giovedì 29 dicembre 2016

ET TERRA MOTA EST L'Aquila, coi terremoti del 2016 la desiderabilità della città è crollata: ecco perché



ET TERRA MOTA EST  L'Aquila, coi terremoti del 2016 la desiderabilità della città è crollata: ecco perché
I terremoti che, il 24 agosto, il 26 e il 30 ottobre scorsi, hanno scosso l'Appennino centrale, si sono ripercossi anche all'Aquila producendo, soprattutto a medio termine, un danno socio-culturale importante: «Un ulteriore e grave crollo della desiderabilità della città».
Ad affermarlo è Antonello Ciccozzi, antropologo dell'Università degli Studi dell'Aquila e attento osservatore delle dinamiche socio-culturali che hanno attraversato L'Aquila, soprattutto a partire dal terremoto del 6 aprile 2009, quello ha cambiato profondamente il corso della sua storia recente.
Con news-town.it Ciccozzi ha già dialogato due settimane fa [leggi l'articolo di seguito], quando abbiamo sviscerato le sfaccettature sociali della percezione del rischio. Ma perché la desiderabilità dell'Aquila, agli occhi dei non-aquilani, è mutata dopo le scosse di agosto e ottobre? La consapevolezza della sismicità della città è stata davvero razionalizzata negli ultimi sette anni e mezzo, oppure la comunità ha attivato dispositivi culturali che hanno preso la strada della rimozione del rischio?
"Il terremoto refa' fra trecento anni". «Negli ultimi anni, talvolta, abbiamo rimosso il rischio più culturalmente che strutturalmente». In tal senso sono stati messi in campo alcuni cerimoniali sociali, come li definisce Ciccozzi: «Uno è il diffuso proverbio post-sismico "tanto mo' ha fatto, refa' fra trecento anni!" (Ormai il terremoto ha fatto, e rifarà tra trecento anni, ndr), in relazione alla credenza quasi totalmente pseudo-scientifica secondo la quale nell'aquilano i terremoti distruttivi si susseguono ogni tre secoli circa», sottolinea l'antropologo aquilano. E si tratta di una vulgata diffusa e inconsciamente incorporata in città, molto di più di quel che si crede. Una credenza che porta a sottovalutare il rischio, a livello individuale, collettivo e istituzionale.


L'idea ha indubbiamente – forse in modo inconsapevole – influenzato anche le politiche pubbliche con le quali si è approcciato in questi anni alla sicurezza sismica, partendo dal "peccato originale", ossia la scelta del miglioramento sismico, a scapito dell'adeguamento. Come è noto agli addetti ai lavori – se ne parlò molto nell'immediato post-sisma aquilano – la differenza tra adeguamento e miglioramento sismico è sostanziale. L'adeguamento, secondo le normative vigenti, prevede interventi sull'edificio per il raggiungimento di un indicatore di sicurezza sismico convenzionale pari a 1 (il grado massimo). Il miglioramento, invece, prevede lavori per un coefficiente di sicurezza più basso rispetto all'adeguamento, stabilito in base al tipo di edificio (pubblico o privato) e all'attività in esso effettuata (scuole, ospedali, etc.).
Com'era, dov'era? Questi temi sono per Ciccozzi legati ad aspetti culturali, prima ancora che tecnici: «Nei casi in cui subordiniamo il valore della sicurezza sismica degli edifici, a quello della loro tutela storico-artistico-architettonica». In merito il ricercatore chiarisce che «se il come ricostruire è uno questione tecnica di tipo ingegneristico-architettonico, il perché restaurare in luogo di demolire rimanda a un campo di premesse culturali; un campo che è quello dell'antropologia dell'abitare, nonché della concezione della storia».
Qui entra in gioco, nel caso dell'Aquila, la questione del "com'era dov'era". Questa impostazione, secondo l'antropologo aquilano, porta, se estesa a dogma, «al rischio di un assolutismo della conservazione». Una prospettiva a ben vedere infondata in quanto «basata su un'idea dell'Aquila in cui il centro storico è ridotto a un unum medievale; e su una concezione della storia dove la stessa è semplicisticamente confusa con il passato. Anzi, con un momento del passato elevato a emblema identitario, e non intesa per quello che è, ossia come un processo in divenire».
In merito lo studioso nota che «se uscissimo dalla tentazione identitarista di confondere la storia della città con una istantanea di nostro gusto del suo passato remoto, ci accorgeremmo che l'urbanistica aquilana è solo marginalmente medievale; la città storica è, viceversa, un'antologia di stili architettonici, dati molte volte proprio dalle successive ricostruzioni non basate affatto sul com'era dov'era». In tal senso Ciccozzi osserva che «il costrutto mitologico-politico del com'era dov'era può arrivare a inibire la possibilità di re-immaginare e riscrivere il nuovo anche dentro il centro storico, sostituendo con architetture contemporanee di valore gli elementi di tessuto urbano di scarso valore e gravemente danneggiati». Invece, a volte «si arriva, in nome di un folklore identitarista travestito con il blasone di "storia", a subordinare la sicurezza alla conservazione, compromettendo la futura desiderabilità della città».
Rispetto a certe più o meno recenti polemiche, il ricercatore osserva che «è avvilente vedere una cittadinanza che, mentre insorge rumorosamente e in massa se qualche ragazzino fa una scritta sui muri, o se durante il partecipato aperitivo di Natale qualcuno, travolto da un eccesso orgiastico di libagioni, commette una liberatoria pisciata tra i vicoli diroccati, resta in silenzio menefreghista quando le istituzioni, in nome della tutela, sostengono di voler restaurare una scuola andando in deroga rispetto al 100% di sicurezza sismica e spendendo una cifra fino a quattro volte maggiore di quanto costerebbe demolire l'edificio e ricostruirlo ex novo, mettendo la sicurezza in primo piano». In merito Ciccozzi precisa che non sta «difendendo chi commette minuti atti d'inciviltà» ma si rammarica della «incapacità della cittadinanza di comprendere scale di rilevanza e livelli di priorità rispetto alle problematiche reali; e di mobilitarsi in funzione di ciò», scegliendo invece di «appagarsi e perdersi nella tentazione miope, fuorviante e misera della ricerca del piccolo capro espiatorio».
Qui la questione riguarda in concreto il restauro della scuola De Amicis, che è uno degli argomenti centrali di un'analisi pubblicata recentemente da Ciccozzi (Com'era dov'era. Tutela del patrimonio culturale, sicurezza sismica degli edifici, Etnografia e ricerca qualitativa, Bologna, Il Mulino, 2015).
Le 5 caratteristiche variabili. Che fare, dunque? Secondo Ciccozzi «questo è un discorso più tecnico, ma dovremmo, come dire, imparare ad essere tutti un po' "spontaneamene galileiani"». Ossia si dovrebbero collocare le scelte sulla ricostruzione su un piano di analisi del rischio che, in questo caso tenga conto in modo combinatorio di una serie di caratteristiche (variabili) degli edifici. Ciò al fine di pervenire a una sorta di «microzonazione della restaurabilità» che ci indichi, nel modo più specifico e parcellizzato possibile, se è il caso di restaurare o no.
Ciò significa in fondo «approdare a una cultura diffusa della consapevolezza razionale del rischio». Per questo si dovrebbe «combinare il valore storico, architettonico e artistico dell'edificio da ricostruire, con il livello di danno subito, con il costo di intervento per il restauro, e soprattutto con la destinazione d'uso e il livello di sicurezza promesso dal restauro. Il tutto per comprendere e decidere, di volta in volta, se è il caso di restaurare o di demolire e ricostruire».
Questo esercizio dovrebbero farlo «tanto i tecnici, in modo rigoroso, quanto i cittadini, in modo spontaneo». Basta un minimo sforzo d'immaginazione per capire come queste variabili si manifestano diversamente nel caso di una chiesa, di un edificio privato, o di una scuola. Se non si studiano e valutano queste cinque variabili c'è il rischio di perpetuare atteggiamenti che "confondano la storia con il passato". Tutto, tra l'altro, a grande vantaggio economico di parte, nei confronti di chi è imprenditorialmente impegnato nel restaurare, al posto di demolire.
«Nel caso di una città sismica come L'Aquila, operare una ricostruzione materiale realmente orientata alla massimizzazione della sicurezza significa, in ultima analisi, ripristinare la desiderabilità del luogo, fattore che dovrebbe essere inteso come conditio sine qua non per la tanto declamata "ricostruzione sociale e culturale"». Questo significa consentire alla gente di scegliere in serenità un futuro all’Aquila.
L'Aquila = terremoto? Dopo i terremoti di agosto e ottobre, il turismo, leggermente in ripresa, è nuovamente crollato, come addirittura molti studenti universitari fuori sede per (legittima) paura hanno manifestato più o meno concretamente la volontà di andare via. Questo soprattutto perché, per Ciccozzi, dopo agosto sono mutate la percezione e la collocazione della città dell'Aquila nello scenario nazionale: «Prima del 24 agosto L'Aquila era "la città dove c'è stato il terremoto", dopo è diventata "la città dove c’è il terremoto". Nell'immaginario nazionale la rappresentazione sociale della città è cambiata. Ora per la maggior parte degli italiani vale l'equazione "L'Aquila=terremoto", le scosse del 2016 hanno riportato molti alla convinzione che siamo una specie di 'Aleppo sismica'».
Questa percezione dell'Aquila come città pericolosa «è stata probabilmente acuita da una comunicazione istituzionale del rischio che è passata dagli eccessi rassicurazionistici del 2009, del presunto sciame sismico che avrebbe scaricato energia, agli eccessi allarmistici di dispacci che arrivano a una sorta di terrorismo deterministico per cui "certamente ci sarà un terremoto di magnitudo 7"; ma purtroppo sappiamo che, nel nostro caso, l'allarmismo è meno infondato del rassicurazionismo».
L'Aquila non è desiderabile. L'antropologo osserva che «le città vive sono città attrattive, luoghi dove si desidera andare a vivere, non luoghi da dove si desidera fuggire; e i recenti terremoti hanno progressivamente privato L'Aquila di desiderabilità, rendendola un luogo da dove si vuole fuggire; prima per il disagio oggi per il pericolo; prima per la lunga stagione della ricostruzione, che si è rivelata più simile a un inverno che a una primavera, e oggi – peggio – per la paura del terremoto che, non è che "ormai ha fatto", ma ritorna».
In merito Ciccozzi conclude che «se vuole essere tale, L'Aquila desiderabile, L'Aquila bella, deve coniugare la sua storia urbana con un livello di sicurezza adeguato alla sua storia sismica; è un compito difficile, e non significa certo demolire tutto in preda al panico, ma nemmeno, all'opposto, illudersi che certi livelli di sicurezza possano bastare sempre».
Stiamo ricostruendo bene? Saremo in grado di capire che, senza un 100% reale e diffuso di sicurezza sismica, la città non sarà mai più attrattiva, desiderabile, almeno come lo è stata (e come la ricordiamo con nostagia) fino alle 3:31 del 6 aprile 2009?  
Tra incoscienza e social-psicosi: la percezione del rischio durante uno sciame


Al tempo dei social network e della condivisione compulsiva di ogni tipo di informazione, assume un'importanza dai risvolti sociali rilevanti la ricerca (spesso ossessiva) del dato, anche quando non comprensibile ai più, anche quando non verificato. Ne sono esempi lampanti quelle sorta di social-psicosi collettive ad ogni scossa di terremoto nell'aquilano, quando migliaia di cittadini tirano ad indovinare su Facebook la magnitudo del terremoto prima che gli enti preposti comunichino i dati.
Più seria, invece, è la paura nei territori ad alto rischio sismico non epicentro dei terremoti del 2009, e di quelli di agosto e ottobre scorsi. Per intenderci, è di questi giorni lo sciame sismico che investe il territorio dell'Alta valle dell'Aterno aquilano, come anche ricostruzioni più o meno scientifiche (e più o meno storiche) vorrebbero la Valle Peligna come prossima futura zona di sfortunati cataclismi.
Ma qual è il rischio reale delle popolazioni che "vivono uno sciame sismico"? Nessuno lo sa con certezza, purtroppo. Ma è cosa certa che la percezione del rischio sia costruita culturalmente. Per questo abbiamo voluto interpellare l'antropologo aquilano Antonello Ciccozzi, noto anche per essere stato un consulente decisivo dell'accusa nel processo alla Commissione Grandi Rischi, dove il capo d'imputazione – l'accusa di aver dato alla popolazione una diagnosi di non pericolosità che, diminuendo la percezione del rischio, ha concausato la mortalità dell'evento – ha comunque retto ai tre gradi di giudizio, seppur ristretto a uno solo degli imputati, nonostante com'è noto l'assoluzione della maggior parte degli accusati in Cassazione.
Ciccozzi ha proseguito lo studio dei fattori culturali che condizionano la percezione del rischio. In merito, l'anno scorso ha pubblicato Il senso del caso nella «savana della complessità»: la percezione del rischio sismico in una prospettiva antropologica, nel volume, edito da Rubettino, Prevedibile / imprevedibile. Eventi estremi nel prossimo futuro: una raccolta interdisciplinare di analisi con contributi autorevoli, come quelli della sismologa storica Emanuela Guidoboni, del geofisico Francesco Mulargia, del sismologo Gianluca Valensise e del disastrologo David Alexander.


"Gli oggetti del rischio vengono definiti a partire da categorie culturali – afferma l'antropologo – è importante ribadire che rischio e pericolo non sono affatto sinonimi: il rischio è legato alla percezione della pericolosità, percezione che non è innata ma culturalmente condizionata. Per fare un parallelo, possiamo dire una curva è pericolosa se ha determinate caratteristiche, ed è rischioso percorrerla velocemente". Tutto questo porta ad un corollario: "I rischi non percepiti sono più pericolosi di quelli percepiti, ossia a una diminuita percezione del rischio si associa un aumento della pericolosità, ad esempio, una curva a gomito non segnalata è più pericolosa di una uguale ma segnalata". Affermazioni importanti, in tema di catastrofi naturali.
Incoscienza o paranoia? In questo ambito, gli atteggiamenti culturali per Ciccozzi tendono alla semplificazione binaria, ad oscillare tra eccesso di rimozione ed eccesso di percezione, tra rassicurazionismo, ossia la tendenza psicologica alla rimozione del rischio, come paradossale strategia di difesa – chi conosce il processo Grandi Rischi sa di cosa parliamo – e allarmismo, la tendenza ad assolutizzare il rischio stesso. Come si fa dunque a mediare il proprio atteggiamento su una bilancia che si muove tra incoscienza e paranoia? Il concetto di allerta, nella sua gamma di gradualità, medierebbe le posizioni estreme della percezione dell'allarme perenne, e della sicurezza perenne.
Le polemiche e le udienze in tribunale sulla Commissione Grandi Rischi hanno aiutato alla percezione dell'allerta nel caso dei recenti terremoti sull'Appennino centrale? "Sicuramente nel caso delle ultime scosse nessuno si è sognato di dire che 'sta scaricando energia' - dice Ciccozzi -  l'Italia e la comunità scientifica internazionale non hanno mai compreso il processo dell'Aquila, perché ne è stato mistificato il senso per rifugiarsi nel facile cliché di Galileo, del processo alla scienza, del processo per non aver previsto il terremoto: il problema non è che le autorità preposte alla comunicazione del rischio non abbiano allarmato la popolazione. Il problema è che hanno rassicurato prevedendo e comunicando un non-terremoto".
Il problema, dunque, è spesso la comunicazione del rischio. Ad esempio, come abbiamo già scritto, la comunicazione della distanza di un luogo dall'epicentro è fondamentale per la percezione reale, e questo non è sempre successo, soprattutto nella retorica sulla "resistenza degli edifici di Norcia" messa in campo dai molti media dopo il terremoto dello scorso 24 agosto.
Una retorica che si è, purtroppo, letteralmente sgretolata a fine ottobre, quando si è tragicamente capito che Norcia non aveva subito danni ad agosto non perché più resistente degli altri comuni dell'area, ma semplicemente perché l'epicentro del terremoto di agosto era a 50 km da Norcia stessa. Un po' come la distanza tra Avezzano e L'Aquila la notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, insomma.
In merito Ciccozzi concorda che "si è ormai diffusa la credenza secondo la quale la magnitudo sia un parametro oggettivo per classificare l'impatto di un terremoto, così non si comprende che ciò che condiziona la disastrosità di questi eventi è prevalentemente l'accelerazione al suolo, che è funzione non solo della magnitudo ma anche e soprattutto della distanza dall'epicentro. Così ci è toccato sentire che il terremoto del Cile nel 2010 sarebbe stato 30mila volte più forte di quello dell'Aquila. Ma questo che significa? Che impatto hanno subito le case più vicine all'epicentro in termini di accelerazione al suolo? Se andassimo a vedere non credo che sarebbe molto maggiore di quello che vi fu all'Aquila il 6 aprile 2009".
Che fare? Che consigli dare alle numerose famiglie che in queste settimane vivono un nuovo sciame sismico? "Premettendo che la definizione sciame è scorretta per definire un evento in corso, e che si dovrebbe usare il termine sequenza, ma ormai tale abitudine di è affermata in italia dopo quella disgraziata riunione, bisognerebbe prima di tutto evitare di acclimatarci dentro l'angoscia assoluta o la rimozione assoluta del rischio – sostiene l'antropologo aquilano – prendere consapevolezza che c'è un rischio alto e sempre, e intraprendere condotte improntate alla su citata allerta".
Ciccozzi richiama la formula della disastrosità che "è data da tre principali fattori: agente d'impatto fisico (prodotto dal terremoto), vulnerabilità (la capacità degli edifici di reggere quell'impatto), esposizione a tale vulnerabilità, vale a dire in questo caso il fatto di trovarsi o meno dentro edifici che possono crollare".
"Approdare a una cultura dell'allerta significa acquisire una consapevolezza del rischio, e adottare delle condotte informate ad essa". Ciò significa nel breve termine ridurre il fattore esposizione – stare attenti a dove si va, rispettare le accortezze che la prevenzione suggerisce (borse, torce, etc., ndr) – e nel medio e lungo termine occuparsi del fattore vulnerabilità, ossia mettere in campo azioni di sicurezza sismica sulla propria abitazione, rafforzarla".
Tutte queste azioni, tuttavia, implicano una forte consapevolezza culturale del rischio: in pratica, uscire individualmente e collettivamente dalla pericolosa cultura del fatalismo. 
28 dicembre 2016

mercoledì 28 dicembre 2016

BINARI POETICI A L’AQUILA





Una rassegna di poesia al secondo appuntamento giovedì 29 dicembre 2016 alle ore 17,00 a Palazzo Fibbioni .Leggeranno le loro poesie Paolo Sly Ripari con Emanuela Gentilini e  Dimitri Ruggieri con Barbara Giuliani. Il Binario sarà introdotto dal  performer/attore/poeta aquilano Matteo Di Genova .E’ una iniziativa della Compagnia dei Poeti dell’Associazione Bambini di Ieri e di Oggi per il progetto “Volano libri “

Una  donna caparbia presidente dell’Associazione Bambini di Ieri e di Oggi ,associazione di promozione sociale, con Valter Marcone che per l’Associazione ha ideato “Volano libri “.il mondo dei libri aperto come appunto uno “scaffale aperto” a  L'Aquila, con una particolare attenzione al mondo della  Poesia e una volitiva poetessa Alessandra Prospero che la pratica in tutte le sue forme hanno creato dal nulla (o quasi) una rete per dare agli  amanti di questa nobile arte,una casa .CASA POESIA  un concreto e ideale   luogo di incontro cementando i rapporti nati con eventi e manifestazioni varie partititi con la FESTA DELLA POESIA  il 21 marzo di quest’anno  che ha riunito ben 27 poeti,  che hanno realizzato  un’antologia che contiene le loro poesie lette in quella festa  e hanno dato vita alla COMPAGNIA DEI POETI che ha   creato  una rassegna per così dire permanente  BINARI POETICI  che vede incontri periodici  di coppie di poeti un uomo e una donna che  leggono le loro poesie  in una performance che  non esclude la prosa.La rassegna è al secondo appuntamento e per l'occasione giungeranno ben tre artisti da altre città per onorare la Poesia e L'Aquila: il lirico Paolo Sly Ripari, la talentuosa Barbara Giuliani e Dima Dn. Quest'ultimo, Dimitri Ruggeri, l'uomo dei primati, è l'uomo che ha introdotto il Poetry Slam in Abruzzo nel 2010  .Il Binario poetico  vedrà quindi due coppie  Paolo  Sly Ripari  con  un’altra talentuosa  poetessa adottata dalla nostra città: Emanuela Gentilini e Dimitri Dn con Barbara Giuliani  ; tra la performance della prima e seconda coppia , un'autrice geniale come Paola Retta leggerà un suo racconto.  Ilo binario sarà introdotto  da un performer/attore/poeta come  l’aquilano Matteo Di Genova
Ancora una volta  a palazzo Fibbioni di L’Aquila ilo 29 dicembre 2016 alle ore 17 si rinnoverà  un l piccolo miracolo di fare  POESIA nel cuore del centro storico dell'Aquila che in questo modo sì, che rinasce.