martedì 29 novembre 2011

OFFICINA : Elephant and castle

OFFICINA  : Elephant and castle


I mondi”   un libro di poesie di  Guido Mazzoni  pubblicato da Donzelli come   scrive  Maria Borio  nel  blog  http://poesia.corriere.it/2011/09/ sono un lucido punto di vista sul rapporto tra l’uomo e il vivere contemporaneo; e sono il suo esordio nella poesia. Mazzoni è professore di letteratura italiana all’università di Siena. Ha pubblicato alcuni studi critici fondamentali come Sulla poesia moderna (2005). Ora questa raccolta propone la sua visione lirica delle forme dell’esistenza, ma è anche una sperimentazione su come fare poesia, facendo poesia. Il libro, in versi e in prosa, racconta un’autobiografia lirica che si snoda attraverso la quotidianità urbana occidentale. L’autore cerca di trovare un principio di conoscenza coerente con la realtà che vive, attraverso un recupero lirico di frammenti d’esperienza (“la grande periferia da attraversare è il mondo vero”). L’intento è forte e costante, come una lama che fende un ammasso caotico di «schegge» (La forma del ricordo) e ne ricompone un assetto ordinato; trova una corrispondenza nella compattezza del ritmo e del tono, dovuta a uno stile neutro, uniforme, meditato, che frena un connotabile dinamismo riflessivo. I mondi, infatti, è un libro lirico, ma anche saggistico/filosofico, che dà un’immagine «generazionale» alla condizione contemporanea. Come evidenzia il testo di pagina 49:



Elephant and castle

Gli stormi scossi quando il treno
esce dalla terra, il cielo nero
oltre gli sciami dei segnali e il vento
che nasce tra i binari e si disperde
tra i capannoni, le serre abbandonate, le colonne
dei camion nella nube, l’erba medica
ai lati della strada, nel colore
che copre la città mentre le luci
dei lampioni colpiscono le nuvole –

e la calma di quando si comprende
che la vita esiste e non significa,
mentre il vagone ridiscende e il vostro
volto riflesso scompare dalla plastica
dove le dita muovono la brina.

Essere questo, nella prima
onda del ritorno, un vuoto liquido
sopra la rete delle strade, un giorno
che ripete se stesso;
quando si impara a vivere il presente
senza pensare di non appartenergli, e la grande
periferia da attraversare è il mondo vero,
il proprio posto nel campo delle forze.


Il motivo dello sguardo è determinante. C’è lo sguardo dell’io, duro, solido, gelido: svela la natura artificiale e ingiusta dell’esistenza. C’è poi uno sguardo trasversale, contrastante, che appare con la descrizione delle nuvole, degli uccelli, dei riflessi. La vista è un atto doloroso: l’io osserva, ma non comprende, perché ciò che può guardare è «la vita [che] esiste e non significa», la rappresentazione di un «mondo», mai l’essenza (Schopenhauer). Proprio attraverso la percezione visiva è descritto il significato dei «mondi». E la visione dei “gesti” è sintomatica della disponibilità a capire, spesso però senza risultato. La persona – scrive Mazzoni - “da qualche parte custodisce le passioni che rendono tollerabili i gesti ripetuti per otto ore fra questi scaffali e che le trasmettono la docilità con cui rimane seduta a replicare gli stessi movimenti, aderendo a ciò che le è accaduto, a ciò che è stato fatto di lei, come a un destino che è insensato contestare” (Territori, pag. 48).
I mondi sono definiti da parole che evocano l’idea di una curvatura, sono sfere di habitus. Riuscire ad averne consapevolezza significa scoprire, in uno stato di «calma» quasi stoica, il senso di solitudine profonda che pesa negli individui (leggere Pure Morning). Leggiamo la poesia di pagina 59:
Az 626

Ora che le nubi ci lasciano vedere
per intero la curva della terra, nella forma
dei sobborghi senza forma dove dovremo vivere,
ascolto il flusso del sangue nella cuffia alla fine della musica
guardando i mondi degli altri che si incrociano col mio, le loro reti
di paura e desiderio dentro il tubo fragilissimo –

o i gesti che li legano al presente
quando fissano il ghiaccio sul lago inverosimile,
la nostra vita umana otto chilometri più in basso.
Ora so che non ha senso rompere
la miopia che ci fa esistere, vedo diversamente
le monadi che ci proteggono, le loro trame nel disordine;
seguo le macchie di luce che il sole
getta sul paesaggio, il cielo puro e indifferente.

Scrive P. Sloterdijk: «Poiché abitare significa sempre costruire sfere […] gli uomini sono le creature che pongono in essere mondi circolari e guardano all’esterno […]. Vivere nelle sfere significa produrre la dimensione nella quale gli uomini possono essere contenuti. Le sfere sono creazione di spazi dotati di un effetto immuno-sistemico per creature estatiche su cui lavora l’esterno» (Sfere I, trad. it. di G. Bonaiuti, Roma, Meltemi, 2009, p. 82). La visione di Mazzoni è più cupa, ma lo sguardo critico è affine. La presenza di un messaggio etico in poesia è ciò di cui I mondi ricordano l’importanza”.        
  Eremo Via vado di sole ,L'Aquila,  martedì 29 novembre 2011

lunedì 28 novembre 2011

OFFICINA : Due poeti, due poesie Carlo e Antonio Porta

OFFICINA  : Due poeti, due poesie  Carlo e Antonio Porta

El sarà vera fors quell ch’el dis lu,
che Milan l’è on paes che mette ingossa,
che l’aria l’è malsana, umeda, grossa,
e che nun Milanes semm turlurù.
Impunemanch però el mè sur Monsù
hin tredes ann che osservi d’ona cossa,
che quand lor sciori pienten chì in sta fossa
quij benedetti verz no i spienten puù.
Per ressolv alla mej sta question,
Monsù ch’el scusa, ma no poss de men
che pregall a addatass a on paragon.
On asen mantegnuu semper de stobbia,
s’el riva a mangià biava e fava e fen
el tira giò scalzad fina in la grobbia.
 -------
Sarà vero forse quello che dice lei,
che Milano è un paese che mette nausea,
che l’aria è malsana, umida, greve,
e che noi Milanesi siamo zoticoni.
Ciò nonostante però, il mio signor Monsù, son
tredici anni che osservo una cosa: che quando
lor signori piantano qui in questa fossa quelle
benedette verze non le spiantan più.
Per risolvere alla meglio questa questione, Monsù
che lei scusi, ma non posso (fare) a meno di
pregarla di adattarsi a un paragone.
Un asino mantenuto sempre a strame, se
arriva a mangiar biada e fave e fieno tira giù
scalciate perfino alla greppia.
 ******

Sto mè car Milan
Prometti e giuri col vangeli in man
de amà prima de tutt chi m’ha creaa,
e subet dopo sto mè car Milan
che impresa chì anca quij ch’en parlen maa.
Giuri vess grato a chi me dà el mè pan,
de no fa mai né lit né sigurtaa,
de lassà raggià i asen, bajà i can,
de tirà sempre drizz per la mia straa.
Giuri de scriv di vers fin che me par,
de dì el mè sentiment dove me occor
con tutta libertaa, redond e ciar,
e se manchi a sti coss, per mè castigh
me contenti perfin del disonor
d’on encommi stampaa sul “Cattabrigh”.
------------------
Prometto e giuro col vangelo in mano
di amare prima di tutto chi mi ha creato,
e subito dopo questa
mia cara Milano
che impecia qui anche quelli che ne parlano male.
Giuro di essere grato a chi mi dà il mio pane,
di non fare mai né liti né malleverie,
di lasciare ragliare gli asini, abbaiare i cani,
di tirare sempre dritto per la mia strada.
Giuro di scrivere dei versi fin che mi pare,
di dire il mio sentimento dove mi capita,
con tutta libertà, rotondo e chiaro,
e se manco a queste cose, per mio castigo
mi contento perfino del disonore
di un encomio stampato dall’Accattabrighe.

Carlo Porta


*********


“Da grande farò il bambino”.
Così ho letto, così penso anch’io
e respiro le parole
e le continuo e cambio senso,
quello vietato, quello in salita
e corro per superare tutti gli ostacoli
e adoro il fruscio della
mia bici;
ma soprattutto significa
annullare il tempo.
Andate, mie parole,
calcate le tracce
dei linguaggi infiniti.
> (...)
qui i miei versi diventano semplici e chiari
spazio dove si incontrano i nostri progetti
per abitarci finalmente e dire: adesso
sappiamo che cosa dire
(tutto deve rinascere)
Antonio PortaAndate, mie parole 1983

La stanza della poesia
La luna tenuta al guinzaglio
gira per il teatro si posa sulla scena
dimenticata sul pavimento
continua a raccogliere riflessi di splendore
così la stanza della poesia
ha un suo fedele piccolo guardiano
con voce d’acqua il poeta-ragno scende dal soffitto
e la sua bava luccica
La tela è finita all’alba
quando il fiume spalanca la finestra
e la voce di uno che si alza dalla scrivania
rilegge le ultime righe ancora fresche:
“Se guardiamo lo sguardo di un bambino
(sì, ora ha quasi tre anni, incredibile
credevo fosse nato la scorsa primavera)
il nostro imbarazzo aumenta a dismisura
e ci chiediamo allora se l’opera
sia mai cominciata...”
O se invece comincia in questo istante
(dentro e fuori si moltiplicano gli specchi)    
Antonio Porta Da Sono biglie di vetro, poesia visiva

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, lunedì 28 novembre 2011

venerdì 25 novembre 2011

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Animali e poesia

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI  : Animali e poesia

ANIMALIDIVERSI è un progetto espositivo curato da Eloisa Guarracino, che nasce dalla raccolta di un fondo manoscritti incentrato sul tema degli animali, filtrato attraverso lo sguardo dei poeti. Da ogni continente, innumerevoli autori hanno inviato un proprio testo manoscritto sul tema dell’animale, argomento che si inscrive nella lunga scia di una ricerca che indaga la relazione fra le specie.
Il titolo, attraverso il suo gioco di parole, intende mettere in risalto le diverse componenti del progetto, ossia la congiuntura e la collaborazione fra significante e significato, la possibilità di un investimento sensoriale e una fruizione del testo a largo spettro (considerato nelle sue implicazioni grafiche e visuali, che lasciano emergere il lato “caratteriale” e quello più creativo della scrittura), la somiglianza fra la traccia istintuale della composizione scritta con l’orma dell’animale, così come sembra suggerire l’ambivalenza di “Versi”. Non a caso l’animale è l’argomento comune a ogni poeta, al di là delle diversificazioni linguistiche.
L’idea di sviluppare questo tema è nata dallo spunto offerto da una mostra dedicata al “Bestiario Lombardo”, allestita presso l’Archivio Dedalus, qualche anno addietro. Tale spunto si è sviluppato e concretizzato poi in direzione della tematica dell’animale all’interno di uno spazio, quello del manoscritto, che vede nell’impronta della scrittura, nel suo gesto esplicitamente creativo, una possibile somiglianza con l’orma stessa dell’animale. È nata da qui l’idea  della costituzione di un fondo, che col tempo è andato componendosi di sempre più numerose e svariate testimonianze testuali e “grafiche”, confluite nell’antologia “Animalidiversi”, pubblicata per i tipi delle Edizioni Nomos, oltre che in “Alfabeto Animale”, edito dalla Fondazione Zanetto.
Il fondo manoscritti, raccolto a partire dalla fine del 2009, a tutt’oggi è costituito all’incirca da trecento testi e consiste in una serie di scritti autografi appartenenti a poeti italiani e stranieri contemporanei, fra i quali numerosi nomi illustri, quali: Wislawa Szymborska (Premio Nobel per la Letteratura, 1996), Yves Bonnefoy, Edoardo Sanguineti, Guido Ceronetti, Franco Loi, Maria Luisa Spaziani, Willem Van Toorn, Géza Szöcs, Tahar Ben Jelloun, Jaques Dupin, Ruth Fainlight, Vivian Lamarque, Maurizio Cucchi, Fuad Rifka, Zhai Yongming, Bracha Seri, Mukul Dahal.

È su questa similarità non solo del tema ma dell’attitudine di fronte al soggetto che si fonda l’idea di far incrociare la figura dell’animale con il mondo degli uomini, proprio come accade nei testi poetici (l’“animalizzazione” dell’oggetto di casa, così come della scrittura poetica, o viceversa, a seconda delle letture, l’“umanizzazione” dell’animale).
Per informazioni : Spazio Oberdan, tel. 02 77406302/6341 - www.provincia.milano.it/cultura;  Nomos Edizioni, tel. 0331 382339 - www.nomosedizioni.it; Galleria L’Affiche: 02 86450124

Il 25 ottobre scorso , a Milano, nel Foyer dello Spazio Oberdan (via Vittorio veneto 2),è stata inaugurata, come scrive Ottavio Rossani nel Blog poesia del Corriere della sera , una grande mostra dal titolo AnimaliDiversi, curata da Eloisa Guarracino, e promossa da Provincia di Milano/Assessorato alla Cultura. La rassegnaè rimasta aperta fino al  al 6 novembre . In occasione della vernice dell’esposizione è stata  presentata al pubblico l’antologia “Animalidiversi”(edita da Nomos Edizioni). Sono  intervenuti  oltre alla curatrice, Marisa Ferrario Denna, responsabile della collana Nomos “Poesia Contemporanea”, lo psicanalista Giancarlo Ricci, lo scrittore Ambrogio Borsani e i poeti Giulia Niccolai, Tomaso Kemeny, Jean Poncet e Andrè Ughetto.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì  25 novembre 2011

giovedì 24 novembre 2011

OFFICINA : Attilio Bertolucci

OFFICINA : Attilio  Bertolucci

Memoradio è il sito di Rai tre  nel quale si possono ascoltare o riascoltare alcune trasmissioni  e anche scaricarle in pod cast. Questa settimana su  memoradio si possono ascoltare le poesie  di Bernardo Bertolucci ,morto nel 200,  per il centenario della data di nascita. 18 novembre 1911 .
Purtroppo al momento non è possibile scaricare questi file e quindi per Officina  ne parliamo qui.


Bertolucci  nato a San Lazzaro (1911, Parma) ha insegnato per molti anni storia dell'arte a Parma; nel dopoguerra si è trasferito a Roma collaborando  Rai Tre, e alle  redazioni di riviste lettararie come «Nuovi Argomenti», «Paragone», «L'Approdo letterario». Traduce opere dall’inglese  e cura l'antologia Poesia straniera del Novecento, che informa anche sulla sua poetica. Una delle sue grandi passioni, il cinema, ha trovato sbocco in una saltuaria attività di documentarista ed è stata trasmessa al figlio, il noto regista Bernardo.
L'attività poetica ha iniziao già agli anni prima della seconda guerra mondiale ed è raccolta nelle sillogi Sirio del 1929 e Fuochi di Novembre del 1934. L’opera che però lo ha definitivamente introdotto nel panorama della grande poesia contemporanea, La capanna indiana, è del 1951. A questa è poi seguita, nel 1971, Viaggio d'inverno, definita come "il secondo tempo di Bertolucci" poichè in essa, pur mantenendosi alcune tematiche di fondo già introdotte nelle precedenti raccolte, si è prodotto un profondo cambiamento di stile e in parte anche di contenuti.

Franco Fortini  a proposito delle prime poesie  ha scritto che lo stile di Bertolucci nasce  " dalla scelta di una lingua umile per dire paesaggi e situazioni georgiche, sentimenti misurati e decorosi"; uno stile, dunque, volutamente tenuto su un tono minore che ha fatto di lui un isolato nel panorama poetico del secondo dopoguerra. Ma non per questo meno grande; poeti come Sereni, Luzi e Pasolini mostrano vivo interesse e notevole apprezzamento per la sua opera. In particolare Pasolini pone l'accento sul tema dell'autobiografismo, ostinatamente riproposto da Bertolucci, notando come sia sempre permeato da vaghe inquietudini e sottili allarmi, sentimenti questi stemperati nella dolcezza dello scrivere versi.


Perché sembra appunto che ci sia  una tenace e orgogliosa contrapposizione della propria e personale storia alla Storia, caratteristica che diventa ancor più evidente in Viaggio d'inverno. Qui "permangono intatte le splendide qualità pittoriche" del primo Bertolucci "con un ancora più struggente attaccamento agli spettacoli fuggevoli dell'esistenza"  come scrive P.V.Mengaldo. Anche se  nel contempo lo stile si complica, si fa meno armonioso e compaiono dissonanze, pause e spazi bianchi dettati dai battiti del cuore più che dalla perizia tecnica. La sotterranea inquietudine delle liriche precedenti si fa sempre più manifesta ed è simboleggiata dal tema del viandante che attraversa gli spazi della propria esistenza nell'eterna ricerca, o attesa, dell'ultimo fatale incontro.



Lunedì
La settimana si apre con azzurro e bianco
mobilità e suono nuvole e stormi volanti
parole portate via dal vento lasciate
cadere nel viale ad ammucchiarsi con le foglie

e tanto amore inutilizzabile ai confini dell’inverno
a meno di non bruciarlo fra cartoni e plateaux
schiodati con allegria dove bruniva uva
faville e fumo fanno precipitare la sera

e l’età unitamente così che di lagrime
ti si mescola il vino che da sempre consola
chi giunge a questi termini ferrei del giorno
e della città terrena ormai palpitante

d’abbracci sulle rive di fango
e sussurrante addii propizi a una notte
che ognuno dovrà affrontare solo vizio e orazione
smorendo inalimentati presso i letti raggiunti.


Strumenti

Cornamusa, flebile
rivo di armonia
che incrini il verde dei prati,
gracile melodia.

Violino, elegante
sospiro, ricciuto
angelo pellirossa che voli
in uno smorto cielo di velluto.

Chitarra, dai larghi fianchi,
colore del vecchio oro,
bicchiere tavola uomo,
strumento dal riso sonoro.

Saxofono, torbido grido
di un mulatto vestito di cotone.

Banjo, lunare nostalgia,
splendi fra l’acque chiare,
ed una mano mozza ti suona.

( Opere di A. Bertolucci, ed. I Meridiani Mondadori 1997.)


Torrente
Spumeggiante, fredda
fiorita acqua dei torrenti,
un incanto mi dai
che più bello non conobbi mai;
il tuo rumore mi fa sordo,
nascono echi nel mio cuore.
Ove sono? fra grandi massi
arrugginiti, alberi, selve
percorse da ombrosi sentieri?
Il sole mi fa un po’ sudare,
mi dora. Oh questo rumore tranquillo
questa solitudine.
E quel mulino che si vede e non si vede
fra i castagni abbandonato.
Mi sento stanco, felice
come una nuvola o un albero bagnato.

( tratto da Sirio in Opere di A. Bertolucci, ed. I Meridiani Mondadori 1997.)

Frammento,

Buoi rossi e neri
pestano la bianca neve
nel cristallo opaco della notte.

Fremono i grandi abeti
nel lume fermo degli astri.

Angeli invisibili e gravi
guidano la colonna
con suoni di corni selvaggi.

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, giovedì 24 novembre 2011 

mercoledì 23 novembre 2011

OFFICINA : Che cosa resta


OFFICINA  : Che cosa resta


Che cosa resta del mondo descritto da Pier Paolo Pasolini che  è stato il cantore dolente, a volte disperato, del passaggio dal mondo contadino a quello urbano?   Pasolini "vedeva" le borgate romane non le corte milanesi, "sentìva" l'intercalare stracco dei bar di periferia non il rumore meccanico e metallico delle officine.
A pasolini rimaneva estraneo il mondo industriale  che  è però un'archeologia del tempo presente. Già al tempo di Pasolini la nostalgia per gli ultimi, idealizzati, bagliori di una società agreste, e per la perdita di certezze radicare nella solidità propria della terra e dei suoi rapporti codificati, aveva un sapore retrò.
Oggi il mondo rurale si è trasformato in aziende efficienti e moderne, paradisi agrituristici, raffinati coltivatori biodinamici cultori di "madre terra". E non c'è pìù nemmeno il mondo industriale, ancora vivo e pulsante ai tempi della maturità del poeta. Le grandi fabbriche, le tute blu, l'operaio massa, sono scomparsi. Proprio quando Pasolini viene ucciso si compie un altro passaggio epocale, quello dalla società industriale moderna a quella post-industriale e post - moderna.

Un  processo che  si è ormai concluso a forza di delocalizzazioni, multinazionalizzazioni in sedicesimo, riduzione della forza lavoro, diversificazione delle mansioni, , parcellìzzazioni, filiere corte e lunghe. E anche la crisi in atto non ne cambia i paradigmi.
Quasi niente di quel mondo rimane.
Nel  riassumere i punti salienti  della visione pasoliniana  Piero Ignazi su Il Sole 24 Ore di domenica  21agosto   afferma che : “La trasformazione post-ìndustriale ha "liquefatto" - per dirla con Zygmut Baumnan la società italiana. Gli attori sociali navigano ormai in uno spazio/tempo dilatato e indistinto. In particolare è il rapporto con il lavoro, un tempo così centrale nel forgiare l'identità dell'individuo e il suo ruolo nella società e nella politica, che ha perso la sua forza evocativa e simbolica. Non esiste più un lavoro uguale all'altro, non si svolgono più le stesse mansioni, nello stesso luogo, per tutta la vita. Chi entrava in una fabbrica o in un ufficio non si spostava più per il resto dei suoi giorni.

La mobilità, laddove non obbligata, era considerata un indicatore preoccupante di irrequietezza. Quante volte il neo assunto si sentiva dire che era entrato in una grande famiglia, con il presupposto implicito che le famiglie le lasciano solo gli scapestrati. Insomma, anche il mondo della chiave a stella. oltre a quello degli zoccoli e delle lucciole, si è disperso in mille rivoli. Mille rivoli dell’esistenza . Quell’esistenza così descritta dallo stesso Pasolini .




             Esistenza

    Ritrovarmi in questo ovale
    con un legame vitale
    in solitudine a volteggiare
    con l 'infinito aspettare
    di qualcosa.
    Sognare
    di poter camminare
    in un nuoto perpetuo
    di pensieri
    intravedendo una luce bianca.
    La fine di tutto.
    Uno schiocco
    Un pianto.
    La nascita della vita in bracccio a giganti biancheggianti.
    Crescendo vidi cose senza senso
    cosciente del perduto collettivo senno.
    Vidi uomini con biancheggianti vestiti
    baciare e non procreare
    di fronte a un freddo altare
    in nome di una croce
    e un continuo narrare.
    Esseri travestiti
    professare falsi miti
    e scuole dove si imparava a vivere
    lasciando l'intelligenza reprimere.
    Sicuri di un tranquillo lavoro
    si sedevano su un falso trono
    lasciando che un finto quadrato
    rubassero loro gli anni d'oro.
    Ed ora piano piano mi invecchio
    sperando ancora in un qualche cambiamento.
    Disteso in un biancheggiante letto
    rimango cosciente che della vita
    e delle esperienze connesse ad essa
    non mi interessa piu niente.
    Tutto improvvisamente si illumina di bianco
    e mi appresto al grande salto.
    Ma con me non posso portare nient'altro
    che un tatuaggio
    situato dentro al cuore
    con impresso dentro il nome
    di quella persona che in questa vita
    mi diede tanto amore.

Eremo Via vado di sole, L’Aquila, mercoledì 23 novembre 2011

martedì 22 novembre 2011

VISIONI : Due poesie

VISIONI  : Due poesie  


1.

Risplendono le stelle
che di sera hanno tutte lo stesso nome.
Non riesco a imparare il planetario.
Attese per un giorno intero
compaiono nel silenzio dopo
i richiami degli uccelli, la danza
delle ombre
dell’ultimo sole della giornata.

Hanno un seno inclinato a nord
e sembrano scendere a precipizio
sulla terra.
Così tra l’erba sbiancata
dalla luce della luna
i musi gentili dei cani cercano
gli odori della notte senza corpo,
la notte che è stanotte uno squarcio
immenso senza tempo.

2.
Il cielo tra le case
nell’azzurro sbocciante,
tenero e arrendevole
lungo come una striscia
d’ombra morbida,
morbida e spalmata
nel grigio stinto
e senza fisionomia
dei muri, delle pietre,
delle porte, dei portoni,
delle grate e tende;
il cielo tra le case
chinate ad ascoltare
le nostre parole sulla strada
di nascosto,
aggobbite e stagnanti
per grandi macigni
legati ai piedi
ai secoli enormi
ingombrati di storia,
di storia ingombrati ;
il cielo tra le case
il sapore dell’acqua e del vino ,
ricordo la sola bambina
vestita di bianco
rannicchiata nel cuore ,
nel cuore ,
ricordo gli occhi nei quali volevo
guardare
spolverati in eco dissolte
fluttuanti,
il cielo tra le case …

Eremo Via vado di sole, L’Aquila,  martedì  22 novembre 2011

lunedì 21 novembre 2011

LETTERE DALL’EREMO : Amica modernità

LETTERE DALL’EREMO  : Amica modernità
 
La modernità non minaccia la fede, anzi ne valorizza il tratto «esistenziale». «La modernità non consiste certo solo di negatività. Essa ha in sé grandi valori morali che vengono proprio anche dal Cristianesimo». Così Benedetto XVI spiegava, nel libro-intervista Luce del mondo, il suo punto di vista sul rapporto tra fede e epoca moderna. Il gesuita irlandese Michael Paul Gallagher, docente di teologia fondamentale all’università Gregoriana di Roma, mette in risalto nel suo recente libro Mappe della fede quei Dieci grandi esploratori cristiani (Vita & Pensiero, pp. 208, euro 16) che possono fungere da bussole nel mare magnum dell’era moderna e post-moderna. Newman, Blondel, Rahner, Balthasar, Lonergan i grandi teologi del passato scandagliati da Gallagher.

Ma anche la scrittrice Flannery O’Connor, la «voce» luterana di Dorothee Sölle, e tre nomi attuali: Charles Taylor, il filosofo de L’era secolare, Pierangelo Sequeri, teologo milanese, e appunto Ratzinger.

Con la conferenza "La modernità come questione per la Chiesa" padre Michael Paul Gallagher apre oggi il convegno "L’uomo dell’età moderna e la Chiesa" promosso dalla Pontificia Università Gregoriana. Con Costantino Esposito, Maurizio Merlo, Richard Schaeffler, Pierre Gilbert, Eberhard Schockenhoff, Presente anche José Funes, direttore della Specola Vaticana. Sabato 19 novembre concludono il vescovo emerito di Coira Peter Henrici e il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la cultura.




Quei dieci intellettuali della «mappa» hanno in comune - lei scrive - la volontà di «ripensare la fede in modi capaci di raggiungere l’uomo d’oggi». Oltre a ciò, cosa li accomuna?
«Tutti riconoscono, e vi rispondono implicitamente, la non credenza pratica e diffusa che caratterizza la loro e nostra epoca. Ciascuno cerca di rendere giustizia all’avventura della fede intesa come "esodo" (Ratzinger) o "dramma" (Balthasar), e non solo come una teoria su Dio. A livello teologico cercano di unire tre diversi piani: verità, libertà e affettività, dimensione - quest’ultima - presa in considerazione soprattutto da Lonergan e Sequeri. Newman traduce l’affettività nel termine "immaginazione", perché unicamente nel campo dell’immaginazione (era la sua tesi) la fede tocca il cuore e non solo il pensiero. Tutti e dieci danno pieno risalto al ruolo dell’intera persona nel processo di fede, che per Lonergan consiste nella "conoscenza nata dall’amore". In un certo senso questi sono intellettuali "esistenzialisti" perché per loro la fede è vissuta e non solo pensata. In questo, rappresentano dei "ribelli" verso la neoscolastica».

Quali gli aspetti positivi che l’era moderna offre al cristianesimo secondo le sue «mappe»?
«Il contesto culturale, decisivo per la fede, è radicalmente cambiato nella modernità, in particolare in quella "tarda", cioè la nostra epoca attuale, fluida e plurale. Tutti i pensatori che ho preso in considerazione ammettono che una conquista particolare dell’era moderna è la consapevolezza della dignità della persona, quella che Taylor definisce "la ricerca di una vita autentica". Tale consapevolezza porta sia Newman che Ratzinger a cercare le vie di un personalismo cristiano che non scivoli nel soggettivismo. Nessuno di loro teme di parlare di "esperienza religiosa", in modo che la fede non scada ad essere solo qualcosa di intimo».


Da esperto di letteratura, oltre a Flannery O’Connor, quali altri romanzieri del ’900 avrebbe voluto inserire nelle sue "mappe"?
«Faccio una premessa: Gesù ha sempre parlato alle folle in parabole. Questo per dire il privilegio della narrativa nel risvegliare la sensibilità religiosa della gente. Dunque, se facessi un altro libro dedicato agli scrittori, di certo inserirei Gilbert Chesterton e il mio ex professore John Tolkien. Ma anche due Nobel come Saul Bellow e Patrick White. Li ho conosciuti entrambi ed erano segnati da una passione religiosa "alla Dostoevskij". Si facevano portatori di una teologia (forse non ortodossa …) come lotta della fede nel mondo moderno, una sorta di teodicea contemporanea».

Lei interverrà oggi al convegno in Gregoriana su "L’uomo dell’età moderna e la Chiesa". Quali scrittori contemporanei considera fecondi suggeritori per il cristianesimo nell’attualità?
«Mi vengono in mente tre nomi. Il primo, lo scrittore irlandese (residente a New York) Colum McCann, autore del recente Questo bacio vada al mondo intero (Rizzoli). Questo magnifico romanzo assomiglia molto al più religioso dei film dell’ultimo anno, The tree of life, di Terrence Malick. In entrambe le opere il dolore del lutto arriva ad una guarigione che sottende la presenza di un Dio nascosto e prefigura la possibilità di una riconciliazione profonda dell’uomo. Tra i giovani, almeno in Nordamerica, è molto letto Douglas Coupland, artista e romanziere, che nei suoi libri evoca un mondo frenetico attraversato dalla ricerca e dal desiderio di preghiera: una sorta di Hermann Hesse dei nostri giorni. Cito infine il mio ex studente Niall Williams, autore di Quattro lettere di amore (Dalai), un viaggio spirituale segnato dal realismo magico. Per usare una categoria di Rahner, questi autori sono una sorta di "mistagogia" della fede, perché rappresentano un’introduzione immaginativa all’esperienza religiosa».

Dunque, come diceva Elias Canetti, sono sempre gli scrittori «i segugi del nostro tempo» anche in fatto di fede?
«Ai teologi non spetta scrivere romanzi o racconti, ma riconoscere che un romanzo o un film, anche se opera di non credenti, possono parlare di fede. La teologia deve avere più coraggio in questo, superando anche certe barriere accademiche. Quando durante le mie lezioni cito un romanzo, una poesia o un film, vedo crearsi un silenzio di un’altra qualità rispetto al solito. La letteratura porta ad una riflessione di alto livello, soprattutto tra i giovani».

Lorenzo Fazzini  Amica modernità intervista a  Callagher su Avvenire 16 novembre 2011


Eremo Via vado di sole, L’Aquila,  lunedì 21 novembre 2011

VISIONI : Uno stornello a voce piena

VISIONI  :   Uno stornello a voce piena

Non è l’acqua che fa il mare. Non sono le parole che fanno una poesia. Non è la chiesa che fa la fede. Non è  il palcoscenico che fa il teatro  .Non sono  i mattoni  e le pietre che fanno una città.

E dunque il viaggio attraverso una città distrutta dal terremoto  non va alla ricerca delle pietre  e dei mattoni ma va alla ricerca di chi  aveva quelle pietre e quei mattoni come parte integrante della sua vita.

Ma in questa ricerca  che cosa è più importante il viaggio  o il raggiungimento della meta  fissata per il viaggio? Probabilmente entrambi perché un viaggio senza meta è girovagare . Un girovagare non inutile  che però permette forse di affermare che a volte  il viaggio è più importante  della meta.  E quindi non fa niente  se non si raggiunge la meta.

L’importante è fare il viaggio. Così la penso. In questo avventuroso cammino  in cui tra poesie e canzoni , storie di poesie e storie  di canzoni  “ uno stornello a voce piena “ ,nell’ultimo  silenzio del cuore,nell’ultimo pianto negli occhi  e nell’ultimo riso,  si fa sentire come cosa  prelibata .

Ecco allora il viaggio attraverso mesi di  parole, di retorica, di  rabbia e di dolore. Un viaggio tra i mattoni delle pareti delle case cadute  che restano lì . Un viaggio che inizia da cose ridicole e assurde

L’Aquila 9 Giugno 2009

Che te ne fai di una canzone
Quando ti manca il cuore per cantarla,
quando ti manca anche se c’è,
per essere un poco poco retorici,
il sole e tra i mattoni delle pareti cadute
                                               della tua casa
non trovi più ne requie, né riposo.

E tutto perché  dopo il terremoto
ognuno vuole essere qualcuno
compreso i politici in prima fila.

Ridicolo ridicolo e assurdo assurdo.
Perché o terremoto ( vocativo) non hai cancellato
oltre alle case, alle chiese , ai portici
                                   di L’Aquila
anche la supponenza e la stupidità,la perfidia
e il disinteresse che è l’interesse alla rovescia?

Dicerie di un poeta inedito ? Millantate invettive!
Prendetemi a sassate se sbaglio
sassi di fiume quelli belli grandi
e bianchi e levigati e profumati
com’è profumato il pane.

La notte in questo secondo mese
                                                dal terremoto
si sentono ancora abbaiare i cani
povere bestie affamate e inselvatichite
sembrano voci  uscite
da transistori  con doppie casse
dalle dimensioni  di un frigo
                                   anzi di due frigo
a causa della così detta stereofonia.
E non si sente nient’altro  anche durante il giorno.

Solo la passione doveva lasciare in piedi
                                   il terremoto
per svegliare la mente il cuore e l’anima
“ di coloro che sono intrappolati in edifici
                                               in fiamme
e non fanno alcuno sforzo per sfuggire
finchè non termina il loro programma televisivo
                                               preferito
Silvio a Porta a Porta:”

C’è anche un altro mondo oltre quello del terremoto e dei terremotati . Oggi ci ho pensato.Oggi sta per il 10 giugno 2009


Sovente parliamo con i morti
e di tanto in tanto gli diciamo pure:
“ adesso che i vostri problemi sono finiti
e il mondo non vi pesa più sulla schiena
aiutate quelli che dietro avete lasciati
a non darsi  più pena  non solo di soldi
                                               e di debiti”:
Noi vi parliamo davanti  alle credenze
alle cucine con le foto di Caterina, Francesco,
Daniele ,Anna e Margherita o davanti
agli specchi del comò dove si affacciano
volti cari e qualche volta sconosciuti,
ma sempre ben pettinati e con la gravata
sulla camicia bianca stirata alla perfezione.
Venite a trovarci in sogno qualche volta,
così possiamo parlare più a lungo
come quando andavamo alle feste
di piazza a sentire  il concerto della banda
                                   di Pacentro
o a ballare sull’aia di Tione, mangiando
lupini salati e noccioline americane
ancora più salate e dicevamo, ci fanno
male alla pressione,fanno male
                                   ai vecchi  e ai giovani.
Venite a trovarci creature asciugate
                                               dall’esilio ,
madri che siete diventate sorte,
per voi quante lacrime abbiamo ancora dentro
voi che sparite nelle febbre del risveglio,
voi che appartenete ora al sonno
                                               ora alla veglia
e ai guanciali  ingialliti dal sudore
                                               delle mani,
a voi come melodia colata via
sui vetri della finestra davanti
                                    ad un cielo azzurro,
a voi noi apparteniamo
e per questo sovente torniamo a parlarvi.
E con chi altri sennò.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 21 novembre 2011

domenica 20 novembre 2011

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : Maria Cristina Biggio

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI  : Maria Cristina Biggio  



"Poiché non sapevamo né dove né quando
ci avreste salutati, prendemmo a sfiorare le cose
con lo sguardo
come distrattamente fa la luce
a Collemaggio quando dice
È giorno oppure È notte, svegliandola o facendola dormire
nel bagliore delle torce
poi trapunta
di piccole candele
via via colate in cerchi d'oro dentro il sonno—

e in quella rotazione quotidiana della terra sul suo asse
lei si affida e crede,
come i perfettamente amati
sempre fanno,
all’odore del tempo scandito dalla pece
o dalla cera
sui cristalli elementari
delle rocce, dove
l'attrazione verso il sole in qualche modo resta
nel gioco
di pieno e vuoto
di ogni fenditura,
dentro l'ossatura del buio fin sotto l’orizzonte,
fino al più basso grado della visione
quando l’occhio nudo riprende a vedere l’esclamazione
delle stelle

e in quell’allineamento degli astri lei attende
che l’oscurità
piovuta addosso
da un’inclinazione più forte del crepuscolo
finalmente si diradi sui tralci dei caprifogli
in lunghi lampi
accesi a fiori
e foglie sul
clamore monumentale della sua facciata

perché no,
non può crollare
quel sogno celeste eretto a ricordo
sui conci bianchi e rossi, né può cessare
il mantice del vespro sulla porta spalancata
la sua fronte
è fuoco chiaro
è acqua
che accoglie il pellegrino e lo risana.

Poiché vedevamo le cose sfiorate a una a una con lo sguardo
farsi trasparenti poi piegarsi immerse più lucenti
sul desiderio della sera
come riposte in uno spazio che più non capivamo
(era la parete di una stanza quella fiorita a mezz’aria?
o solitudine
di pioggia e sabbia che insondabile si spacca
nel minimo dettaglio di un verso
già da tanto sofferto dalla terra?)—poiché d’abitudine amavamo

e aspettavamo di scoprire il metro necessario ai versi finali,
voi, cari santi,

labbra alla preghiera
destinate, prendeste
a fare con le labbra quello che le mani fanno,
palmo a palmo il vostro bacio
ci toglieva dalle ciglia
l’inganno
della polvere
senza più gravità
sollevata da noi a voi, irradiata nel mezzo di minutissimi frammenti
Non piangete, dicevate,
è trasparente
la luce zodiacale che in uno ci comprende oltre l'orbita terrestre."

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, domenica 20 novembre 201

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : Lo sguardo del mattino

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI :  Lo sguardo del mattino



In un freddo mattino di  fine autunno  mi viene in mente di  andare a camminare. E’ come riappropriarsi, senza nulla di frontale, di qualcosa perduto  dopo l’estate , Dopo un’estate calda e luminosa  , i primi mesi d’autunno hanno intristito e allo stesso tempo impigrito  quella voglia di aria all’aperto, al sole. E quindi  me ne vado per il centro storico di L’Aquila. Esperienza  di schegge di emozioni frantumate  come i muri delle case, i tetti sbilenchi, le finestre sfondate occhieggianti . E’ lo sguardo del mattino  che passa tra quelle mura  in una solitudine ormai perenne.
Salgo da porta Roma, dove i vigili stanno ancora raccogliendo macerie  della demolizione  di quello che fu il ristorante Di Tommaso affacciato sull’ultimo pezzo , a scendere, di Via Roma. , e percorro tutta via Santa Croce fino all’oratorio salesiano  di Viale Don Bosco.
E’ rimasto tutto  come l’attimo successivo alla scossa della notte  del 6 aprile 2009. Sono passati  due anni e otto mesi . Ho frequentato l’Oratorio don Bosco  accompagnando le mie figlie alle attività che vi si svolgevano durante l’estate  ma soprattutto conosco chi abitava in quella Via Santa Croce . Ho scattato delle foto  e quando sono tornato a casa mi sono venuti in mente dei versi di  Gianni D’Elia e sono andato a riprendere quel suo volumetto pubblicato da Einaudi  dal tutolo Segreta . E proprio” quello sguardo del mattino che passa in una solitudine  perenne “  è contenuto nella poesia che segue :

Tua è la mia vita stessa
che stringi tra le braccia
nell’attimo in cui un altro
sopporta la mia assenza;

quanto più di me vivo privo ,
non tardare nel nome dell’amore
a sentire levare  lo sguardo del mattino
che passa in una solitudine perenne.

Con tanto silenzio la vera stagione ,
anche se l’inverno  è ovunque ,
si alza altissimo nel cuore
dove udire  e scorgere ogni volta.

Gianni D’Elia vive a Pesaro  ed è animatore di un gruppo di  amici e collaboratori  che fanno capo alla rivista Lengua. Egli infatti è (poeticamente) una personalità complessa e semplice nello stesso tempo, e insieme una delle più significative voci della poesia italiana contemporanea.
Di questo poeta ripasso una lezione  pensando allo sfacelo di quelle strade, di quel quartiere e in genere di tutta la  zona rossa  che non hanno niente di poetico

L'impoetico: raccontalo a lampi.
Nomina le nuove impercepite
cose del mondo in cui ora siamo
immersi. E siano i versi

attenti al comune, alla prosa
che servi. E all'arso
cicalìo delle stampanti, poi che canto
è forza di memoria e sentimento

e oggi nient'altro che il frammento
sembra ci sia dato per istanti,
tu pure tentalo, se puoi, come tanti
durando un poco oltre quel vento.

E sembra che D’Elia ci avvisi. La vita gioca all’interno di queste strutture sintattiche che chiamiamo poesia  un gioco che di volta in volta  è nascondersi e stanarsi  e, se tutto appare sconfitto,  ecco che all’improvviso si riaccende una passione. Quella di voler credere e sperare ma anche lavorare perchè tutto questo sfacelo sia cancellato  .
All’interno di un sentimento  di nostalgia e memoria che lui sa esprimere bene per esempio in questa poesia  che sembra la descrizione di un sogno:

Così un giorno, viaggiando nei giorni ,
ti viene incontro ,balenando , l’idea
in carne ed ossa, nella fisica presenza
d’uno  che più non vedi da anni…

Ed è al bancone di un bar, sorseggia, pallido
accennando un saluto , il suo caffè –dilegua..
Ed ha una busta di dischi , e non rasa
una barba di tre giorni e, nel mattino , se ne va…

Viaggiando nei giorni …e ti martella
ed a tratti la dimentichi ,ricordi
sfolgorata  in un senario la vicenda
d’una estate,là,ai primordi  - ed alla folla

mescolata in nevrosi ,vanità , verità…

Il sogno di un lontano mattino  di aprile quando vidi  tanta  gente  portare con sé  le cose più care. E qualcuno, tra quelle,  aveva anche una busta di dischi

E mi sono ricordato quello che scriveve  il  7 Giugno 2009 dentro  una tenda della protezione civile al campo  del complesso L. Ferrari di Via Acquasanta dove avevo trovato  ospitalità con i miei familiari :

Prima la sera andavamo a passeggiare
                                               a Piazza Duomo,
io spesso rimanevo a dormire davanti il televisore.
Ora la sera per passare il tempo  abbiamo
un rito collettivo a L’Aquila a Poggio Picenze
a Coppito e fino a Civita Tomassa :
controllare su internet lo sciame sismico
e bisogna stare pure attenti ai gatti che se si
                                               accorgono
dello “sciame” fanno una carneficina.
Dunque queste sono le sere al campo ,
dove ci teniamo occupati anche a cantare ,
quando siamo romantici “paese mio che stai
                                               sulla collina”
oppure “ Che sarà che sarà della mia vita”
e quando si va sul depresso :
“ datemi una lametta che mi sgarro le vene”,
che è sempre più frequente
o a guardare il televisore se funziona.

Ora parlando seriamente
stiamo cercando  “seriamente” di trovare
                                               una via d’uscita
a questa brutta situazione come dice l’amico
della nostra amica Paola
ma è il decreto che non trova la “via d’uscita”
                                               dalla Camera dei deputati
e intanto io ho paura
i miei familiari hanno paura,
i miei amici hanno paura
i vigili del fuoco hanno paura
anche se per conto loro sono pure incazzati.

Era tanto per sdrammatizzare ma il dramma era vero.

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, domenica  20 novembre 2011 .

sabato 19 novembre 2011

VISIONI : I suonatori d’ottoni

VISIONI  : I suonatori d’ottoni

“C'è un legame misterioso fra il suono degli ottoni e il tempo dei funerali. Sarà forse per la solennità pensosa che evocano, nel loro ritmo grave, però temperata da una pulsione festosa. Non hanno, gli ottoni, l'eleganza degli archi. Non sono lì per farsi guardare. Non sopportano di stare da soli. Sono fatti per andare per le strade, per stare in mezzo alla gente. “

Sembra  l’incipit della prima scena di uno spettacolo teatrale  che si svolge in ambienti consumati, minuziosamente ricostruiti fra pitture scolorite e brandelli di antiche tappezzerie, popolati di figure ai margini del tempo presente, ai margini di stanze che odorano di passato .

Quei suonatori di tromboni  tutti con il proprio strumento sotto il braccio, trombe e tromboni e corni e sassofoni. E’ un'altra cerimonia che comincia. Un'altra geografia. Quella della memoria, così connessa del resto a questo luogo. Chiacchierano, raccontano storielle. Tirano fuori ricordi personali. Qualcuno più nostalgico azzarda un confronto con «prima del  6 aprile 2009, l'anno del terremoto . Il terremoto questo sconosciuto , che arriva all’improvviso e ti lascia un biglietto da visita che è come  un marchio: quello della paura, dello stravolgimento, del dolore.
E quando questo terremoto non viene una sola volta anche se di soppiatto  e quasi sempre di notte ma arriva  frequentemente ? Non riesci a farci l’abitudine , di sicuro. E accade  per esempio il lunedì mattina : 


Lunedì mattina
torna ancora il terremoto.
Ricevere nuove istruzioni
da quell’istigatore alla distruzione
è come correre al gabinetto
per la paura
“ due parole con lo spirito santo
e amen”
come dice Pedro Pietri ricordando
un altro suo lunedì.
E poi i lunedì sono tutti uguali
per i poveracci come noi e come lui.
Uomini e donne  con la mezzanotte
in bocca  ora non riusciamo
più a dormire. Ci batte forte
il cuore in petto  ed è come
sentire dentro il cuore
un martello, un trapano, un vento,
tutto confuso, com’è confusa la morte.
Ma poi, a pensarci bene,essere vivi,
sentirsi ancora vivi
è sperare di imparare di nuovo
a sorridere,
come quando ti ricordi un fiore,
il volto di un bambino,
le carezze di un innamorato,
come quando ti viene la nostalgia
di quelle cose che non sono
più avvenute e capisci
che è inutile chiederti il perché.

(3 giugno 2009)

Il perché di un terremoto. Il terremoto non ha un perché.

Eremo Via vado di sole, L’Aquila,  sabato 19 novembre 2011

venerdì 18 novembre 2011

STORIE E VOCI DAL SILENZIO :Angelo Semeraro

STORIE E VOCI DAL SILENZIO  :Angelo Semeraro

Leggo su  Il Capoluogo .it un articolo di Raffaele Alloggia con il quale  informa   che  mercoledì  9 novembre a Paganica, una strada che porta in località Colle San Vittorino, è stata  intitolata ad “ Angelo Semeraro scrittore”.  Un riconoscimento che viene dato “a ju poeta” (così veniva chiamato dai paganichesi) a 19 anni dalla sua morte.

Ho conosciuto personalmente  Angelo Semeraro quando vivevo a Sulmona . In quegli anni  (1969/74) lavoravo al Centro Servizi Culturali  e in quella sede partecipavo alle riunioni di un gruppo di appassionati e studiosi di archeologia  aderenti all’Associazione “ Sole Italico”. Mi aveva  invitato nell’Associazione il suo presidente e principale animatore Cesare Occhiolini. Insieme a Renato Tuteri , a Dante Pace,  Rocco Scaracia  e ad altri  avevamo  avviato una utile attività di conoscenza del territorio della Valle Peligna, della Conca Subequana  e degli Altopiani maggiori d’Abruzzo  in ordine alla ricchezza della  storia archeologica e dei reperti che a volte affioravano  dai terreni o di cui ci giungeva notizia dai contadini che li rinvenivano durante gli scassi e le arature.
Anche Don Virgilio Orsini  ,bibliotecario della Biblioteca Diocesana che con Primo Levi aveva scritto per la Libreria Editrice di Antonio Di Cioccio  Abruzzo forte e gentile: impressioni d'occhio e di cuore pubblicato nel 1976 ,fine letterato e studioso del territorio  faceva parte di quel gruppo .
Mi ricordo che Virgilio Orsini , all’inizio degli anni ottanta,tra tutte le iniziative culturali  che svolgeva nella Biblioteca Diocesana di Sulmona  aveva acquistato dall’antiquario Tonini  di Ravenna l’archivio di Pietro De Stephanis di Pettorano che a sua volta loaveva acquistato dagli eredi aquilani della famiglia. Aveva studiato poi quelle carte e aveva pubblicato degli studi tra cui uno sugli stemmi  del Castello di Pettorano  e soprattutto il carteggio tra Pietro De Stephanis, Antonio De Nino,  e Leopoldo Dorrucci  che rappresentano insieme a Giovanni Pansa  e  Pietro Piccirilli  la storia culturale di Sulmona e della Valle Peligna nell’Otto inizio Novecento.
Quel gruppo dunque vedeva la presenza di Cesare Occhiolini che con il suo gruppo speleologico di Popoli aveva partecipato ad una campagna di scavi realizzata  dal Prof. Radmilli nella zona di Santo Padre di Popoli. In quella zona  era stata recuperata una tomba  di un guerriero italico con tutto il suo  corredo di armi. C’era anche Renato Tuteri  che aveva rinvenuto e lo custodiva su incarico della Sovrintendenza archeologica di Chieti  una manufatto  in terracotta che rappresentava la Dea madre peligna.

Dunque  per il territorio di L’Aquila  Angelo Semeraro divenne un insostituibile punto di riferimento e  spesso egli ci veniva a far visita a Sulmona e io stesso  ho avuto il privilegio di vedersi comporre una sua collezione  di manufatti.


Continua Allegra nel suo articolo  “ Semeraro durante la sua vita è stato un uomo poliedrico interessandosi sin dal 1936 anche di paletnologia e archeologia. Così  il Colle San Vittorino, è stato per anni  oggetto, da parte sua di ricerche e studi. Nel sito archeologico è stato ipotizzato un luogo di culto e  l’esistenza di un Santuario,  a testimonianza di ciò la presenza di cospicui resti murari e pezzi di materiali affrescati, che con l’introduzione  dei mezzi meccanici  all’agricoltura, negli anni 50 – 60, resero difficoltosa l’aratura, ma nello stesso tempo furono portati alla luce numerosi reperti  archeologici anche votivi a testimonianza del luogo di culto dedicato al Santo. Il destino ha voluto che lo stesso 9 novembre scorso a Roma, all’università degli studi “Roma 3”, nel Corso di Laurea in Storia e Conservazione del Patrimonio Artistico e Archeologico, due studenti universitari romani, Eugenia Cesare e Andrea Simeoni, relatore Prof. Alessandro Guidi, hanno discusso la tesi di Laurea in Paletnologia su “manufatti ceramici e metallici di età protostorica del territorio di Paganica (AQ) nella Collezione di Angelo Semeraro”.

Proprio in tema di collezione sarebbe utile mettere a disposizione, con una esposizione in Paganica quel materiale per lo studio .
Ma qui io voglio ricordare l’Angelo Semeraro poeta . Purtroppo a causa del terremoto del 2009 ho perso molti libri della mia biblioteca tra cui sicuramente alcuni libri di versi .
Ho cercato in qualche sito  o blog ma non ho trovato  al momento  qualche sua composizione. Ma la ricerca è solo all’inizio

Eremo Via vado di sole, L’Aquila, venerdì 18 novembre 2011