mercoledì 9 marzo 2011

Anà kòresis : per cominciare fra Pietro del Morrone

Anà kòresis : per cominciare fra Pietro del Morrone

Anà kòresis che in greco indica insieme la vita eremitica e il senso della gioia della danza, mi sembra possa essere il logo di una nuova rubrica di questo blog. Una rubrica che vuole parlare di eremiti metropolitani con un motto del tutto particolare :”Prima di parlare, pensa, dopo aver pensato, taci che è proprio quel Initium sapientiae timor Domini


Lasciata la grotta del Morrone nel 1246 si reca sulla Maiella. La fama di taumaturgo, la rispondenza del tema di vita proposto con la sensibilità religiosa del tempo, il favore delle popolazioni, l'esempio della sua vita, promuovono nei luoghi da lui occupati nei continui spostamenti, la nascita dei fiorenti cenobi, in sostanza di una Congre­gazione.

Preso da questa realtà esprime le sue capacità di organizzatore, legislatore rinnovatore senza dimenticare l'iniziale intuizione eremiti­ca, senza dimenticare il Morrone dove aveva sostenuto le prove più dure come dicono i suoi discepoli.

Costantemente torna in questo luogo come un ritorno alle origi­ni. Vi torna mentre veniva ampliata la Chiesa di S. Maria sorta sull'e­dicola da lui innalzata all'arrivo sul Morrone e poi chiamata S. Spirito, per tenere i capitoli della Congregazione una volta dichiarata casa madre dell'ordine l'Abbazia nata a fianco della Chiesa; per riti­rarsi in penitenza in alcune grotte, sulla sommità del monte.

In uno di questi ritorni decide di farsi costruire un eremo da dedi­care a Sant'Onofrio ave ritirarsi definitivamente dopo aver lasciato la cura della Congregazione ad altri.

Nasce così l'eremo di fra Pietro sul Morrone dedicato a Sant'O­nofrio.

I motivi per cui Fra Pietro pensa ad un luogo come poi sarà l'ere­mo del Morrone sono spiegati dalle cronache dei discepoli riportate dal Marino e da biografi moderni specialmente G. Celidonia che si serve di quella fonte per la sua trattazione.


« Passati quei tempi (cioè della dimora di Orfente) cominciò a pensare dove potesse essere più proficuo per non dare agli uomini (che affrontavano ogni disastro di viaggio per visitarlo) tanto affanno e travaglio. Infatti quella cella era posta nella altezza del monte, per lo spazio di cinque o sei miglia dal piano. E si ricordava come il Santo Padre Benedetto si fosse trasferito da Subiaco a Monte Cassino. Que­ste e simili cose volgendo nell'animo, dispose di ritornare al Monte Morrone, dove aveva dimorato al tempo della sua conversione. Ed in tal luogo costruire una cella, dove quelli che venivano a lui potesse­ro ricevere consolazione da lui e trovare altre cose necessarie alla vita ... »

Giuseppe Celidonio dalla lettura del Processo di Canonizzazione trae altre informazioni su questa decisione e avvenimento.

« Appena si seppe che Fra Pietro aveva ordinato gli si costruisse in Sant'Onofrio una celletta per venirvi ad abitare, fu una commozione e una letizia universale. Benché il luogo fosse scosceso e dirupato, tutti facevano a gara per portar vi la loro pietra. Il Barbiere Ritto di Sulmona (teste n. 94) esclama: « ... che si tenea beato di una pietra ed altre cose facenti parte della costruzione di S. Onofrio, mentre il detto Fra Pietro faceva pubblicarle. E tutti gli uomini e donne, che potessero da Sulmona e luoghi d'intorno vi venivano ».


Ormai costruito l'eremo Fra Pietro vi si trasferisce, secondo i di­scepoli, nel giugno 1293.

I testimoni del Processo di Canonizzazione ricordano la moltitu­dine di gente recatasi ad assistere alla messa che egli decise di celebrare innanzi la Abbazia di S. Spirito per il suo ritorno definitivo sul Morrone.

Durante tale celebrazione vi furono dei miracoli ricordati sempre dai testimoni.

Benvenuta di Nicola Mancini di Sulmona (teste 126) lo « vide quando celebrò la messa nella piana di S. Spirito di Valva dove vi fu una massima moltitudine ». Fu miracolosamente guarita ad un pie­de da lungo tempo fratturato per cui da cinque anni non poteva cam­minare.

Giovanni di Buccardo detto Collo di Sulmona (teste 89) racconta che sua figlia Florisenda era impossibilitata a camminare per l'infer­mità ad un piede da un anno. Si recò nella piana di S. Spirito, portò con sé la figlia e assistette alla messa. AI termine mentre « Pietro face­va la benedizione col segno della croce prese la figlia tra le braccia e distese con grande fiducia il piede in cui soffriva ». La riportò poi a casa e nel momento in cui la posava a terra Florisenda cominciò a camminare.

M. Andrea di Bartolomeo di Sulmona (teste 117) « fu presente alla messa che Fra Pietro doveva celebrare all'universo popolo>, Vide quivi una demoniaca, né sa donde fosse. Finita la Messa solenne, Fra Pietro segnò il popolo con la benedizione della Croce. E da quell'ora l'ossessa fu totalmente liberata. E ne è pubblica, in Sulmona, la fama».

Secondo il Marino l'eremo era composto da due locali divisi tra loro da una parete su cui si apriva « una finestra con una ferrata ».


Quello più piccolo per accogliere i visitatori che volevano vederlo e che potevano parlargli attraverso la ferrata.

Da quella finestra lo videro i legati che gli annunciavano l'elezio­ne al pontificato.

Jacopo Stefaneschi, testimone oculare, nell'Opus Metricum ce ne da la descrizione che segue:

«Si era giunti ad un terreno, sotto la volta del cielo, chiuso da una porticina e da un breve muro, dove la vista poteva ampiamente spaziare. Appare subito dopo, una piccola abitazione; è vicina alla cella; la parete di mezzo limite comune, divide l'una dall'altra, ren­dendo evidente due capanne. Qui si presenta una finestra di terra che le reti chiudono; qui è Pietro, solito ad accogliere le genti per i colloqui, sciogliendo così il silenzio. A nessunod~i fratelli era lecito chiuderla con muri, essendo ricercata e la spelonca era stretta e non accessibile. Essa custodiva come in carcere il servo di Cri­sto ... » .

I discepoli scrivono: « ... in questa cella rinchiuso, che quivi il Santo Padre si era fatta fare, si dette a tanta austerità che non mai per lo innanzi aveva costumato. E ciò faceva perché niuno potesse credersi che vi fosse venuto per accontentare il suo corpo stante forse il magnifico panorama della Valle Peligna che di lassù si vede ... ».

E Pandolfo Palumbo di Sulmona, teste al processo di canonizza­zione lo vide in Sant'Onofrio con indosso «una rete di peli aspri».


Benedetto di Tommaso di Sulmona (teste 60) afferma che ebbe qui per compagno Fra Angelo e Petrarca nel De Vita Solitaria ricorda Fra Roberto da Salle il Beato, il compagno a cui Pietro confidò il pen­siero della fuga innanzi ai legati che lo chiamavano alla responsabilità di papa. Anzi con lui tentò la fuga e dovette desistere per la moltitudi­ne di gente che lo riconobbe.

Teiera afferma che Fra Roberto gli fu compagno nei mesi passati all'eremo di Sant'Onofrio e che fosse «la cosa più cara ed amata che il nostro Santo Padre, aveva in questa vita». Tanto caro ed amato che al momento della morte di Celestino V avvenuta nel castello di Fumone «ansioso e sollecito di rivedere (il suo compagno Fra Rober­to) implorò la grazia al suo Dio di comparirgli».

«L'anima beatissima di lui (uscita) dai legami del corpo, divenu­ta risplendente e di celeste beltà, apparve inaspettatametne al suo di­scepolo in una chiarissima nube, gloriosa e candida più che la neve: alla cui vista il Beato, che attualmente porgeva preghiera a Dio per lui rimase da quel lume inaccessibile come cieco ... » .

Lo stesso Fra Roberto attestò al Processo di Canonizzazione nel 1306 che in età di trentatre anni, da diciassette anni monaco, per due anni e dieci mesi servì la persona del suo Santo Maestro prima che fosse eletto papa.

AI di sotto dell'eremo, dove si trovano le cellette occupate da Fra Pietro e da Fra Roberto da Salle, c'è un altro luogo ave, come scrive Giuseppe Celidonia, «ebbe dimora, benché non continuamente Cele­stino V».

È una grotta profonda un sette metri (6,70) con rialzo tutto in pietra nel fondo e una cavità a sinistra; alta un quattro metri nell'en­trata si va man mano abbassando, sino a toccare quasi il macigno di rialzo, ed è quasi altrettanto larga. La tradizione che quivi dimorasse Fra Pietro è confermata con certezza da testimoni del Processo. Forse vi si ritirava quando era e veniva nel primitivo cenobio di S. Maria del Morrone; ed anche quando si faceva costruire al di sopra la edicola di Sant'Onofrio. E vi poté pure alle volte discendere per più patire e per desiderio di maggiore solitudine quando vi dimorò nei quindici mesi prima di essere eletto papa .

. Di questa presenza in luogo più alto e aspro viene conferma dai testi Sulmontina di Giovanni (teste 47), Giovanni Piloso (teste 128), D. Augustina di Giovanni (teste n. 42).

Nel fondo della grotticella, a sinistra presso la piccola cavità, vi è un bacino scavato sul vivo sasso, proprio come una pilozza di Chiesa per l'acqua santa. Quivi si raccoglie dell'acqua che scola dalla grotta. Ed a questa fonte di Fra Pietro presso la sua cella correvano i devoti a bagnarsi per ottenere guarigioni ... ».


La teste 21 del Processo di Canonizzazione, D. Maria di Gualte­rio di anni quaranta ebbe un figlio di nome Lorenzo che, dal quinto fino all'ottavo anno di sua età, stette contorto in tutte le sue membra.

Essa lo portò al fonte sito presso la cella di Fra Pietro (pozzetta di acqua nella grotta sottostante l'eremo del Santo) e lo bagnò quivi a lode di Dio e di Fra Pietro. E toltolo dal detto fonte la stessa madre testimonia l'aveva portato in collo. Di poi quel giovinetto morì.

Il teste 61, Giacomo di Giovanni di Luca di Caramanico di anni 40 afferma che da sette anni aveva il figlio Tommaso paralitico che non poteva né stare né camminare, né parlare.

I medici l'avevano spacciato, ed aveva altre infermità riluttanti alle medicine. Soffriva ciò da due mesi circa. Pose devozione al luogo dove Fra Pietro aveva dimorato e su d'un asino lo fece portare a S. Spirito di Sulmona e vi andò anche lui e la madre del fanciullo. Prima di giungere a S. Spirito egli vedendo la cella (S. Onofrio) dove Fra Pietro fece penitenza quando visse disse al figlio: «Guarda il luogo ove stette il Santo Padre e fatti la croce». Il figlio guardando quel luogo si fece il segno della croce che prima non poteva fare. Di poi lo portò all'Acqua Santa (la grotta sotto l'eremo di Sant'Onofrio) e lo bagnò tutto sulla nuda carne; ma niente gli giovò -Di poi col figlio e con la madre discese a S. Spirito, e pregò i frati che v'erano di mo­strargli qualche cosa posseduta già da Frate Pietro, e la ponessero sul figlio paralitico, che sperava ne risanasse. Risposero i frati trovarsi presso di loro la catena di ferro che Fra Pietro portò sulla nuda carne, mentre faceva penitenza negli eremi. La presero, e ne precinsero Torn­maso, e gliela posero sul capo, sul collo e su tutte le membra. Ciò fatto, subito Tommaso cominciò a camminare da sé, a stare diritto ed a parlare. E tutti ne restarono molto stupiti, ringraziando Dio, e fin da allora fu ed è sano ed incolume, come lo videro gli inquisitori a cui fu mostrato. Di ciò è voce pubblica in Caramanico .


Eremo Via vado di sole ,L'Aquila,
mercoledì 9 marzo 2011

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