martedì 30 novembre 2010

VERSI D'ALTRI ED ALTRI VERSI : Kikuo Takano ( III )

VERSI D'ALTRI Ed ALTRI VERSI : Kikuo Takano ( III )

A te



Mai ci siamo abbracciati,

perché eravamo per noi stessi un labirinto:

io non sapevo che fare accanto a te,

tu pure accanto a me eri smarrita

e non potevi andare avanti o indietro,

piangevi sommessa

e io ero più scontento di prima.

Da allora son passati dieci anni.

Resistendo a ogni cosa

che passa - al sogno, al tempo, all’ira – mi trovo

ancora dove mi sono perso allora.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, 30 novembre 2010



VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI : Kikuo Takano ( II )

VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI : Kikuo Takano ( II )

Da dove?

Da dove? chiede il vento.

Si scuote solo il grappolo dell'uva,

perché non sa rispondere: da dove?

Quando s'è reso conto, era già qui.

Potrebbe esser venuto dalla nebbia,

forse dalla roccia,

oppure forse dal cielo senza fine.

Non può rispondere

alla domanda: da dove?

Però comincia a chiedere: da dove?

In seguito a giorni d'insonnia

il grappolo è cresciuto di peso,

e ha cominciato a formarsi

come gocce di lacrime.

Chiunque potrebbe sbagliarsi

nel porre la domanda, ma occorre domandarsi:

da dove arriva 1'essere lontano che irradia la terra?

Finché t'accorgerai che quello è un dito,

chiedilo con intensità pur sbagliando.

Finche t'accorgerai che è un incontro...

Toccato dalle dita di luce

il maturare abbondante è frutto d'uva,

il dormire alla fine è frutto d'uva.

Quasi sabbia

Chiudere gli occhi perché

ha compreso la colpa del guardare.

Aprire gli occhi perché stessa colpa

gli é parso non vedere.

Sulla spiaggia deserta

con occhi distratti guardo il mare aperto.

Ma non lo vedo affatto.

Intanto guardo me

che penso di vederlo,

convinto sia così ma nemmeno

sicuro di questo. Forse questo lo vedo?

Guardo invece L´infranggersi dell´onda

e un legno gettato sulla spiaggia.

Chissà perché mi sento sollevato,

mesto e contento nello stesso tempo:

sto quasi per diventare sabbia.

Il vento e la duna

In una notte bianca cerca il vento,

intenso, il concavo e il convesso di una soffice duna,

sognando una carezza lieve

in cui tentare quello che ha perso.

La duna tormentata torce il suo corpo e chiama la stella.

Nella notte bianca, abbracciando l'arpa turbata

, il vento rende un fresco risveglio alla duna placata,

mutata di forma, come avesse ricevuto la grazia di Dio

sotto il bagliore mattutino.

La vita

La vita non è solo attendere invano?

Non è aspettare dolcemente qualcosa

che è troppo grande e che mai verrà?.

Il gyrinus nel suo volteggiare, la giraffa col suo collo,

con le spine la rosa, con le parole l'uomo,

il girasole con lo stame e il pistillo, non aspettano soltanto?

MARE


Desiderando rispecchiare il cielo, plachi, tu mare,

il vento e resti senza onde.

Non protendo accoppiarti alla scogliera

giorno e notte ululando insisti ad infuriarti.

Pure ogni fiume si è versato in te,

tutto chò che è del fondo lo hai affondato,

tutto ciò che è del cielo gliel'hai reso.

Perfino l'uomo, se arriva a disperare,

a te viene per cercare la madre che hai in te.

Poi, gli anni fuggiti,

portando In silenzio una morte quieta

Sulla riva, vorresti dirci: "Guardàtela, oh! Guardàtela!".

A te (1)

Al mio risveglio anche questa mattina

mi trovo come se mi andassi un po' consumando.

Durante il sonno non sarà forse che,

mutato in macaone invisibile,

sia andato pian piano volteggiando?

Volo consumandomi, mutandomi in masso,

in graminacee, in cigno in rampone rugginoso,

in grondaia.

Lo crederesti? A ogni risveglio mi trovo trasformato

realmente in un altro impensabile.

Sono cambiato, ormai irriconoscibile dopo che ci siamo lasciati.

Fior di loto

Fior di loto è fiorito,

vorrebbe dirci che pure nel limo

son nascoti colori e sembianze così puri.

Fior di loto è fiorito,

vorrebbe dirci che va ricordata la lontananza

di chi è caduto nell'oblio; quella lontananza e grandezza.

Fior di loto è fiorito, v

orrebbe dirci che la goccia caduta sulla foglia

diventa una gemma d'argento e brilla di più

Fior di loto è fiorito,

vorrebbe dirci che s'arrende a una domanda

così grande da non saper altro che fiorire.

Naturalmente

Naturalmente non potevo non desiderare che,

pur essendo una piccola lampada,

s’alzasse più forte la fiamma,

ardesse fin troppo lo stoppino.

Naturalmente – non l’ho forse meritato? –

il globo del mio lume si è annerito,

è tutto fuliggine, adesso.

Non può dunque far passare la luce.

Ma nulla rimpiango, né mi pento di quel mio desiderio.

Ripeto ancora: “Mondo, tenebre, mia ombra!”

Non ho bisogno di una semplice ombra:

son venuto a ricevere la luce,

la luce che ho in me naturalmente.

[Le foto sono di Laura Mohena]

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 30vnovembre 2010 

VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI : Kikuo Takano ( I )

VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI : Kikuo Takano ( I )

In me

In me c’è qualcosa di rotto.

Sono come l’orologio che si ferma poco dopo averlo caricato,

come il piatto incrinato che non torna nuovo

se anche lo incolli con cura.

In me c’è qualcosa di schiacciato.

Sono come il tubetto di dentifricio

quando nulla ne esce se anche lo premi,

come la pallina da ping-pong ammaccata

che non può tenere più in gioco

nemmeno un buon giocatore.

Ci sono oggetti distrutti e schiacciati dal principio,

senza motivo, in me: l’ombrello che non sta aperto,

il violino fuori uso e i sandali coi cinturini rotti, i

l rubinetto intasato, il flauto sfiatato,

la lampada consumata.

Eppure non mi perdo di morale,

l’ira non mi trascina, né mi tormento come una volta,

anzi mi auguro di potermi riempire di quelle cose inutili,

restando distrutto e schiacciato,

in questo trovando il mio orgoglio.

Spogliata vorrei

Spogliata vorrei la mia anima

come camminare scalzo sulla spiaggia

se penso all'altra sponda della vita se penso a te,

sopra ogni altra cosa.

Spogliato vorrei il mio desiderio.

Alla voce che mi chiama mi fermo

se vedo brillare le fronde dell'olmo,

se incontro te, sopra ogni altra cosa.

Spogliate vorrei le mie parole

se dico al tramonto una cosa indicibile

nel mio cuore, se solo a te l'affido.

Spogliato vorrei il mio pensiero

nell'incessante movimento dell'anima,

se con la mano sento una cosa grande,

se tocco la tua, sopra ogni altra cosa.

Non So

Cosa aspetto non so

ma ad ogni mio risveglio

a poco a poco mi trasformo

in un nido d'uccello.

Quale specie verrà?

Da quali lontananze verrà 1'uccello

non lo so immaginare.

Senza motivo, chissà perché,

mi balza il cuore per la gioia d'attendere.

Forse l'uccello invisibile alla fine non verrà?

È mai esistito 1'uccello incorporeo?

Eppure, certo stringerò

tra le braccia quell'uovo che dovrebbe appartenergli.

Rendiamo

 Più aumenta la cosa, più scarseggia il senso.

Tante parole, tanta mancanza d'amore.

Pure, 1'uomo si confronta con le parole

chiama la vita un lavoro che rende.

Rendiamo il pulcino caduto in terra al suo nido,

il canto d'allodola al campo di grano,

l'agnello smarrito al suo padrone, al precipizio la roccia frantumata.

Rimettiamo a posto ciò che abbiamo fissato con gli occhi,

nel mare ciò che viene dal mare,

nel bosco invisibile la nave galleggiante,

il ceppo nell'abisso del sonno profondo.

Rendiamo ogni grande causa al nonsenso,

gli alberi verdeggianti al deserto sbagliato,

ogni braccio alla vigoria di senso dovuto,

soprattutto all'altezza di senso dovuto l'anima.

[ Le foto sono di Laura Mohonea ]

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 30 novembre 2010

sabato 27 novembre 2010

ET TERRA MOTA EST : L'Aquila chiama ... e l'Italia risponde !

ET TERRA MOTA EST : L’Aquila chiama ...e L'Italia risponde!

di Bruna Pasqualucci da Il Risveglio di Ebe 21.11.2010 ( www.ilrisvegliodiebe.it)

13 mila per la Questura, 26 mila per gli organizzatori, per Minzolini e Mimun una notizia nemmeno da telegiornale in quanto surclassata dalla notizia che il Papa ha dichiarato che in alcuni casi l'uso del preservativo non è immorale…

Ma L'Aquila c'era...e c'era l'Italia!

Ho visto personalmente pullman da Siena, Firenze, Roma, Trento, addirittura Alghero e Palermo, Bologna, Torino, Vicenza, Perugia, Ancona e chi più ne ha più ne metta.

C'era la delegazione degli alluvionati del Veneto, uno striscione, a mio avviso ricco di solidarietà con scritto "ABRUZZO E MOLISE FRATELLI DI SISMA"..C'era il MOVIMENTO NO TAV, c'era il NO AL PONTE SULLO STRETTO, c'erano Terzigno e Acerra..c'erano tante autorità, c'era la gente che L'Aquila non l'aveva mai nemmeno vista e che si è stupita perché nemmeno nella più fervida fantasia catastrofica, si aspettava di trovare una città in quelle condizioni pietose che noi conosciamo benissimo.

Questa volta ho deciso di fare uno strappo alla mia rubrica, questa volta ho deciso di parlare di RICOSTRUZIONE.

Quanti di voi sapevano che l'estensione del centro storico di L'Aquila è la quarta in Italia?

Giusto per renderci conto di quanto c'è da fare:

3.179 persone assistite divise tra alberghi e caserme, 12 cantieri aperti per i quali sono disponibili 700 milioni di euro per contributi diretti e un altro miliardo e mezzo dalle banche : Gianni Chiodi, governatore dell’Abruzzo e commissario delegato del governo, da Palazzo Chigi elenca i dati della ricostruzione post terremoto, sottolineando come l’impegno del governo per l’Aquila non sia mai venuto meno.

“La ricostruzione è cominciata eccome ma i tempi saranno inevitabilmente lunghi” conferma, parlando del centro storico dell’Aquila, il capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso: “Ci vorranno dieci anni per riavere il centro storico com’era e magari meglio di com’era, con tutte le norme antisismiche pienamente rispettate.”

Nel frattempo gli aquilani invocano un provvedimento che garantisca al loro territorio lo stesso trattamento finanziario adottato nelle precedenti catastrofi e contestano i numeri del governo.

La situazione reale, a loro dire, è differente : i cittadini che hanno scelto la cosiddetta autonoma sistemazione, ad esempio, ricevono il contributo per l’affitto solo perché a pagare sono direttamente i comuni di appartenenza ; gli hotel che ospitano gli sfollati da mesi non vedono un euro ; il 40% delle attività commerciali e artigianali dell’Aquila, il 95% di quelle dei paesi vicini, sono state risarcite con appena 800 euro per tre mesi.

Le imprese che stanno eseguendo i puntellamenti degli edifici hanno avuto solo piccoli anticipi e come se non bastasse si ricominciano a pagare mutui e tasse.

Da Gennaio, infatti, contrariamente a quanto avvenuto per le altre popolazioni colpite dal terremoto, gli aquilani dovranno incominciare a pagare il 100% dei tributi arretrati.

Intanto le condizioni sociali ed economiche della città si fanno sempre più drammatiche: 55mila persone devono ancora rientrare nella propria casa, 12 mila sono i senza lavoro e il ricorso alla cassa integrazione è aumentato dell’800%.


Al momento manca un progetto per il rilancio economico e sociale del territorio.

La sensazione è che mai come in questo caso bisognerebbe tener fuori ingerenze e forzature da parte della politica e concentrarsi sui motivi per cui le cose non stanno funzionando al meglio. Serve una legge speciale che assegni risorse necessarie e indichi tempi certi per la ricostruzione.

E L'Aquila scende nuovamente in piazza…

Anzi, L'Aquila parte dalla piazza che ha ospitato una delle più grande tendopoli post sisma e attraversa la dolorosissima VIA XX SETTEMBRE. Qui si lasciano rose bianche davanti alle transenne della Casa dello Studente e si sussurra a denti stretti e con le lacrime agli occhi che mai più in Italia deve avvenire una cosa del genere…

Le famiglie delle vittime della Casa dello studente hanno ricevuto, tra la commozione generale, l'abbraccio delle vittime del crollo della scuola di San Giuliano in Molise.

Il piccolo mondo antico che amiamo è a rischio, le carnefici si chiamano SPECULAZIONE E INDIFFERENZA.

Ma l'Aquila ha dimostrato ancora una volta, sotto il freddo di novembre e con una pioggia gelida a ostacolare ulteriormente un cammino che molti danno perso in partenza, che non ci sta assolutamente a rinunciare a tutti i posti che amava.

A partire da quelli di interesse storico artistico fino a quelli più semplici ma il cui valore affettivo è senz'altro indiscutibile.

Altri tristi numeri..

17 miliardi di euro per la rimozione delle macerie, la messa in sicurezza definitiva e il restauro con i criteri antisismici del caso...

4,2 milioni di tonnellate di macerie da smaltire (che per il momento sono ancora tutti li perché è ancora nemmeno pronto un piano appropriato di smaltimento)

Nonostante i nobili gesti annunciati da alcuni paesi per adottare 21 opere danneggiate solo la Francia e

Germania hanno mantenuto gli impegni. A denunciarlo un articolo di El Mundo che racconta come anche il premier José Luis Rodríguez Zapatero, che aveva annunciato 50 milioni di euro per la ristrutturazione della fortezza spagnola abbia dimenticato l'impegno.

Circa due mesi fa, a L'Aquila, si sono anche trovati esperti a confronto sulla normativa tecnica per la conservazione dei beni culturali. Obiettivo della giornata, organizzata da Assorestauro e dall'Ufficio del Vice commissario per la messa in sicurezza dei beni culturali: "evitare che i restauri delle opere d'arte e architettoniche della città abruzzese siano più distruttivi del terremoto".

Beh cosa altro dirvi...

Tante belle parole quando facevamo pena al mondo. Quando la pietà era il sentimento più facile da provare, di passerelle del dolore ne abbiamo viste una quantità infinita.

Ed eccoci, 18 mesi dopo.

E' solo l'inizio, l'Aquila c'è purtroppo per chi non vede l'ora di affondarla del tutto e non è sola!


Eremo Via vdo di sole, L’Aquila, sabato 27 novembre 2010



venerdì 26 novembre 2010

EDITORIALI : Resto qui

EDITORIALI : Resto qui

Da IL CENTRO 23 novembre 2010

L'AQUILA. «Vado via perché questo paese ha perso una città come L'Aquila», dice Roberto Saviano. «Resto qui finché non si potrà fare una passeggiata nel centro dell'Aquila ricostruito», replica Fabio Fazio. Sulle battute finali del programma di Raitre, "Vieni via con me", con le note di Paolo Conte sullo sfondo, Saviano guarda negli occhi Fazio, in un duetto sul perché emigrare o perché restare in Italia in cui inseriscono il terremoto in Abruzzo tra gli argomenti di confronto. E subito sul web arriva la risposta ai due: sono centinaia gli aquilani che nella notte hanno scritto "io resto" sulla propria bacheca personale.

Il duetto tra Saviano e Fazio arriva poco prima dei titoli di coda. Un dialogo che ripercorre le principali istanze del dibattito politico attuale, a fronte di una puntata che ha affrontato questioni come le pari opportunità, la disabilità, la precarietà del lavoro e la non valorizzazione dei talenti.

Tra questi i riferimenti all'Aquila. Con Saviano che parla del capoluogo d'Abruzzo, Fazio risponde con un messaggio di speranza. Uno scambio di battute che ha fatto il giro dei social network. E con gli aquilani schierati tutti con la loro città

Il terremoto abruzzese è stato protagonista non solo della fine del programma. Tra gli ospiti di ieri sera c'era Corrado Guzzanti. Il comico ha fatto riferimento alla complicata situazione della ricostruzione post-sisma, contrapposta all'emergenza rifiuti di Napoli. «Sull'emergenza», scherza Guzzanti, «il governo si confonde: butta gli abruzzesi in discarica e picchia a sangue i sacchi della munnezza».


Eremo Via vado di sole , L’Aquila, venerdì 26 novembre 2010



ARTE FACTUM : Cultura ( I )

ARTE FACTUM : Cultura ( I )

LA CULTURA NON È COMMESTIBILE

Il teatro della vita (e della politica)

di Claudio Magris da Il Corriere della sera 23 novembre 2010


Fa una certa impressione, e non solo agli appassionati, pensare che, anche solo per un giorno, in tutta l’Italia il teatro taccia, sia chiuso. Non è solo una preoccupazione culturale in senso stretto; quei palcoscenici — grandi o piccoli, sacri templi dello spettacolo o ardite e fugaci messinscene di gruppi avventurosi, opere classiche o provocatoriamente dissacranti — fanno parte del paesaggio d’Italia, del paesaggio della nostra vita. Attori o cantanti che entrano o escono dalla scena, parole immortali o amabili battute scacciapensieri che vivono sul palcoscenico e restano nell’aria, sono — anche a prescindere dalla grandezza di alcuni capolavori — uno sfondo della nostra esistenza come il mare o la collina della città natale. Anche quando non si va a teatro o al cinema, fa piacere sapere che comunque ci sono.

Naturalmente si può benissimo vivere anche senza teatro e ci sono beni immediatamente più necessari e indispensabili, dal pane alle cure mediche. Il teatro sciopera per protesta contro i tagli ai finanziamenti senza i quali non può sopravvivere. Non ho alcuna competenza per valutare se e fino a qual punto quei tagli siano inevitabili, in che misura potrebbero essere mitigati, con quale giustizia o ingiustizia colpiscano l’una o l’altra istituzione, quali altri spese invece inutili potrebbero essere limitate a beneficio del teatro e dello spettacolo in generale. Spesso, inoltre, quando si parla di cultura la si identifica arbitrariamente con alcuni suoi settori — la letteratura, l’arte, la musica, il teatro, il cinema — come se il diritto, l’economia, la medicina, la matematica e la fisica e tante altre attività umane non fossero altrettanto «cultura» e non richiedessero quindi creatività, spirito critico, capacità di osservazione e di analisi quanto il romanzo.

Il teatro, tuttavia, ha da millenni un ruolo fondante non solo nell’arte, ma anche nella vita comune della Polis, ossia, nel senso più alto del termine, della politica. È un’arte in cui l’irripetibile e insostituibile creatività individuale (dell’autore, del regista, dell’attore, dello scenografo e via dicendo) si fonde in una coralità che, senza mortificarla, va al di là di essa e ne fa un’opera sovraindividuale, un’espressione insieme personale e collettiva o meglio corale. Quest’ultima, a sua volta, instaura un dialogo non solo con ogni singolo individuo, ma con la società e la civiltà da cui essa nasce e che essa interpreta, per celebrarle o per criticarle.

Dalle origini rituali e religiose alle sacre rappresentazioni, al teatro totale wagneriano, a quello epico brechtiano a ogni forma—anche la più iconoclasta e lacerata, o l’esperimento più solitario e ribelle — il teatro è un evento pubblico ed è un fondamento della comune vita civile. Il teatro classico contribuisce in misura determinante a fondare la democrazia della Polis greca, a sua volta fondamento della civiltà occidentale. Le «leggi non scritte degli dèi» di Antigone, ossia i princìpi universali che nessuna legge positiva può violare, essenza dell’umanità, nascono non a caso sulle scene di Atene, con la tragedia di Sofocle, e traggono la loro forza anche da quest’origine.

Quando, nella tragedia di Eschilo, Oreste, il matricida, viene assolto — sia pure con formula dubitativa — si afferma il luminoso principio di valori laici superiori ai tribali legami di sangue ed è ancora il teatro dinanzi al pubblico di Atene a fondare questo universale-umano.

Non occorre essere Sofocle o Eschilo per essere riconosciuti nella dignità del lavoro teatrale che, come ogni lavoro, nasce non solo dai geni ma dall’opera, più o meno nota o oscura, di tutti coloro che vi contribuiscono. Certo, è meglio vivere senza teatro che senza pane. Ma la vita sarebbe triste senza il teatro e siamo nati non solo per sopravvivere, ma anche per capire qualcosa della vita e, se possibile, pure per goderla.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 26 novembre 2010



CANZONIERE : Stornelli al modo dei pastori

CANZONIERE :Stornelli al modo dei pastori

1.

Stornelli al modo dei pastori

Lo pecoraru quanno va ‘n maremma

Se crede d’esse giudico e notaro.

La coda de la pecora è la penna,

lu secchiu de lo latte è lu calamaru.

Ecco ch’è notte e lu sole è calatu,

chi n’ha fattu l’amor se l’ha perdutu.

Chi n’ha fatttu l’amor se l’ha perdutu,e chi l’ha fatti se l’ha retruvatu.

Speremo, amore mio, e che spera spira,

chi speranza non ha è meglio che mora.

Non pozzo più li piedi trattenere,

sempre verso di te vonno venire.

2.

Lavoro tra le pecore e li cani

Se avessi conosciuto lo padrone,

ti giuro , mi sarei fatto frate,

ti giuro, mi sarei fatto frate.

Io invece avrei preso lo bastone

e tante ne darei di bastonate,

e tante ne darei di bastonate.

La voro tra le pecore e li cani

pe’ fà magnà l’agnelli alli padroni

pe’ fà magnà l’agnelli alli padroni.

Ce so’ venuti coll’americani

e a noi ce fa magnare li bastoni

e a noi ci fa magnare li bastoni.


(Stornello al modo dei pastori . Dal repertorio di Italia Ranaldi di Poggio Moiano ( Rieti) Incisione in LP Canti popolari del Lazio .

Lavoro tra le pecore e li cani . Stornelli registrati ad Annone (Terni) da Sandro Portelli e Mariella Eboli nel 1973. Informatori Amerigo Matteucci e Dante Bartolini. Le strofette sopra sono quelle eseguite nel Canzoniere del Lazio. )

Eremo Via vado di sole, L’Aquila venerdì 26 novembre 2010



AUTODAFE' : Tre donne Sarah, Gabriella , Cesira

Autodafé : Tre donne Sarah,Gabriella, Cesira

1.

Sarah

Quando hai perso tutto,ma solo quando hai perso veramente tutto,ti può capitare di incontrarmi , di sponda, in piena notte, nel bar di una stazione di autobus ,tra donne che non partono ,e non riescono a dormire, e hanno voglia di bere. Io sono lì perché quello è l’unico bar aperto prima delle sei.

Sono una ragazza bassa di statura, pallida, con dei segni scuri sotto gli occhi. Ho l’aria stanca ma intelligente . Se mi siedi davanti, nemmeno solleverò il viso. Fumo sigarette francesi e non mi laureerò mai. Mi puoi offrire un caffè o un whisky, se tiva. Ma non ti fare strane idee perché non è facile attaccare discorso con me e scoprire il mio modo di guardare.

Solo quando mi alzerò per andarmene ti accorgerai della cadenza singhiozzante del mio passo. E non potrai evitare di pensare che la poliomielite che mi ha storpiato l’ha fatto in una maniera assai più perfida di quanto appaia di fuori. E che il mio silenzio ti brucia il sangue più di ogni parola.

Walter Tevis, Lo spaccone, 1959

2.


Gabriella

Dicono di me che non mi si può spiegare , basta sapere che esisto. Dicono che odoro di garofano e ho colore di cannella , che domo i gatti stringendoli al seno , che la mia pelle brucia , che non sono fatta per un solo uomo. Dicono anche che ho una bocca di rosa , che cucino salse inimitabili , che non sono mai stanca sonnolenta sazia .

Arrivai un giorno scalza e danzante in una vecchia provincia e, dopo, nulla da quelle parti rimase uguale . L’amore, come per miracolo , tornò ad essere allegria , invito, febbre, disordine e mai più colpa e delitto. Solo esuberanza africana , voce di canto, luce lunare del desiderio.

Jorge Amado, Gabriella garofano e cannella, 1958

3.


Cesira.

Appartenevo ad una razza sanguigna e senza paura : una popolana di provincia , contadina, bottegaia , con una fiera praticaccia della vita e un corredo di proverbi per ogni occasione. Ma il mio carattere spigoloso e umorale contrastava con la rotondità delle mie fattezze , con la bocca morbida, rossa come corallo , rispecchiandosi invece nella gagliardia del seno , nella scurezza degli occhi , nei miei lunghi capelli corvini.

Il matrimonio l’avevo tollerato ma come si tollera una seccatura: qualcosa che ha più a che fare con la violenza che con il rispetto. Dell’amore conoscevo solo quello per mia figlia e da vedova credevo che sarei stata felice nell’impavido dominio della mia solitudine.

Ma i tempi sgangherati che vissi mi confusero in una moltitudine universale di sfollati, gente sempre in marcia tra città e villaggi invasi dalla guerra e letti di granturco,mulattiere , damigiane sbrecciate e valigie di fibra. Un’umanità inevitabile di borsari neri ,di prostitute di lazzari perduti alla pietà umana , dannati a ripassare l’inutile inventario di ciò che si è lasciato.

Perché la guerra è un incrudimento di tutto , una sciancatura, un rattrappirsi di ogni senso; e non c’è nessun peccato d’origine , solo un altare di innocenze profanate , lo stupro di una figlia , gli occhi spalancati, l’urlo inutile. Un guado doloroso prima che si torni a questa povera cosa di oscurità e di errore senza sapere perché sia preferibile alla morte.

Alberto Moravia , La ciociara, 1957

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, venerdì 26 novembre 2010

giovedì 25 novembre 2010

SILLABARI : Autorità

SILLABARI : Autorità

Scrive Gianni Chiodi sul suo profilo Facebook il 25.01.2010 : "L’autorità? Chi osa ancora parlarne ? E’ una di quelle parole che possono stroncare una carriera politica, una parola che non si dice tra le persone perbene, anzi una parolaccia per chi professa il pensiero unico. Appena ne parli, vieni immediatamente sospettato di volere come minimo uno Stato di polizia, di voler attentare alla libertà dei cittadini.

A mio parere, c’è una crisi etica nella società italiana. E questa crisi nasce dalla svalutazione dell’autorità e accompagna il gusto folle - e un po’ tardivo - delle trasgressione che, dopo quaranta anni di ideologia e prassi antiautoritaria, è ormai costretto ad esercitarsi nel vuoto, e deve ripiegare nel nichilismo, in una spirale cieca e distruttiva, per l’assenza spaventosa di regole da trasgredire, di tabù da infrangere, per la mancanza di divieti da superare, dopo decenni passati ad irridere l’ordine, il potere e l’autorità in nome della liberazione e della critica alla morale borghese.

Non si è reso un bel servizio alla società nel dare all’ordine una connotazione negativa, nel farne un disvalore da detestare, ridicolizzare e sovvertire. I primi a risentirne sono i più deboli, perché il disordine e l’ingiustizia colpisce non i forti e i potenti, che si possono proteggere da soli, ma i più umili e vulnerabili, che non hanno i mezzi per difendersi. Sovvertire l’ordine significa colpire i più deboli. E questo la sinistra non l’ha mai capito.

Ma non mi ritengo un autoritario perché mi piace l’ordine, mi piace anche il movimento. L’idea di ordine per me non ha niente di trascendente ma è la barriera al disordine.

L’ordine significa riconoscere che c’è una scala di valori, che esistono doveri in cambio di diritti. E’ l’onestà, il civismo, la fiducia. E’ lo Stato di diritto che premia i meritevoli e punisce i criminali.

L’Ordine insomma è libertà più che repressione. Libertà nel senso nobile del termine che un liberale trova subito nella definizione di “Montesquieu”: la tranquillità d’animo che proviene dalla coscienza che ciascuno ha della propria sicurezza.

Ma oggi, per rivalutare l’autorità, e riscoprirne la funzione di principio inderogabile di civiltà, e necessario compiere prima una rivoluzione mentale e culturale.

Bisogna dire basta all’inversione dei valori, ribellarsi al nichilismo ottundente, al relativismo esangue. Bisogna, insomma, rinunciare una volta per tutte alla critica della morale borghese predicata dal 1968 e dai suoi emuli attardati, che ancora oggi si ostinano a ritenere superata l’obbedienza dei figli ai genitori, a giudicare fuori moda la superiorità dei professori rispetto ai desideri degli studenti, e si dilettano a praticare per hobby la trasgressione, schierandosi sempre e comunque e in ogni caso contro la legge, contro lo Stato, contro la Polizia e magari inneggiano alle bande di criminali che infestano gli stadi e ammazzano i poliziotti, o al partito antagonista dei no-global.

Negare tutte le forme di autorità significa introdurre una sorta di violenza primitiva nei rapporti sociali.

Di qui deve partire la critica senza appello al 1968 come ideologia, e ai suoi ultimi adepti inamovibili che, fuori tempo massimo, continuano ad imporsi alla opinione pubblica. Bisogna liberarsi di queste pastoie culturali dei sessantottini ormai maturi.

Comunque non sono contro il ‘68 (che ha avuto anche marginali aspetti positivi) bensì contro gli eredi del 68, contro l’aristocrazia dei sessantottini che imperversano ancora tra i professori di liceo e dell’Università, che continuano a celebrare il passato, autocelebrandosi, senza capire che in questo modo hanno spezzato la schiena ad una generazione che oggi, per imitare i fratelli maggiori, scende in piazza e spacca le vetrine, perché si sente esclusa, tagliata fuori da tutto

L’eterogenesi dei fini li ha presi in contropiede. I vecchi mostri di moralità al negativo credevano di emancipare ? Hanno finito per alienare. Credevano di liberare la società ? L’hanno invece demoralizzata. Erano convinti di agire in nome degli oppressi, di incarnare il potere operaio e realizzare la giustizia del popolo ? Le prime vittime dell’inversione dei valori, del disprezzo dell’ordine e della autorità sono proprio gli oppressi, gli umiliati. Sono loro e i quartieri delle città in cui vivono, a essere i più colpiti dagli effetti del disordine, dalla disfatta della scuola e della famiglia. Il primo ad essere aggredito dalle bande di delinquenti delle banlieu francesi che gli incendiano l’auto sotto casa è l’operaio che non ha ancora finito di pagarla a rate; ed è sempre lui che si ritrova disoccupato quando la concorrenza (spesso sleale) cinese attacca il mercato europeo a colpi di dumping monetario, sociale e ambientale.

Per venti anni in Italia ha dominato il conformismo politicamente corretto della generazione di Veltroni cioè il “pensiero unico”. Si è imposta l’ideologia terzomondista, l’empatia umanitaria di emergency; l’ipocrisia.

Ma la politica ha bisogno di schemi nuovi, di rompere la cappa di piombo del cosiddetto “pensiero unico” delle vecchie abitudini al conformismo e alle idee stantie, come vietato vietare, abbasso la scuola, viva la rivolta permanente contro la morale borghese, contro lo sfruttamento, il capitalismo, il potere, perché è sempre repressivo, e tutto questo in nome di una coazione a ripetere vecchi schemi defunti, di un edonismo di massa che è solo l’altra faccia della disperazione, della illusione di una vita fondata sul proprio piacere, retaggio del 1968 e della sua morale fallimentare.

Però non mi faccio illusioni che ciò accada in Italia velocemente. Un Paese dove il civismo, se mai esista, obbedisce a principi opposti, dove, 60 anni dopo la fine della guerra e la sconfitta, parlare di “fierezza della nazione” mette ancora a disagio, dove può succedere che il disordine, la rivolta, il disprezzo dello Stato vengano addirittura santificati e blanditi dagli stessi membri del governo, sempre pronti a gareggiare in radicalismo con i forsennati di strada, soffiando sull’antagonismo a tutti i costi, e dove persino le “elite” sono convinte che il potere appartenga a colui che è più ricattabile e venga conferito da chi è ancora più ricattabile."

Gli risponde Giulio Petrilli :

"C’è da rimanere senza parole nel leggere questo documento che attacca la democrazia diretta, la partecipazione dal basso, la critica al potere inteso come corruzione e affarismo, perché questa è la vera critica dei movimenti del '68 e del '77 al potere - continua Petrilli. Il garantismo nasce da questa cultura deve sapere Chiodi, non nasce per difendere il ceto politico, nasce come cultura antirepressiva su la liberalizzazione delle droghe leggere, nasce dalla cultura dell’amore libero, nasce dalla critica al quartier generale, da qualsiasi parte esso si esprima". "Nasce si da una cultura contro lo statalismo inteso come oppressione dei movimenti di trasformazione, come ossigeno e ricchezza, come garanzia dei diritti e della difesa nei processi". Petrilli conclude affermando "Berlusconi ha scoperto il garantismo per sé, il '68 l’ha scoperto per tutti e di più per le fasce deboli e gli invisibili, questo non ha capito il governatore Chiodi, che esalta l’autorità tranne quella giudiziaria quando attacca il Pdl".

E gli scrive anche Anna Colasacco

Egregio Presidente Chiodi, vorrei reagire alla Sua intemerata in favore dell’autorità, anzi dell’Autorità, non una qualità di cui si analizzi il senso e la portata, per comprendere a chi spetti, a chi debba essere riconosciuta e perché, ma una sorta di valore assoluto. A prescindere.

Ho riletto la nostra bella Costituzione repubblicana: vi ho trovato i valori della dignità, dell’eguaglianza (art.3), della libertà (art.13,14,15,16 ecc), del rispetto della persona umana (art.32), ma non ho trovato il valore dell’autorità. La parola autorità, lì, non è mai usata da sola, ma come “autorità di pubblica sicurezza” (art.13), “autorità giudiziaria” (art.21) per definire una funzione pubblica. Ho poi letto la più recente “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”,che ha valore giuridico da appena un anno, e anche lì ho trovato che i sei valori cui sono intitolati i capitoli nei quali la Carta è suddivisa sono: dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia. Non si parla dell’autorità. Eppure non sono affatto ignorati i doveri. Anzi, si afferma che il godimento dei diritti previsti “fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future”. Il potere di per sé non è buono. Da Montesquieu in poi abbiamo imparato che deve essere diviso, controllato, soggetto alla legge. L’autorità si conquista con l’autorevolezza. Se imposta forzatamente, è mero autoritarismo. L’ordine senza

aggettivi non è un valore. L’ordine regna anche nei cimiteri. E nei gulag. L’obbedienza di per sé non è una virtù. Il dovere di disobbedire agli ordini ingiusti è una delle conquiste della nostra civiltà giuridica, frutto della profonda “rivoluzione dei diritti umani” che, a partire dal secondo dopoguerra, ha segnato una svolta nella comunità internazionale. Dopo gli orrori della guerra e dell’olocausto. Questo dovere di disobbedienza non ha nulla a che vedere col “nichilismo ottundente” o il “relativismo esangue”. Anzi, richiede un sovrappiù di coraggio e di responsabilità di cui si vedono oggi assai pochi esempi, e non certo per colpa del ’68. E’ davvero azzardato sostenere che la “crisi etica” della società italiana nasca dalla “svalutazione dell’autorità”, quando sono del tutto evidenti ben altre cause. Dalla corruzione, per cui l’Italia vanta un triste primato, alla collusione fra poteri pubblici (le “autorità”, appunto) e le mafie; dall'accaparramento di vantaggi personali da parte di coloro che dovrebbero rappresentare la Nazione, od essere “al servizio esclusivo della Nazione”,ai conflitti di interesse. Sino alla trasformazione in merce e all’umiliante esibizione mediatica del corpo femminile, per dirne solo alcune. Da qui, nasce una cattiva democrazia che esprime istituzioni prevalentemente prive di minimo etico. Estranee ad ogni istanza egalitaria. Una cattiva democrazia non riscuote rispetto per le autorità semplicemente perché non lo merita. Forse lei dimentica che la nostra storia non comincia, né finisce con il 1968, con i suoi pregi e i suoi difetti. C’è un lungo prima e un consistente dopo. Un prima di riscatto da regimi dittatoriali (e “autoritari”, appunto) e un dopo segnato da Tangentopoli. E’ giustissimo pretendere il rispetto per chi esercita legittimamente una funzione pubblica. Dai professori ai poliziotti. Ma, appunto, “legittimamente”. Ed è purtroppo vero che molti danni hanno fatto gli egoismi di un individualismo proprietario, le chiusure e le paure di un Paese che ha perso il rispetto per se stesso e smarrito i valori delle lotte combattute per riscattarsi sia dal passato fascista, che dalla povertà e dallo sfruttamento. Fra questi il valore della solidarietà e l’importanza della conoscenza e della cultura. E’ così che cattivi genitori, aiutati dai pessimi esempi pubblici, non sanno più trasmettere ai propri figli il gusto della propria storia, della conoscenza scientifica, della bellezza dell’arte e della letteratura, il rispetto per chi lavora per loro nella scuola. Ma tutto questo non si supera invocando l’autorità, l’ordine, il potere. Occorre un’autorità moralmente credibile. Un ordine fondato sulla giustizia. Un potere controllato e responsabile. E’ vero che dall’assenza di regole a guadagnarci sono i forti e i furbi, mentre a perderci sono i deboli e gli onesti. Ma l’esistenza di regole che proteggano efficacemente i deboli e gli onesti si chiama diritto, si chiama giustizia. Dove regnano diritto e giustizia, dove è diffusa l’obbedienza a leggi costituzionalmente legittime, coloro che esercitano funzioni pubbliche (le “autorità”) sono rispettati e la legittima repressione contro le violazioni dell’ordine democratico non suscita rivolte condivise. L’obiettivo da perseguire è la ricerca costante dell’attuazione dei valori di dignità, libertà, eguaglianza e solidarietà.Non quello dell’affermazione di un ordine purchessia. E di un’autorità fine a se stessa. Non è l'autorità che fa libera una democrazia. E' la libertà che deriva dall'eguaglianza praticata. Libertà che è partecipazione alla cosa pubblica. Non già come obbedienti sudditi, ma come cittadini consapevoli. Distinti saluti. Anna Pacifica Colasacco (cittadina dell'assemblea di piazza Duomo all'Aquila)


Eremo Via vado di sole, L’Aquila, giovedì 25 novembre 2010



EDITORIALI :La legittima difesa di Terzigno all'ultimo gradino della penitenza

EDITORIALI : La legittima difesa di Terzigno all’ultimo gradino della penitenza di Erri De Luca

pubblicata anche da La Terra dei Fuochi il giorno domenica 24 ottobre 2010 e ripreso da Il Corriere della sera pag 7

"Si ordina l’apertura della più grande discarica di rifiuti in Europa nel parco Vesuviano, in zona già gravata da uguale servitù. L’atto non è firmato dal comando di piazza di una truppa di occupazione straniera, ma dall’autorità pubblica di uno stato di diritto.

Fraintesa la nozione di stato sovrano, ritiene di poter ridurre dei cittadini a sudditi di un impero d’oltremare.

Dopo promesse affidate alla durata delle cronache del giorno dopo, e alla misericordia del vento, l’autorità si ripresenta su piazza affidando al suo luogotenente il pacchettino di soluzioni. Evidente la sproporzione tra i due termini: le ragioni di una rivolta per legittima difesa e l’incaricato dell’affare.

Un protettore civile deve proteggere con metodi civili: ha invece praticato sul posto l’invio di truppe e metodi militari. Stavolta non bastano più, nemmeno se richiamano effettivi dall’Afghanistan smonteranno la vera protezione civile decisa dai cittadini di Terzigno e di altri comuni.

È interamente loro il diritto a proteggersi da comunità civile contro la discarica subìta e quella gigantesca e prossima.

Già la prima è da sanare. È certo che produce danni fisici. Non solo a Terzigno, è gran parte del sistema di trattamento dei rifiuti a produrre le micidiali nanoparticelle. Si nega ufficialmente l’evidenza, perché non si adoperano, intenzionalmente, rilevazioni adatte a intercettarle.

Sta di fatto che nel raggio di discariche e impianti di smaltimento si concentrano leucemie, neoplasie e altre maledizioni.

Contro questa evidenza statistica e scientifica si compatta la barriera dell’omertà ufficiale, più serrata di quella mafiosa. È la dannata contropartita dell’economia dell’abbondanza: la nuova peste, prodotta dagli scarti mal trattati, che produce bubboni dentro anziché in superficie.

Si fa gran caso e grancassa intorno ai pericoli della criminalità comune, si gonfiano a mongolfiera modesti episodi di cronaca nera. Si istiga un bisogno artificiale di maggior sicurezza. In questo modo si distrae e si dirotta allarme dalla nuova peste, nascosta e negata, che invece è la più rovinosa aggressione alla incolumità pubblica.

A Terzigno, come già in Val di Susa, una comunità, tutta e intera, si batte per il diritto non trattabile alla vita, alla salute, all’aria, almeno quella pulita. Niente significa la promessa, con l’aiuto del vento, di liberare il naso da umori nauseanti: resta ammorbata intorno a una discarica, pure se sa di prosciutto e fichi. Terzigno si batte con unanimità di vite, età, mestieri differenti ricorrendo all’ultima risorsa dell’opposizione, dopo averle sperimentate invano tutte: la rivolta. Non cederanno, anzi. Sono arrivati all’ultimo gradino della penitenza, da lì si è schiacciati o si vince. In una rivolta c’è di tutto. Difficile scremare. Chiamano «Rotonda della Resistenza» lo svincolo che smista vie a Boscoreale. Condivido e aggiungo: No pasaràn. Non passerà l’autorità che chiama emergenza l’effetto della sua incompetenza. Non passerà l’arbitrio di degradare una comunità a lazzaretto. Non passerà nessuna misura imposta con la forza, che ormai non è giusto definire pubblica. È di parte e di una parte che ha torto. Parte lesa è Terzigno che ha preso in mano il suo destino e non se lo fa più spupazzare. Magnifica è già stata la loro pubblica respinta di indennizzi e compensi.«I figli non si pagano», dice Filumena Marturano. Così dice pure Terzigno. A Napoli intanto cresce la temperatura a dispetto dell’autunno inoltrato. Appartengo per nascita a quella gente accampata sotto un vulcano attivo. Conosciamo lunghissime pazienze e fuochi spenti.

Ma quando arriva al bordo la colata di collera, la città si ritrova densa e compatta come lava. Nessun sismografo l’avverte quando è pronta e allora guai a chi tocca."

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, giovedì 25 novembre 2010