domenica 27 febbraio 2011

SETTIMO GIORNO : Solo in Dio riposa l’anima mia

SETTIMO GIORNO : Solo in Dio riposa l’anima mia


La parola dell’ottava domenica del tempo ordinario trova nel testo di Isaia ( 49,14-15) uno dei brani più commoventi dell’Antico Testamento perché arriva direttamente al cuore e tocca la sensibilità di ognuno di noi .

Isaia testimonia con queste brevi frasi : “ Il Signore mi ha abbandonato , il Signore mi ha dimenticato “ il timore di Israele di essere abbandonata nelle tristi vicende della sua storia. Che poi in definitiva è anche il nostro timore : quello di essere abbandonato alla deriva e al disorientamento in cui a volte la nostra storia personale e la storia delle nostre comunità si vengono a trovare.


E’ proprio di oggi il grido di Don Corinno Scotti il parroco di Brembate Di sopra che dice “ Ho rinfacciatao a Dio il suo silenzio, dinanzi al ritrovamento del cadavere di Yara Gambirasio scomparsa il 26 novembre 2011 e ritrovata cadavere solo ieri sabato 26 febbraio 2011 .

Ma è di oggi, nella parola proclamata nella liturgia domenicale, la rassicurazione e la esortazione ad avere fiducia in un Dio che ha il nome del suo popolo scritto sul palmo della mano e che lo tiene davanti a sé, davanti al proprio sguardo,con queste affermazioni : “ Si dimentica forse una donna del suo bambino ,così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero io invece non ti dimenticherò mai “.


Isaia pone l’accento su questo “ Io non ti dimenticherò mai “ che assume un più grande valore se si guarda al contesto in cui queste parole vengono pronunciate. L’assenza di Dio è dunque l’esilio . Questo Dio che ha indicato la terra promessa ad Abramo, che ha guidato Israele fuori dall’Egitto viene cantato dal salmista come colui nel quale sola riposa l’anima e dal quale viene la salvezza perché è roccia, riparo sicuro, rifugio , approdo. “ Confida in lui o popolo in ogni tempo / davanti a lui apri il tuo cuore”.

Alla luce dunque di queste affermazioni e della certezza che il Signore non si dimentica di noi , non ci abbandona , anzi solo lui è la nostra ricchezza e la nostra speranza,va letto il brano del Vangelo di Matteo (6,24-34) che ci pone davanti una necessità quella di cercare Dio e di affidarci a lui. Perché al primo posto è la ricerca del regno di Dio e la sua giustizia. Certo il brano inizia con quel “nessuno può servire due padroni “e poi sembra andare da tutt’altra parte con quella sua poesia sospesa ed elegiaca sul valore della provvidenza. In realtà la prima e la seconda parte del brano dicono la stessa cosa . anche se i commenti spesso hanno suscitato opposte riflessioni . Da una parte la ricchezza e il soddisfacimento dei bisogni materiali è un impegno fondamentale che comporta un agire e un impegnarsi ma dall’altra sembra essere superflua e quindi fa propendere per l’inazione.


E’ vero il comportamento che ci viene additato è quello degli uccelli che non seminano e non mietono ma hanno dal Padre celeste quanto loro occorre per vivere. Un comportamento che ci vuole ricordare però che la ricchezza per soddifare le esigenze materiali è un dono , è un esempio della Provvidenza divina che esclude la preoccupazione eccessiva, l’angoscia per la ricerca delle cose materiali ma non dispensa dall’impegno per produrre e usare nel modo giusto le cose necessarie alla sopravvivenza. Quindi anche gli uccelli faticano per trovare cibo e i gigli per crescere nel campo vivono un intenso lavorio . La differenza sta proprio nel mettere al primo posto e sopra ogni cosa la ricerca di Dio e dopo la preoccupazione per quello che si mangerà e berrà e di cui ci si vestirà. Vivere la vita in funzione delle cose materiali significa negare la vita stessa che di queste cose ha bisogno ma che deve solo servirsene . Il padre celeste sa che abbiamo bisogno di queste cose e quindi ci esorta a non preoccuparci perché esse ci “saranno date in aggiunta”, proprio come un dono perché esse passano in secondo piano nei nostri pensieri e nelle nostre azioni perché , e si trona all’inizio del brano , nessuno può servire due padroni: in questo caso Dio e la ricchezza.


E’ anche una questione di scelta . E proprio in quesa prospettiva scrive Don Marco Pedron “Scegliere vuol dire plasmare la nostra vita. Sono le nostre scelte che danno forma alla nostra vita. La nostra vita è nient'altro che il frutto delle nostre scelte, delle nostre non scelte o delle scelte di paura (che sono comunque delle scelte). Per questo ognuno avrà ciò che lui vorrà (come diceva la prima lettura quindici giorni fa; Sir 15,15-20). La nostra vita è perfettamente ciò che abbiamo scelto.

Avremo secondo ciò che faremo… avremo secondo la passione che ci avremo messo… avremo secondo la capacità di rimanere e di faticare… avremo secondo il desiderio di lottare… avremo nient'altro che ciò che avremo scelto…


…Una presupposizione di questo vangelo: la fede. Senza fede questo vangelo non lo si può capire.

E' vero che gli uccelli del cielo sono nutriti dal padre celeste (5,26)? No, perché anche loro devono faticare e volare per trovare erbe e animaletti. No, perché anche loro si preoccupano se non hanno cibo.

E' vero che i gigli del campo non lavorano (5,28)? No, perché dentro la pianta c'è un lavorio enorme.

E' vero che mangiare e bere ci viene dato in aggiunta (5,31-33)? No, perché il cibo e l'acqua non cadono dal cielo. …

Da un punto di vista materiale tutto dipende da noi. Se non ti dai da fare non mangi e non bevi.

…Ma da un punto di vista spirituale, tutto dipende da Dio, da Lui. Gli uccelli sono nutriti dal padre celeste? Certo. E i gigli vestiti meglio di Salomone? Certo! Fede vuol dire che la vita è più di quello che si vede. Gesù diceva: "Non vedi oltre gli uccelli del cielo? Non riesci a vedere oltre i gigli del campo? Guarda oltre, troverai qualcos'altro, troverai Qualcun altro". Quando guardi una cosa… guarda oltre. Quando guardi una persona… guarda dentro.

Con fede dunque .…La fede: non aver paura. La fede è il contrario della paura. Un esegeta ha calcolato che nella Bibbia l'espressione "non temere" ricorre 365 volte, come i giorni dell'anno. Allora ogni mattina mi devo alzare e devo scegliere se aver fede o aver paura.

Fede non vuol dire non provare paura ma non lasciarsi bloccare dalla paura. Fede non vuol dire che tutto andrà bene ma che in ogni caso saprò affrontare.”

Paolo Curtaz dice : “Prima il Regno. Con questa stupenda certezza la Parola di oggi ci invita a sollevare lo sguardo dalle nostre inquietudini e preoccupazioni per guardarci intorno, per osservare gli uccelli del cielo e i gigli del campo, ed avere uno sguardo che sappia ancora stupirsi del fatto che Dio ha creato il mondo con saggezza e previdenza.

Certo: siamo chiamati a guadagnarci il pane col sudore della nostra fronte, ma senza l'ansia dell'accumulo, senza il demone della bramosia che rischia di accecare la nostra anima.

È leggero, il cuore del discepolo, sa che il Padre conosce il suo cuore e veglia su di lui.

In questa domenica invernale proviamo a cogliere i segni della presenza del Signore nella Provvidenza che si occupa dei passerotti e degli alberi che si stanno risvegliando dal freddo dell'inverno.

Proviamo ad alzare lo sguardo oltre l'angusto limite della nostra quotidianità, cercando anzitutto il Regno e tutto il resto ci sarà dato in aggiunta. ( …)Perciò Gesù ci invita a guardare meglio.


I gigli, gli uccelli del cielo. E, aggiungo: il mare, il vento, la primavera che freme, la neve che riflette la luce accecante. Tutto intorno ci grida che Dio ha creato il mondo con sapienza e lo conserva con lungimiranza. Occupiamoci del lavoro, del futuro, del mutuo da pagare, certo, ma sapendo che il nostro cuore è altrove, che il Regno è da un'altra parte.

Sapendo che ogni (buona) cosa che viviamo non è che la caparra del futuro, la pagina pubblicitaria dell'assoluto di Dio, della pienezza che ci aspetta altrove.

Allora capiamo l'invito di Paolo nella seconda lettura: se anche la gente, intorno a noi, vive al contrario, chi se ne importa? Perché ci preoccupiamo di cosa pensa la gente e del loro impietoso giudizio? Vivere le beatitudini, vivere il paradosso del vangelo, vivere il desiderio di guardare l'invisibile è la nostra vita.

Anche se veniamo presi per ingenui, o pazzi. ”

Quindi come scrive Don Roberto Rossi : “Occuparsi meno delle cose e di più della vita vera, che è fatta di relazioni, consapevolezza, libertà, amore. Meno cose e più cuore. Non è una rinuncia, è una liberazione. "Non affannatevi....": quell'affanno che toglie il respiro, per cui non esistono più feste o domeniche, non c'è tempo per chi si ama, per contemplare un fiore, una musica, la natura... Il cristianesimo non è una morale, ma una grande liberazione. Libera dai piccoli desideri, per desiderare di più e meglio. Insegna un rapporto fiducioso e libero con se stessi, con il corpo, con il denaro, con gli altri, con le più piccole creature e con Dio. Ciò che preoccupato, ciò che ci occupa per primo, prima di tutto, non può essere l'avere; le cose non allungano la vita. Il possesso non fa crescere l'uomo nella coscienza di sé, nella sua persona, cioè non allunga la vita. Cercare il regno di Dio, occuparci della vita interiore, delle relazioni, del cuore; cercare pace per noi e per gli altri, giustizia per noi e per gli altri, amore per noi e per gli altri. Meno cose e più cuore, e si troverà il senso della vita e la gioia della vita.”


Eremo Via vado di sole, L’Aquila,
domenica 27 febbraio 2011

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