domenica 23 marzo 2014

CANZONIERE  :  Cantie testi del brigantaggio: una memoria perduta

Non è possibile fornire una vera e propria genesi dei canti briganteschi,perché furono tramandati oralmente, trasmessi da padre in figlio. Si diffuserodopo il 1860, quando all’alba della liberazione del Sud, il movimentobrigantesco si estese nelle aree agricole del Meridione. La maggior parte diqueste canzoni popolari, o per lo meno, quelle a noi pervenute, provengono dalCilento e dal Vallo di Diano, altre, comunque, molto note hanno origini lucanee calabresi. Non è possibile affermare se queste canzoni popolari fossero stateprodotte dai briganti, è probabile, però, che alcune di queste siano stateestratte dai giuramenti dei briganti di cui si hanno versioni letterarie, ma diincerto valore storico. Sicuramente, questi canti erano conosciuti dal popolo efino alla seconda metà del XX secolo venivano ancora recitati dagli anzianicustodi di questo folclore antico e prezioso.

Canti briganteschi del Cilento

Simo breanti re lo Re Borbone
e lo Cilento tutto nui giramo
armati re coraggio e de ragione
e re li ‘nfami i cunti regolamo.
Tira compagno mio e non sgarrare
inta lo centro mira re lo core
fa’ li gendarmi tutti parpitare
come poddastro ra cortieddo more.
Canto raccolto a Laurino

Tu si’ lu giurici re li miei signuri,
i’ so’ lo capo re li fuorilegge;
tu scrivi co’ la penna e dai ruluri,
i’ vao ppe’ lu munno senza legge.
Tu tieni carta, penna e calamaio
ppe’ castia’ a sti poveri pezzienti,
i’ tengo povole e chiummo, quanno sparo:
giustizia fazzo a chi non tene nienti.
Canto raccolto a Mercato Cilento

Chi a la morte me vulia mannare
re lo mari pozza stare a lu funno!
Sta vita triste voglio io abbrazzare
senza legge,giranno ppe’lu munno.
I’non so’muorto e so’bbivo ancora,
l’uogglio re la mia lampa ancora rura;
stesse accorte chi mme vole male
ca non so’chiuso ancora tra quattro mura
Canto raccolto a Pellare

A mmi la morte no mme fa spavento
pure ca rormo a l’aria serena,
re la mia vita sono assai contento
non mme piglio arbascia oppure pena.
Accussì ha bboluto la fatale stella
ppe’compagnia avè le scuppettate
so’destinato a vivere ribbelle
ra nu mumento a n’ato esse scannato.
Canto raccolto a Centola



Eremo  Rocca S.Stefano domenica 23 marzo 2014

mercoledì 19 marzo 2014

E il ritorno lassù

E il ritorno lassù

I colori di maggio. A distanza di quattro anni tutto è rimasto a quel 6 aprile. Ogni mese si chiama aprile e ogni anno è quello del mese di aprile. [Valter Marcone]

mercoledì 19 marzo 2014 05:23

di Valter Marcone

E il ritorno lassù tra le antiche

strade e i muri sbrecciati,

i campanili silenziosi e le fontane mute

è come un filo d'Arianna

d'una vita. Quante vite. Dove

si gonfia qual mare di soglie povere,

usci vuoti, gugliate gugliate

di luce e sole perdute

nei cortili e sui cornicioni

della mia città lassù.

Lassù non ci sono voci, non senti

"come va", "prendi un caffè",

"che cosa mi racconti".

Senti solo pensieri come cumuli

di terra da riporto e non c'è

più nessuno, sono tutti di passaggio .

Mentre sono qui è come guardare

il volto d'Iddio caldo di speranza

con l'occhio di una lungimirante

preghiera sulle labbra

e poi cedere a poco a poco.

A poco a poco.

lunedì 10 marzo 2014

Libri: mare di plastica, mercurio e tritolo l’eredità che lasciamo - Il Fatto Quotidiano

Libri: mare di plastica, mercurio e tritolo l’eredità che lasciamo - Il Fatto Quotidiano

SILLABARI : Bellezza

SILLABARI  : Bellezza

Metto qui il bel pezzo scritto da Gianluca Sperasul film di Paolo Sorrentino ‘La Grande Bellezza’, pubblicato su OttoStorie l’8Marzo 2014


Su “La grande bellezza”, ormai, si sono sprecatii commenti, più o meno pertinenti, che hanno scatenato il consueto dibattitoinfuocato sulle pagine di facebook o twitter tra improvvisati criticicinematografici, equamente divisi tra estimatori e detrattori di Sorrentino,intenti a discettare, senza alcun timore di sfidare il senso del ridicolo, dicopione, trama, sceneggiatura, fotografia e recitazione. L’impressione che sen’è ricavata è piuttosto deprimente perché molti degli audaci commentatori,nella migliore delle ipotesi, si erano soffermati solo su qualche spezzonedella pellicola tralasciandone la visione integrale. L’errore di fondo è statoquello di incentrare la contrapposizione soltanto sull’opportunità diassegnare, o meno, l’Oscar al film di Paolo Sorrentino. Molti degli intrepidicinefili, essendo sprovvisti delle capacità e delle conoscenze indispensabiliper poter conferire attestati od esprimere giudizi, avrebbero fatto meglio, purgarantendo a ciascuno la possibilità di esprimere una critica più chelegittima, tenuto anche conto che certe incongruenze del racconto non sonoproprio esenti da censure, a concentrare la discussione sulla visionecomplessiva della società italiana che ci ha proposto il regista napoletano conferoce sarcasmo, insolito nelle produzioni nostrane appiattite su commediole dinessuna rilevanza.
Quello che ha descritto Sorrentino è un Paese molto vicino alla realtà,assomiglia spaventosamente a quello che viviamo e subiamo ogni maledettogiorno, alle storture che accompagnano l’affannoso incedere di una Nazione chesi sta condannando da sola all’inevitabile retrocessione. E’ l’Italia dellecongreghe autoreferenziali, del potere corrotto, dei circoli ristretti, dellavolgarità imperante, della tracotanza dilagante, dell’ignoranza elevata asistema. E’ un Paese fondamentalmente depravato che sta bruciando secoli esecoli d’Arte, sta relegando la Conoscenza a momento accessorio e non necessario, dove anchela lettura è diventato un fenomeno elitario. Se vogliamo, alcune situazionisono pure peggiori di come le ha tratteggiate il film perché Sorrentino, indefinitiva, ha indugiato su aspetti intellettualistici, che alla fine tracimanoaddirittura, non senza un’evidente forzatura, nel misticismo, evitandoun’analisi generale dei vizi e dei difetti ancestrali della società italiana edelle gravi conseguenze che ne derivano in termini di opportunità assenti edoccasioni mancate. Per tanti Jep Gambardella, o affini, che salgonoimmeritatamente alla ribalta, ci sono tanti sconosciuti che restano confinatiingiustamente nel loro avvilente anonimato.
C’è una parte del Paese che non emerge perché viene trattenuta con la testasott’acqua, in uno stato di perenne apnea da mani violente guidate da genteprepotente che non intende concedere nemmeno un millimetro ai potenzialiconcorrenti. L’Italia dei monopoli, costruita sul controllo capillare e dispoticodi tutti i settori di produzione, sull’occupazione degli Enti di gestione,sulla blindatura dei vertici delle professioni intellettuali, sull’abbassamentocomplessivo del livello di discussione, sull’azzeramento di ogni forma didissenso. In quest’epoca più che decadente, il lavoro, merce rara, vienedistribuito con parsimonia e secondo metodi tutti italiani. Il sistema devegarantire i già garantiti, perpetuare il potere di chi determina fortune esfortune altrui, assicurare rendite e ricchezze solo a quei pochi che sonoammessi e frequentano assiduamente le stanze dei bottoni. Non importa se tuttoquesto, prima ancora di ridurre il gusto estetico, ha distrutto l’economianazionale, l’idea di giustizia, progetti e prospettive delle giovanigenerazioni. Sul lungo periodo, privarsi delle menti migliori, costringeretanti ad emigrare, affidarsi ad una classe dirigente mediocre che, assuefattaal codardo servilismo in parte imposto ed in parte accettato senza fiatare, siomologa ad un’improduttiva bruttezza, risulta fortemente penalizzante, crea ungap difficilmente colmabile con il resto del mondo.
“Non si mangia con la cultura”, è stato lo slogan di questi ultimi anni in cuiè stato consentito ad una ristretta cerchia di persone di mangiare pure tanto,di appagare tutta la loro egoistica ingordigia, di sfamarsi fino a sazietà. Noncon la cultura, ma con gli appalti pubblici e le commesse di Stato. Quelli chesono stati riservati con estrema generosità a chi ha dimostrato fedeltà emilitanza, devozione e subordinazione più che preparazione e competenza,tendenza al compromesso più che un minimo anelito di progresso.
Questo tipo di mentalità ha bloccato sul nascere ogni tipo di iniziativa, hasfasciato quel poco che funzionava, ha arrestato sviluppo sociale ed evoluzionecivile. Ci ha reso ridicoli all’estero dove non arriva un’immagine deformatabensì la reale percezione del disastro. D’altronde, le rappresentazioniedulcorate, così come le cronache ruffiane, non agevolano certo la comprensionedelle problematiche né la cura dei mali endemici che impediscono la crescitadel Paese.
Quest’Italia, quella raccontata da Sorrentino, quella con cui ci troviamo acombattere nell’estremo tentativo di piegarla, senza riuscirci, ad un minimo diequità, ha delle vaghe similitudini con l’Irlanda di inizio novecento uscitadalla penna di Joyce. Le problematiche non sono del tutto coincidenti ma ilsenso della sconfitta incombente è lo stesso. Uno dei personaggi di “Gente diDublino”, all’apice dello scoramento, disilluso dall’impressione di unsoffocante senso di immobilismo, prendeva amaramente coscienza che l’unicasoluzione per sottrarsi alla disfatta era la fuga senza alcuna riserva orimpianto. “Non aveva dubbi: per aver successo nella vita, bisognavaandarsene”. Non si può fare nulla in Italia.
(dal Blog di Eliana Petrizzi  Crateri Il falò della volgarità di Gianluca Spera )

Eremo Rocca s.Stefano  lunedì 10 marzo 2014







domenica 9 marzo 2014

SILLABARI Amore e poesia

SILLABARI  Amore e poesia



Anche se in questi ultimi anni lo si è fatto piuttosto spesso, è semprescabroso trattare il tema * amore '. perché c'è di mezzo il corpo oltre allo 'spirito ', e a quanto pare col corpo, malgrado tutte le rivalutazioni eriappropriazioni, continuiamo a non avere molta confidenza.
È un'impresa da sconsiderati, anche perché l'amore è un fenomeno cheosservato dall'interno, ossia dal punto di vista di chi ama, presenta aspettiassolutamente 'non rilevabili all'osservazione esterna; .il che significa cheil materiale di documentazione più attendibile e significativo ci può veniresolo da quel punto di vista privilegiato. Ora, se è vero che si tratta diun'esperienza che abbiamo fatto tutti, non è meno vero che una volta che nesiamo fuori, diciamo pure negli intervalli visto che 'siamo tutti recidivi, cisuccede non dico di rimuovere ma certamente di mutilare e alterare il ricordodi quell'esperienza, secondo i me-diocri bisogni e disegni del ' senno di poi '.Un mio paziente diceva che in genere noi viviamo 'la brutta copia della nostravita, tranne 'che quando amiamo: perché in quel caso la brutta copia lascriviamo dopo.
Per fortuna c'è un'altra categoria di ' sconsiderati ' che da almenoventisette secoli si è assunta il compito di abolire lo scarto tra esperienza ericordo: i poeti. Certo per dargli credito in questo senso non bisognacoltivare l'immagine del poeta come visionario, e nemmeno come veggente nelsenso paranormale del termine, ma quella del poeta come esperto nell'arte difermare e calare in parole 'l'ineffabile, o meglio ciò che fino a quel momentoappariva tale; capace perciò di offrirci, a distanza magari di millenni, unasorta di ' presa diretta ', coinvolgente 'e drammatica ma anche straordinariamenteilluminante.
A me beato sembra come un dio l'uomo che siede a tè dinanzi,
ed ode da vicino le tue dolci parole
ed il tuo dolce riso amoroso. E subito nel petto sbigottisce il miocuore:
se io ti vedo solo un istante, subito la miavoce si spegne.
Mi si spezza la lingua, ed una fiamma sottile mi trascorre per lemembra,
ed io non vedo nulla più con gli occhi; romban gli orecchi.
Freddo sudor m'inonda, ed un tremore tutta mi prende,
e più verde dell'erba io sono, e non mi sembra esser lontana dalla miamorte...
In questo ' carme lirico ' di Saffo ci sono quasi tutti gli aspetti che citroveremo a trattare nel corso delle nostre riflessioni sull'amore. In primoluogo c'è un'adesione immediata, che è una caratteristica fondamentaledell'esperienza amorosa: un sentirsi, di fronte alla persona che si ama, senzaalcuna possibilità di resistere, un dire di sì a tutto quello che vediamodavanti a noi, privi di qualsiasi atteggiamento critico. La persona di cui ciinnamoriamo ci cattura con una immediatezza che non troviamo in nessun'altraesperienza. È come se fossimo in uno stato ipnotico, nel quale la persona chesuscita in noi la condizione ipnotica ci comunica qualcosa che forse abbiamosempre so-spettato di poter conoscere, di poter godere ed afferrare. Lacaratteristica fondamentale è dunque un'immediata « partecipazione all'altro »,con un carattere che potremmo definire compulsivo: il nostro 'investimentoamoroso ci spinge coattivamente in una precisa direziono. Fiatone parlavaaddirittura di « delirio divino », che è la dimensione dell'estasi. Ricordiamole prime parole del frammento di Saffo: « A me beato sembra come un dio l'uomoche siede a tè dinanzi... ». Di fronte all'amato l'amante prova un 'senso diincredibile pienezza e, contemporaneamente, ha la sensazione di aver vissutofino a quel momento in una condizione di privazione. La funzione dell'amore èproprio quella di riempire un vuoto nella nostra esistenza e questa possibilitàè testimoniata dalla sensazione di turbamento che ci provoca la vista dellapersona amata. È un turbamento particolarissimo, che implica uno spostamento diforze all'interno del nostro vissuto esistenziale. C'è qualcosa che si muove,qualcosa che non è altro che il poter catturare, il poter estrarre dall'altrouna dimensione che permette di andare a coprire quel senso di vuoto che hacaratterizzato la nostra esistenza fino a quel momento. La nostra esperienzasembra dirci che è qualcosa di esterno a catturare noi, qualcosa verso cui vail nostro sguardo, ma la verità è che l'esperienza amorosa vive di ciò cheaccade in noi. Guardare l'oggetto del nostro amore significa ricevere qualcosa.Quello che io vedo ha significato perché evoca e muove all'interno di me stessodelle dimensioni importanti. Si può anche dire che, da un certo punto di vista,l'altro non può essere classificabile perché si 'implicherebbe la conoscenzadell'altro: nell'esperienza amorosa c'è qualcosa di incomprensibile. Per tuttala durata dell'amore i! nostro tentativo di porci di fronte a questo oggettopieno di mistero e di fascino è in realtà il tentativo di farlo uscire da ciòche non è chiaro. Io rimango innamorato fino a quando l'altro non è afferrabilenella mia dimensione spirituale. C'è qualcosa che mi spinge a interrogarmi sulsignificato di quel volto. L'amato diventa così una figura che spinge allaricerca di una mia verità interiore. E qui tocchiamo un elemento essenziale:
la persona che amo, sulla quale riverso tutta la mia energia, diventa quellache possiamo chiamare la trasparenza del mondo (1). Questo è secondo me uno deifenomeni più belli della dimensione amorosa che, attraverso questa esperienzadella trasparenza del mondo, ci permette di capire veramente la realtà esterna,lo sono tagliato completamente fuori dagli altri, sono tagliato fuori dal mondodello spirito e delle cose, se non ho vissuto almeno una volta 'l'esperienzadella dimensione amorosa. Infatti, attraversando questa dimensione, si illuminadi significato qual-siasi aspetto dell'esistenza, sia fisica che psichica:
ciò avviene solo a condizione che io sia « rapito » da un personaggio chenon riesco a inquadrare e che, come un pensiero dominante, orientaincessantemente nella sua direzione la mia vita psichica. L'oggetto d'amore piùbello è quello che non si riesce a definire, « l'oscuro oggetto del desiderio»: esso non si lascia ridurre, esaurire o banalizzare nel rapporto. La nostracapacità di mantenere viva un'esperienza d'amore sia nel riuscire a rendere continuamentenuova l'esperienza proprio grazie a quell'arricchimento interiore che ci haconsentito il rapporto stesso. La vitalità che noi sentiamo quando amiamoderiva dal fatto che attingiamo nuove forze che ci spingono, rispettoall'altro, in una dimensione diversa da quella usuale in cui siamo quando nonamiamo. Ecco perché amare è così « stressante ». Da un certo punto di vistaamare è un autentico lavoro psicologico. II più impegnativo che esista, proprioperché esso fa scattare in noi una nuova possibilità di conoscenza del mondo.Allora, se si vive per venti o trenta anni in un clima di mancanza d'amore, nelmomento in cui si incontra questa dimensione si deve imparare di nuovo aconoscere un mondo che sembrava ormai familiare e d'un tratto ha assunto unafisionomia diversa. Questa diversità è dovuta al fatto che il catturaredall'altro una dimensione che mi mancava ha reso me diverso, e ora i mieistessi occhi 'sono diversi, la mia stessa capacità di vivere quell'esperienza èdiventata diversa.
« E subito nel petto / sbigottisce il mio cuore: se io ti vedo / solo unistante, subito la mia voce si spegne ». « Solo un istante » e « subito »:questa immediatezza, questa fulmineità nel cambiare radicalmente la mia interavisione della realtà è un'altra caratteristica dell'esperienza amorosa. C'è'come un ritmo del desiderio che prende a pulsare dentro di noi e la personache abbiamo accanto acquista un significato mutevole e sfuggente, in quantocambia la nostra dimensione interna — perché acquisisce forza dall'altro —'etale cambiamento diventa uno stimolo a capire di più. Tutto questo però avvienecon dei ritmi particolari, il 'nostro desiderio è scandito dalla presenzadell'altro. E in questo momento, poiché entra in scena il desiderio, il corpoprende il sopravvento. Quando guardiamo gli occhi della persona che amiamo,quando contempliamo l'altro, in realtà cerchiamo di riconoscere segni che forseabbiamo già conosciuto nel nostro passato e, se non li riconosciamo, cerchiamodi dare a quel volto un nuovo significato; e dare al volto dell'altro un nuovo'significato vuoi dire fare entrare nell'esperienza amorosa la dimensionecorporea.
Saffo ci dice « ... la mia voce si spegno »: noi veniamo turbati daldesiderio, e con la voce è l'intera realtà che si spezza. Anche questo è unaspetto peculiare dell'esperienza amorosa: la realtà esterna così vistosa eingombrante fino a questo momento, si defila e scompare, e al suo posto, comecambia la scena su un palcoscenico girevole, si insedia una realtà fantastica,un nuovo universo al centro del quale stanno le due persone coinvolte in quelrapporto amoroso.
Dal loro punto di vista quell'universo è l'unico plausibile; ma solo da quelpunto di vista, come c'è un solo punto dal quale ognuno delle due braccia di quell'immensopronao della basilica di San Pietro che è il colonnato del Bernini apparecomposta da un'unica fila di 32 colonne anziché da 32 file di quattro colonneciascuna. Per tutti gli altri, per tutti quelli che ovviamente non possonovedere 'le cose da quell'angolazione così particolare il mondo di coloro che siamano è aberrante e inesplicabile. E questa è l'inevitabile violenza a cui ciesponiamo nel momento in cui siamo rapiti dalla dimensione amorosa. Ma in fondoè bene che 'almeno l'amore ci 'costringa a fare anche solo una volta nella vitaquesta salutare esperienza di non essere più in sintonia con gli altri, eperciò di non riuscire a comunicare — se non con il linguaggio dell'arte, dellapoesia, che coi suoi misteriosi poteri al-chemici riesce a trasformare inparole l'ineffabile.(...)

Ed ecco perché quella realtà l'abbiamo vissuta, finché è durata, comequalcosa di definitivo, di perenne. Quando si è attraversata un'esperienzad'amore fino alla fine, che ci sia o no una fine, sappiamo che il senso delladimensione amorosa si accompagna al senso dell'eternità. Nessuno può amarepensando che quell'amore finisca, nessuno può amare pensando di morire o chequella esperienza sia limitata nel tempo. Se si vuole fare l'esperienzadell'infinito psichico, di una dimensione che trascenda i limiti della nostraesistenza, si deve fare l'esperienza della dimensione amorosa. In quel momentonoi perdiamo H senso della realtà. Ma è un bene che sia così, noi dobbiamo perderlo.È per questo, del resto, che spesso gli altri si coalizzano contro di noi:perché siamo «e persi » per la loro realtà, abbiamo disertato, siamo passatiarmi e bagagli a una realtà diversa, « straniera » per loro, incomprensibile eperciò temibile.
« Mi si spezza la lingua, ed una fiamma / sottile mi trascorre per le membra». L'amore è caratterizzato da un'alterazione del nostro rapporto con larealtà; ma cosa significa in termini psicologici essere « alterati »? Significache l'assetto psichico di cui eravamo portatori fino a un momento fa haesaurito la sua funzione: non avremmo potuto calarci in una situazione d'amorese questo assetto psichico non avesse consentito la possibilitàdell'alterazione. Le persone sagge sanno che bisogna aspettare che si compiaquesta esperienza perché atteggiamenti apparentemente rigidi possanodissolversi come neve al sole. Con l'amore cambia tutto, ma il cambiamentomaggiore è nel nostro modo di sentire le cose della vita, noi vediamo con occhidiversi.
Una persona attenta e sensibile riesce sempre ad accorgersi sel'interlocutore si trova in una dimensione d'amore, perché chi è immerso inquesta dimensione ha una tendenza particolare: la tendenza a considerarel'oggetto d'amore come fonte di felicità infinita. Quando nella 'nostraesistenza ci troviamo a vivere un'esperienza nella quale una persona esterna anoi diventa la fonte della nostra felicità, noi siamo certamente in unaesperienza-limite. Quando io mi rendo conto che la mia felicità passaattraverso l'altro e mi abbandono con generosità nelle sue braccia, allora,come dicono i versi di Saffo, sono colto dalla paura perché mi sono messo nellemani di un altro. Si è detto spesso che la possibilità di resistere al mondo èin ragione diretta della capacità di autonomia; ma è innegabile che laconoscenza del mondo passi attraverso questo identificare nell'altro la fontedella propria felicità. È vero che mettersi nelle mani degli altri può recaresofferenze altrettanto intense della felicità che ci si aspetta, ma si trattain ogni caso di un'esperienza che va fatta e ricercata.
Avvicinandoci maggiormente agli aspetti psicologici dell'esperienzadell'innamoramento, possiamo dire che essa trascende il desiderio sessuale. Neimomenti m cui si ha la percezione di perdere l'altro si dicono di solito, e conestrema sincerità, frasi che rivelano che siamo pronti anche a escluderel'intimità fisica pur di non rinunciare ad un « oggetto » che sentiamo come lafonte insostituibile della nostra felicità. Sono questi i momenti in cui lasessualità sembra trascendere o addirittura rinnegare se stessa.
Violenza dell'Eros Aldo Carotenuto, Roma

Eremo Rocca s. Stefano domenica 9 marzo 2014






SILLABARI:  Eros epathos

 

Tutta la nostra vita è una lotta per affermare quel qualcosache ci sfugge, e per poter lottare dobbiamo imparare a sentire sulle nostrespalle il peso dell'assenza dell'altro. Io credo che nessuna terapia, nessunaesperienza consenta di eliminare questo senso di vuoto che l'amore,illudendoci, ci promette di riempire. Quando crediamo che il vuoto sia statoabolito, è probabile che stiamo ingannando noi stessi. Infatti, per quantol'altro possa corrispondere al nostro desiderio inconscio, il bisogno ditotalità è talmente smisurato che nessuna esperienza lo potrà realmentecolmare. Il destino strutturale della nostra vita è imparare a sopportare laprivazione e anche la delusione della persona che ci è accanto: quale che essasia, qualunque cosa possa rappresentare o aver rappresentato per me, esprimecomunque un'assenza. Possiamo dire che ogni dimensione amorosa mette in scenaun mito; ogni volta che ci troviamo in questo vissuto noi “insceniamo”qualcosa: la totalità perduta che rimanda ai momenti precoci della nostraesistenza oppure il cosiddetto desiderio della completezza e- fatto ancor piùdoloro – l'essere sempre pronti a rinnovare questo senso di vuoto. Infatti, perquanto io possa amare un altro e per quanto questo possa a sua volta ricambiarei miei sentimenti, in ogni rapporto continua a esistere la possibilità diperdere la persona amata. È questo timore che si rinnova con più forza ognivolta che si crea una nuova relazione, anche se il sentimento che si è riuscitia creare offre continuamente un modo di controllare la perdita. Ma la perditaci riconduce al desiderio.

Il desiderio è acceso dalla mancanza di qualcosa che miappare vitale e verso la quale sono spinto a muovermi. Nella dimensione amorosal'assenza insedia l'altro prepotentemente nel mio mondo interiore. Quandol'altro non c'è, riesce a riempire tutta la nostra esistenza. Nell'assenza eglidiventa quello che Leopardi chiamava il “pensiero dominante”.

Siamo ossessionati dalla sua immagine ed è sempreun'immagine parziale quella che torna alla mente: quell' immagineparticolarissima che ci ha catturato e che ora riempie il vuoto lasciato dallasua scomparsa. […]

D'altra parte, in questa particolare e pur singolaresituazione psicologica è come se il nostro immaginario, il potere cioè cheabbiamo di creare immagini e non essere soltanto passivi di fronte a esse, cipermette di essere, per così dire, creativi, perché allora è il nostro bisognoa dar vita a delle immagini che, se pur distanti dalla realtà, esprimono lanostra stessa possibilità di creare qualcosa, di dargli vita e di riconoscerein esso tutto un mondo fantastico.

Se il desiderio è per definizione insoddisfatto, quandoamiamo noi torniamo a sperimentare in modo abbastanza vivo il senso di solitudine.In noi c'è una spinta per la totalità, un andare verso la perfezione, al puntoche in certe persone, per esempio i mistici, l'amore ideale si rivolge a Dio enon alle cose terrene. A queste conclusioni giungiamo con tristezza, perché èchiaro che su queste cose noi tendiamo a illuderci, ed è anche giusto che siacosì; ma, di fatto, la dimensione amorosa è sempre un'esperienza di assenza, el'assenza ha a che fare con la nostalgia.

Io penso che la nostalgia e il vissuto dell'assenzacoincidano col significato della nostra vita. È come se noi, durante ilpercorso dell'esistenza, sperimentassimo continuamente un'insoddisfazioneprofonda, nonostante tutto quello che riusciamo ad afferrare. C'è un senso diillimitato che ci muove, ma quello che riusciamo ad afferrare è limitato eallora, anche se guardiamo fisso negli occhi l'essere che amiamo, in quelmomento possiamo leggere forse reciprocamente la nostalgia nei nostri sguardi.

Da: Aldo Carotenuto, Eros e pathos. Margini dell'amore edella sofferenza, Bompiani, Milano 2002 [1987], pp. 40-41.

Eremo Rocca S.Stefano domenica 9 marzo 2014




sabato 8 marzo 2014

8 MARZO FESTA DELLA DONNA

8 MARZO FESTA DELLA DONNA



Una poesia dolce e avara per salutare la donna. Una dellepiù belle, a mio avviso, rivolte alla donna nel poema dantesco. Che guarda unpo’ ha sempre bisogno per essere letto di commenti di intere pagine per unasola terzina.  In questo caso arrivadiretto. E ogni ulteriore commento diventa superfluo.

 

«O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,
di tante cose quant' i' ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.
Tu m'hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt' i modi
che di ciò fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
sì che l'anima mia, che fatt' hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi».
Così orai; e quella, sì lontana
come parea, sorrise e riguardommi;
poi si tornò a l'etterna fontana.
(Par. XXXI 79-93)

il capoluogo | Festa della Donna, il regalo di un poeta

il capoluogo | Festa della Donna, il regalo di un poeta

venerdì 7 marzo 2014

VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI :Leonardo Sinisgalli Mi ricorderò di questo autunno


Mi ricorderò di questo autunno


Mi ricorderò di questo autunno
splendido e fuggitivo dalla luce migrante,
curva al vento sul dorso delle canne.
La piena dei canali è salita alla cintura
e mi ci sono immerso disseccato dalla siccità.
Quando sarò con gli amici nelle notti di città
farò la storia di questi giorni di ventura,
di mio padre che a pestar l'uva
s'era fatti i piedi rossi,
di mia madre timorosa
che porta un uovo caldo nella mano
ed è più felice d'una sposa.
Mio padre parlava di quel ciliegio
piantato il giorno delle nozze, mi diceva,
quest'anno non ha avuto fioritura,
e sognava di farne il letto nuziale a me primogenito.
Il vento di tramontana apriva il cielo
al quarto di luna. La luna coi corni
rosei, appena spuntati, di una vitella!
Domani si potrà seminare, diceva mio padre.
Sul palmo aperto della mano guardavo
i solchi chiari contro il fuoco, io sentivo
scoppiare il seme nel suo cuore,
io vedevo nei suoi occhi fiammeggiare
la conca spigata.


lunedì 3 marzo 2014

Allegro funerale re carnevalea S.Demetrio ne’Vestini

Allegro funerale re carnevalea  S.Demetrio ne’Vestini 

Il sole del primo pomeriggio  di un marzo atmosfericamente un po’matto,quasi come quei “ marzi “ d’altri tempi ,illumina la scena.  Il palcoscenico è quello della piazza di S. Demetrione’ Vestini.La scena è la rappresentazione dell’”allegro funerale di Carnevale“ organizzato dalla Pro Loco con il patrocinio della Confcommercio e con laconsulenza scientifica  del prof.Vincenzo Battista. Una piazza che conserva i segni del tempo e degli avvenimenti, delle storie  singole e collettive. Fino a quelli delrecente terremoto  che li ha dispersi,travisandoli. In quel senso di catastrofe e di incombente pericolo che da sempresono stati la linfa,la circolazione sanguigna del corpo e della vita  identitariadella comunità paesana. Raccolti andati a male, intemperie procellose con leravare e i danni al territorio, guerre, morbi,fame, liti ,hanno tenuto il filonegativo dell’esistere individuale e di gruppo. Un filo dipanato  in un volgere di accadimenti  che sono di ieri  ma anche di oggi ,che vivono nellacontemporaneità proprio nella categoria dell’accadere   ,quello che non cambia niente o cambiatutto. Perchè il mondo di dentro delle persone e quello di fuori  che all’apparenza appare immobile,  taciturno ,esile, in realtà cambia,inesorabilmente. E inesorabilmente prorompe. Pur se dovuto ai pericoli,allesofferenze , ai dolori ,è anche specchio di impegno, attività lavorativa,ricerca delle condizioni per stare e far stare meglio al mondo.
Bene ha fatto la Pro loco  di S. Demetrio ne’Vestini  a recuperare tutti questi segni. In modosingolare se vogliamo. Ma non tanto. Organizzando  nella domenica di carnevale appunto un“Allegro funerale di re Carnevale”.Proprio per stare all’interno di quei segni dicui si parlava. Per restituire alla vita di tutti i giorni ,quella tappa ciclica che è la festa del carnevale,che insieme a nascite, matrimoni, morti e alle feste della religiosità popolare e dell’attività del lavoro,ne  esprimono il senso più profondo. Unacorale rappresentazione quella del funerale carnascialesco che fa rivivere  una particolare tradizione del paese di S.Demetrio, ricostruita attraverso la tradizione orale e la memoria delle personepiù anziane. Che con i loro saperi hanno riprodotto dei manufatti  come,per esempio, il fantoccio di re carnevale. In una fattura che fa  della manualità un’espressione altissima  appunto di saperi condivisi. Unfantoccio  che dopo l’uso  per la festa di carnevale veniva riutilizzatonei campi come spaventapasseri,affermando così il suo valore apotropaico.
Una festa ,quella di carnevale,che fa  da cerniera  tra la festa di S. Antonio del porcello  e la Quaresima.. L’annuncio della finedell’inverno  e per questo la possibilitàdi stravolgere per un attimo  ogni cosa.Se la vita appunto di rinnova  va tuttobuttato all’aria perché torni a depositarsi in un altro modo .Con la stranacertezza che comunque  tutto torneràuguale a prima  e con l’altrettanta “certa“ speranza che l’inversione di ruoli per un istante  può essere il germe di un cambiamento.
Uno stravolgimento che liberadalle ansie e dai dolori ,affidando a re carnevale e alla sua sorte  anche, per esempio , i debiti.
In una economia di sussistenzache era quella contadina dell’Ottocento e della prima metà del Novecento ( fino alla  grande emigrazione  e al boom economico del dopoguerra che hannosegnato  l’abbandono delle campagnee  assegnato alla terra   un valore irrisorio  e quindi la fine del mondo contadino) ,idebiti contratti per far fronte all’inverno risultavano un macigno per le famiglie. Così quel peso si  affidava al re carnevale  perché lo portasse lontano, nell’al di làdell’al di qua .Sperando che l’al di là fosse migliore dell’al di qua  e potesse pietosamente risarcire  quanto veniva tolto spesso dai soprusi, dauna ingiusta giustizia terrena,  da unacondizione disarmata di  sopravvivenza.
Il recupero dunque di unatradizione “esigente” che la Pro Loco haarricchito  anche con l’attualità di unconcorso  per maschere individuali (cinque partecipanti ) e di gruppo ( dieci gruppi ).Tutte premiate proprio persottolineare lo spirito di carnevale ma anche l’impegno che le singole persone, le scolaresche e le loro insegnanti ,igruppi di amici, hanno messo  per questoappuntamento  fortunatamente sotto ilsole di marzo.
Una ricostruzione del carnevalefatta dunque insieme alla Pro Loco dall’intera comunità del paese che fuori da ogni protagonismo dice l’importanza della sua identità. Che si esprime in punti di forza edeccellenze  che sicuramentel’Amministrazione Comunale  e la Pro Loco ,appunto, sapranno valorizzare. Acominciare  dalla storia della famigliaCappelli  e del suo ruolo nella vitaeconomica e sociale di S. Demetrio ne’Vestini fino  al recupero del valore  del pane come elemento nutritivo e  simbolico passando attraverso il ciclo delgrano, con l’accento sulla storia di una qualità di grano selezionato e  denominato proprio “Cappelli”.( ValterMarcone   ) valtermarcone@hotmail.it     valtermarcone  osservatoriodiconfineblogspot.it








sabato 1 marzo 2014

CONTRAPPUNTO :  Economia della Felicità





Grazie alla disponibilità di informazioniraccolte da sociologi e psicologi, alcuni economisti si sono interessati astudiare e comparare il benessere e la felicità degli individui sconvolgendoradicalmente il tradizionale assunto che l'aumento della ricchezza, sia dellenazioni che degli individui, attraverso il libero mercato, sia sufficiente agarantire un proporzionale aumento della felicità, o quantomeno a nonprovocarne la diminuzione. Uno dei risultati più interessanti che emerge dallericerche economiche sulla felicità, è che nel lungo periodo mentre il redditopro capite aumenta costantemente, la felicità rimane sostanzialmente invariata.I dati provengono dalle indagini Eurostat-Eurobarometro e coprono il periododal 1975 al 1992. Nonostante le molte oscillazioni, la soddisfazione mediariportata dagli europei era, nel 1992, praticamente allo stesso livello di 20anni prima, a fronte di un considerevole aumento del reddito pro capite nellostesso periodo. Risultati molto simili si ottengono anche per gli Stati Uniti.Questi dati sollevano naturalmente molti dubbi sulla loro qualità e tuttavia,senza entrare nel dettaglio, numerosi studi provenienti da altre disciplinecome la psicologia e la neurologia ne supportano l’attendibilità. Citiamo solola critica che a noi pare più comune e che si potrebbe formulare come segue: inrealtà ognuno si dichiara soddisfatto in relazione a ciò che puòrealisticamente ottenere, di conseguenza oggi siamo effettivamente più felicidi 20 anni fa ma non ci riteniamo tali perché le nostre aspettative sonocambiate, migliorate, e desideriamo sempre di più. Esistono diverse risposte aquesta critica. In primo luogo, se così fosse, almeno persone nate negli stessianni dovrebbero mostrare una crescita nel tempo della felicità riportatasoggettivamente. I dati mostrano invece che, anche suddividendo il campione percoorti di nascita, la felicità riportata non cresce significativamente neltempo. Inoltre, misure meno soggettive del benessere, come la percentuale dipersone affette da depressione o il numero di suicidi, seguono andamenti moltosimili alle risposte soggettive sulla felicità e sulla soddisfazione. Ma alloracosa ci rende felici? Studi che confrontano felicità e soddisfazione di personesimili indicano, con tutte le riserve del caso, che sono molte le fonti difelicità e infelicità: gli occupati sono molto più felici dei disoccupati, lasicurezza del posto di lavoro rende meno stressati e più felici, chi ha unafamiglia stabile è più felice dei separati/divorziati, ma anche vivere in unacittà con poca povertà e poche disuguaglianze sembra rendere più felici.
La definizione marcusiano-francofortese di"società dei consumi" è ormai antica, così antica da lasciarciintendere che il sistema è più che maturo, e probabilmente invecchiato al puntodi mostrare le prime, pesanti crepe. Ampiamente accertato, dalle analisisociologiche come dalla vox populi, che la povertà rende infelici, esposti albisogno, meno liberi e meno energici, e dunque lasciato alle retroguardiemoraliste il dubbio piacere di tuonare contro il benessere materiale, ildibattito sulla ricchezza, e sul suo incerto rapporto con la felicità, non èpiù così elitario o "di opposizione". Questa è la novità. Non sonopiù i vecchi hippies o i giovani new global a puntare il dito contro lagiustapposizione acritica tra benessere materiale e felicità. È lo sguardorazionale degli economisti, adesso, che cerca faticosamente i nessi, e lesconnessioni, tra il Pil e la soddisfazione sociale, tra il trend quantitativodei consumi e la qualità della vita individuale. E si espande il nucleo critico(ormai una minoranza di massa) di singole persone e gruppi sociali cheinseguono prassi di vita meno febbrili e meno assoggettate alla bulimia dellemerci. Convegni accademici e confessioni private, libri e indagini, teoriescientifiche e osservazione empirica, tutto conduce in una sola direzione, overso una stessa risposta: felicità è partecipazione, in tutte le gradazioni,dalla mobilitazione politica alle minute attività di quartiere. Se unadisciplina ormai trentennale come l'"economia della felicità" conosceuna ragguardevole impennata di pubblicazioni e di dibattito, è anche perchécresce la consapevolezza diffusa che non c'è, o non c'è più, felicitàattraverso gli ormai consunti parametri privatistici e quantitativi.
Se la semplice sopravvivenza e il riparo dallesofferenze, e non certo la felicità, sono stati per gran parte della storia loscopo principale della vita umana (Zygmunt Bauman), è solo con la Dichiarazioned'indipendenza della Virginia nel 1776 che la felicità è divenuta, da bene dilusso elitario quale era, un diritto universale. Il desiderio, la spinta versola felicità sono negli Stati Uniti un diritto costituzionale, ma anche undovere che sta al cuore dell'American Dream (diceva Samuel Johnson: "Lavita è un progresso da desiderio a desiderio, non da piacere a piacere"):ed è sempre lì che sta avvenendo una rivoluzione profonda. Al differimentocostante della felicità (sia le utopie sia il mai concluso progressoscientifico rimandano a un mondo ideale sempre futuro), l'età contemporanea,massimamente nel suo prototipo americano, ha risposto con il consumismo: ilgodimento (individuale) del piacere effimero e ripetibile del consumo hasoppiantato la costruzione (collettiva) di una vita felice. Ma in attesa di unmondo migliore, abbiamo distrutto questo per ipertrofia consumistica. Così, siè sviluppato negli ultimi anni un filone ipercritico di "etnografiadell'eccesso": qualche titolo ("The Overspent American" diJuliet Schor, "Luxury Fever" di Robert Frank, ma anche "FastFood Nation" di Eric Schosser e “The Influentials: One American in TenTells the Other Nine How to Vote, Where to Eat, and What to Buy") e unsolo dato (gli Stati Uniti spendono in soli sacchetti per l'immondizia più diquanto in 90 altri paesi si spende per tutte le merci), bastano a riassumere laquestione. Che ora si sta spostando rapidamente sul piano dei comportamenti edei valori, fino a ridefinire i principi stessi dell'American Dream, a partireda quella fascia di "trendsetter" che già da qualche decennio è statadefinita come gli "Influentials". Ovvero quella fetta dellapopolazione - 21 milioni di persone, un americano su dieci - che guida le idee,i comportamenti e lo stile di vita degli altri nove decimi del paese.
L'economia moderna nasce proprio con la felicità.Infatti, la tradizione italiana dell'economia, milanese e napoletana in modoparticolare, nella seconda metà del settecento scelsero la felicità comeconcetto centrale della nascente scienza economica. La felicità era peròpubblica (quindi da non confondere con il piacere o la contentezza momentanea),non solo perché il compito di creare le condizioni per la felicità era affidatoanche ai governanti, ma perché, come dicevano, posso essere ricco anche dasolo, ma per essere felici occorre essere almeno in due, perché si è felicigrazie e con gli altri. La tradizione napoletana - pensiamo a Vico o a Genovesi- era profondamente radicata nel messaggio cristiano. Ma possiamo ritrovare ilcollegamento tra economia e felicità nell'Umanesimo Civile, nella ScuolaFrancescana, e anche in molta parte della riflessione del monachesimo, e,andando più indietro nel tempo, anche la prima riflessione dei Padri avevaattribuito molta importanza al rapporto tra beni e ben-essere, alle condizioniche fanno sì che i beni, la ricchezza, siano mezzi per una vita buona. Dopol'Illuminismo forse l'attenzione al rapporto tra economia e felicità è rimastasullo sfondo anche della riflessione degli economisti cristiani, ma ultimamentel'interesse sta tornando con forza. La scienza economica ufficiale non hacontinuato la tradizione italiana, più antica, e si è concentrata sullaricchezza della nazione, e in particolare su come aumentarla (divisione dellavoro, commercio internazionale) e come distribuirla tra le classi sociali.Forse per questo motivo, attorno alla metà del 1800, si è meritatal'appellativo di scienza triste (dismal science), coniato dallo scrittoreinglese T. Carlyle. Se però guardiamo più in profondità ci accorgiamo chequesto appellativo è in parte ingiusto: in molti del primi economisti inglesi(certamente Smith e Malthus) era molto chiaro che la ricchezza è solo un mezzoper vivere meglio: e in un mondo che cercava ancora di uscire dall'estremapovertà questa tesi è probabilmente vera. Nel mio libro ho cercato così dimostrare che non solo a Napoli e in Italia, ma anche in Inghilterra c'è unatradizione dell'economia (che arriva fino al Novecento) che distingueva moltobene i mezzi (ricchezza) dai fini (felicità), e che si interessava anchedell'analisi di cosa accade quando ci concentriamo troppo sui mezzi e lifacciamo diventare fini, e quindi ci inganniamo. Ciò che emerge dalle ricerchesu reddito e felicità mostra un quadro più complesso del proverbio, e dei suoicritici. Innanzitutto tutte le culture sanno che il denaro, da solo, non puòdare felicità: se c'è un icona della non-felicità questa è probabilmentel'avaro. Ma perché l'avaro non è felice? Perché, anche senza accorgersene,trasforma il mezzo (denaro) in fine, e fa dell'accumulazione del denaro loscopo principale della sua vita; una vita che poi non fiorisce, e si chiude suse stessa. Al di fuori dell'avarizia, il denaro può portare a più felicità: nonoccorrono molti studi per capire che quando si è nell'estrema povertà unmaggior reddito porta ad una vita migliore e più felice. Ciò non è sempre vero(dipende da come quel reddito aumenta), ma i dati mostrano che in media è così.C'è però una soglia, un punto critico superato il quale il rapporto virtuosoreddito-felicità si inverte e può diventare vizioso. Perché? Non è facileaccorgersi quando stiamo per oltrepassare quel punto critico (ad esempio sestiamo lavorando troppo), perché siamo sottoposti a diverse forme di ingannodella nostra razionalità.
L'interesse per l’economia della felicità èdovuto, credo, a due ordini di ragioni. Innanzitutto il processo non è partitoall'interno della scienza economica: gli economisti sono stati contaminatidagli psicologi e in parte dai sociologi, che nei primi anni settantacominciarono a riportare dati sperimentali che mostravano il paradosso dellafelicità, e cioè che il reddito sembrava essere molto poco correlato allafelicità, almeno nelle società più ricche (Usa e Europa). Da qui la sfida diquei primi psicologi: perché preoccuparsi troppo dell'aumento del reddito, delPil (prodotto interno lordo), se questo non ci fa star meglio, ma addiritturapeggio? Da queste indagini sono nate due correnti di studi tra gli economisti:da una parte coloro che hanno sviluppato nuove teorie economiche per spiegarequel paradosso (e questo è il filone principale), dall'altra chi invece, forseper un richiamo ancestrale ai primordi della scienza economica, sente di doverche lo studio per aumentare la ricchezza o il benessere materiale è ancora oggiimportante, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Questo secondo filone hacome leader l'economista indiano Amartyia Sen, che sostiene che il sentirsisoggettivamente felice è meno importante della felicità oggettiva, cioè allaqualità della vita che la gente di fatto sperimenta (salute, educazione,libertà, diritti, etc.).
FONTE  :  http://www.utopie.it/economia_sostenibile/economia_della_felcit%C3%A0.htm

Eremo Rocca S.Stefano giovedì 27  febbraio 2014