
Premetto che non parlo di autolesionismo in generale , almeno in apertura di questa riflessione, ma di autolesionismo in un particolare contesto qual è quello del carcere. Premetto anche che spesso trattandosi di adolescenti la ricerca delle libertà , la spinta al cambiamento avviene con un taglio e una rottura anche distruttiva e violenta.
Una rottura per esempio nei confronti di quello che si è al momento in cui si è entrato in carcere ma anche di quello che si è durante la stessa detenzione.
L’autolesionismo fisico dunque a volte è la manifestazione di un disagio.

Ancora.Orobabilmente la manifestazione di disagio attraverso atti di autolesionismo è frutto di un’attenzione poco efficace da parte degli operatori ,a causa di una comunicazione intempestiva, di un approccio formale ( che è , per quest’ultimo caso, quasi sempre il rischio delle istituzioni).

Il farsi male con l’autolesionismo però non scaturisce sempre da un quadro psicopatologico tale da richiedere un intervento nei confronti di chi lo mette in atto di tipo medico, psichiatrico, psicologico o farmacologico. L’autolesionismo interessa solo alcuni giovani e li interessa in quella sfera che è il loro intimo , nella loro fragilità strutturale ed è determinato anche da problemi di carattere familiare e dell’ambiente da cui provengono. Concorrere ad aiutare l’adolescente ad un recupero del sè per una valorizzazione delle sue capacità lo induce spesso a riconsiderare molti aspetti delle esperienze che vive in quella età e lo aiuta quindi a sviluppare strumenti con i quali muoversi .

Gesti di questo tipo richiamano l’attenzione. La soluzione degli operatori dunque in un contesto carcerario deve tendere a prestare più attenzione e più ascolto per prevenire sul nascere tali comportamenti.
Siamo spesso in un quadro di disperazione , di bisogno che è di tipo materiale altrettanto spesso o siamo in una condizione di ricerca di attenzione umana negata.
Comportamento autolesionistico è ammissione di malessere. Certo in contesti istituzionali dove la carenza di personale si fa sentire è difficile promuovere maggiore attenzione nei confronti di queste persone. Il dialogo comunque , le ragioni del dialogo, le premesse del dialogo e le condizioni del dialogo sono il lavoro da fare e rappresenta una risorsa per i pochi operatori. In un contesto dialogante non c’è un accaparramento di risorse e la collaborazione diventa spontanea . Questo risolve il primo gradino dei bisogni, quello del comunicare che è fondamentale percostruire altro .
Sono convinto comunque che il carcere è quel posto dove tutti lavorano per qualcosa per cui volendo è possibile costruire altro.
Ma torniamo agli atti di autolesionismo. A volte è difficile capire “Perché lo hai fatto ? ” atteso che “non vuoi dirmelo” oppure che comunque non sai nemmeno perché lo hai fatto.
Lo ha fatto, dico io , perché è arrivato al fondo perché in qual momento non ha visto più alcuna speranza , perché è stato incoerente, perché non sa che cosa sta dicendo, perché non sa, non vuole, non può assumersi responsabilità fino in fondo. . Lo fa in situazioni in cui spesso le altre persone a loro volta non vogliono assumere responsabilità .
Fin qui allora il contributo a questo tema che ho voluto riassumere partendo dalla mia esperienza professionale. Però voglio fare un tentativo per andare oltre. Voglio riflettere un attimo sul nostro autolesionismo, quello di tutti i giorni, quello di cui non ci accorgiamo e che non ha bisogno di una lametta per essere manifestato.
Sono i tentativi di resistere e di opporsi a certe idee , di usare certi strumenti , in sostanza di cercare di vivere in libertà e con libertà.La rottura è di tutti i giorni. Per esempio fumando troppo o bevendo troppi alcolici o dandoci allo shopping incontrollato o insensato , non controllando la nostra dieta noi ci facciamo male. Siamo autolesionisti e lo facciamo perchè andiamo alla ricerca di qualcosa o non ce ne importa più di nulla ( è la stessa cosa forse ) con un senso di vuoto o di pienezza con una aspettativa per qualcosa o con uno stracco senso di appagamento.

La salvezza delle emozioni.
sabato 12 marzo 2011
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