COTTO E CRUDO : Il formaggio
Il formaggio, singolare risultato di un'alchimia batterica che trasforma un liquido deperibile in una massa solida conservabile a lungo nel tempo, è stato considerato fino a un'epoca recente un alimento poco nobile, tanto da lasciare un numero limitato di tracce nella storia e nelle letterature occidentali, soprattutto in confronto ad altri alimenti quali il pane, il vino o la carne. I suoi antenati nacquero per caso, e furono oggetto all'inizio di curiosità e di diffidenza: il primo formaggio conosciuto dall'uomo, in epoca preistorica, fu probabilmente costituito dal contenuto dello stomaco di un animale lattante. In Sardegna ancor oggi una preparazione analoga, il Callu de Crabettu (si tratta
di stomaci di capretti essiccati insieme al latte coagulato che si trova al loro interno), viene considerata una prelibatezza dai rari pastori che la producono per il proprio consumo. Quando le civiltà del Medio Oriente svilupparono la scrittura, i latticini erano comunque già una realtà consolidata. Un passo della Bibbia paragona addirittura la loro lavorazione alla crescita del feto nel grembo materno: "mi hai fatto colare come latte e mi hai cagliato come formaggio" dice a Dio Giobbe, a proposito del proprio concepimento e della propria nascita. Parole che poteva pronunciare soltanto chi era stato colpito dal fenomeno della coagulazione del latte, di fronte al quale pare davvero di assistere alla formazione di qualcosa di nuovo rispetto alla materia prima di provenienza.
Più a Occidente l'arte casearia raggiunse maggiore perfezione, sfiorando perfino il mondo dei poemi epici. Nell'Odissea l'antro di Polifemo è il primo caseificio di cui sia nota la descrizione: "i graticci erano gravati dai formaggi nei recinti si affollavano agnelli e capretti..." I recipienti ben fatti, secchi e tinozze, nei quali mungeva, erano tutti pieni di siero"... Il malvagio ciclope è un pastore-casaro abile nel proprio mestiere, ma per contro violento e poco civile. Forse in questo celebre episodio omerico aleggia già l'eco di una velata polemica contro il formaggio: un cibo da barbari, da creature incapaci vivere in una società evoluta, quale è appunto il selvaggio Polifemo. Una nomea che i derivati del latte faticheranno a togliersi di dosso.
Ma è in pieno Rinascimento, per la precisione nel 1477, che un medico piemontese, Pantaleone da Confienza, diede alle stampe il primo trattatello organico europeo sul latte e sui formaggi, la Summa lacticiniorum. La parte più viva e interessante dell'opera è costituita dalla rapida descrizione di alcuni dei formaggi italiani allora più noti, nei quali talvolta si ravvisano gli antenati di prodotti a noi familiari, come il Grana, ben riconoscibile nel caseus Placentinus. Più arduo è trovare un esatto corrispondente, per esempio, al caseus de la Mora o al caseus Vallis Augustae, benchè il primo sembri avere evidenti punti di contatto con le moderne Robiole e il secondo con le Tome. Nell'esordio del suo libro Pantaleone fa però capire che il prestigio di cui godeva l'oggetto delle sue fatiche era nonostante tutto ancora basso: "tratto un argomento rozzo" (vulgaris) - si giustifica infatti - ma lo affronto perchè mi sembra che i concetti siano comunque utili. La Summa lacticiniorum, col suo tentativo embrionale, mai più tentato da
nessuno dopo Plinio il Vecchio, di descrivere e catalogare i formaggi di un'area vasta (Piemonte, Valle d'Aosta, Emilia Romagna, Toscana, più un "excursus" su Francia, Inghilterra, Germania, Fiandre), non fece scuola, e nei secoli successivi in ambito italiano le dissertazioni sul formaggio non limitate a un ambito locale furono rare e sporadiche, e talvolta ancora succubi dei vecchi pregiudizi duri a morire. Domenico Romoli detto il Panunto, celebrato trattatista fiorentino di arte culinaria, così si esprime circa il formaggio nella sua opera principale, "La singolar dottrina", pubblicata nel 1560: "quanto più el cascio si approssima all'esser fresco, tanto meno è cattivo, e quanto più va verso el vecchio, più è cattivo, di difficile digestione e fa doler il capo". Idee ampiamente contraddette dalle conoscenze moderne (il formaggio stagionato è anzi più digeribile di quello fresco, avendo subito una fermentazione più lunga), forse originate in parte da metodi di conservazione imperfetti e dai prodotti scadenti che ne derivavano. Eppure nei banchetti dell'epoca i latticini non mancavano: il Romoli stesso derivava il soprannome di Panunto da una sua ricetta a base di pane e Provatura fresca (la nostra Mozzarella). Senza dilungarci troppo, il formaggio ebbe in questi secoli estimatori cauti, che all'occasione potevano trasformarsi in detrattori. Perfino Pellegrino Artusi, che alla fine dell'Ottocento con "La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene" cercò di dare unità culinaria all'Italia da poco riunita politicamente, quasi ignora i formaggi, o meglio sembra conoscere solo il Parmigiano
grattugiato e la Ricotta: semmai concede un accenno a prodotti stranieri, come il Gruiera, ovvero l'Emmental. Dopo il 1861 notizie raccolte sul campo circa i formaggi italiani vengono piuttosto dai memoriali redatti durante le inchieste parlamentari volte a conoscere meglio le condizioni di vita dei ceti contadini: e ancora molto a lungo addentro il Novecento il formaggio sarà un terreno di indagine più per lo studioso di problematiche agricole che non per l'esperto di gastronomia e di cucina. Per quello che è solo apparentemente un paradosso è toccato a uomini nati e cresciuti nell'ambito della civiltà industriale accingersi negli ultimi anni alla riscoperta, alla comprensione e alla valorizzazione di produzioni a rischio di scomparsa o di snaturamento.
[Fonte http://www.mondolatte.it/index.php/storia-e-tradizione]
Eremo Via vado di sole , L'Aquila,
domenica 6 febbraio 2011
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