martedì 22 febbraio 2011

ET TERRA MOTA EST : Non potest civitas abscondi super montem posita

ET TERRA MOTA EST : Non potest civitas abscondi super montem posita


Anche un’eternità non dura in eterno. Un’eternità è dunque già passata. Mi sono sorpreso a pensare così dopo 22 mesi dal terremoto del 6 aprile 2009 leggendo l’intervista al prof. Alessandro Clementi su “La Città” che ho riportato in un altro post per il beneficio della condivisione .

Clementi , autore di quel bellissimo libro su L’Aquila in cui a lungo parla insieme con il suo coautore in tema urbanistico della ricostruzione dopo il terremoto del 1703, ad un tratto afferma : “ Non abbiamo bisogno di trattati di urbanistica , ma abbiamo bisogno di urbanisti seri che ci dicano caso per caso , che cosa bisogna fare.”


E’ vero e sono d’accordo con lui che per la ricostruzione non abbiamo bisogno di trattati di urbanistica ma abbiamo bisogno di sapere, conoscere, comprendere, capire di fronte ad una piazza, ad un edificio come e perché sta lì. Come e perché gli uomini e le donne che ci hanno preceduti, gli aquilani , prima di noi hanno visto e vissuto nella loro quotidianità i lavori di pavimentazione di una piazza, la costruzione di un edificio, la scelta di un’area per un quartiere.

Che cosa voglio dire ? Mi rifaccio ad una testimonianza vissuta in prima persona. Là dove si apre oggi Piazza Italia e il Parco Beato Cesidio , proprio su quella strada prima denominata 127 e poi appunto del Beato Cesidio, all’incrocio di Via Caduti di Via Fani che prosegue con Via Aldo Moro negli anni Ottanta del Novecento c’era un boschetto. Era il ciosì detto boschetto dei nobili . Un posto dove probabilmente i proprietari di nobile famiglia andavano a trascorrere del tempo uscendo dalle mura della città perché si trovava alla prima periferia ovest della città e prima dei contrafforti di S. Giuliano. Con l’espansione dei quartieri di Sant’Ansa, Santa Barbara e S. Sisto quel boschetto era stato circondato dalle costruzioni e quello che è peggio era diventato un immondezzaio. Non era più nemmeno una zona verde a servizio di quel quartiere dove tra l’altro esistevano gli impianti sportivi di Piazza d’Armi e la nascente Verde Acqua . A lungo con i comitati di quartiere, le associazioni fu rivendicata la sistemazione di quell’area a verde attrezzato o a spazio pubblico. Corvè di giovani e non più giovani periodicamente ripulivano quella zona. Insomma era entrata nella quotidianità degli abitanti di quei quartieri fino a quando tutta quell’area fu sistemata se non ricordo male sotto l’amministrazione Tempesta e nacque dunque Piazza Italia e Parco Beato Cesidio.


Ebben chi , perché, come decise di perimetrale così quella piazza. L’ho appena detto . Ma chi e perché decise di creare quella grande piazza nel cuore di L’Aquila che si chiama Piazza Duomo?

La piazza dell’Aquila è una .” A metà del ‘300 è la più grande piazza che ci sia nell’Italia centro meridionale al di sotto di Firenze “ scrive Raffaele Cola pietra nel suo Forma urbana dell’Aquila dal medioevo al 1700. Quando fu creata quella piazza la città saliva dalla Rivera e si attestava su due quinte : quella del palazzo della Reggia S. Domenico e quella su cui si apriva Piazza Duomo. Che cosa pensarono quegli aquilani quando decisero di aprire quella grande piazza così al centro della città. Disubbidirono certamente agli urbanisti che avevano descritto la città in questo modo, che volevano la città in un altro modo .


Infatti scrive Pellegrino Pellegrini : “ La città ha bisogno di diverse piazze. Una sia grande che, per non incomodar le case nel corpo della città, si po’ far presso le mura, che è il mercato dei boui cavalli et ogni altra sorte di bestiame , che ogni giorno non si fa però mercato. Che questa sia circondata , o almeno da una parte de casamenti vecchi, onde siano molte e diverse , stalle per essi bestiame mentre vi stano, e si possono conservare da uno mercato all’altro. Volendo, per ciascuna porta della città vi sia una piazza convenientemente grande posta nel mezzo

del camino tra essa porta e il foro . Ancor vi si vendi ogni sorte di vituvaglie che portano li ortolani e de quelli rendiroli che vi stano fermi. Via sia ancora alcune becarie, tanto quanto è abbastanza, li quali tenganoi li ditti ordini descritti in quelle presso il foro […] (Pellegrini P. L’architettura . Il polifilo Parte I cap. XXXIX.

Gli aquilani disubbidirono costruendo una piazza enorme al centro della città dove non sempre vi facevano il mercato e non per tutti i generi.

Ebbene nel leggere questa pagina di un urbanista con un volo di fantasia mi sono rappresentato lo stesso Pellegrino Pellegrini , chissà se rea biondo o bruno, basso o alto, magro o grasso , con voce roca da baritono o in falsetto che illustrava agli aquilani come costruire la città in una pubblica assemblea e poi gli infiniti crocicchi e le discussioni e le polemiche , infine le decisioni .


Buccio di Ranallo , l’ante litteram dei cronisti, fa degli scoop formidabili quando racconta per esempio la fondazione o la peste , o il terremoto . Oppure per esempio quando fu disegnato e realizzato il Gonfalone. “La creazione dello spazio è un processo continuo e necessario che si produce attraverso la lingua, i gesti, le posizioni del corpo , le azioni che in esso si compiono , attraverso previsioni e regole di comportamento […] Come non esiste spazio se non in quanto creazione culturale , così questo spazio per definizione non può mai essere neutro : su di esso si proiettano tutti i sistemi di classificazione simbolica che la società ha adottato , si riflette il sistema sociale stesso ; nello spazio il sistema si materializza, si rinforza continuamente […] Lo spazio è dunque una sorta di imprescindibile contenitore dei nostri percorsi mentali, delle nostre relazioni con noi stessi e con l’esterno : modificare, turbare i contorni di questo contenitore può portare alla distruzione delle istituzioni culturali”

Un patrimonio di complessità incomparabili e inconfondibili , è un immenso mondo favoloso.


Ebbene ha ragione Clementi. E ripensando alle sue parole mi accorgo che è necessario fermarsi a pensare a tutte quelle speranze, quei sacrifici , quelle illusioni , quei progetti , quegli spunti economici che fruttarono i palazzi del centro storico, , i vani delle porte, gli stipiti delle finestre , i mobili, gli arredi dei palazzi per esempio Alfieri/De Torres /Dragonetti a Piazza S. Giusta , del Cortile Palazzo Cipollini in Corso Vittorio Emanuele e tanti altri.

E poi con un po’ di ardire entrare nella quotidianità di famiglie che vivevano L’Aquila dei loro tempi. Entrare nei loro pensieri, sentire il loro respiro . Immaginiamoci che cosa pensava il Marchese Pica Alferi quando costruiva il suo palazzo ma anche di che cosa parlavano i muratori e i braccianti che lo costruivano . Non pensare a questo , sentire solo gli urbanisti significa tradire quello spirito che solo ci può confortare e aiutare ad attendere un’altra eternità prima che l’Aquila sia bella e ricostruita. Questo voleva dire Clementi e questo voglio dire . Chi sta pensando alla ricostruzione in altri termini scellerati si fermi , rifletta che tanto le eternità si susseguono e anche un’eternità non dura in eterno.

[ Foto Simone Francescangeli ]

Eremo Via vado di sole , L’Aquila
martedì 22 febbraio 2011

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