giovedì 31 dicembre 2015

Ma non fa niente




 

Il giallo seppia delle foto anni settanta
il rosso amarena del cielo della città
quelli trascorsi sono tanti gli anni e in fondo

pochi ancora quelli che restano ;
tanto quello che abbiamo sottratto e l’aritmetica
delle terzine della caducità:

venti chili in meno ,capelli lunghi
e sempre sporchi
lunghe rughe disordinate

ma non fa niente quello che importa
sono le persone capitate per caso
nella vita ,quelle che ci hanno dato tutto

quelle che si sono portate via tutto.
Quello che importa  è costringere cuore, tendini e nervi
a servire al corpo  quando sono da tempo sfiniti,

e a tenere duro quando in te non resta altro.
Ma poi non importa nemmeno tanto perché
“Portami il tramonto in una tazza

conta le anfore del mattino
le gocce di rugiada.
Dimmi fin dove arriva il mattino

quando dorme colui che tesse
d’azzurro gli spazi.”(1)
perché allora , solo allora

sarò capace di fuggire da una semplice  giornata  
“quando ogni mattina ti s-cervelli
per trascrivere i sogni,

ti radi innanzi allo specchio facendo le smorfie,
dai da mangiare ai gatti e ti allacci le scarpe,
poi ti guardi allo specchio e non ti piaci.” (2)

E sarà un volo ,un grande volo
là dove dorme il rosso amaranto  del cielo
il giallo seppia di quello che ancora sarà.


(1) Emily Dickinson  ,traduzione di Gabriella Sobrino , dal blog di Titti de Luca
(2)Li Puma, Come pietre lucenti, Lieto Colle, Faloppio (Co), 2012

 Eremo Rocca Santo Stefno iovedì 31 dicembre 2015


DIALOGO di un VENDITORE d’ALMANACCHI e di un PASSEGGERE di Giacomo Leopardi




Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Si signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi.

 
Eremo Rocca Santo stefano giovedì 31 dicembre 2015 

lunedì 28 dicembre 2015

GRAMSCIANA : Il capodanno

La  riflessione di Antonio Gramsci non è solo un  pensiero sul Capodanno. È la  ricchezza della vita, la sua poliedricità, il senso profondo e meditato di quello che è la vita di ogni giorno una "storia di sè e degli altri "  con cui confrontarsi: perché ognuno di noi  deve fare sempre i conti appunto con se stesso nel bene e nel male, per il bene e il male  sempre e non solo in occasione di fine e inizio anno .Ogni giorno dell'anno


. Ecco il testo integralmente:
Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.
Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.
Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.
E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.
Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.
Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.
Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.
Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, Avanti!, edizione torinese, rubrica Sotto la Mole.

 
 Eremo  Rocca Santo Stefano lunedì 28  dicembre 2015

venerdì 25 dicembre 2015

NATIVITA' 2015

Madonna con bambino in cammino
Foto Danilo Balducci

SILLABARI :Contemplazione e adorazione





Dobbiamo contemplare Gesù Bambino, nostro Amore, nella culla. Dobbiamo contemplarlo consapevoli di essere di fronte a un mistero. È necessario accettare il mistero con un atto di fede; solo allora sarà possibile approfondirne il contenuto, guidati sempre dalla fede. Abbiamo bisogno, pertanto, delle disposizioni di umiltà proprie dell'anima cristiana. Non vogliate ridurre la grandezza di Dio ai nostri poveri concetti, alle nostre umane spiegazioni; cercate piuttosto di capire che, nella sua oscurità, questo mistero è luce che guida la vita degli uomini.
ÈGesù che passa, 13
Quando la Vergine rispose di sì, liberamente, ai disegni che il Creatore le rivelava, il Verbo divino assunse la natura umana: l'anima razionale e il corpo, formato nel seno purissimo di Maria. La natura divina e la natura umana si univano in un'unica Persona: Gesù Cristo, vero Dio e, da allora, vero Uomo; Unigenito eterno del Padre e, da quel momento, come Uomo, vero figlio di Maria: per questo la Madonna e Madre del Verbo incarnato, della Seconda Persona della Trinità Beatissima che ha unito a se per sempre — senza confusione — la natura umana.
Amici di Dio, 274

Il Figlio di Dio si è fatto carne ed è perfectus Deus, perfectus homo. In questo mistero c'è qualcosa che dovrebbe emozionare profondamente i cristiani. Ero commosso e lo sono ora. Vorrei ritornare a Loreto: mi porto là con il desiderio, per rivivere gli anni dell'infanzia di Gesù ripetendo e meditando quelle parole: Hic Verbum caro factum est.
Iesus Christus, Deus homo: ecco i magnalia Dei, le opere meravigliose di Dio, dinanzi alle quali dobbiamo meditare e di cui dobbiamo rendere grazie al Signore, a colui che è venuto a portare la pace in terra agli uomini di buona volontà, a tutti coloro che vogliono unire la loro volontà alla Volontà santa di Dio: non soltanto ai ricchi, né soltanto ai poveri, ma a tutti gli uomini, a tutti i fratelli. Perché tutti siamo fratelli in Gesù, tutti figli di Dio e fratelli di Cristo; e sua Madre è nostra Madre.
ÈGesù che passa, 13
la contemplazione resta la strada, e l'unica, che porta a Dio. La strada per il cristiano di tutte le strade: "per le strade" infatti, secondo l'espressione cara a Rais­sa Maritain, e non solo nelle trappe, nelle certose e nei Carmeli, si im­pone la necessità di vivere in contemplazione.
"Una sola cosa è necessaria" aveva detto Gesù, riferendosi alla scelta contemplativa di Maria. Se dunque la contemplazione è ciò che fa guardare alla sola cosa necessaria, è davvero la ricerca dell'essenziale. L'atto essenziale, cioè l'indole, della vocazione cristiana, non può essere che l'indole della Chiesa stessa; ora, questa è definita, al cap. VII della "Lumen Gentium", escatologica, che vuol dire contemplativa. Come in­fatti la Chiesa è il popolo di Dio pellegrino attraverso il tempo, ma con lo sguardo sospinto oltre il tempo, simile alla sentinella del salmo che veglia nella notte "fiso guardando pur che l'alba nasca", così ogni cristiano; per il Battesimo è stato operato in lui un meraviglioso innesto, per cui è di continuo sollecitato verso una mirabile evoluzione: un inne­sto di Vita Eterna per una evoluzione verso un modo di essere divino ed eterno. Ma il divino istinto che dirige tale evoluzione non è che lo sguardo contemplativo.
La contemplazione cristiana consiste anzitutto nel credere nell'amore di Dio. Non quindi in singolari esercizi di alta speculazione, né propriamente in singolari esperienze mistiche (di questa contemplazione passiva San Giovanni della Croce dice che "Dio non eleva alla con­templazione tutti quelli che si esercitano di proposito nelle vie dello spirito, anzi neppure la metà e Lui solo ne sa la causa". (Notte Oscura I, c.90, 9), ma in un normale esercizio della fede, la quale non può re­stare una oziosa considerazione ma tende a divenire, attraverso la spe­ranza, una cosa sola con la carità, cioè fede nell'amore.
Perciò la contemplazione dovrà poi vivificare tutti i minimi dettagli della nostra vita quotidiana.. Potrà essa, e dovrà avere i suoi tempi forti, ma chiuderla in essi vorrebbe dire vanificarla. Non è infatti una specie di occhiale che ci si può mettere all'occorrenza, ma un occhio sempre aperto e vigile, cioè un modo di essere che viene dal nostro intimo, ci prende in tutti i momenti e gli atti della vita, trasformandola in vita di fede e di amore.
Perciò, alla fine, la contemplazione è il luogo dove convergono i più vasti orizzonti e dove si entra in comunione con gli affanni e le necessità missionarie della Chiesa. Infatti la contemplazione di Dio Creatore e Redentore si risolve presto nella contemplazione del mondo come realtà creata e redenta, oggetto continuo di creazione e redenzione; in particolare la contemplazione di Dio Padre diventa presto contem­plazione degli uomini fratelli, rivelazione del loro mistero e quindi co­municazione intima con loro in pienezza di carità. Siccome poi tutta la natura è in misterioso atteggiamento contemplativo perché "soggetta alla vanità, vive in attesa della rivelazione dei figli di Dio, ne conse­gue che solo il contemplativo è in grado di capire il mondo e, pur non essendo del mondo, è tuttavia nel mondo per orientano verso quei traguardi per cui è fatto.

SILLABARI : Sobrietà





"In una società spesso ebbra di consumo e di piacere, di abbondanza e lusso, di apparenza e narcisismo - ha dettoPapa Francesco nella omelia della S.Messa di Natale  -, Lui ci chiama a un comportamento sobrio, cioè semplice, equilibrato, lineare, capace di cogliere e vivere l'essenziale". In un mondo "che troppe volte è duro con il peccatore e molle con il peccato, c'è bisogno di coltivare un forte senso della giustizia, del ricercare e mettere in pratica la volontà di Dio". "Dentro una cultura dell'indifferenza, che finisce non di rado per essere spietata - ha esortato -, il nostro stile di vita sia invece colmo di pietà, di empatia, di compassione, di misericordia, attinte ogni giorno dal pozzo della preghiera".
Ma già la Centesimus Annus, 36  aveva detto : “È necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l’educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, E necessario adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del bello, del vero e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti (...). La scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una. scelta morale e culturale”
In realtà   “Sobrio" è il contrario di “Ebrius” . Cioè, il suo significato etimologico originale è negativo (“s” privativa!), come la parola "Sleale", o la parola "Scontento". Ebrius vuol dire ebbro, inzuppato, inebriato, esaltato, ubriaco, avvinazzato, agitato, su di giri, fuori le righe, s-regolato, fuori controllo, s-misurato. La nostra è una società ebbra di consumi, di piaceri, di cose materiali, è una società dell'abbondanza, dell’apparenza, del narcisismo che i sociologi definiscono anche affluente, edonista, opulenta ecc.
 Sobrio, invece, è chi vive in modo in-nocente (che non nuoce), cioè equilibrato, misurato, entro i limiti. Per questo la sobrietà è uno stile di vita "sostenibile", ossia capace di futuro. È il passaggio dal modello di vita del cow-boy (che nel Far West deve continuamente “predare”) al modello di vita dell'astronauta (che deve invece essenzializzare tutte le risorse per affrontare il viaggio di andata e ritorno). Ecco perché “È sostenibile solo uno stile di vita più democratico. Può avere forme diversificate. Non livellante, poiché anche con una certa spesa in beni si può vivere con un proprio stile originale. Ma è fraterno, perché nessuno si arricchisce alle spalle degli altri. Ed è libero dalla dipendenza dai beni materiali, perché non si ha mai/a sensazione pressante, che il proprio valore dipenda da essi e che non si deve spendere sempre di più solo perché ci sono persone che hanno d più” (Schernhom G., Che cosa è uno stile di vita capace di futuro, (sostenibile)?, in Volontari e terzo mondo, n. 4, 1999, 66-67).
 Lo stile di vita improntato alla sobrietà restituisce all’uomo “quell’atteggiamento disinteressato, gratuito, estetico che nasce dallo stupore per l’essere e per la bellezza, il quale fa leggere nelle cose visibili il messaggio del Dio invisibile che le ha create” (Centesimus Annus, 37).
Scrive   Antonio Nanni in  http://www.vicariatusurbis.org/SettoreOvest/caritasovest/Nanni.htmPrudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Così una volta si imparava dal catechismo. Poi è venuto il tempo dell’oblio e anche per le virtù “cardinali’ è diventato difficile sopravvivere. Noi siamo convinti che oggi sia possibile rilanciare la “temperanza’ nella forma aggiornata della sobrietà e in questo senso essa potrebbe diventare un banco di prova per tutta la comunità cristiana.
 La temperanza “è la virtù morale che modera l’attrattiva dei piaceri e rende capaci di equilibrio nell‘uso dei beni del creato" recita il Catechismo. La temperanza, con il suo richiamo alla moderazione e alla sobrietà, costituisce una sorta di scudo protettivo di fronte alle tentazioni della ricchezza ottenuta con ogni mezzo e suggerisce il giusto distacco dai beni materiali, mezzi di investimento per lo sviluppo e non già fine in sé.
 La temperanza è la virtù dell‘equilibrio e del senso della misura, della capacità di resistere, rinunciare, di "mescolare" (l’acqua con il vino, ad esempio), e perfino di “tagliare’, di affinare (si pensi al temperino). Chi agisce nella temperanza non è smodato, eccessivo, ingordo, s-regolato, ma è persona semplice ed essenziale in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare, ricominciare.
 La sobrietà è, in questo senso, la virtù del futuro, il nuovo nome della temperanza; è un bene relazionale, una qualità della relazione: con se stessi (identità/sobrietà); con gli altri (alterità/sobrietà); con le cose (consumo/estetica della sobrietà). Ma non possiamo dimenticare che la sobrietà esprime anche il modo di vivere e di vedere il mondo con lo sguardo dei poveri e proprio per questo è una scelta economica e politica.
 AA.VV. Nuovi stili di vita nel tempo della globalizzazione, Fond. Apostolicam Actuositatem, Roma 2002
 AA.VV., Abitare il limite, Atti del 370 Convegno di CEM Mondialità (dicembre 1998)
 AA.VV., Dacci oggi il nostro pane, EMI, Bologna 2002
 ACLI (a cura), Umanizzare 1 ‘economia, La sfida della globalizzazione, Monti, Saronno (VA), 2000
 AA.VV., Invito alla sobrietà felice, EMI, Bologna 2000
 BAKER C., Ozio, lentezza e nostalgia, EMI, Bologna 2000
 BATTISTELLA G., I nuovi stili di vita, EMI, Bologna 1996
 BECK U., Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma 2000
 H. DALY-G. COBB, Un economia per il bene comune, RED, Como 1994
 FABRIS R., La scelta dei poveri nella Bibbia, Borla, Roma 1989
 J.L. LA VILLE, L ‘economia solidale, Bollati Boringhieri, Torino 1998
 LEVI A., Il sapore della sobrietà, Servitium, Sotto il Monte (BG), 1998
 G. MARTIRANI, La civiltà della tenerezza. Nuovi stili di vita per il terzo millennio, Paolinei, Milano 1997
 A. NANNI, Economia leggera, EMI, Bologna 1997
 NICORA A.,       La virtù cristiana della sobrietà, Lettera pastorale, Diocesi di Verona, Queriniana, Brescia 1996
 PETRELLA R., Il bene comune. Elogio della solidarietà, Diabasis, Reggio Emilia 1997
 PIPER J., La temperanza, Morcelliana, Brescia - Milano 2001
 VALER A., Bilanci di giustizia, Famiglie in rete per consumi leggeri, EMI, Bologna 1999
 VOLP[B;; MELONI F., (a cura di), Vivere con la porta aperta; Edb, Bol6~a 1997
 WUPPERTAL INSTITUT,                Futuro sostenibile. Riconversione ecologica, Nord-Sud, Nuovi stili di vita, EMI, Bologna 1999 (III ed.)
In particolare per saperne di più su sobrietà leggere  il testo pubblicato da il  Centro nuovo modello di sviluppo  che è un centro di documentazione che si occupa di squilibri sociali e ambientali a livello internazionale, con l’obiettivo di indicare le iniziative concrete che ciascuno può assumere, a partire dalla propria quotidianità, per opporsi ai meccanismi che generano ingiustizia e malsviluppo. Una sezione del Centro svolge attività di ricerca sul comportamento sociale ed ambientale delle imprese con l’obiettivo di fornire informazioni ai consumatori tramite guide cartacee e siti internet. Particolarmente sviluppata anche la riflessione su temi come la decrescita e l’economia stazionaria. Feltrinelli ha pubblicato due titoli legati al lavoro di questo istituto, entrambi scritti da Francesco Gesualdi: Sobrietà (2005; UE 2010) e Le catene del debito (2013).
Di che parla Sobrietà  .Parla dei cambiamenti del clima, le guerre per il petrolio, la scarsità d'acqua, ci ricordano che stiamo consumando e producendo oltre la capacità del pianeta. Eppure metà della popolazione mondiale non ha ancora assaporato il gusto della dignità umana: non mangia a sufficienza, non va a scuola, non si cura. Il collasso ambientale procede di pari passo con quello sociale. L'unico modo per fermarli entrambi è che il Nord opulento accetti di ridurre e rallentare. Ma non è facile. Se abbandoniamo l'economia della crescita come garantiremo lavoro, scuola, sanità e sicurezza sociale per tutti? Questo libro indica delle vie per coniugare sobrietà, piena occupazione e benessere sociale. La vera sfida del XXI secolo.
Chi è Francesco Gesualdi? .Già allievo di don Milani, è fondatore e coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa), che si propone di ricercare nuove formule economiche capaci di garantire a tutti la soddisfazione dei bisogni fondamentali. Coordinatore di numerose campagne di pressione, è tra i fondatori insieme ad Alex Zanotelli di Rete Lilliput. Fra le opere più significative del Centro e di Gesualdi si possono citare Lettera ad un consumatore del Nord (Emi, 1994), Manuale per un consumo responsabile (Feltrinelli, 1999), Guida al consumo critico (Emi, 2003), Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti per tutti (Feltrinelli, 2005), Il mercante d’acqua (Feltrinelli, 2007), L’altra via. Dalla crescita al benvivere, programma per un’economia della sazietà (Terre di Mezzo, 2009), I mercanti della notizia. Guida al controllo dell’informazione in Italia (Dissensi, 2011), Le catene del debito (Feltrinelli, 2013) e, nella collana digitale Zoom, L’economia del bene comune (Feltrinelli, 2013).

Eremo Rocca Santo Stefano venerdì 25 dicembre 2015



martedì 22 dicembre 2015

Giorgione : Natività




8C'erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all'aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l'angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama»....
15Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l'un l'altro: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». 16Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. 17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

(Lc 2,8-20 Traduzione CEI 2008)
"Natività Allendale", o "Adorazione Beaumont", o "L'adorazione dei pastori", è un dipinto autografo del Giorgione, realizzato con tecnica ad olio  su tavola, presumibilmente intorno al 1505, misura 89 x 111,5 cm. ed è custodito nella National Gallery di Washington.
L'opera si può dividere in due parti: a destra la grotta scura della natività, dove si trova la Sacra Famiglia raccolta e verso la quale si affacciano i due pastori; a sinistra si trova un ampio paesaggio, con qualche piccolo episodio di quotidianità. Qualche cherubino appare in alto, vicino al soffitto della grotta.
La luce diventa ora incidente, sulle vesti luccicanti, in special modo quella di Giuseppe, ora tenue e soffusa. Tipicamente giorgionesca è la predominanza del colore, che determina il volume delle figure, steso in strati sovrapposti senza il confine netto dato dal contorno, che tendono così a fondere soggetti e paesaggio: si tratta degli effetti atmosferici del tonalismo che ebbe proprio nel maestro di Castelfranco uno dei fondamentali interpreti.
L'opera era nelle collezioni del cardinale Fesch a Roma, che vennero messe all'asta nel 1845. La tavola di Giorgione finì a Parigi e poi in Inghilterra, dove entrò nelle collezioni dei baroni di Allendale a Bretton Hall, nello Yorkshire. Nel 1937 fu di nuovo messa in vendita e, acquistata dai Duveen Brothers, fu comprata da Samuel H. Kress, che nel 1939 ne fece dono alla nascente galleria nazionale americana.
I personaggi della tradizione evangelica sono raffigurati all'esterno (qui, dinnanzi ad una grotta naturale) in una paesaggistica prettamente "veneta", dove non mancano armoniosi effetti luministici del tipo crepuscolare. Alcune piccole figure si intravedono nel fondo, come quella assisa dinnanzi alla grande entrata di un edificio con un caratteristico tetto, o quella di un fanciullo che si diverte aggrappandosi al tronco dell'albero ubicato al centro, alle spalle del pastore in piedi.
La critica ufficiale moderna tende ad identificare l'opera in esame nella "Notte" ("Nocte" di casa Beccare), citata da T. Albano in una missiva, del 7 novembre 1510, inviata ad Isabella Gonzaga, nella quale rispondeva alle richieste della marchesa circa la "Nocte" di un pittore morto da poco tempo, confermandone la morte (vedi sotto). Sembrerebbe, invece, che quell'opera sia appartenuta a Giovanni Grimani (il documento – ibid – indica anche che nel 1563 l'opera fu stimata 10 ducati da Paris Bordone), e che poi passò alle raccolte di Giacomo II d'Inghilterra (1633-1701). Cosa certa è che agli inizi dell'Ottocento la tavola si trovava a Roma presso il cardinale Fesch (Antoine Ricard, arcivescovo di Lione, 1763-1839), che lo vendette (1845) come opera autografa di Giorgione. Più tardi passò nella collezione Beaumont a Londra, poi nella raccolta del visconte Allendale (dal quale prese il titolo). Infine fu venduto a Duveen, il quale lo passò a S. H. Kress; questi lo fece pervenire, in donazione, alla National Gallery di Washington. L'attribuzione al Giorgione, che in seguito si trasformò in autografia, ha sempre trovato l'accordo quasi universale fra gli studiosi. Le opere della serie Allendale si evidenziano per la morbidezza della stesura coloristica, riferita soprattutto a nuovissime valenze atmosferiche, perseguita con armoniosi effetti di luce-ombra che non hanno certamente bisogno della definizione del tratto. Ma è soprattutto la freschezza compositiva a caratterizzare queste meravigliose opere.
La lettera della marchesa Isabella d'Este, inviata a Taddeo Albano il 25 ottobre 1510:
"Sp. Amice noster Charissime:
"Intendemo che in le cose et heredità de Zorzo da Castel-francho picìore se ritrova una pictura de una nocte, molto bella et singolare: quando cossi fusse, desideraressimo riaverla, però vi pregamo che voliati essere cum Lorenzo da Pavia et qualche altro che habbi judicio et designo, et vedere se l'è cosa exellente, et trovando de si operiati il megio; del m.co m. Carlo Valerio, nostro compatre charissimo, et de chi altro vi parerà per apostar questa pictura per noi, intendendo il pre-cio et dandone aviso. Et quanto vi paresse de concludere il mercato, essendo cosa bona, per dubio fion fusse levata da altri, fati quel che ve parerà: che ne rendemo certe fareti cum ogni avantagio e fede et cum bona consulta ...     "Mantue XXV oct. MDX" (A. Luzio, "Archivio storico dell'arte" 1888)
La lettera con la risposta di Taddeo Albano, inviata alla marchesa Isabella d'Este il 7 novembre 1510:
"Ill.ma et Exc.ma M.a mia obser.ma.
'Ho inteso quanto mi scrive la Ex. V. per una sua de XXV del passetto, facendome intender haver inteso ritrovarsi in le cosse et eredità del q. Zorzo de Castelfrancho una pictura de una notte, molto bella et singulare; che essendo cossi si deba veder de haverla. A che rispondo a V. Ex. che ditto Zorzo morì più di fanno da peste, et per voler servir quella ho parlato curo alcuni miei amizi, che riavevano grandissima praticha curn lui, quali mi affirmano non esser in ditta heredità tal pictura. Ben è vero che ditto Zorzo ne feze una a m. Thadeo Contarini, qual per la informatione ho autta non è molto perfecta sichondo vorebe quella. Un'altra pictura de la nocte feze ditto Zorzo a uno Victorio Becharo, qual per quanto intendo è de meglior desegnio et meglio finita che non è quella del Contarini. Ma esso Becharo al presente non si atrova in questa terra, et sichondo m'è stato afirmatto ne l'una ne l'altra non sono da vendere per pretio nesuno, però che li hanno fatte fare per volerle godere per loro: si che mi doglio non poter satisfar al dexiderio de quella ...     "Veneliis VII novembris 1510" (A. Luzio, "Archivio storico dell'arte" 1888).
La Natività Allendale si differenzia da tante altre, dal tema della natività di Gesù rinascimentali fino ai giorni nostri, essa si svincola dal mondo fenomenico per innalzarsi verso una vetta, al pari delle icone. Giorgione affronta appunto la rappresentazione liturgica dell'evento messianico con un' arte che non solo è “forma della forza estetica”, ma anche “capacità di liturgia” - nell'accezione greca del termine “leitos ergon”, ossia “azione del popolo” (che crede), oggi sostenuta per l'arte sacra.
Fonte
http://www.frammentiarte.it/dal%20Gotico/Giorgione%20opere/13%20nativit%C3%A0%20allendale.htm

Eremo Rocca Santo tefano martedì 22 dicembre 2015