mercoledì 29 maggio 2013

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : Ama il tuo sogno


VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : Ama il tuo sogno



Ama il tuo sogno
e nessun altro amore
il vento ama
e non temere errore
che solo il sogno esiste veramente
per questo in sogno
giungo alla tua mente. (1)
Tardi ti ho amato,
o bellezza così antica
e così nuova,
tardi ti ho amato!
Ed ecco che tu eri dentro
e io fuori e lì io ti cercavo. ...  ( 2 )
O viaggiatori, o naviganti
voi che giungete a porto e voi il cui corpo
soffrirà la prova e il giudizio del mare
o qualsiasi altra fine, questa è la vostra
vera destinazione..( 3)  
Cercare,cercare
perché nessuno sa dire,
nessuno sa dire che cosa manca,
che cosa manca al mondo.

(1)   (EzraPound, Song, trad. Sasso@)
( 2 ) (Agostino)
( 3) (T.S.Eliot ) 

Eremo Rocca S.Stefano mercoledì 29 maggio 2013








il capoluogo | Ritorna il desiderio di te

il capoluogo | Ritorna il desiderio di te

martedì 28 maggio 2013

LETTERE DALL’EREMO :Morire è ritrovare Dio


LETTERE  DALL’EREMO :Morire è ritrovare Dio
di donAndrea Gallo
in “Il Sole24 Ore” del 26 maggio 2013


Ancoragiovane, fui invitato alla Scala di Milano. Che splendore, quale musica!Avvolto in
quell'atmosfera,per la prima volta mi venne da pensare: ma questo è un angolo del Paradiso!Angeli, arcangeli, cherubini, musica celestiale...
Lasciatemiimmaginare l'accoglienza della morte di Sergio con questa musica celestiale.
Si raccontache gli uomini si lamentassero con Dio: «Hai dato le ali a tante creature e tisei
dimenticatodegli esseri umani!». «Ma no» disse Dio. «Alle creature umane ho donato lamusica per
potervolare, alzarsi, emozionarsi». Non so se mi riuscirà, dinanzi al silenzio dellamorte di Sergio, di meditare brevemente con voi.
La Chiesaprimitiva definiva il vero uomo «colui che non ha paura della morte». Papa Giovannidisse alla fine: «Mi rallegro perché mi è stato detto: "Andremo nella dimoradel Signore"».
«Laudato si'mi' signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare.»
Francesco nelCantico delle Creature aggiunse quest'ultima strofa.Nel momento in cui spariscela fede (se uno ce l'ha), scompare la speranza e ogni intermediario, ogni comunicazione.Don Bosco, nella sua pedagogia, aveva inserito, ogni mese, l'esercizio dellabuona morte.
«Resta,questa è la mia personalissima riflessione, soltanto un immenso amoremisericordioso
e profondo,che ci avvolge tutti, credenti e non credenti, tutti figli e figlie inondati daun incessante
flusso dellospirito agapico dell'Amore universale».
Intanto, lamorte di Sergio è tacere e riposarsi in pace. È emblematica la sequenza dei
Requiem che iniziala liturgia funebre;
Dies irae,dies illa solve saeclum in favilla(il giorno dell'ira, quel giorno chedissolverà il mondo terreno in cenere). La morte è tornare alla terra nostramadre.
Nell'immaginedell'amore, Adamo vuol dire terra. Vi invito ad ascoltare sant'Agostino:«Quelli che
ci hannolasciato non sono assenti, sono invisibili, tengono i loro occhi pieni digloria fissati nei
nostri pienidi lacrime».
La morte, cidicono i teologi, è trovarsi davanti al Giudizio. Ma quale Giudizio e di chi?
Ci troveremodavanti a chi ha già perdonato: l'Amore. I nostri cari defunti, se ci fermiamoun attimo, insegnano a tutti noi a continuare a vivere nell'amore degli uomini,e nell'amore alla vita, alla verità, alla libertà, all'uguaglianza universale.
Non è facileimparare a morire, non è facile obbedire fino alla morte e quindi fare obbedienzaalla
morte, non èfacile fare di essa un dono d'amore per la famiglia, per gli amici. «Non c'èamore più
grande dichi dà la vita per gli amici» ha detto Gesù la sera prima della Passione.Un'affermazione che è sempre piaciuta ai miei vecchi amici atei, anarchici.Mala morte resta un evento difficile, un evento doloroso. Qoelet, il sapientepredicatore che tenta una meditazione sulla vita e sulla morte, non ha rispostené certezze.
Tuttaviaintravede nel cuore profondo dell'uomo quel desiderio di eternità.
Gesù, doposecoli, non parla di immortalità, ma di vita nuova, cieli nuovi, terre nuove.
Ci invia un messaggio:«miei cari, vi lascio in un mondo stordito dal fascino dell'apparenza, in unacultura che conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuno, ho semprecercato di essere per voi uomo, padre,nonno, fratello, volevo amarvi tanto, auno a uno, ce l'ho messa tutta. Vi ho tenuto na
scosta unacosa che ora non posso più nascondervi: debbo proprio partire. Addio».
Eremo Rocca S. Stefano martedì 28 maggio 2013





venerdì 24 maggio 2013

SILLABARI : Diritti ( II)


SILLABARI : Diritti ( II)

Carlo Carbone sul Sole 24 Ore del 14 febbraio 2010 avevascritto  la recensione ad un volume diMichele Ainis  intitolato la cura. Inquesto volume si affronta l’esame dei diritti in Italia in un momento di crisiche a distanza di alcuni mesi  palesatutta la sua importanza e richiede appunto come il libro di Beitz  un’attenta lettura.
Scrive Carbone :”Nonostante i recenti tentativi di tessereun dialogo tra governo e opposizione e le reiterate sollecitazioni delPresidente della Repubblica per avviare quel riformismo istituzionale eoperativo che serve al paese, la cura al capezzale dell'Italia malata tarda adessere prescritta e, soprattutto, somministrata. Nel migliore dei casi, èrinviata a dopo la tornata elettorale di fine marzo.(2011, che non c’è statan.d.r. ). Intanto, nell'arena politica aumenta la confusione, tra l’eco deirischi di default degli anelli deboli dell'area euro, nel Mezzogiorno europeo(Grecia, Portogallo e Spagna) e l'amara sorpresa del recente impeachment delnostro vertice della Protezione civile. Eppure si era detto che la crisifinanziaria internazionale avrebbe dovuto rappresentare un'opportunità perindurre la politica a "cambiare registro" al fine di apportare lenecessarie riparazioni ad un motore - il sistema Italia - che ha denunciatomalfunzionamenti.
Del resto, il termine crisi in latino, in senso figurato,significa scegliere, decidere e tutti sappiamo quanto il nostro paese avrebbebisogno di un ceto politico che lo facesse con serietà, responsabilità edeterminazione. Servono riforme istituzionali democratiche e costituzionali in gradodi rendere più competitivo il paese e di intercettare una struttura socialesempre più sfuggente e liquida: soprattutto, cambiare alcuni meccanismi difunzionamento che contribuiscono a paralizzare l'Italia, malata di precoceinvecchiamento, di un latente quanto subdolo declino economico, di relazionalitànepotistica e corporativa, di mancanza di merito e di adeguate politiche drinclusione sociale. Il paese è perciò in una situazione certo non incoraggiante(ulteriormente depressa dalla crisi), che è ribadita da un'analisi collettanealtaly Today. The Sick Man oJ Europe che uscirà  a Londra da Routledge, con contributi inprevalenza di studiosi stranieri. Dunque, il malato deve essere curato e, secerchiamo terapie adeguate, conviene iniziare a consultare La cura diMichele Ainis (Chiarelettere), un volu­me che prescrive una terapia, propostanel format di un deca­logo, tanto suggestivo quanto radicale. «Se volete nuoveleggi, bruciate quelle vecchie», sug­gerisce Ainis, costituzionalista e autoredi un bel saggio, La leg­ge oscura. « Una guerra silenzio­sa -egli scrive - arma l'uno con­tro l'altro gli italiani. È la guerra del diritto contro il privilegio, dell'equità control'ingiustizia. È anche la guerra dei più giova­ni contro il potere deglianziani. Delle donne contro le strettoie d'una società maschile. Dei sin­golicontro il concistoro delle lobby. Dei talenti contro i paren­ti. Più ingenerale degli spiriti li­beri, dei senza' partito,' contro l'obbedienza ciecae serva recla­mata dalla politica». C'è insom­ma una camicia di forza da  mandare in pezzi per promuovere una democraziafondata sul me­rito, la legalità, l'uguaglianza (in­tesa come pari opportunità"ai nastri di partenza"). Per rimuo­vere “l'ingessatura'' occorre unacura adeguata, riforme" del fare" che riguardino le classi di-­rigentie la società, i loro mecca­nismi di formazione e quelli di selezione. Bisognaanche esse­re animati da una pretesa tecno­cratica che è, forse, specchio di quei cambiamenti nel software culturale eistituzionale che l'in­certa rivoluzione borghese ita­liana non è stata ingrado di in­trodurre nei centocinquanta anni di unità del paese. Istitu­zioni eclassi dirigenti italiane. avrebbero riscosso maggior fi­ducia e legittimità se avessero adottato una linea culturale in.grado di mettere in valore meri­ti e competenze, piuttosto che ricorrere aimoltiplicatori della disuguaglianza, quali sono i cri­teri di fedeltà e di meraapparte­nenza di ceto.
Come dar torto a questa idea tecnocratica, di buonademocrazia come meritocrazia elettiva, che sembra ispirare Ainis e accomunarloal forum di pensiero  che va da Platone aGiovanni Sartori? Perciò proviamo a girare pagina, raccogliendo la sfidariformista per disarmare il potere delle lobbies che agiscono"sottotraccia" e remano a favore dei propri interessi, come fanno delresto le oligarchie dei partiti politici e dei sindacati o ancora, gli ordiniprofessionali e i baroni universitari: per non parlare della necessità dievitare di essere guidati da élite inette. Altrimenti assisteremoall'evaporazione della centralità dell'interesse nazionale e all' affermazionearrogante di singoli, gruppi e piccole patrie. Il decalogo di Ainis spazia dacure specifiche per i concorsi pubblici (con sorteggio dei commissari), aregole capaci di disciplinare la democrazia interna di partiti e sindacati, adun'emersione delle lobbies con una legge dedicata, che, tra l'altro, preveda ildepotenziamento del ricorso alla cooptazione, ad una nuova legge elettorale checancelli le nomine di fattto dei parlamentari, ad un ricambio delle classidirigenti che rispetti la regola dei due mandati al massimo' per gli incarichidi vertice. Dunque abbiamo più, che un'idea delle terapie necessarie e,volendo, disponiamo di mezzi e soluzioni per inaugurare una stagione riformistain grado di cambiare le istituzioni e il paese. Resta appunto il problema del soggetto innovatore. Chi . si faràparte e guida di un simile cambiamento? Ma a questa domanda è chiamato arispondere il ceto politico, di governo e d'opposizione. È nell' arena politicala "porta stretta" da attraversare per cambiare l'Italia.


Eremo Rocca S.Stefano  venerdì 24 maggio 2013





SILLABARI : Diritti (I )



SILLABARI : Diritti  (I )

Charles Beitz è un filosofo politico americano professore aPrinceton. Noto per  essere stato tra iprimi a occuparsi di giustizia globale, Beitz ha pubblicato di recente perOxford University Press un libro, The Idea of Human Rights, in cui esamina ladottrina dei diritti umani nella prospettiva della politica globale. Scrivenella recensione  sul libro SebastianoMaffettone su Il Sole 24 Ore del  28febbraio 2010 “L’ analisi è di natura fìlosofica, e il suo scopo principale stanel mostrare in che cosa consistono la forza e il valore del linguaggio deidiritti umani. La tesi centrale è che dipendano da una pratica di successomoralmente difendibile. In questo modo, Beitz rovescia un'intera tradizionefilosofica in materia. Non si tratta di argomentare a favore di una teoriadella giustizia da cui far dipendere una lista ideale di diritti umani in basealla quale poi criticare l'esistente. Si tratta invece di valutare le teorienormative dei diritti umani confrontandole con la pratica attuale.
Questo metodo innovativo è capace di numerose sorprese. Inbase a tale scelta, infatti, Beitz riesce a criticare con successo quelle chesono oggi le due visioni filosofiche più popolari in materia di diritti umani.Mi riferisco alla teoria del diritto naturale, da San Tommaso al naturalismocontemporaneo, e a quella consensualistica, cui si possono associare nomiillustri della fìlosofia sociale e politica contemporanea come quelli diHabermas e Rawls.
Con rigore argomentativo straordinario, Beitz dimostra comela "pratica" dei diritti umani non sia giustificata a sufficienza daqueste teorie. C'è quindi bisogno di un punto di partenza innovativo ("afresh start"), che egli trova in un modello a due livelli. Questo modellodeve giustificare una pratica sociale sulla base della rilevanza degli statinazionali e del valore della tutela dei diritti umani nella politica globale.Ciò vuol dire che i diritti umani richiedono tutela istituzionale da parte disoggetti del tipo degli stati e che proteggono gli interessi delle persone chesono ritenuti essenziali dal punto di vista della . comunità internazionale. Questastessa visione teorica è applicata poi a casi complessi come quelli dellapovertà, della democrazia e della tutela delle donne.
Nel proporre questa teoria, Beitz fa un uso spregiudicatodell'ultimo Rawls e ne difende le tesi anti-cosmopolitiche in manierabrillante. Soprattutto, mostra come la filosofia analitica possa essereapplicata a problemi concreti in maniera del tutto persuasiva. Si tratta di unlibro impegnativo e originale che sicuramente farà discutere molto quanti sioccupano di teoria delle relazioni internazionali.
Charles Beitz.“  The Idea of Human Rights”, OxfordUniversity Press, pagg. 236, $ 20,50.

Eremo Rocca S.Stefano venerdì 24 maggio 2013





sabato 11 maggio 2013

il capoluogo | Ricordo di una mamma che non c'è più

il capoluogo | Ricordo di una mamma che non c'è più

ARTE FACTUM : Come scrivere bene






ARTE FACTUM  :  Come scrivere bene, di Umberto Eco

Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
Esprimiti siccome ti nutri.
Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
Stai attento a non fare... indigestione di puntini di sospensione.
Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
Non generalizzare mai.
Le parole straniere non fanno affatto bon ton.
Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
I paragoni sono come le frasi fatte.
Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
Solo gli stronzi usano parole volgari.
Sii sempre più o meno specifico.
L'iperbole è la più straordinaria delle tecniche espressive.
Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
Metti, le virgole, al posto giusto.
Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso el tacòn del buso.
Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
C’è davvero bisogno di domande retoriche?
Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe — o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento — affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che è certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dal potere dei media.
Gli accenti non debbono essere nè scorretti nè inutili, perchè chi lo fà sbaglia.
Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva il maggior scrittore lombardo del XIX secolo,l’autore del 5 maggio.
All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
Cura puntiliosamente l’ortograffia.
Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
Non andare troppo sovente a capo.
Almeno, non quando non serve.
Non usare mai il plurale majestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
Non indulgere ad arcaismi, hapax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competenze cognitive del destinatario.
Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che una frase compiuta deve avere.


EremoRocca S.Stefano sabato 11 maggio 2013

sabato 4 maggio 2013



LETTERA DALLA ROCCA  : GIACOMO LEOPARDI, La vita solitaria, canto XVI (I Canti, 1831).





 
La mattutina pioggia, allor che l'ale
Battendo esulta nella chiusa stanza
La gallinella, ed al balcon s'affaccia
L'abitator de' campi, e il Sol che nasce
I suoi tremuli rai fra le cadenti
Stille saetta, alla capanna mia
Dolcemente picchiando, mi risveglia;
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo
Degli augelli susurro, e l'aura fresca,
E le ridenti piagge benedico:
Poiché voi, cittadine infauste mura,
Vidi e conobbi assai, là dove segue
Odio al dolor compagno; e doloroso
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna
Benchè scarsa pietà pur mi dimostra
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto
Verso me più cortese! E tu pur volgi
Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando
Le sciagure e gli affanni, alla reina
Felicità servi, o natura. In cielo,
In terra amico agl'infelici alcuno
E rifugio non resta altro che il ferro.
Talor m'assido in solitaria parte,
Sovra un rialto, al margine d'un lago
Di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
Ed erba o foglia non si crolla al vento,
E non onda incresparsi, e non cicala
Strider, nè batter penna augello in ramo,
Nè farfalla ronzar, nè voce o moto
Da presso nè da lunge odi nè vedi.
Tien quelle rive altissima quiete;
Ond'io quasi me stesso e il mondo obblio
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
Giaccian le membra mie, nè spirto o senso
Più le commova, e lor quiete antica
Co' silenzi del loco si confonda.
Amore, amore, assai lungi volasti
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno,
Anzi rovente. Con sua fredda mano
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto
Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce

E irrevocabil tempo, allor che s'apre
Al guardo giovanil questa infelice
Scena del mondo, e gli sorride in vista
Di paradiso. Al garzoncello il core
Di vergine speranza e di desio
Balza nel petto; e già s'accinge all'opra
Di questa vita come a danza o gioco
Il misero mortal. Ma non sì tosto,
Amor, di te m'accorsi, e il viver mio
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi
Non altro convenia che il pianger sempre.
Pur se talvolta per le piagge apriche,
Su la tacita aurora o quando al sole
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,
Scontro di vaga donzelletta il viso;
O qualor nella placida quiete
D'estiva notte, il vagabondo passo
Di rincontro alle ville soffermando,
L'erma terra contemplo, e di fanciulla
Che all'opre di sua man la notte aggiunge
Odo sonar nelle romite stanze
L'arguto canto; a palpitar si move
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna
Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano
Ogni moto soave al petto mio.
O cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi
Alla mattina il cacciator, che trova
L'orme intricate e false, e dai covili
Error vario lo svia; salve, o benigna
Delle notti reina. Infesto scende
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro
A deserti edifici, in su l'acciaro
Del pallido ladron ch'a teso orecchio
Il fragor delle rote e de' cavalli
Da lungi osserva o il calpestio de' piedi
Su la tacita via; poscia improvviso
Col suon dell'armi e con la rauca voce
E col funereo ceffo il core agghiaccia
Al passegger, cui semivivo e nudo
Lascia in breve tra' sassi. Infesto occorre
Per le contrade cittadine il bianco
Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi
Va radendo le mura e la secreta
Ombra seguendo, e resta, e si spaura
Delle ardenti lucerne e degli aperti
Balconi. Infesto alle malvage menti,
A me sempre benigno il tuo cospetto
Sarà per queste piagge, ove non altro
Che lieti colli e spaziosi campi
M'apri alla vista. Ed ancor io soleva,
Bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso
Raggio accusar negli abitati lochi,
Quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando
Scopriva umani aspetti al guardo mio.
Or sempre loderollo, o ch'io ti miri
Veleggiar tra le nubi, o che serena
Dominatrice dell'etereo campo,
Questa flebil riguardi umana sede.
Me spesso rivedrai solingo e muto
Errar pe' boschi e per le verdi rive,
O seder sovra l'erbe, assai contento
Se core e lena a sospirar m'avanza.
Eremo Rocca S.Stefano  sabato 4 maggio 2013