www.blitzquotidiano.it, 24 febbraio 2011
L’uomo, che chiede di mantenere l’anonimato, è stato arrestato a Tripoli il 4 dicembre scorso. È potuto tornare in Italia la vigilia di Natale dopo aver passato venti giorni nelle prigioni di libiche “senza processo o capo di accusa. Ma soprattutto senza che nessuno del Consolato o dell’Ambasciata italiana si facesse vivo. La sua colpa, scrive il Fatto, “aver incontrato persone non gradite al regime: due ragazzi della minoranza berbera, arrestati anche loro dai servizi libici il 16 dicembre e, secondo le denunce di Amnesty International, torturati in carcere. I fratelli Mazigh e Maghris Bouzahar sono stati rilasciati domenica”.
Torna a Tripoli il 4 dicembre, viene fermato in aeroporto. Viene riportato in albergo, e qui, nel suo portatile, gli trovano i documenti sulla lingua berbera. Tutto quello che riesce a fare l’italiano è avvisare il consolato, che promette di informarsi. Ma poi lo studioso non riceve più alcuna notizia, escluso da ogni comunicazione con il mondo esterno per venti giorni.
“Per ore e ore mi hanno chiesto di spiegargli giorno per giorno dove ero stato, chi avevo incontrato e cosa avevo fatto”, racconta al Fatto. Ore di interrogatorio, la firma dei verbali in arabo senza traduzione. In carcere l’uomo raccoglie le testimonianze di chi ha subito torture e botte dalle forze di sicurezza.
Rimangono alcuni interrogativi, sottolinea il Fatto: “come mai in quei venti giorni nessuna autorità italiana è riuscita a mettersi in contatto con un cittadino italiano detenuto senza capi d’accusa in un carcere libico? Cosa ne è dei decantati rapporti privilegiati? E se è vero che il Consolato ha chiesto a più riprese informazioni a Tripoli perché non gli sono state date e quali passi formali sono stati fatti per averle? E perché è stato chiesto all’uomo di mantenere il riserbo sulla sua vicenda?”
“Per due mesi, racconta il ricercatore, un po’ egoisticamente, ho pensato fosse giusto non disturbare il manovratore e che forse non ne avrebbero giovato nemmeno i miei progetti di ricerca. Poi sono arrivate le manifestazioni e i morti. Il silenzio cominciava a pesare. E quando anche i miei amici libici sono stati liberati, è arrivato il momento di raccontare”.
mercoledì 2 marzo 2011
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