riuscirà a mostrarci l’azzurro del cielo :
il giorno che piangemmo
sembra dimenticato, quante chiacchiere,
il mio orologio si è innervosito
ed è schizzato in aria e mi ha chiesto
di dimenticare la definizione del tempo;
quanto tempo è passato e quanto ne passerà
e aumenterà questo menefreghismo
lava e indossa
quanto tempo ci vorrà per tornare a casa
anche se allora tornavamo a casa
per sognare sempre
di essere in un altro posto per sognare
un’altra casa e la pubblicità alla tivvù
ci aiutava
ora facciamo uno sforzo per svegliarci
e per sperare che forse è stato un brutto sogno.
Il trombone me lo ricorda che è un’altra
cosa
popopò popopopopò popopò.
L’Aquila, 7 agosto 2009
e morti ammazzati sulla strada
a tavola tra – passami il sale e il pane –
- non mi và più niente, basta così –
- questo ragù era proprio buono –
diventa quasi un’abitudine
tanto che più numerose delle drogherie
sono diventate ormai le pompe funebri.
La rassegna dei morti di ciascuno di noi
compare a tavola un giorno si e un giorno no
che poi Claudio ci racconta
quando viene a trovarci sempre catastrofi
di persone, di famiglie, di luoghi.
E’ tornato Michele e parla solo con Dio
anche Sergio è tornato e non parla molto
Francesco è tornato raffreddato
vorrei andare via e non vorrei andare via
non so qual è la semplice cosa da fare
ed è certo che bisogna dire una buona volta
“qui finisco” “ qui ricomincio” come quei morti
che camminano dentro di noi
e a volte per economia come dice il mio poeta
usano le nostre scarpe.
L’Aquila, 8 Agosto 2009
e all’interno dei muri
nessuno parla più di quella notte
pieno di scale , porte
e muri pericolanti, dei passi ipocriti
scricchiolanti sugli oggetti caduti
e diventati cocci
delle conversazioni sotto voce .
Non si entrava e non si usciva quella notte.
sulle maniglie delle porte
restano attaccate le mani dei morti
e ora se qualcuno fa per parlare
si mette la mano sulla bocca come
a coprire uno sbadiglio
come per nascondere le parole.
Infatti si dicevano quella notte
-coraggio !-
Sul punto di venire strappati
si dissero per un istante - coraggio !-
si dissero così le case, i giardini, gli archi
i ponti e coraggio dissero
quelli che un giorno
avrebbero di nuovo chiamato casa
quelle pareti cadute, quei tetti sbilenchi
quelle grondaie divelte, quelle case crollate.
-Coraggio ! -. mi sono ricordato che cosa
vuol dire
vuol dire rincorrere i sogni e mettere a posto
le tegole del tetto
mettere a tacere la paura e spalare i cocci
triturati
controllare il colesterolo e sperare
che siano prese in considerazione le tue
sofferenze di ogni giorno
essere capaci di meravigliarsi che
qualcosa sia ancora in piedi
e non riuscire a darsi pace
a darsi pace una volta di più
per quello che è successo.
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