Sono numerosi i nomi che l'uomo nella storia ha attribuito a questo splendido vulcano. Etna non è un termine siciliano in quanto non armonizza con le disposizioni fonetiche del dialetto regionale. L'origine di tale nome, il cui significato è Montagna, è da attribuire agli elimi, i primi abitatori dell'isola. Altro nome, oggi in disuso, è Mongibello, che non significa Monte Bello come erroneamente molti pensano, infatti questo termine deriva dal latino "Mons" e dall' arabo "Gibel" (montagna); i dominatori arabi rimasero stupiti dalla maestosità del vulcano e cosi pensarono di chiamarlo il Monte, come per dire la montagna per eccellenza. I siciliani sentendo nominare spesso la parola Gibel agli invasori si convinsero che questo fosse il nome del vulcano e dunque si abituarono a chiamarlo Mons Gibel. Tuttavia le popolazioni etnee e i catanesi della nostra epoca preferiscono chiamare il vulcano "a muntagna", termine che in sé racchiude il rapporto di riverenza, ma anche di rispetto e gratitudine, che l'Etna instaura spontaneamente coi "figli" della sua te
Lucifero, vista la mala parata, spicca un salto e con un morso gli porta via una penna dell’ala […] che è tutta di perle finissime […] e che cadde a Caltanissetta, ma non vi è più […].
“Un’altra leggenda che è dell’VIII secolo: Le nozze di Satana la racconta il Calì Fragalà. […]
“La leggenda della pantofola della regina Elisabetta d’Inghilterra è nota tra i pastori brontesi. Detta pantofola, caduta dal cadavere della regina sulla rocca Calanna, tra Bronte e Maletto, pervenne miracolosamente all’Ammiraglio Nelson, creato duca di Bronte, e gli servì come talismano in tutte le battaglie; ma dimenticatala quando combattè a Trafalgar, vinse la battaglia, ma vi perdette la vita.
http://www.bronteinsieme.it/3pe/Memorie%20storiche/flor_12.htm
Miti e leggende del Graf. […]
“In Sicilia, come nota il Graf, le memorie, le fantasie, ritornano ostinatamente alle storie e ai miti dell’antichità classica, perché il mito è la storia idealizzata dell’umanità, formato dal popolo e dal popolo tramandato e del quale esso si compiace come di cosa propria. E ricorda ancora i Ciclopi […]
Tale leggenda ha un’origine greca e spiega la ricchezza di sorgenti d’acqua dolce nella zona etnea.
Aci era un pastorello che viveva lungo i pendii dell’Etna.
Galatea, che aveva respinto le proposte amorose di Poliremo, lo amava. Poliremo, offeso per il rifiuto della ragazza, uccide il suo rivale nellasperanza di conquistare la sua amata. Ma Galatea continua ad amare Aci.
Nereide, grazie all’aiuto degli dèi, trasforma il corpo morto di Aci in sorgenti d’acqua dolce che scivolano lungo i pendii dell’Etna.
Sempre nei pressi di Capo Molini esisteva un modesto villaggio chiamato, in memoria del pastorello, Aci.
Nell’undicesimo secolo dopo Cristo un terremoto distrusse il villaggio, provocando l’esodo dei sopravvissuti che fondarono altri centri. In ricordo della loro città d’origine, i profughi vollero chiamare i nuovi centri col nome di Aci al quale fu aggiunto un appellativo per distinguere un villaggio dall’altro. Si spiega così, ad esempio, l’esistenza di Aci Castello (appellativo dovuto alla presenza di un castello costruito su di un faraglione che poi fu distrutto da una colata lavica nell’XI secolo) ed Acitrezza (la cittadina dei tre faraglioni).
Scrive Mario Pafumi nella sue note di Facebook
(Tratto da "Le più belle leggende di Catania e dell'Etna" - Santi Correnti - ACE Catania) Come acutamente intuisce Emanuele Ciaceri(in Culti e miti nella storia dell'antica Sicilia, Catania 1911, pp. 53-54)laleggenda dei pii fratelli catanesi Anfinomo e Anapia avrà avuto origine "dalla vista di monti e di colli gemelli, esistiti in tutti i tempi nella regione etnea, i quali, com'è noto, sono generati dalle varie eruzioni vulcaniche, sia perchè il lapillo,con la rimanente materia,zampillante si divide in due,sia anche perchè il lavoro corrodivo delle acque accresce in seguito la distanza fa l'uno e l'altrocolle. Forse lamancanza della spiegazione di talefenomeno fisico-naturale diede il primo germe alla leggenda". Spiegazione accettabile, se si pensa che ad un altro fenomeno vulcanico è dovuta la leggenda di Ulisse e dei Ciclopi, per spiegare l'anomalia geologica dei tre giganteschi scogli lavici sulla spiaggia di Acitrezza. Nella parte Nord dell'Etna, nel quadrato delimitato dai monti Pizzillo(m. 2414) Nero delle Concazze(m. 2192)Frumento Netto(m2430)e Dagalotto(m. 2590)si ergono infatti due pizzi,alti rispettivamente 2515 e 2514 metri, che sono stati denominati "I fratelli pii",divisi da una profonda sella. Con ogni probabilità, è stata la visione di questi due "pizzi", sorti nell'eruzione del 693 a.C., a fare originare la leggenda dei "fratelli pii". I due fratelli, secondo la leggenda, salvarono, in mezzo alla lava vomitata dal vulcano, i loro vecchi genitori, caricandoseli sulle spalle, com'è raccontato da numerosi poeti greci e latini, e com'è eternato anche dalle monete di Sesto Pompeo(Iec. a.C.) e dal bronzeo candelabro che dal 1958 si ammira nel lato nord-est della piazza Università, apprezzata opera dello scultore M.M. Lazzaro. Catania ebbe un culto particolare per i suoi pii giovinetti, che la resero celebre nel mondo, come testimonia il poeta Ausonio e come hanno illustrato Santo Mazzarino e Salvatore Lo Presti. La delicata leggenda di Anfinomo e Anàpia presenta evidenti analogie con quella virgiliana di Enea che salva sulle sue spalle il vecchio padre Anchise, attraverso le fiamme di Troia.
LA DELICATA LEGGENDA DI ROSE-MARINE
I DIAVOLI DELL'ETNA
"Diavuli, ch'abitati Mungibeddu(Diavoli che abitate Mongibello)
Calati ch'aviti a fari 'na jurnata;(scendete che dovete lavorare)
Purtativi l'incunia e lu marteddu,(Portatevi l'incudine e il martello)
C'è di vuscari 'na bona jurnata."(C'è daguadagnare bene)
N.B. Ad Acireale sono ancora narrate le leggende relative ai "diavuli pinnulini"(diavoli cioè che stanno sospesi in aria)e ad un furbissimo acese che li beffò, come ricorda Franca Marano, "La beffa al diavolo del leggendario Baelardo", in Corriere di Sicilia, Catania 27 dicembre 1958.
lunedì 7 febbraio 2011
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