domenica 28 aprile 2013

BIBLIOFOLLIA : LIBRI LIBERI




 BIBLIOFOLLIA   :   LIBRI LIBERI

Da una città.it
Anna Hilbe vive a Bologna, dove gestisce la libreria "Libri liberi”.

Da qualche mese hai aperto una libreria "non commerciale”. Puoi raccontare?
Tutto è nato leggendo un articolo che parlava di due librerie, una a Baltimora e una a Madrid, in cui appunto i libri non si comprano e non si vendono. Mi è sembrata un’ottima idea. The Book Thing di Baltimora è stata aperta una decina di anni fa, quella di Madrid qualche mese fa per iniziativa di un collettivo che, se ho capito bene, fa varie iniziative di invito alla lettura, alfabetizzazione, eccetera.
A Baltimora, il librario aveva cominciato a vendere i libri a 25 cents e poi aveva deciso di passare allo scambio, vedendosi costretto ad affittare un posto più grande... oggi contiene centocinquantamila volumi. Entrambe funzionano come quella che adesso ho aperto io: le persone che hanno dei libri che non usano più li portano; le persone che desiderano prendere e leggere dei libri, li prendono. Lo scambio non è obbligatorio, nel senso che uno può solo prendere o solo portare o quello che crede.
Qualche giorno dopo aver visto questo articolo -in realtà non avevo pensato a niente, se non che mi sembrava un’esperienza interessante- sono passata davanti a questa piccola bottega che stavano mettendo a posto e ho chiesto quanto fosse l’affitto, scoprendo che era modesto, una somma che potevo permettermi e così ho cominciato.
Come funziona in concreto?
Quando le persone portano i libri, io metto un timbro con il nome della libreria e la frase "questo libro non si compra e non si vende”. Prima di aprire mi sono informata se dovessi adempiere a delle cose burocratiche o amministrative, ma tutti gli assessorati che ho consultato mi hanno detto che loro un’esperienza così non la conoscevano, quindi non avevano niente da dirmi, se non che probabilmente serviva un registratore di cassa, al che gli ho risposto: "Il problema non si pone perché il denaro non circola”.
L’altro vincolo è che non dovevo avere un tavolo con delle sedie perché sennò sarebbe diventata una sala di lettura e questo evidentemente avrebbe comportato altre cose.
L’idea ti è venuta vedendo questo posto...
Sì, è stato proprio vedendo questo posto, piccolino e però con una bella vetrina, in più vicino a casa mia, per cui anche comodo... Così, nel giro veramente di poche ore, sono partita. È stato buffo. Poi una persona a me cara mi ha regalato delle librerie e due tavoli. Ci ho subito portato i libri miei e di mio marito, che è americano, quindi tutti libri in inglese, poi ho chiesto agli amici più stretti. Quando ho aperto, la libreria in realtà era abbastanza vuota.
Dicevi che immaginavi una cosa molto tranquilla e invece...
Mi ero immaginata che io venivo qui e poi, ogni tanto, entrava qualcuno, cercava dei libri... E invece la cosa è molto piaciuta. Vengono principalmente persone che vivono nel quartiere, anziani, ma anche giovani coppie, quelle più avanti in età poi mi raccontano... devono avere delle biblioteche molto belle, spesso si tratta di persone colte. Ma vengono anche persone che forse non hanno mai letto molto in vita loro e però trovare una libreria comoda, e anche gratuita, insomma, è una cosa che apprezzano: uscendo a far la spesa passano di qua e prendono qualche libro. Poi ci sono quelli che mi mandano i figli, che, a loro volta, vengono con i bambini. Ci sono anche molti studenti perché qui vicino ci sono due o tre sedi universitarie.
Devo dire che arrivano sempre persone gradevoli, con le quali io, come dire, mi trovo bene, nel senso che capisco che i libri, per loro, sono una cosa importante. Gli studenti di solito sono molto interessati alla narrativa, ai fumetti, se fanno il Dams, e poi al cinema, alla filosofia... poi sai, dipende da quello che ho qui...
Non è necessario che chi prende un libro ne porti un altro...
La cosa è molto particolare. Moltissime persone, giovani e vecchi, ma principalmente direi i giovani, hanno una sorta, non so come chiamarlo, di rispetto: non prendono se non portano. Una delle prime sere che avevo aperto, un ragazzo molto carino è arrivato tutto meravigliato: "Ah, ma questo libro è bellissimo”. Gli dico: "Prendilo!”. "No, no, no, assolutamente, prima vado a casa a prendere il mio libro”.
Oppure un amico mi aveva portato un libro che per lui era stato un grande dono, cosa che ho apprezzato molto, e uno studente di filosofia che lo desiderava m’ha detto: "Ma chissà cosa devo portare per prenderlo!”, "Guardi, non deve portare niente”, "No, non m’azzardo. Adesso vado a casa e guardo cos’ho...”. È anche un modo di dar valore alle cose. C’è molto questa cosa...
Ci sono poi già delle persone che sono diventate dei portatori abituali e allora hanno meno questo problema di prendere se non portano.
Com’è organizzata la libreria?
Come vedi, comincia con vocabolari e grammatiche. Siccome in questa zona ci sono molti lavoratori stranieri, pensavo che potesse essere interessante avere questi strumenti. Poi c’è la narrativa, i libri di viaggio, biografie e autobiografie, poesia... diciamo le categorie classiche. E ovviamente la saggistica. Diciamo che è un po’ una libreria "in progress”, in movimento. Per dire, un giorno una ragazza, una fotografa mi ha portato dei libri molto belli di fotografia, io non avevo un settore di fotografia, ora ce l’ho! Così come ci può essere un settore di storia o di politica o di diritti degli animali; la libreria vive un po’ su quello che le persone mi portano. Ora c’è un sovrappiù di libri gialli, ma, d’altra parte, se uno entra in una libreria cosiddetta "normale” ormai i libri gialli sembrano la maggior produzione mondiale.
Personalmente, io ci tenevo molto ad avere una sezione di libri in lingue straniere. Per il momento ho libri in francese, inglese, tedesco, spagnolo, però vorrei avere dei libri anche di altre lingue non europee. Una ragazza pachistana mi ha portato dei bellissimi libri di poesie scritti in urdu, anche dei testi molto belli su carta preziosissima... Infatti, poi, qualcuno li ha presi, non so se sapesse leggere quella lingua, ma i libri erano proprio belli.
Quando viene qualcuno, tu cosa fai?
In realtà non ho moltissimo da fare, se non del lavoro di facchinaggio. Ovviamente mi interessa farmi almeno un quadro dei libri che entrano, anche perché così, se qualcuno mi chiede qualcosa, insomma, qualche idea ce l’ho. Comunque, di fatto, non è un lavoro impegnativo.
Anche perché chi entra può sfilare il libro dalla libreria senza passarlo a me. In realtà però c’è sempre uno scambio.
Avendo aperto solo due mesi fa, molte persone vengono per vedere, per capire... È diventato un posto di quartiere, ma ora la voce si è diffusa e vengono anche persone da altre zone, casomai solo per curiosità. Fuori c’è una cartolina che spiega cos’è la libreria, poi è uscito un articolo su un giornale, però, in genere spiego. Devo dire che io poi sono molto curiosa di vedere cosa prende la gente, alle volte lo chiedo. Poi ci sono quelli che si arrangiano: "Le lascio questo e prendo questo”. Ci sono già gli abituali. Una decina di persone viene ogni settimana, anche più spesso e questo è piacevole.
Non ti aspettavi un tale afflusso di gente...
Assolutamente no, è stato sorprendente. Non dico una cosa eccezionale, però, insomma, io raramente mi trovo sola in libreria. C’è sempre qualcuno. Quando poi mi trovo da sola, essendo un tipo ordinato, anche troppo, metto in ordine, dopodiché, come mi è capitato, arriva uno con un saccone e devi ricominciare... Comunque vedo che molte persone hanno anche voglia di parlare. Qui ci sono parecchi studenti fuori sede e molti dal sud; a loro questa cosa piace molto, per vari motivi. Prima di Natale, alcuni di loro sono venuti e hanno preso i regali per i familiari da riportare al Sud, è stato bello.
Il fatto che manchino un tavolo e delle sedie non impedisce la convivialità...
Guarda, la libreria di Baltimora, almeno dalle foto, è uno di quei posti che ho visto quando vivevo negli Stati Uniti, queste enormi librerie, neanche particolarmente belle o eleganti, anzi, tutt’altro, con queste grandissime scansie. Addirittura fuori c’è un cassonetto dove la gente butta i libri, quando la libreria è chiusa. La libreria di Madrid ha anche un divano. Qui da me si in effetti si può stare solo in piedi, anche perché è talmente piccolo... Però ho notato che le persone, quando sono qui, forse proprio perché il posto è piccolo, per cui inevitabilmente si sente quello che le persone stanno dicendo, a partire dai libri, cominciano a parlare fra di loro. Questo a prescindere da me. Cioè, la gente si ferma qui e spesso da un libro parte un’osservazione generale e si comincia a chiacchierare; quando questo avviene è gradevole... Anche ieri sera è venuta una mia amica, parlavamo di un film con Robert Redford appena uscito e c’erano altre due persone, una l’aveva visto e una no e allora abbiamo preso il Mereghetti per capire quanti anni avevano gli attori e in quali film erano stati...
Che orari fai?
La libreria è chiusa due giorni, al lunedì e al giovedì, gli altri giorni è aperta dalle dieci e mezza alle undici e mezza e dalle quattro alle sette. Poi è aperta la domenica pomeriggio.
Sì, in effetti, mi sono presa un bell’impegno. D’altra parte non ho mai pensato troppo prima di cominciare le cose...
Tu sei stata tra le fondatrici della libreria delle donne qui a Bologna.
Sì, eravamo io, Enrica Casanova e altre tre, quattro amiche. La libreria delle donne durò oltre quindici anni, dal ‘77 al ‘94. Adesso è stata aperta in un altro luogo, da un altro gruppo di donne. Però questa è un’esperienza completamente diversa.
Qualcuno si è proposto di aiutarti...
Diverse persone, donne ma non solo, mi hanno chiesto se possono venire, offrendosi in caso di bisogno.
Ora ho saputo, sempre attraverso una frequentatrice della libreria, che una donna, a Licata, in Sicilia, ha aperto una cosa simile appoggiandosi ad un gruppo di giovani che hanno un circolo e ci siamo messe in contatto. Non solo, due o tre, sempre donne, di altre città, mi hanno chiesto informazioni, vorrebbero ripetere la stessa esperienza. Bello, no?
Poi, sai, ogni volta le cose possono assumere forme diverse. Adesso, ho deciso, potendolo fare, di pagare io questo affitto, che è modesto.
In altre situazioni, uno lo può fare a casa propria o chiedere un finanziamento al Comune o a qualche assessorato. Molte persone mi chiedono come sta in piedi questa cosa e io tranquillamente spiego che non sono finanziata, che le spese sono a carico mio. In realtà, quello che mi preoccupa di più è l’Enel, perché qui non c’è il riscaldamento e quindi ho dovuto mettere due stufe. Comunque, potendo, ho preferito non chiedere niente a nessuno perché, insomma, volevo essere indipendente, sufficientemente autonoma.
Hai anche degli utenti inattesi...
Vengono qui delle persone che lavorano in ripari notturni, in questi posti d’accoglienza. È uno dei motivi per cui vorrei avere più libri in lingue non europee. In genere mi chiedono dei libri non impegnativi, magari dei fumetti. Ho scoperto che questo scambio di libri, per quanto in modo un po’ più informale, avviene anche in altri posti. Per esempio, è venuta qui la signora che segue la biblioteca per i bambini ricoverati. È stato curioso perché mi ha detto che per bambini ne avevano già molti e però le servivano dei libri per i genitori che assistono i figli. La cosa si sta diffondendo. Si è presentato un signore: "Sa, il mio dentista m’ha detto: invece di quelle brutte riviste, pensavo di mettere dei libri per i miei pazienti che aspettano”, figurati, gli ho detto: "Glieli porto io, glieli porto io!”.
Adesso poi si vedrà se è solo la novità che desta interesse o se la cosa continua...
Per ora, le scansie che hai ti sono sufficienti?
Sì, facendo i miracoli... Avrei l’altezza, ma so per esperienza che la gente in alto non ci guarda mai. Il libraio di Baltimora ha un sito divertente dove si vedono i libri più buffi che gli sono arrivati. Allora c’è la copertina di un libro intitolato Come operarmi al cervello da solo, oppure Come evitare le navi grandi se sei in moscone, cose così. È un tipo molto simpatico. Ho pensato che anche a me piacerebbe fare una specie di vetrinetta dei libri che vorrei tenere. Per esempio ho una rivista americana degli anni Settanta, è delle Pantere Nere, ci sono articoli, poesie... e poi ho un "Cahier du cinema”, mi hanno spiegato che è molto importante, perché è un numero unico uscito nel ’71, con Malcolm X...
(a cura di Gianni Saporetti)

Eremo Rocca S. Stefano domenica 28 aprile 2013

domenica 21 aprile 2013

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : Vittorio Monaco


VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI  : Vittorio Monaco

ScriveAntonio di Fonso su  ILTEMPO del 19.4.2013 “La poesia di Vittorio Monaco, studioso e ricercatore dicultura popolare, torna a parlarci in una raccolta inedita uscita proprio inquesti giorni,  che l’autore aveva scritto alla fine degli anni settanta eche sarà presentata domani a Sulmona nella sede della Comunità Montana dipalazzo Sardi, alle ore 17,30. Il titolo della silloge è evocativo e ci riportaa un periodo della storia recente – gli inizi degli anni 80 – denso diavvenimenti che hanno segnato le vicende pubbliche e la cronaca politicadell’Italia di  quei giorni. Un contesto di febbrile e intenso vissutocivile che seppure fondamentale per capire i versi di Monaco ne rappresentaperò soltanto lo sfondo, la cornice entro cui si colloca il racconto lirico dellibro che privilegia riflessioni e momenti più privati, che si svolgono appuntoai margini  perché “ I secoli sono una finzione” o “il Tempo cancella lesue tracce”. Accanto alla storia pubblica,  Monaco percorre i sentieri piùlaterali delle passioni civili che hanno comunquecontraddistinto la sua esperienza di intellettuale  e ritrova nei paesaggie nei cieli della sua Pettorano occasioni  di incanto mitico e bilanciesistenziali: nelle rondini che “spiccano il volo flottando nella luce” o nellaluce estiva dove “Le chiome dei castagni l’afa ingombra. / /Cuoce l’estate alsole”.  Le riflessioni e il bilancio dei quarant’anni – l’età che l’autoreaveva quando scrisse la maggior parte delle poesie di questa raccolta – lovedono inoltre attento a descrivere le ragioni di un impegno politico che perla prima volta fa i conti con la disillusione in cui “sono spenti i fuochi/ checredevamo eterni”, attraverso la nuova consapevolezza che “ Progetti, affetti,pensieri…” forse “tramontano nella storia, / si perdono nella memoria”. E  alla fine della storia, dove termina la strada, lungo i margini di queisentieri  battuti da Monaco si coglie l’occasione per un congedo  aquel mondo contadino sempre presente nella sua poesia, a cui si rivolgenell’Epilogo: “per ciò che fu splendido ieri/ ed oggi è muto”.
Nella presentazione  avvenuta a Sulmona nelle sale di  Palazzo Sari, Ottaviano Giannangeli ha dettoche  Vittorio Monaco,  alla fine i conti con l’al di là li ha fatti.


Il Tempo

Cancella il tempo le suetracce,
senza fretta – scava lenostre facce.
Come un ladro esperto cinasconde
gli indizi del passaggio,confonde
le piste. I cani-poliziottodel cuore
scavano inutilmentenell’afrore
spento dei rifiuti, tra lemiserie
degli sparsi mucchietti dimacerie.
E un coccio di vetro, se tispecchia,
ti deforma: tra le tue maniinvecchi!

Il vento della vita
Il vento della vita i giornisfoglia,
li ammucchia in vane storie,li disperde.
Basta un inverno: l’albero sispoglia,
né più lo illude a primaverail verde.

Eremo Rocca S.Stefano domenica  21 aprile 2013

sabato 20 aprile 2013

SILLABARI :Metamorfosi



SILLABARI  :Metamorfosi


La mutazione è pronta. Anzi è già in atto la mutazione deltradizionale protagonista della nostra democrazia : il partito politico. Come l’impresaha trasformato la la sua struttura dopo la crisi  del fordismo, così i partiti stanno cambiandonatura dentro una clamorosa crisi di fiducia.
La geografia solida che aveva caratterizzato la lunga fasenovecentesca della democrazia dei partiti si è a poco a poco decomposta nellalunga parentesi ( in Italia ) della seconda repubblica, nel falso bipolarismo e nella sua velenosa personalizzazione( sempre più attuale)..
Il grande partito di massa novecentesco  ha improntato per quasi un secolo la formaideale  della organizzazionepolitica  e della democraziarappresentativa..Plasmatosi sulle grandi burocrazie pubbliche ad immagine diuno Stato nazionale di cui si candidava a costituire il cuore. Un partito che si appoggiava sulla struttura dei grandi sistemi produttivi nati aridosso della seconda rivoluzione industriale. Fabbrica del consenso e della legittimazione i partiti hanno assunto lastessa logica e lo stesso funzionamento delle grandi fabbriche di prodotti e di servizi : centralizzate,burocratizzate, meccanizzate, standardizzate. Ci si avvia dunque al finale :una lunga metamorfosi in parte già compiuta. Il vecchio non c’è più , il nuovonon avanza ancora.
(Libera elaborazione del saggio di  Marco Revelli Finale di Partito  ,Einaudi 2012 )

Eremo Rocca S. Stefano, sabato  20 aprile 2013



venerdì 19 aprile 2013

ET TERRA MOTA EST : L’Aquilastagnazione Italia



ET TERRA MOTA  EST  :  L’Aquilastagnazione Italia

"L'Aquila è il simbolo estremo della grande stagnazionedell'Italia".
Così il Financial Times che dedica una intera pagina alle sortidella città e al blocco della ricostruzione post terremoto.
Il quotidiano finanziario scrive di "una città distrutta e abbandonatache incarna la disperazione di una nazione paralizzata dalla politica e daltorpore economico" e che è simbolo di una "crisi di leadershippolitica ed economica di cui la classe politica ne è l'espressione".
Il Financial times racconta L'Aquila partendo dalla storia di AldoDi Bitonto, 83 anni, che nei giorni del quarto anniversario del sisma,fa una breve visita alla sua casa distrutta.
Il principale giornale economico-finanziario del Regno Unito non è il primoa dedicare ampi approfondimenti alla situazione post sisma del capoluogoabruzzese.
Lo scorso dicembre sul New York Times il critico ed esperto diarchitettura Michael Kimmelman definì L'Aquila un"esempio da non seguire" per la città americana da poco devastatadall'uragano Sandy.

Così infatti,a questo proposito riferiva .abruzzoweb.it/
"L'Aquila è lontana da Staten Island o Rockaways, le aree dello Statodi New York più colpite dall'uragano Sandy, ma le difficoltà del capoluogoabruzzese dopo il devastante terremoto dell'aprile 2009 possono essere unmonito per New York nella ricostruzione delle zone danneggiate dal passaggiodella recente calamità naturale".
A sostenerlo è Michael Kimmelman, giornalista e massimoesperto d'arte del New York Times, che ha visitato varie volteL'Aquila dopo il sisma.
Kimmelman ricorda la costruzione delle "new towns" lanciatedall'allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e i"tristi, isolati, minuscoli e costosi appartamenti di cui lo stessoBerlusconi si vantò di avere ordinato per gli abitanti della città",rimasti senza un tetto dopo il sisma e collocati "nella periferia dellacittà, tagliati fuori dai trasporti di massa e dalla vita civile".
Ma il centro storico dell'Aquila è rimasto deserto, un cumulo di rovine oggettodi "turismo pornografico".
La morale, secondo il giornalista, è che sarebbe meglio ricostruire in mododiverso: le case antisismiche in legno costerebbero meno e L'Aquilaricomincerebbe a vivere, anche senza gli edifici in pietra della sua tradizione.
E questa è la lezione che anche New York dovrebbe apprendere: "Perdiversi motivi L'Aquila è diversa da New York - scrive il quotidiano americano- ma i suoi ultimi anni suggeriscono che un disastro non distrugge solo case evite. È un test per l'immaginazione e la capacità di cambiare di una città e diuna nazione".
"Un segno positivo è arrivato a ottobre - continua Kimmelman - quandoil presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è arrivatonella città abruzzese per l'apertura del nuovo auditorium progettato da RenzoPiano", promosso come "una delle poche iniziative urbaneintraprese" nella città dopo il sisma.
In quell'occasione, "Napolitano criticò le 'nuove città' dicendo cheavevano sottratto attenzione e risorse" alle sfide più importanti da intraprendereper rimettere in vita il centro cittadino.
Bisogna, secondo il giornalista, abbandonare il "pensiero magico"e la speranza di ricostruire tutto com'era. L'auditorium concepito da Piano eClaudio Abbado, fatto di paviglioni colorati in legno, potrebbe essere preso adesempio (sebbene, noti Kimmelman, "come spesso in Italia non fosse finitodel tutto per l'inaugurazione sicché è stato chiuso subito dopo; pare ci sianoprogetti per metterlo in funzione l'anno prossimo).
Per metro quadro, dice Kimmelman, l'auditorium è costato un quarto delle"new town".
Una città è più di un gruppo di edifici. "L'Aquila ha bellissimiedifici, fra cui chiese barocche e palazzi di uffici razionalisti del primoventesimo secolo.
Potrebbero essere riaperti. Ma quel che rende speciale la città sono gli spazipubblici, le strade e le piazze".
La lezione che anche New York dovrebbe apprendere dunque eccola: bisognapensare all'urbanismo e non fissarsi sulle costruzioni".
Anche nello Stato americano "i funzionari pubblici hanno seguitol'esempio italiano", promettendo a persone distrutte dall'uragano laricostruzione di interi quartieri, senza ammettere che una politica diricollocazione è una "impossibile".
"In molti cittadini e politici sembrano aperti a grandi idee",conclude il quotidiano, sostenendo che "una calamità può anche essereun'opportunità per politici ambiziosi e non di meno per un presidente al suosecondo termine (Barack Obama), dunque libero da pensieri con ottichedecennali".
CIALENTE: "STARE NEI CONTAINER SAREBBE STATO PIU' DURO"
"La strategia emergenziale è stata decisa dal governo Berlusconi, d'altraparte l'alternativa al progetto C.a.s.e., le cosiddette new town, sarebbe stataquella di costruire Map (moduli abitativi provvisori) e container. Ma stare neicontainer per cinque anni sarebbe stato ancora più duro".
L'ha detto il sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente,commentando la posizione di Michael Kimmelman, giornalista emassimo esperto d'arte del New York Times che ha visitato varie volteL'Aquila dopo il sisma.
Kimmelman in un articolo critica il modello utilizzato all'Aquila perl'emergenza post terremoto.
"L'alternativa con 4.500 Map avrebbe richiesto l'utilizzo di ancoramaggiore territorio", ha proseguito Cialente, difendendo quindi la sceltadell'ex premier Berlusconi.
Il sindaco ha colto l'occasione per accusare invece l'ex commissario per la Ricostruzione,nonché attuale presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi,e l'ex capo della Struttura tecnica di missione, Gaetano Fontana.
"Il problema non è il progetto C.a.s.e. - conclude - ma l'eccessivotempo perso, il che ha fatto dilatare i tempi di ricostruzione e rientro acasa, a causa del commissario Chiodi e del capo struttura Fontana, incapaci difar andare con speditezza le procedure sostenute dal piano di Berlusconi".
PROPERZI: ''MANCANO PROGRAMMAZIONE E CERTEZZE''
"Non ci sono né cultura né programmazione, benché ci sia stato unimpegno forte delle associazioni culturali e un impegno anche sul fronte dellaprogrammazione".
Lo ha detto l'urbanista Pierluigi Properzi, docenteall'università dell'Aquila, ex vice presidente dell'Istituto nazionale diurbanistica, commentando la posizione espressa da Michael Kimmelman sul NewYork Times a proposito del modello utilizzato all'Aquila per l'emergenzapost-terremoto.
Properzi è anche consigliere comunale nel capoluogo abruzzese.
"Non a caso, il ministro Barca ha chiesto, quando è venuto per la primavolta in Consiglio comunale, dove è venuto molto tardi, una programmazione -ricorda Properzi - Gli è stato risposto che per farla bisogna avere certezzadelle risposte".
"Oggi all'Aquila non si ha certezza di nulla, non si può programmare,non c'è una posizione culturale fatta propria dall'amministrazione comunalesulla ricostruzione", sbotta il prof.
È ingeneroso, comunque, attribuire a Berlusconi tutte le responsabilità,perché sono di tutti quelli che hanno avuto ruolo decisionali.
Sul fatto che ci siano stati problemi e ci sono ancora oggi, non c'è bisognoné del critico d'arte e giornalista americano né di me.
È grave, però, che su questi temi non ci sia ancora chiarezza e assunzionedi responsabilità".
Fonte : abruzzoweb.it/

Eremo Rocca S.Stefano  venerdì 19 aprile 2013








POESIA D’ALTRI E ALTRE POESIE : Poeti a braccio, quando l'arte nasce dalla terra



POESIA D’ALTRI E ALTRE POESIE : Poeti a braccio, quando l'arte nasce dalla terra

La storia della 'poesia improvvisata' e le competizioni poetiche in Abruzzo. L'arte dei pastori dell'Aquilano.

Da Il Blog dei Lettori de Il capoluogo.it  lunedì 15 aprile 2013


di Nando Giammarini

I poeti a braccio - estempori cantori o poeti bernescanti - sono portatori di una sapienza e cultura popolare che si tramandano nei secoli, a testimonianza di una grande tradizione che trae le sue origini dal mondo agro pastorale; hanno un loro valore e una grande importanza storico-culturale.

Parliamo di un'epoca e di un mondo fatto di duri sacrifici, di lavoro e fatica, di transumanza e tratturi, di umiliazione e solitudine. Gli estempori cantori erano gente buona e genuina, erano attratti dalle zolle aride e sassose della loro terra natia - in prevalenza abruzzese e laziale, ma anche la tranquilla e collinare maremma toscana - e portavano in sé quell'amore forte e intenso, una nota di tenerezza, una sensibilità al di fuori di ogni immaginabile limite. Per questo e per altri mille motivi non dobbiamo assolutamente permettere che un simile patrimonio di conoscenze venga disperso nei meandri di una modernità senza umanità e senza cuore.

L'ottava rima è un genere poetico legato ad un'espressività musicale prevalentemente monodica poiché rappresentata da pastori intenti, nell'incanto della natura, al pascolo dei propri animali, sempre soli con la sola compagnia del loro amico per eccellenza: il cane.

Ognuno di noi amanti di questo genere poetico, deve adoperarsi affinchè quel bagaglio di conoscenze diventi un sentire comune e ci aiuti a vivere il presente dando sprint alle origini della cultura agreste, alla montagna e alla civiltà, proiettandola - con slancio ed entusiasmo - verso il futuro. Ciò significa anche ritrovare, con un gesto di umiltà verso il mondo, esperienze e conoscenze passate che ci permettono di evitare errori futuri.
  La storia, instancabile scrutatrice di umane vicende, varia al cambiare dei tempi, ma mantiene ferma la natura originale delle cose. In questo contesto inseriamo i poeti a braccio con la loro arte che penetra nell'animo umano in quanto la poesia, quella più spontanea e semplice, appartiene ad ogni ceto e a tutte le età basta: saperla interpretare.

Un vecchio detto popolare recita: "Il tascapane del pastore può essere povero di pane ma non di libri". Potrà apparire un'antitesi strana, ma ciò dimostra chiaramente la bontà, l'umanità e il vero carattere dei nostri pastori: gente di montagna temprata ai duri sacrifici.

Parliamo di una situazione simile a quella descritta da Corrado Alvaro in "Gente d'Aspromonte", quando rappresentava le inumane condizioni in cui vivevano coloro che accudivano gli armenti. Ecco allora che un libro può soddisfare la sete di sapere, fare compagnia, aprire orizzonti nuovi e diversi.

Quando la sera le greggi riposavano al sicuro delle stalle, dopo aver consumato il frugale pasto serale gli amanti del nostro genere poetico, prendendo spunto dalle letture e dalla solitudine giornaliera che doveva essere vinta, si riunivano e con il sostegno di un buon bicchiere di vino, da sempre dei poeti amico, si dilettavano a cantare.

Intervenivano anche nelle festose circostanze quali matrimoni, battesimi, comunioni e nelle varie feste paesane. Costumanza, quest'ultima, che è ancora attuale. In tanti paesi dell'Alta Valle del Velino, del Tronto dell'Aterno e nella Maremma toscana spesse volte si organizzano delle vere e proprie competizioni poetiche che durano fino alle prime luci dell'alba, con temi a contrasto come la suocera e la nuora, il padrone e l'operaio, il legno e il ferro. Tutti scelti sul momento dal pubblico o da una giuria e con obbligo di concatenamento.

Quella che potrebbe apparire un'esercitazione tra poveri è, in realtà, alta poesia che tiene in vita il canto adombrato dalla pagina scritta mantenuto solo dal ritmo, recupera l'ottava e la terzina oltre che l'endecasillabo e la rima.

Nel prossimo articolo parleremo dei poeti monterealesi, mascionari e campotostari passati ed attuali per poi spostarci più in là, verso la conca amatriciana ed in tutta l'Alta Valle del Velino.


Eremo Rocca S.Stefano  venerdì 19 aprile 2013

martedì 16 aprile 2013

AD HOC : LE 8 COSE CHE IL SUPERMERCATO NON VUOLE CHE TU SAPPIA

AD HOC  :  LE 8 COSE CHE IL SUPERMERCATO NON VUOLE CHE TU SAPPIA



I RICERCATORI DEL MARKETING

Hanno lavorato anni per essere sicuri che l’ acquirentecomune guardi più prodotti possibili durante la spesa, perché più vedono, piùcomprano.Fare la spesa nel supermercato sembra una attività innocua. Tuttifacciamo la spesa almeno una volta a settimana senza però prestare troppaattenzione a ciò che accade dietro le quinte del supermercati. Il nostro mododi comprare è diventato una scienza fra le più studiate e con il maggior numerodi ricercatori nel mondo. “I ricercatori del marketing hanno lavorato per anniper essere sicuri che l’ acquirente comune guardi più prodotti possibilidurante la spesa, perché più vedono, più comprano”, questo è ciò che ha dettoMarion Nestle, autrice di What to Eat: An Aisle-by-Aisle Guide to Savvy FoodChoices and Good Eating. Quindi se vuoi essere un acquirente intelligente leggiquesti trucchetti e segreti nascosti nel supermercato.

1. I carrelli della spesa sono sporchi.

In accordo con gli studi fatti sui carrelli, più del 60% diquesti danno rifugio a batteri coliformi (la specie di batteri che si ritrovasulle toilette pubbliche!). Il Dr. Chuck Gerba, microbiologo dell’ Universitàdi Arizona dice :”Questi batteri potrebbero venire dalle verdure non ancoralavate, dai salumi non ancora spellati, dalle mani sporche dei clienti o daibambini che si siedono nei carrelli. Basta pensare che dove avete messo ibroccoli pochi minuti prima si trovava il sedere di un bambino”. Secondo gli studifatti da Gerba e sui collaboratori, i carrelli della spesa hanno più batteri ditutte le superfici da loro studiate, incluse le tavolette del wc e ipoggiatesta dei treni. Per evitare di sporcarsi con questi fastidiosi batteriGerba suggerisce di pulire il manico del carrello con dei fazzolettiigienizzati e di lavarsi le mani dopo aver fatto la spesa.

2. I cibi “amici dei bambini” sono disposti alla loroaltezza.

Chiunque faccia la spesa con dei bambini sa che deve porreattenzione alle cose che questi prendono e buttano nel carrello. Marion Nestledice :”Dico sempre ai genitori di non fare mai la spesa con i figli. Le scatolecon su disegnati dei cartoni animati sono sempre posizionati negli scaffali piùbassi dove anche i bambini ai primi passi possono arrivare”. Un viaggetto nelcorridoio dei cereali ve lo confermerà, Tara Gidus della American DieteticAssociation dice: “I cereali zuccherati sono al livello degli occhi deibambini, mentre quelli salutari e ricchi di fibre sono negli scaffali più alti“. E’ la stessa situazione che si ritrova ai registratori di cassa dove lecaramelle e le gomme sono strategicamente posti per incoraggiare acquistiimpulsivi di adulti e bambini che posso facilmente afferrare questi piccoliprodotti.

3. Affettano e tagliano i cibi in modo da poter aumentare ilprezzo.

Nel reparti cibi freschi possiamo trovare delle belle fettedi anguria già tagliate o verdure e insalata fresca lavate e tagliate. Nellazona macelleria il petto di pollo come anche le bistecche sono già affettate eanche marinate, pronte per essere cotte. Non si può negare che questi cibi giàtagliati rendano la vita più facile a anche i nutrizionisti concordano sulfatto che ciò fa aumentare il consumo di vegetali o frutta e quindi è una buonacosa per la salute. Bisogna però almeno tener presente che si sta pagando unsovraccarico di prezzo abbastanza elevato (alcune volte più del doppio, bastaleggere il prezzo al kilo e non della singola confezione) per una cosa chepotremmo fare da soli.

4. I cibi che fanno bene alla salute sono nascosti!

L’esempio classico è quello della pasta integrale che èposta negli scaffali più bassi o anche i cibi biologici che spesso hanno unpiccolissimo scaffale tutto loro vicino ai cibi etnici.

5. Le esposizioni alla fine della corsia sono lì perdistrarti dalla tua missione.

Marion Nestle dice: “Le compagnie alimentari pagano i negoziper posizionare i loro prodotti dove possono essere visti più facilmente, comead esempio nelle esposizioni alla fine delle corsie”. Il concetto è quello diposizionare oggetti ad alto profitto o anche gruppi alimentari come lecioccolate per ispirare acquisti compulsivi; e anche se alcune volte questeesposizioni sono usate per promuovere articoli in offerta le persone compranoanche se non ci sono offerte. Il Dr. Brian Wansink direttore del LaboratorioFood and Brand dell’ Università di Cornell e autore di Mindless Eating dice :”Le persone comprano il 30% in più di prodotti che sono posizionati nelleesposizione di quelli a metà del corridoio, anche perché pensiamo che il veroaffare si trova alla fine”.

6. Gli affari non sempre sono affari.

Chi può resistere ad offerte tipo “Compra 5 e ne hai unogratis”, o “3 per un Euro”? Apparentemente solo poche persone. Il Dr. BrianWansink dice: “Ogni volta che vediamo un numero in un cartello pubblicitario suuno scaffale compreremo circa il 30% in più di quel prodotto di quantointendevamo comprare” e quindi se compri di più di quanto hai bisogno non sarànecessariamente un affare! O ancora peggio ti farà consumare di più, sempreBrian Wansink ci dice : “Una volta che il prodotto è in casa lo mangerete anchesenza volerlo… è così un peccato buttare il cibo”. Infine se una scatola adesempio di tonno è pubblicizzata ad un prezzo più basso di un’altra fateattenzione alla quantità di tonno nella scatola e cercate di leggere qual’è ilprezzo al kilo. Aggiungo un commento del post su questo tema diprotonutrizione:” Avendo studiato marketing conosco questi trucchi ed altri,alcuni dei quali sono effettivamente molto efficaci. Uno ad esempio è metterel’indicazione “Promozione” “Offerta speciale” o simile senza per questo variareil prezzo del prodotto. Immancabilmente il tasso di rotazione di quel prodottoaumenterà in quando il consumatore tende a non memorizzare i prezzi deiprodotti, particolarmente se non si tratta di un bene ad acquisto ripetuto. Lacosa funziona ancora meglio se questi prodotti con riduzione di prezzo noneffettiva sono all’interno di una più ampia offerta promozionale con prodottiche hanno avuto un effettiva riduzione e gli esempi potrebbero continuare.Conoscendoli si riesce a non subirne gli effetti negativi ed a volte asfruttarli a proprio vantaggio.”

7. Camminerai nel negozio seguendo una strada obbligata

Non solo il percorso come tutti sanno è sempre obbligato acausa della disposizione degli scaffali ma nei grandi supermercati spesso siamoobbligati a seguire un percorso senza accorgercene. Il percorso “obbligato” èinfatti creato senza barriere architettoniche ma seguendo i bisogni primaridegli acquirenti tipo il pane, la pasta, il latte e le verdure; seguendo questipercorsi ci troveremo con il 60-70% di prodotti in più di quanto avevamopreventivato.

8. Non puliscono sempre come dovrebbero.

Gli ispettori dell’ Ufficio di Igiene spesso (almeno spero)controllano i supermercati alla ricerca di eventuali irregolarità. Potete peròfare una piccola ispezione da soli. Vi può bastare passare il dito sulla partealta degli scaffali per ritrovarlo pieno di polvere. Se poi vedete delle moschesappiate che possono portare dei batteri e, infine, se c’è polvere sulleconfezioni evitate di comprarle.


fonte : http://www.psichesoma.com

Eremo Rocca S.Stefano  martedì 16 aprile 2013

venerdì 12 aprile 2013

LETTERE DALL’EREMO : Ernesto Balducci "Siate ragionevolichiedete l’impossibile”



LETTERE DALL’EREMO : Ernesto Balducci  "Siate ragionevolichiedete l’impossibile”

Pubblichiamo la prefazione di don Andrea Gallo a "Siateragionevoli chiedete l’impossibile" di Ernesto Balducci (Chiarelettere).

di don Andrea Gallo

Ernesto Balducci è stato uno straordinario testimone del Vangelo e credo che piùche un personaggio da commemorare, a vent’anni dalla morte, sia un uomo daascoltare e da studiare.

Sono stato sul monte Amiata, a Santa Fiora (Grosseto), il paese dove padreBalducci è nato nel 1922, e ho fatto il percorso dalla Badia Fiesolana a SantaFiora come un pellegrinaggio. È proprio a Santa Fiora che avviene la «svoltaantropologica», l’affermazione della centralità dell’essere umano e insieme lanecessità di una vera e propria riconversione del nostro modo di pensare e diagire. Questa è una terra straordinaria, dove è ancora viva la memoria di DavidLazzaretti, il «profeta dell’Amiata» ucciso nel 1878 dalla Guardia regia, comequella dei martiri fucilati durante la Resistenza mentre difendevano le miniere in cuilavoravano, minacciate dall’esercito tedesco in ritirata. «Quando più alto inme si fa il fastidio morale per questo mondo – scrive Balducci –, mi capita ditornare a quegli anni lontani, in quella piccola scuola invasa dallatramontana, dove l’ideologia della prepotenza cercava di corromperci. Non c’èriuscita. Ma mentre Eraldo, Mauro, Luigi e gli altri hanno pagato con la vita…io, noi sopravvissuti, che andiamo facendo?»

Abbiamo sotto gli occhi l’insostenibilità politica e sociale di un modello disviluppo che ha mostrato tutta la sua inadeguatezza. Dobbiamo muoverci, inquesto senso è proprio la parola e la testimonianza di padre Ernesto aspronarci. Balducci per me è un maestro e non smetto mai di ricordarlo in ogniincontro e occasione pubblica. Dobbiamo leggere padre Balducci, è lui ainsegnarci che dobbiamo «osare la speranza». Abbiamo bisogno di un nuovoparadigma culturale, non c’è più tempo da perdere. Dobbiamo ripensare la nostraciviltà e il nostro modello di convivenza secondo un’ottica che sia globale,planetaria. E allora basta competizione sfrenata, ci vuole solidarietà, ma unasolidarietà liberatrice e responsabile, ben diversa dall’assistenzialismo checonosciamo e che ci tiene lontani dall’altro, mettendoci a posto la coscienzacon la retorica dei buoni sentimenti.

La parola di padre Balducci ci viene incontro con la forza di una rivelazione:«Viviamo in una società che, con la complicità di tutti, solleva alcune personesui piedistalli dell’ammirazione sconfinata e della sconfinata gratificazioneeconomica, senza che a questa glorificazione facciano riscontro valoriveramente umani» («La droga del successo», 1991). E ancora:
«Spinti dal nostro feticismo produttivo, noi stiamo avanzando in regionispaventose, quelle del benessere vuoto di ogni valore» («Quei suicidi altramonto della speranza», 1990). La nuova cultura planetaria che siamo chiamaticon urgenza a costruire è agli antipodi del consumismo e dello sfruttamento.«La cultura della competizione [...] è condannata non solo dalla coscienza – ciammonisce padre Ernesto –, ma dall’istinto di sopravvivenza. I valorialternativi sono, non dico possibili, ma necessari» («Le attese tradite dietrola droga», 1988). Dobbiamo ritornare a essere soggetti delle nostre vite e cosìanche della storia dell’uomo, una storia che deve diventare redentrice.

Ho ascoltato padre Balducci a Genova pochi giorni prima della sua tragicascomparsa in un incidente stradale. Le sue parole mi hanno conquistato. Ancoraoggi porto dentro di me la sua lezione, l’importanza dell’«uomo inedito», dell’«uomonascosto» che è patrimonio di ogni cultura e di ogni religione. Un uomonascosto nel profondo di ciascuno di noi. «Nella natura dell’uomo – scrivepadre Balducci – c’è tutto, ci sono possibilità che non hanno ancora trovatoespressione. Le religioni devono tutte rigenerarsi nella loro sorgente nascosta[...] Le religioni hanno una forma edita, in quanto sono entrate a far parte diuna cultura, l’hanno alimentata, l’hanno magari anche generata, ma hanno subitoi condizionamenti della realtà storica dell’uomo e si sono macchiate diviolenza. C’è però alla loro radice una ispirazione di fondo che le rendeomogenee alle attese dell’uomo nascosto e che fa di esse dei veri messaggi dipace.» E ancora: «C’è in noi quello che chiamavo, con Bloch, l’homo absconditus:un uomo che non trova il suo linguaggio adeguato nell’homo editus. Nonc’è una lingua che traduca le attese, le aspettative, le possibilità realidell’homo absconditus. Potremmo dire che la sua attesa è quella dellaprofezia» («L’homo editus e l’homo absconditus», 1993).

Un nuovo mondo è possibile? Padre Balducci ha annunciato le grandicontraddizioni del Terzo millennio. La minaccia ecologica, prima di tutto, evediamo che i vertici mondiali sul clima non riescono a combinare nulla diconcreto. «Ogni patto sociale viene meno quando entra in gioco la sicurezzadella sopravvivenza. Allora le responsabilità tornano là dove è la verasorgente di ogni sovranità, tornano nelle nostre mani» («Essere o non essere»,1988). Ma noi siamo chiusi come in una fortezza, la paura del diverso generaviolenza ed emarginazione. La scienza e la tecnica hanno modificato lacomprensione e la dinamica della vita, provocando l’accelerazione del tempovitale e l’alterazione drammatica dei ritmi naturali. Il pianeta terra è ormaicome un missile che viaggia a velocità supersonica, senza freni.

È venuto allora il momento di costruire la democrazia della terra. La terra cheabitiamo, sorgente di vita, da preservare come casa comune. «La vera coscienzarivoluzionaria non è quella di classe, è quella di specie» («Tutti insieme pernon scomparire», 1989). Dobbiamo dar vita a un contratto sociale, su scalaplanetaria, che permetta a ogni paese di preservare i propri valori el’identità del suo popolo, la diversità culturale, le ricchezze e le bellezzenaturali. Dobbiamo costruire un paradigma di civiltà che sia fondato sulben-vivere e non solo sul ben-essere, che poi finisce col diventare ben-avere,generando quella diseguaglianza sociale che vediamo sempre di più nelle nostrecittà. Ognuno deve sentirsi cittadino della terra, e per questo ci vuole unagrande campagna di educazione, soprattutto tra i giovani. L’Italia deve esserein prima linea. Ma dove sono finiti i veri cristiani? Gesù ha detto: «Io sonovenuto per servire, non per essere servito». C’è bisogno di un cristianesimopiù autentico. Padre Ernesto Balducci è ancora vivo e ci indica la strada.Basta volerlo ascoltare e studiare.(19 aprile 2012)
Eremo Rocca S.Stefano venerdì 12 aprile 2013

lunedì 8 aprile 2013

SILLABARI: Umanesimo


SILLABARI:  Umanesimo

Ieri ,7 aprile,al convegno Umanesimo e tecnologia Philippe Daverio ne ha dette diverse. Innanzitutto,che stiamo offendendo i nostri avi, stiamo compromettendo le nostre ereditàculturali, artistiche, storiche. Non investiamo in cultura e spendiamo moltopiù di altri paesi dove questo patrimonio è molto minore.
Non abbiamo cura della polis, non siamo interessati a rendere le città piùbelle e i luoghi più accoglienti. Eppure, la qualità della vita, il gusto dellavita, la nostra storia, la nostra arte, la nostra gastronomia sarebbero e sonola carta vincente.
Siamo un popolo distratto, ha detto il celebre critico d'arte e giornalista.Continuando così ne pagheremmo le conseguenze perché la crisi mondiale ci verràaddosso, perché alla globalizzazione grigia e sorda non avremo nulla daopporre.
Daverio ripete quattro volte la pericolosità del progetto Gaia, quella superreligione esoterica che sta prendendo piede pilotata in rete da certunipersonaggi neo-politici (il riferimento a Grillo e Casaleggio è più chechiaro). Paragona Gaia alle idee di Goebbels (il ministro della propagandanazista).
Qual è l'antidoto alla globalizzazione informe e inumana? Sono le nostreradici, afferma Daverio, il nostro senso di comunanza, il nostro buon produrre,la nostra identità, la nostra vita buona.
“Voglio salvare l'Italia”. E' questo l'appello che il critico lancia dal palcodel Fermo Forum Marche. E' questo l'appello che ognuno di noi dovrebbe recepiree amplificare.
Ma come salvare il nostro Paese?
Innanzitutto con il rilancio della nostra prima “industria”, che èl'artigianato, l'attività manifatturiera (“solo la manualità ci salverà dallareligione della rete”), il prodotto del bello e del buono.
Una proposta: “Adottate un ricco”, aggiunge il sig. Philippe. “Spiegategli comesi va a passeggio, come si gusta un paesaggio, come si dialoga con esso”.Insomma: invaghitelo e convincetelo a collaborare, a dare una mano. Nella pienaconsapevolezza, però. Che non è quella dell'obolo dato per carità, ma quelladella coscienza di appartenere ad una terra comune, di cui ci si sente parti ea cui occorre restituire.
Cosimo il vecchio, nella Firenze del Quattrocento, ereditò dal padre tre libri,ne lasciò alla città 10 mila.
Alle Marche, Daverio lancia una proposta di gemellaggio con la Baviera, con quella partedi Germania che, rialzatasi dai disastri della Seconda Guerra Mondiale, hasaputo equilibrare sviluppo industriale, bellezza del paesaggio, cultura etradizione.
Nulla da inventare, tutto da riscoprire e rilanciare.
Siamo nani sulle spalle dei giganti. Ma se ci rifiutiamo di salirci, naniresteremo e senza sguardo. E futuro.

Eremo Rocca S.Stefano  Lunedì 8 Aprile 2013

ET TERRA MOTA EST : Comitati e associazioni per un terremoto


Boom di comitati e associazioni, il terremoto che non t'aspetti


Sono tanti, giovani e pieni di idee. E della new town nonsanno che farsene. Il loro motto è: «Dov'era ma non com'era». Obiettivo numerouno: la riapertura di bar, associazioni, sedi di partito e oratori. Viaggioalla scoperta di un attivismo spontaneo di cui è difficile persino tracciare iconfini
«L'Italia è un Paese vecchio». È una litania ormai. Tutti in tv, suigiornali parlano di un Paese con le rughe, anziano. L'Aquila è incontrotendenza. Dopo il sisma è stato il fermento giovanile, la voglia deiragazzi, a prendere per mano genitori, zii, nonni e a trascinarli fuoridall'incubo, a superare lo shock e ricominciare. Un secondo terremoto ha scossola città. «Dire quanti siano i comitati non posso proprio farlo, e neanchequante persone vi siano impegnate. So solo che siamo parecchi», spiega ElisaCerasoli, che si occupa dell'ufficio stampa di Collettivo 99, uno deicomitati, e che prova a fare da guida dantesca in questo turbinio di realtà.Ogni comitato ha il suo scopo e il suo perché. Ognuno si occupa di unparticolare e tutti del bene dell'Aquila e degli aquilani. Il Collettivo, chein realtà non c'entra nulla con le realtà studentesche di sinistra, «un nomedisgraziato purtroppo», ride Elisa, si occupa della ricostruzione dal punto divista tecnico. Tutti quelli che ne fanno parte, circa 70 trentenni, sonoingegneri, architetti o geologi e propongono soluzioni alternative di ricostruzioneche integrino o sostituiscano i progetti statali. «La Protezione civile nonsta ricostruendo L'Aquila ma sta costruendo altro, la famosa New Town che connoi non c'entra» spiega Marco Morante, architetto e referente per ilcomitato, «la nostra non è un'alternativa, ma, a quanto pare, l'unica proposta.Vogliamo una riconversione dell'Aquila che rispetti il motto "Dov'era manon com'era". In modo che sia sostenibile, energeticamente autosufficientee a basso impatto ambientale».
Il concetto alla base di tutto è però «il processo». Una ricostruzione cioè perfasi che risulti vivibile sin da subito. «La città deve tornare viva fin dallaprossima primavera. Strutture e attrezzature che rendano la città fruibile,anche durante la fase di cantiere, e che permettano l'incontro». Riapertura dibar, associazioni, sedi di partito e oratori. Per tutti la dimensione sociale èuno degli obiettivi. Anche per 3e32 - dall'ora del terremoto -, un comitatodella prima ora «nato spontaneamente dall'incontro con un po' di amici nelgiardino di uno di noi», rivela Sara Vegni. 3e32 si occupa dellaprotesta in senso stretto. E i risultati sono importanti, tutti conosconoslogan come «Yes, we camp!» o «Last Ladies» che si sono, per la loro semplicitàe ironia, guadagnati le prime pagine di tutti i giornali nazionali. «Ognigiorno proponiamo un'iniziativa diversa per fare in modo che l'attenzione nonscemi», spiega Sara.
I comitati cittadini sono una realtà territoriale e durante il G8 non hannopreso parte alle contestazioni dei no global venuti da fuori. Tutti tranneEpicentro Solidale. «Abbiamo un lungo percorso politico legato all'estremasinistra. La nostra partecipazione è stata assolutamente naturale», spiega ilportavoce Stefano Frezza. Epicentro Solidale «ha messo in piedi unalavanderia, una stireria, un cineforum e una biblioteca, oltreall'installazione di pannelli solari per scaldare l'acqua». Mentre oggil'attenzione è rivolta alla campagna «100%» che vuole ottenere il risarcimentototale del danno del sisma e non secondo i tetti di spesa. «Una vittorial'abbiamo già ottenuta, quantomeno sulla prima casa pagherà tutto lo Stato». Ilrapporto con le istituzioni e le battaglie burocratiche con gli enti pubblicihanno prodotto la nascita di un comitato ad hoc: Rete AQ. Ettore Di Cesare,laureato in matematica e titolare di un corso all'università di Scienza dellaComunicazione, racconta che Rete AQ sta presentando «una proposta diregolamento di partecipazione della cittadinanza alle scelte di Comune,Provincia e Regione, che secondo noi va istituzionalizzata per entrare a pienotitolo nello statuto comunale e diventare legge regionale».
.vita.it/mondo/emergenze/boom-di-comitati-associazioni-il-terremoto-che-non-t-aspetti.html

Eremo Rocca.S.Stefano , lunedì 8 marzo 2013

lunedì 1 aprile 2013

LETTERA DALL’EREMO : In dialogo attorno alla parola


LETTERA DALL’EREMO  :   In dialogo attorno alla parola

"Da anni sono impegnato nel dialogo con i cristiani perché ritengo sia un dovere che mi deriva dal mio essere musulmano”. Questa affermazione di Mohammad Ali Shomali, rivolta agli altri partecipanti a un seminario ristretto e poi ripetuta con convinzione in occasione di una conferenza pubblica, rende l’idea del clima che si è respirato a metà settembre 2011 a Roma, in un’Abazia di Sant’Anselmo non ancora popolata dai suoi numerosi studenti benedettini provenienti da tutto il mondo. Vi erano convenuti undici monaci e monache cristiani (tra i quali, oltre allo scrivente, anche una teologa mennonita oblata di un monastero benedettino olandese) e nove musulmani sciiti, docenti e dottorandi dell’Università di Qom in Iran (tra i quali tre donne).

Il tema generale era “La Parola di Dio ci chiama alla preghiera e alla testimonianza” ed è stato affrontato attraverso sei approcci differenti, ciascuno dei quali introdotto da una relazione a due voci: cristiana e musulmana. Nella prima giornata si è trattato di esaminare il ruolo della Parola di Dio nelle due tradizioni: cosa si intende per “rivelazione” (l’origine divina e la sacralità della Bibbia e del Corano) e cosa comporta il rapporto personale con la Scrittura attraverso la lectio divina o la recitazione di brani del testo sacro. Il secondo giorno ha visto la riflessione concentrarsi sulla risposta del credente alla Parola di Dio attraverso la preghiera: si sono così esaminate forme, modalità ed esperienze relative alla preghiera pubblica o comunitaria e alla preghiera personale. Nell’ultimo giorno la medesima “risposta” alla Parola di Dio è stata letta attraverso la griglia del pensiero e dell’azione: la vita della comunità credente e la sua testimonianza in un mondo secolare sono stati l’oggetto della riflessione dei partecipanti.

A ogni duplice presentazione del tema è seguito un dibattito molto franco che non aveva minimamente lo scopo di giungere ad alcun testo concordato o dichiarazione condivisa ma che, forse proprio per questo, è riuscito a far risuonare con particolare efficacia analogie, assonanze, differenze e sottolineature proprie alle due tradizioni religiose. Del resto, il poter ascoltare alcuni elementi fondamentali dell’esperienza di fede di una tradizione diversa dalla propria non attraverso libri o conoscenze indirette, non con il supporto di luoghi comuni e analogie facili quanto improprie, ma dalla voce e dal vissuto di credenti che cercano di rendere conto della speranza che abita i loro cuori e le loro menti è di per sé un’occasione unica per cogliere particolarità dell’homo religiosus che trascendono le singole religioni e le pratiche conseguenti e, al contempo, per approfondire le specificità proprie al cristianesimo o all’islam.

Il bisogno, per esempio, di coniugare la fede in una verità rivelata e i suoi aspetti trascendenti con una sostenibilità razionale delle proprie convinzioni è un dato che accomuna, al di là di abusati cliché, cristiani e musulmani. Così come la difficile e sempre perfettibile dialettica tra istanze religiose e loro traduzione nei comportamenti quotidiani in una società secolarizzata oppure l’esigenza di un’espressione comunitaria della fede che non può restare relegata nello spazio strettamente individuale sono problematiche che si ritrovano tanto nell’occidente ormai orfano della cristianità quanto in un paese in cui la sharia è tornata a essere legislazione di riferimento anche per la società civile.

Una conferenza pubblica su “La sfida e la promessa del dialogo islamo-cristiano” è stata poi l’occasione da un lato di ripercorrere l’ormai decennale vicenda di dialogo tra sciiti e cristiani in ambito anglosassone – un dialogo che ha prodotto anche testi preziosi sulla dimensione etica della religione nel mondo contemporaneo o sul rapporto teorico e pratico tra fede e ragione –  e, d’altro lato, di sottolineare l’importanza del vissuto comune come spazio e tempo propizio per tradurre in realtà quotidiana la riflessione teologica. Non a caso, sia nell’intervento dell’abate benedettino Timothy Wright sia nella replica del prof. Shomali – i due animatori di questi incontri – la coinvolgente e tragica vicenda dei monaci di Tibhirine in Algeria con i loro vicini  musulmani e con la confraternita sufi di Médéa è stata rievocata con accenti carichi di speranza. Una testimonianza di vita, quella dei monaci trappisti, resa ancor più eloquente dalla presenza, tra i partecipanti cristiani, di un loro confratello che attualmente vive nel piccolo monastero di Midelt in Marocco dove la testimonianza di Tibhirine ha messo nuove radici.

I pasti presi insieme nel refettorio monastico nel rispetto delle norme alimentari proprie a ciascun gruppo, la sala predisposta per la preghiera dei musulmani e la possibilità di essere presenti gli uni alla preghiera degli altri, la visita al P.I.S.A.I. (il Pontifico istituto di studi arabo-islamici), alla Cappella Sistina e alla basilica di San Pietro, così come lo scambio fraterno su aspetti molto concreti delle rispettive pratiche religiose hanno facilitato il confronto teologico che si è sviluppato nelle tre giornate di discussione.

Segno eloquente di quanto questo dialogo islamo-cristiano non nasca oggi e sia anche il frutto di intuizioni di uomini di Dio che hanno profeticamente dissodato il terreno con sapienza e pazienza, rendendo in tal modo possibile un confronto fino a pochi decenni or sono nemmeno immaginabile, è stato il sostare commosso e raccolto dei membri musulmani di fronte al corpo di papa Giovanni XXIII esposto nella basilica di San Pietro. Teologi sciiti che, anche per semplici ragioni anagrafiche, non hanno mai conosciuto il figlio di contadini bergamaschi divenuto successore di san Pietro, erano tuttavia consapevoli che l’apertura conciliare del decreto Nostra Aetate era sgorgata da quel cuore e quella mente, capaci di narrare la buona notizia della fede cristiana in un linguaggio comprensibile a ogni essere umano e rispettoso dei “semi del Verbo” presenti in ogni autentica tradizione religiosa. Così lo stupore di fronte alla magnificenza della Cappella Sistina e la curiosità per gli aspetti concreti e aneddotici relativi all’elezione del papa hanno lasciato il posto a un silenzio denso di rispetto e di spiritualità: davvero il dialogo teologico è un dovere per i credenti, ma un dovere che è possibile assolvere con convinzione e, soprattutto, con gioia e gratitudine che sgorgano dal profondo.
In dialogo attorno alla parola di Guido Dotti
Questo rapporto è stato publicato originariamente in POPOLI, il mensile internazzionale dei Gesuiti (Novembre 2011, N. 11).

Eremo Rocca S.Stefano lunedì 1 aprile 2013