
Più che alla forma,gli architetti,gli ingegneri, i giardinieri farebbero bene a pensare ai bisogni della gente.
I bisogni si modellano, scaturiscono, si esauriscono sui luoghi, sulle forme? O i luoghi in qualche modo ingenerano bisogni , producono, appunto, esigenze da soddisfare?
E’ vero che per cercare equilibrio all’interno di te stesso devi muoverti attraverso un continuo movimento tra luoghi materiali e luoghi immateriali? E’ voluttuoso il piacere di toccare materialmente con i piedi , con le mani, con lo sguardo ed è altrettanto voluttuoso camminare tra ciò che resta della realtà al confine tra fantasia e fantasia, tra realtà e realtà dove la prima fantasia è l’astrazione da sé, la seconda fantasia è il ritorno al mondo astratto del sé purificato dall’astrazione? Discorso difficile che pure va tentato da questo osservatorio di confine. E allora ecco il primo contributo.

E proprio in riferimento ai capisaldi della cultura del vicinato così come si è trasformato c’è bisogno di una nuova etica.

Rileggo di seguito un articolo di Marco D’Eramo pubblicato su “La talpa n. 346 del Manifesto del 11 gennaio 1990. Ecco che cosa è diventato il vicinato.
Senti oltre la parete un bambino che piange?
Chiama subito il telefono azzurro e denuncia la violenza subita dal minore. Ti raggiungono preoccupanti rumori di piatti rotti e urla dall'appartamento vicino? Telefona subito al 113 e denuncia una lite . tra coniugi, uno stupro, insomma qualcosa.
Telefona, telefona, denuncia, scrivi, parla. Non è delazione, non è spiata, non è anonima perfidia. E' dovere civico, è solidarietà umana, è bontà distillata tramite Sip. Il tuo vicino si droga? È umano denunciarlo. Contro le Br, il Pci torinese aveva proposto un questionario in cui ognuno doveva dire se il vicino (piano di sotto, di sopra, porta accanto) era terrorista, simpatizzante. Era l'emergenza. L'allarme. Oggi gli allarmi si moltiplicano. Come gli antifurto delle auto che suonano invano. Oltre l'allame droga, c'è l'allarme Aids, c'è l'allarme violenza minorile, l'allarme vecchi, l'allarme sessuale. A ognuno di questi allarmi la risposta che le istituzioni incoraggiano è una sola: che il vicino si controlli e si sorvegli da solo il vicino. Che sia sempre più delegato il controllo sociale esercitato finora delle istituzioni deputate a sorvegliare e punire. Giudici, cardinali, poliziotti, assistenti sociali ti chiedono sempre più: sorveglia da solo il tuo vicino.

E' morto sul marciapiede e nessuno l'ha soccorso, racconta l'insopportabile luogo comune dell'indifferenza metropolitana. Invece nessuno ci racconta la gioia che ti esplode in cuore, in città,quando non sei più controllato, non conosci nemmeno, il cognome del tuo vicino. Nessuno racconta come la città, uno tra i tanti prodotti tecnologici della modernità, sia una grande liberazione. Libero dal parente che controlla come ti lavi le mutande, dal vicino che guarda quante bottiglie bevi, dal parroco che ti chiede quanto ti masturbi. Insomma, l'incredibile libertà di cui devi essere grato proprio all'indifferenza altrui. L'ambiguo valore positivo del «farsi i fatti propri».

Contrapposizione quindi tra mondo contadino, paesano, antico, e mondo moderno, metropolitano, industriale. Ancora una volta il rifiorire della delazione sarebbe una nostalgia del passato. Un aspetto tra i tanti della reazione. Ma non tutto è così semplice.

(Ricorda Foucault che nelle società utopiche del Paraguay, i sentieri erano sopra elevati perchè i gesuiti potessero, attraverso le finestre al livello della strada, controllare la vita privata dei loro «felici sudditi», gli indios).
I borghesi di Amsterdam hanno perseguito una particolare utopia di città felice. Nelle sue case, nel loro lindore (osporcizia) che vedi attraverso le finestre, ognuno è garante di fronte a dio dell'onestà del vicino, ma nello stesso tempo ognuno è geloso' della propria privacy e fiero di non conoscere il nome del vicino.
La società puritana crea sì il mito della privacy, ma anche, attraverso le delazioni dei vicini, i roghi delle streghe di Salem. Bastava che un signore affermasse: «Ieri notte la mia vicina si è trasformata in gatta ed è venuta a tentarmi, miagolando sul davanzale».
N ei villaggi e nella ci viltà contadina, sorvegliare e controllare era un diritto/dovere reciproco di un conoscente verso un conoscente. Nella società puritana, la sorveglianza sociale spontanea è sempre esercitata, ma da 'un contesto anonimo: a spiarti è un vicinato, non un vicino.
Cresce il bisogno di privacy, scompare il vicino/conoscente/parente. Dunque parte della sorveglianza è esercitata dagli apparati disciplinari, nati appunto per sorvergliarti e punirti. E' il controllo istituzionale, cioè anonimo. E anonimo è anche il controllo spontaneo: quello del vicinato, quello del portiere, quello dei colleghi.

Il punto di novità è che sembra decaduta, insieme a tante altre, anche quest'utopia borghese: l'idea che il controllo sociale potesse rallentarsi, allargare le proprie maglie nella metropoli, sostituito da un. lato da apparati repressivi si, ma sempre più umani, e dall'altro da un autocontrollo sociale prodotto da una più estesa alfabetizzazione, da un maggiore benessere, da un maggior senso di appartenenza a questa società.
L'ondata di «invito a spiare», di «licenza di delazione» è un altro dei segni della spaccatu¬ra fra governo e dominio. E' vero a livello planetario, ma si dimostra vero anche nel con¬dominio di un isolato. che per le classi dominanti -che quindi dominano - è però sempre più difficile gov~rnare. Siamo prede e soggetti' a processi di dominio senza governo. In Libano o in Uganda, ma anche nei quartieri degradati delle metropoli «affluenti». Nessuno tenta più di «acculturare» gli abitanti del Bronx. Né quindi di produrre «autocontrollo sociale».
Le foto sono di Salvatore De Villo
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