mercoledì 19 novembre 2014

Il tempo s'addormenta








Scrive Giovanni Giudici in "La vita in versi": "Metti in versi la vita, trascrivi/ fedelmente, senza tacere/ particolare alcuno, l'evidenza dei vivi". E, al termine della composizione, "Inoltre metti in versi che morire/ è possibile a tutti più che nascere/ e in ogni caso l'essere è più del dire".

La poesia, allora, diventa un mezzo del cuore che attraverso la parola si fa carico di trasportare l'intero bagaglio dell'uomo, al fine di dire in un istante che cos'è la vita, l'esistenza. Un mezzo che però fallisce, a volte, questa missione, perché ad osservare bene da vicino la poesia, lì, ferma, chiusa nella pagina, si capisce che dentro essa ci si perde e che è molto più semplice dire cos'è la vita attraverso altre cose, piuttosto che dirlo con dei versi.

Tuttavia, delineare una geografia corporale, una scansione logico aritmetica delle scelte e delle possibilità di vita, lo spazio dentro il quale effettivamente si gestiscono le nostre abnegazioni e sofferenze, può essere un esercizio vitale per chiudere in un compromesso d'amore, vita e poesia.

E anche se la poesia è "costante" dell'anti-tempo rispetto ad un tempo della ragione che scorre inarrestabile, coniugare i due tempi è lo sforzo di posizione che bisogna fare perché la poesia non rimanga l'esempio di qualcosa di irraggiungibile, di assoluto, di profondo, qualcosa a tal punto vitale da scatenare un'invidia morale per chi riesce a dire con le parole quello che gli altri vagamente riescono a dire solo pensando o riflettendo in soliloquio.

Un compromesso d'amore che instaura il tentativo - attraverso il parlare di cose concrete, del corpo, dei luoghi che ci circondano, del tempo quotidiano - per farsi voce di chi non ha le parole, di chi non possiede la facoltà di farsi artefice e protagonista dello stesso mezzo che adopera per dare voce ai sentimenti, alla ragione, al senso civile.

Il tempo s'addormenta

Il tempo s'addormenta
tra la polvere e le muffe
dell'antica casa
ai piedi del colle,
là al limite della pianura
dove il ragno solitario
ricama la sua tela.
Il tempo si fa corpo
e quello che resta
è l'ambigua definizione
della vita
quando non riesce più
nemmeno a dormire
con la polvere e le muffe
del suo tempo.
Da Il Capoluogo .it

sabato 15 novembre 2014

LA NOTTE




Canto  XVII
di Federico Garcia Lorca

Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,
ma non ne ho il coraggio: temo che
il mio cuore mi salga alle labbra.
Ecco perché parlo stupidamente e nascondo
il mio cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso.

Senza di te tornavo
di Pierpaolo Pasolini


Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.

La notte nell'isola
di  Pablo Neruda
Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell'isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l'acqua.
Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell'alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.
Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
- pane, vino, amore e collera -
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.
Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l'oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d'improvviso
in mezzo all'ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.
Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall'aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.

giovedì 13 novembre 2014

FOGLI DI SERA : “Non io ti manco, tu mi manchi “




Questi sono i pomeriggi delle more. Poi verranno i giorni dell’autunno con i  boschi pieni di castagne. Ora la sera fa un po’ caldo. La mite temperatura invita a restare fuori casa. Nel pomeriggio assolato cerchiamo le more tra le siepi della strada. Ora non sono più impolverate. Non ci passa più nessuno perquesta strada. Sono i giorni che si raccolgono, si lavano e si cuociono per le composte, le marmellate da magiare durante l’inverno. I giorni dell’inverno conla legna accatastata fuori l’uscio per il camino. E dell’autunno sono i giorni della raccolta della legna da ardere in inverno. In questi giorni ora in cui si pensa all’immediato futuro la sera non guardo la tivvù ma rileggo i racconti,quelli scritti dagli uomini e dalle donne che preferisco, che fanno ridere ,che fanno piangere. Alcuni di quegli uomini e di quelle donne li posso vedere eascoltare appunto in tivvù, attraverso i loro blog e qualche volta da vicino quando vengono in questa città . Altri li guardo in foto. Foto piccole e grandi che conservo sparse qua e là nella stanza. Qualcuna attaccata con il nastro agli sportelli dei mobili. Qualcun’altra incorniciata. Qualcun’altra come segnalibro.
E li saluto ogni giorno . Riparto ogni tanto dai primi racconti .Quelli che ho letto da adolescente. Quelli che loro hanno scritto proprio in alcuni momenti .Sono storie di delitti d’amore, di principesse, di serve ma anche di uomini che si trasformano in grandi insetti. E poi ci sono frasi, espressioni,ed emozioni.
Quelle emozioni che mi tornano nel cuore e nella mente quando penso a te.Sono sei anni che le tue ossa si asciugano nel nostro cimitero, dove dormono i nostri genitori e i nostri amici. Sta lì appena fuori dellanostra città che abbiamo lasciata per venire a vivere in questa  città e da casa possiamo raggiungerlo a piedi. In un metro di terra di fronte a te ho piantato una rosa. Una rosa che mi hanno regalato per te. Non riesco a potarla perchè essa pure è fragile, come te. Che ora dormi e che alla finestra di casa asciugavi i capelli al sole di maggio quando ti svegliavi . Lavavi il sonno eil mio odore .
Quest’anno l’inverno si è spinto fino a metà primavera e all’improvviso è venuta l'estate. Quella che  abbiamo messo assieme  un giorno alla volta,che è appena passata e che ci ha introdotto, senza strappi in questo  autunno. Io ho continuato a piangere durante gli inverni di tutti questi anni   nel cavodelle mani perché non cadesse goccia a terra.Lasciavo alla pioggia bagnare la terra.
Ho staccato dalla stanza di quella casa terremotata le tue cose e le ho portate qua .Dicevo neanch’io resto , se vai. Poi mi sono confuso e ho aspettato. Aspetto .
L’ultimo capoverso d’un libro che sto leggendo mi introduce nella mente il silenzio come il chiasso di un quartiere in festa . L’ho letto come una lettera e stasera è come un salvacondotto per il sonno di questa sera. Questa sera non io ti manco, tu mi manchi .



Eremo Rocca S. Stefano giovedì 13 novembre 2014




mercoledì 12 novembre 2014

Vagabondo e viandante


di Valter Marcone

Vagabondo e viandante,
pellegrino dannato e deriso
uomo travestito
tra frenesia, sensazioni
e inganni
su una terra senza rimissioni
e peccati;
ingorghi frastornanti
su un violino tremante e piangente
alla ricerca della voce
degli angeli
ti accompagnino
uomo viandante e vagabondo. . .

lunedì 10 novembre 2014



Smart cities

Città intelligenti o digitali?

Il legame tra sviluppo urbano, nuove tecnologie e qualità della vita è indiscutibile. Ma non è detto che sia sufficiente. Ci sono anche fattori sociali, politici e culturali

di Rudolf Giffinger 9 Novembre, 2014
Viviamo in una società influenzata sempre più dalla tecnologia. Il computer, i cellulari e tutti gli altri oggetti elettronici stanno profondamente condizionando i nostri stili di vita. Basti soltanto pensare al momento di smarrimento che si prova allorquando ci si rende conto di aver lasciato a casa il cellulare o, ancora peggio, al nervosismo che si avverte quando ci si rende conto di averlo perso. Il nervosismo provato è chiaramente solo parzialmente riconducibile al valore monetario dell’oggetto perduto, ma soprattutto al valore sociale dello stesso. I nostri dispositivi digitali sono il nodo dei nostri network. Esserne privi significa essere, sebbene momentaneamente, fuori dal proprio mondo, tagliati fuori dal proprio sistema di relazioni, e quindi privati del proprio potenziale.
Se le tecnologie digitali hanno un impatto così determinante nella vita di ogni singolo individuo hanno degli effetti di gran lunga più prorompenti su organismi superiori e più complessi come sono le città. Parlare di sviluppo urbano oggi senza prendere adeguatamente in considerazione il ruolo delle nuove tecnologie è quindi quanto mai fittizio. Di questo sono consapevoli i media, ma anche un parte della letteratura scientifica, che propongono ripetutamente, a torto o a ragione, immagini di città il cui sviluppo è fortemente condizionato dalle nuove tecnologie. Si narra quindi di intere città costruite, soprattutto in Asia e nel mondo arabo, su quelli che sono i principi essenziali delle smart city e per opera di colossi aziendali provenienti dal mondo dell’Ict. Tali esperienze sono generalmente presentate come esperienze positive di sviluppo, dove la competitività economica delle città dovuta alla presenza di imprese enormi e l’infrastrutturazione tecnologica fungono da volano per lo sviluppo a tutto tondo delle città: non solo quindi dal punto di vista economico e fisico, ma anche sociale, culturale e politico.
La presenza di queste nuove tecnologie e la competitività economica sono quindi visti come una panacea per tutti i mali dalla povertà alla criminalità, dal traffico fino, in senso molto generale, al benessere. La smart city diventa quasi il simbolo di una nuova “utopia” che vede la crescita urbana come totalmente ancorata alla tecnologie digitali (Hollands, 2014).
Sebbene queste letture siano attraenti e, certamente, non infondata rimangono comunque discutibili. Già nel 2012 studiosi del calibro di Sennett mettevano in dubbio l’efficacia della smart city, ma soprattutto la convinzione che lo sviluppo delle città dovesse essere sostanzialmente centrato sulle tecnologie digitali. Sennett, nello specifico, parlando delle città arabe o di quelle della Corea del Sud, sottolinea che l’introduzione di nuove tecnologie, non si traduce necessariamente in un miglioramento della qualità della vita delle persone che in essa vivono. Affermando, in questo modo, tra le righe, che altri sono i drivers dello sviluppo urbano e ponendosi la domanda relativa a quale sia il reale ruolo delle tecnologie digitali.
Il nesso tra sviluppo urbano, nuove tecnologie e qualità della vita nelle società contemporanee è un nesso indissolubile e indiscutibile, ma quali siano le caratteristiche di queste connessioni e come esse siano collegate anche ad altri aspetti della vita delle città rimane una questione spinosa e irrisolta.
Nel corso del mio intervento dal titolo “Smart Cities: common challenges and common concepts?” punto l’accento sul problema di comprendere quali siano le sfide delle città contemporanee e per quale motivo è necessario procedere per intersezioni, mettendo in evidenza il ruolo giocato non solo dalle tecnologie, ma anche da altri fattori, non propriamente collegati alla smartness, e di natura sociale, politica e culturale.
In altre parole, il nodo gordiano che si proverà a sciogliere riguarda il ruolo delle tecnologie digitali per lo sviluppo delle città e se esse sono la chiave più importante delle smart city, oppure è necessario ampliare il campo semantico di quest’ultimo termine, accogliendo al suo interno anche altre questioni problematiche.
Giffinger a Laboratorio Expo

Rudolf Giffinger discuterà di smart cities e tecnologia digitale il prossimo 12 novembre a Milano (Triennale, viale Emilio Alemagna 6, ore 17,30) all’interno di Laboratorio Expo, il progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Expo Milano 2015
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il capoluogo | La luna di Dante

il capoluogo | La luna di Dante

mercoledì 5 novembre 2014

Con il cuore nella notte






Con il cuore della notte
incontro al mattino
il silenzio sulla bocca degli angeli
colorati di terra azzurra,
il fischio nella voce,
come un merlo che canta dentro
le ossa,
in sordina e monotonia
ogni momento che vivo
colleziona l'universo
il coro del cielo, le aggiunte
della terra.

Da IlCapoluogo.it mercoledì 5 novembre 2014

lunedì 3 novembre 2014

La luna di Dante

La luna dei lunatici e altre lune. Viaggio tra miti, leggende, poesie e realtà scientifiche sul satellite terrestre. Sesta puntata, prima parte. [Valter Marcone]

 

PRIMA PARTE


Dante Alighieri è un poeta lunare? Questa definizione non gli è stata ancora data, anche se vanno ricordati i numerosi nomi che ha dato alla luna in almeno sette canti dell'Inferno, in sette del Purgatorio e in nove del Paradiso. Senza luna la Divina Commedia sarebbe rimasta, per così dire, senza orologio. Infatti Dante non indica mai l'ora durante il viaggio attraverso i gironi dell'Inferno se non giovandosi delle varie posizioni della luna. Questa funziona come orologio, per cui il poeta può avvalersene per regolare il tempo della prima parte del suo viaggio nell'oltretomba.

Quanto la luna abbia influenzato Dante e quante immagini gli abbia ispirato, quale varietà gli abbia suggerito, appunto, si vede negli esempi che seguono.

La Luna è per Dante il primo dei pianeti che compongono il sistema aristotelico-tolemaico, codificato e trasmesso nel Medioevo attraverso i testi degli astronomi arabi.

La Luna dantesca mostra più volti e assume più ruoli: essa è lo strumento cosmico per segnare il cammino del viator, ma può anche presentarsi come termine di paragone stilistico ed espediente retorico per indicare diversi gradi di luminosità.

La Luna compare per la prima volta nella Commedia nella minacciosa profezia di Farinata, identificata con la sua faccia infera rappresentata da Proserpina:

Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell'arte pesa.
(Inf. X, 79-81)


Il senso delle parole di Farinata è chiaro e riportato in tutti i commenti: a partire dalla data dell'incontro dovranno trascorrere cinquanta mesi. L'eretico fiorentino svela dunque il seguito delle vicende di Dante e dei Bianchi, dopo che Ciacco aveva previsto la caduta della fazione in «tre soli», cioè in tre anni (Inf. VI, 68).

Nel Purgatorio la Luna, considerata nella sua essenza astronomica, torna ad essere visibile agli occhi del viator, che può osservarne effettivamente il movimento durante la sua ascesa al monte. Il pianeta svolge ancora la sua funzione di 'orologio cosmico' in due casi. In Purg. X, 13-16 Dante ne contempla il tramonto nel cielo mattutino, mentre nel canto XVIII essa è presentata a notte inoltrata. In questo quadro, paragonata, nella sua fase calante, ad un «secchion», un paiolo di rame lucente o ardente [50], l'astro offusca col suo splendore la luce delle altre stelle.

La prima attestazione della figura di Diana assimilata all'astro notturno si ha solo molto avanti nell'ascesa del pellegrino:

Noi eravam partiti già da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder n'era permesso,
quand'io sentì, come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui ch'a morte vada.
Certo non si scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse 'l nido
a parturir li due occhi del cielo.
(Purg. XX, 124-132)


La figura di Delia come personificazione della splendente luce lunare è ricordata nel XXIX canto del Purgatorio:

e vidi le fiammelle andar davante,
lasciando dietro a sé l'aere dipinto,
e di tratti pennelli avean sembiante;
sì che lì sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori
onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto.
(Purg. XXIX, 73-78)

domenica 2 novembre 2014

Un lunedì qualsiasi prossimo venturo

Commemorazione dei defunti. Il due novembre di una città e i luoghi che 'non ci sono ormai più'. Riflessioni in versi di Valter Marcone.

domenica 2 novembre 2014 05:15

di Valter Marcone

E' piena di tristezza l'ora
dei morti e per questo ho pianto
sui versi di un poeta. Posso scrivere
anch'io versi tristi - vuoi tu
rattristarti con me? - Sarebbe bello
invece andare insieme per le strade
di questa città e nelle drogherie
e pizzerie e lavanderie
che non ci sono ormai più
a dire: "l'odore del caffelatte,
del sugo di pomodoro e di vino nuovo
mi fa commuovere" e gridando
gridando, cercare di nuovo giardini,
mercanzie, frutta sulle bancarelle,
pietre e lana del tuo vestito
di secoli. Città perché non t'alzi
per spaventare i notai dei sentimenti,
gli architetti delle iperboli
i dottori dall'odore di aceto.
Per questo, città, un lunedì, un lunedì
qualsiasi prossimo venturo porta tutti
sulla piazza di specchi
che dovettero piangere di paura e vergogna
e strappa gli ombrelli. Grida al sole
al sole di un'altra stagione.
Così sia poi il tuo
due novembre dei morti.

venerdì 31 ottobre 2014

Così il futuro puòcominciare

Così il futuro puòcominciare

 

 “Onda di innovazione” organizzato da “L’Aquila rinasce. Ideeprogetti persone” e dalla sezione L’Aquila dei Giovani Imprenditori dellaConfindustria Gran Sasso è un evento a tre dimensioni.
Sabato 25 ottobre l’arrivo dello Startup Bus, giovedì 30 unpomeriggio presso la sede della Confindustria dedicato alla Innovazione sociale e venerdì 31 sempre nella stessa sedee sempre con inizio alle 17,00,una riflessione su Startup&SmartCity.
Presso la sede di Campo di Pile della Confindustria sitornerà a parlare  di promozione delcambiamento e di innovazione per la costruzione di modelli  di città e di territorio, L’Aquila el’Abruzzo.
 Così il futuro puòcominciare. Startup e Smart City,.vengono declinate ,pensati, elaborati eproposti per la realizzazione  da agentidi cambiamento  come AbruzzoModerno,,Fablab Aquila,Live different, Policentrica,Socioplan e Viviamolaq a livellocittadino e Abrex, AppAbruzzo,La stella degli elfi,Newtown,Polo internazionalizzazioneAbruzzo,Strange Office a livello regionale .

Tutti sanno che cos’è il progetto Smart City che nei mesiscorsi ha appassionato la discussione in città fino ad arrivare ad importantiprotocolli  che vedono coinvolto l’entelocale in prima persona.  E’ però il casodi ricordare qui, seppure brevemente il senso e la filosofia dello Startup  che muove appunto  l’iniziativa del Bus  e l’impegno dei giovani imprenditori dellaConfindustria.
Startup nella semplice definizione che tutti possono trovareanche nelle enciclopedie del web è“ la fase iniziale per l'avvio di una nuovaimpresa, cioè quel periodo nel quale un'organizzazione cerca di rendereprofittevole un'idea attraverso processi ripetibili e scalabili. Inizialmenteil termine veniva usato unicamente per indicare la fase di avvio di aziende nelsettore internet o tecnologie dell'informazione. Successivamente il termine èdiventato sinonimo di ciò che in borsa viene chiamato matricola. Ilpiano di startup è un prospetto che evidenzia determinati costi tipici deiprimi dodici mesi di attività, ovvero del periodo in cui si affrontano costicerti a fronte di ricavi incerti, nonché l'ammontare del capitale proprio chesi intende investire nell'azienda.”
 Startup disciplinata inItalia a che dal D.L.18 ottobre 2012, n. 179 Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese.Vigente al: 3-7-2013 Sezione IXMisure per la nascita e lo sviluppo di imprese start-up innovative ,all’art 25

In altre parole e con una estrema esemplificazione  che spero molti possano perdonare, è larisposta ad un quesito :” Immaginate di avere una risorsa, a volte anchegratuita come può essere città, territorio, paesaggio,beni culturali ,innovazioni tecnologiche, dati ecc,.Sarebbe unparadosso  pensare a come generare profittoe come costruire  un business redditizio,partendo proprio da quella risorsa?” Qualcuno ,anzi sempre più numerosirispondono  che non è un paradosso apatto che ci si guardi intorno  e che siriesca a coniugare  alcune cose tra cuitecnica ed etica, memoria e aspettativa di futuro, uomini e storia all’internodi una modernità che offre molti vantaggi ma a volte ombre  avvolgenti.
Lo Startup è una spinta, un grimaldello , ma anche lacapacità, tutta da costruire , di evidenziare, sottolineare, allineare ,trasporre in concretezza   elementi  a volte disarmonici e quindi  a volte difficilmente riconducibilità ad unaunità  di intenti . Elementi che vannoricercati  e valorizzati.
E’ questo che intende fare “Onda di innovazione “,propriocome un’onda che porta con sé  quello chea lungo è stato depositato nel fondale, quello che potrà emergere alla luce delsole , quello che potrà  essererecuperato. Un’onda che permetterà di abbandonare sulla spiaggia anche irelitti di naufragi  ,i rottami diarchitetture ormai inservibili .Un’onda che deve instaurare un quietocostruttivo dialogo con la battigia per un moto armonioso.  Perché sarebbero guaise diventasse uno tsunami per spazzare ogni cosa in nome  di false pretese di innovazione .
Un’onda dunque che parte da una iniziativa che approda aL’Aquila .Ossia  la competizioneinternazionale "Startup bus", un viaggio di 3 giorni a bordo di unbus in cui i partecipanti (programmatori, designer e giovani imprenditori) siconfrontano in selezioni e workshop in una sfida al termine della quale devonoriuscire a partorire un progetto di business vincente.
 Il bus è  arrivato sabato 25ottobre alle ore 10.00 per una prima tappa presso il coworking "StrangeOffice" e si è poi  spostatoi alleore 11.00 alla Villa Comunale dove, nella sede del Gran Sasso ScienceInstitute, siè tenuta  una conferenza
La conduttrice dello  Chiara Adam  ha affermato chequesta iniziativa è una “opportunità di misurare e far valere il propriotalento, sviluppando un progetto imprenditoriale e presentandolo “ con unpercorso  che si concluderà a Vienna dovei “buspreneurs” italiani sfideranno gli altri concorrenti europeiper portarsi a casa il titolo “StartupBus Europe 2014″, oltre che a unincentivante premio – 6 mesi nell’incubatore StartupHouse di SanFrancisco.

Sempre la Adam ricorda che “la finalità dell’iniziativa, nata nel 2010 negli Usa, è quella difavorire la creazione di una comunità internazionale di talenti imprenditorialiche con le loro idee siano in grado di cambiare lo status quo. Non a casoabbiamo scelto questa meta – L’Aquila – un vero e proprio laboratorio, dove intanti, in primis “L’Aquila che rinasce”, si stanno mettendo in gioco”.
StartupBus è nato in America nel 2010 da un’idea di Elias Bizannes  e proposto in Europa nel 2012 e in Italia nel2013. I venticinque i buspreneur saliti  a bordo   saranno impegnati  in quattro conferenze  in sei tappe Napoli, stazione di partenza,L’Aquila, Firenze, Bologna, Milano, Treviso e Vienna,stazione di arrivo.. Nella città austriaca i venticinque  giovani italiani incontreranno i buspreneurs di altri bus provenienti daaltrettanti paesi: Estonia, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra.  Duecento partecipanti, otto  bus, ottoteam  al lavoro  in questi mesi in rete, per creare eventi,workshop, conferenze momenti di mentorship per arrivare al pitch finale, quelloche decreterà quale startup avrà un futuro grazie alle molteplici possibilitàche sponsor di un certo rilievo daranno loro. «Il nostro motto - spiega ChiaraAdam - è "Cervelli in viaggio non in fuga" perché questo siapossibile bisogna dare valore all’ecosistema imprenditoriale italianopromuovendo tutte le realtà dedite all’innovazione che lavorano per rilanciareil Paese». Forse proprio per questo la partenza del Bus si è tenuta incollaborazione con NAStartUp. «Siamo orgogliosi - commentano   Antonio  Prigiobbo e Antonio Savarese founders dell’evento periodico chepresenta pitch delle più svariate startup all’ecosistema imprenditoriale locale- che l’energie d’accelerazione di NAStartUp, sempre di più, accelerino ideeche viaggiano sempre più lontano e in alto. E le idee se viaggiano, crescono efaranno crescere tutti noi al loro ritorno».

La scelta dell'Aquila dunque   risulta lusinghiera perché riconosce da partedegli organizzatori del lavoro fin qui svolto su questi temi dall’associazionedi volontariato “L’Aquila che rinasce”, in collaborazione con i GiovaniImprenditori Confindustria Gran Sasso (L’Aquila-Teramo). Perché  proprio da L’Aquila impegnata nellaricostruzione,  parta un messaggio  preciso,  pensare,  presentare avviare  progetti innovativi in grado di sostenere losviluppo della nostra comunita' e idee imprenditoriali che rispondano a unbisogno e che possano aiutare a dare una spinta al Paese.

Oltre allo Startup Bus ancora due appuntamenti sui quali il Capoluogo riferirà. Due appuntamenti  dove i partecipanti saranno liberi  di visitare lo spazio, di conoscerementori  e creatori di startup visionarieche sperimentano  nuovi modelli dibusiness,testandone il potere trasformativo.
Con la certezza che il modo migliore per prevedere il futuroè inventarlo: Marco Gay  che concluderà idue seminari  afferma “  .I Giovani di Confindustria  sognano un Paese nuovo, chiedono alleistituzioni di ricostruire l'Italia.C'è un paese da cambiare, c'è un paese daricostruire. Tutto è complesso, ma niente è impossibile. L'Italia hadisperatamente bisogno che alle parole seguano più fatti".
Così il futuro può cominciare .

Eremo Rocca S.Stefano venerdì 31 ottobre 2014

venerdì 24 ottobre 2014

Il Nobel prigioniero

Il Nobel prigioniero


IlNobel prigioniero




Le poesie le scrive in cella, sul pavimento di pietra:con l’acqua, perché gli hanno tolto anche l’inchiostro. Le giornate le passa acucire le divise dei carcerieri. Non può vedere nessuno, neanche l’avvocato.Colpevole d’aver difeso i diritti umani, per Pechino Liu Xiaobo ormai è unfantasma. Ma quattro anni dopo la solenne cerimonia di Oslo, lo è anche perl’Occidente
 Non possiede più niente. Le scarpe che calza sonodello Stato. Gli hanno tolto carta e inchiostro. Ogni giorno scrive poesie sulpavimento di pietra, bagnando un dito nella ciotola dell’acqua che beve. Iversi, anche se in cella, sono liberi: evaporano in pochi istanti. Vietato inveceleggere. La rieducazione ha deciso che il lavoro giusto per lui è il sarto. LiuXiaobo a fine dicembre compirà 59 anni e trascorre le giornate a cucire ledivise dei suoi carcerieri. Nella sua vita di prima insegnava filosofia. Si èpoi scoperto poeta e ha promosso “Charta 08”, ultimo manifesto per lademocrazia in Cina.
Nel 2009 era Natale quando lo hanno condannato: undici annidi carcere per «incitamento alla sovversione». Nel dicembre di dodici mesidopo, a Oslo, la sua “sedia vuota” di Nobel per la pace fece paura anche aPechino. «Una farsa e un crimine — dissero le autorità — orchestrati dagruppi di pagliacci stranieri per conto degli Usa». Altri quattro anni e quella“sedia rimasta vuota”, e quel Nobel, per la Cina non esistono.
Anche i “pagliacci” però rivelano di avere poca memoria. DiLiu Xiaobo, poeta divenuto sarto per aver chiesto libertà e aver dedicato ilpremio «alle anime morte di piazza Tienanmen», il mondo non parla più. «Luiperò è vivo — dice l’amico Yang Jianli — e vuole resistere almeno fino algiorno in cui potrà uscire dal carcere».
Mancano sei anni e nella cella di Jinzhou, in Manciuria,possono essere lenti. Il suo “trattamento” è stato indurito. Nessun contattocon l’esterno, sospese le visite dell’avvocato. Un muro di vetro lo separadalla moglie Liu Xia, la sola che ha il permesso di visitarlo una volta almese. Èl’ultima punizione, per aver confidato di «ripassare a memoria ogninotte il discorso». Sogna di pronunciarlo quando finalmente potrà volarelibero in Norvegia, per ritirare il riconoscimento che ancora lo attende.
Liu Xiaobo è un fantasma invisibile e dimenticato, suquell’aereo forse non salirà mai. Fuori dal carcere in cui è rinchiuso restaperò un posto di blocco e due pattuglie impediscono a chiunque di avvicinarsi«per motivi di sicurezza ». Il nulla, ai regimi, non dà pace. Oltre cinquemilachilometri più a sud, alla periferia di Pechino, anche l’appartamento di trestanze in cui ufficialmente è confinata Liu Xia, viene considerato un «luogopericoloso». Certi drammi fanno sorridere: la moglie del Nobel, 55 anni, dafebbraio non vive più nel malandato palazzo bianco. Restano tre agenticondannati a sorvegliare il suo spettro. Un’auto della polizia, nel cortilevuoto, controlla i documenti a chi passa. «Vivo qui — dice un vicino — miconoscono. In quattro anni hanno registrato il mio nome migliaia di volte». LiuXia da nove mesi è in ospedale. Per gli amici rischia di «finire sepolta vivain un manicomio».
Le ultime immagini, rubate durante pochi minuti di distrazionedei secondini, risalgono a gennaio. Appare con la testa rasata a zero, vestitacon una vecchia felpa, magra, irriconoscibile rispetto alla bella donnaimprigionata l’8 ottobre 2014. Il confino, un’ora dopo l’assegnazione del Nobelal marito. Xu Youyu, amico da venticinque anni, dice che «è ridotta nellapovertà più totale» e che il potere cinese «vuole farla impazzire, o spingerlaal suicidio ».
Su di lei non pende alcuna accusa. Sposare un ragazzo chepoi vince un Nobel «per la sua lunga e non violenta lotta per i dirittifondamentali in Cina», è una colpa più che sufficiente. Per oltre tre anni,prima di finire in clinica chiedendo di morire, la mattina poteva uscire a farela spesa. Perso il lavoro, finiti i soldi, si faceva accompagnare dalla madre pensionata.Percorrevano a stento i trecento metri fino ad un piccolo spaccio. Lescortavano sei agenti, a volte ragazzi buoni che si offrivano di saldare ilconto di riso e foglie di cavolo.
«La signora Liu — dice la negoziante — sorrideva sempre masi vedeva che le veniva da piangere. Diceva che la polizia le suggeriva didivorziare. Un funzionario telefonava per ricordarle che bisogna stare attentia chi si sposa. L’ultima volta ha promesso che un giorno mi pagherà».
Sono passati quattro anni dal Nobel per la pace a LiuXiaobo, venticinque dalla repressione degli studenti in piazza Tienanmen, e larealtà in Cina è questa: il dissidente è isolato in Manciuria e sottoposto aregime di carcere duro, sua moglie è agli arresti domiciliari in un ospedale diPechino, curata per «esaurimento nervoso». Nessuno dei due è avvicinabile. Gliedifici in cui risultano reclusi sono sorvegliati giorno e notte. Non possonocomunicare con il mondo esterno. Liu Xiaobo rifiuta di chiedere clemenza alpresidente Xi Jinping. Liu Xia dice che la politica non l’ha mai interessata.Quando si incontrano si possono scambiare solo poesie d’amore: la censurapensa che non sono «anti-patriottiche».
La pena del Nobel scade nel 2020. Quella della moglienessuno lo sa perché non è stata mai condannata. In un mondo normale, governi eopinioni pubbliche chiederebbero ogni giorno la libertà degli innocenti. Unregime che imprigiona chi esprime pacificamente le proprie idee verrebbeemarginato dalla comunità internazionale. Nel 2010 tale impegno, da partedei Paesi democratici, fu solenne. La Cina invece viene oggi contesa tra quellestesse nazioni, che esaltano la sua crescita economica, da cui dipendono. Ilgigante dei capitali nasconde il nano dei diritti. Prima di metà novembre ilpresidente americano Barack Obama volerà a Pechino per il vertice delle potenzeaffacciate sul Pacifico. I famigliari e gli amici di Liu Xiaobo e di LiuXia, i superstiti di Tienanmen, gli hanno chiesto di sfruttare l’occasione perscongiurare Xi Jinping di liberarli, prima che sia troppo tardi sia per loroche per la Cina.
È l’ultima speranza: se il silenzio continua, legittimandol’indifferenza, il Nobel e la sua “sedia vuota” si trasformeranno nelcertificato storico della resa di chi crede nei diritti umani.
 IlNobel prigioniero”, di Giampaolo Visetti – La Repubblica 22.10.14

McGregor: "Cosìla Cina cancella Liu Xiaobo dalla memoria collettiva"

Parla il giornalistadel Financial Times a lungo corrispondente da Pechino e autore di The Party, ilbestseller che ha svelato i segreti del partito comunista cinese

"IL governo cinese vuol cancellare Liu Xiaobo dallamemoria collettiva. E ci sta riuscendo: molti in Cina non sanno chi è o non siricordano di lui". Riflette con amarezza Richard McGregor, giornalista delFinancial Times a lungo corrispondente da Pechino e autore di The Party, ilbestseller che ha svelato i segreti del partito comunista cinese. "È giàaccaduto ad altri dissidenti, personaggi anche più noti. Come Zhao Ziyang,segretario del partito fino ai fatti di piazza Tienanmen. Dopo il giro di vitepost 1989 fu tenuto agli arresti domiciliari per 25 anni. Quando è morto, nel2005, molti cinesi si erano dimenticati di lui. Era stato sepolto in vita:nessuna notizia, nessuna foto... ".

È quello che sta accadendo a Liu Xiaobo? Quattro anni dopo il Nobel ilgoverno lo considera ancora così pericoloso?
"Lo considerano pericoloso quanto basta. C'è un modo di dire qui inAmerica: "solo i paranoici sopravvivono". È perfetto per definirel'atteggiamento cinese. Il governo non ama le critiche: è molto sensibile suquesto. Ma soprattutto teme ciò che non controlla. In un certo senso la Cinariesce a mantenere così bene il controllo proprio grazie alla paura costante diperderlo".

L'Occidente ha portato Xiaobo alla ribalta internazionale conferendogliil Nobel: poi lo ha dimenticato. Può bastare?
"Difficile dirlo. Fuori dalla Cina la capacità di influenzare quel cheavviene all'interno è limitata per chiunque, vicino allo zero. Altrettantodifficile è tenere il suo caso costantemente sotto i riflettori, almeno in modoche crei pressione. Il Nobel è stato importante: ma non garantisce attenzioneperpetua. Poi, francamente, non so se il suo caso sia seguito con discrezioneda qualche governo occidentale. Insomma, non se sia stato dimenticato, oppuresemplicemente il suo caso non è in cima alle agende dei governi".

E se lo avessimo "dimenticato" in nome degli affari?
"C'è anche quello. Sappiamo quanto le relazioni commerciali con la Cinasiano oggi importanti per molti. Tedeschi, americani, e anche per gli italianiche lì importano prodotti di lusso. Nessuno vuole che il rapporto coi cinesi sifocalizzi sui dissidenti. Non è una cosa nuova: I diritti umani sono statimessi ai margini dell'agenda almeno 20 anni fa".

C'è un nuovo Liu Xiaobo? Chi ha raccolto la sua eredità? Forse iragazzi di Hong Kong?
"Non mi viene in mente nessuno. È una creatura di un'altra epoca. Anche senon è dissidente vecchio stile, era già un nome prima del 1989 e questo fa ladifferenza. Pochi hanno l'ampio respiro del tipo d'esperienza che lui haavuto".

Nemmeno un personaggio come Ai Weiwei, che in Occidente è moltopopolare?
"Ai Weiwei è un carattere unico e coraggioso. Ma è attivista in quantoartista. Xiaobo è un attivista politico: e questo lo rende un po' piùpericoloso".

Così pericoloso che gli è impedito leggere e scrivere...
"Un modo per deprivarlo di ogni diritto. Per uno come lui la punizione piùdura, la peggiore possibile".

Cosa possiamo fare per lui?
"Tenerne vivo il pensiero il più a lungo possibile. Non credo cheattualmente si possa fare molto di più".


Eremo Rocca S. Stefano venerdì 24 ottobre 2014

il capoluogo | Occhio per occhio

il capoluogo | Occhio per occhio

giovedì 16 ottobre 2014

VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI  La grande iperbole



ὑπερβολή,hyperbolé, l'iperbole l’eccesso,l’intersezione di un cono circolare retto con un piano che taglia il cono in entrambe le suefalde. Esagerazione, eccesso, enfatizzazione, ingrandimento, ampollosità, gonfiatura.

S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;
s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti cristïani embrigarei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.
S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre,
S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.

Sonettocon rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine. Lo schema è ABBA,ABBA; CDC, DCD. Parole in rima: mondo, profondo, giocondo, tondo; tempestarei,annegherei (rima imperfetta), imbrigarei, farei; padre, madre, leggiadre; lui,fui, altrui.

Parafrasi
Se io fossi fuoco, brucerei il mondo; se fossi vento, glimanderei una tempesta; se fossi acqua, lo annegherei; se fossi Dio, lo fareisprofondare; se fossi il papa, allora sarei felice, perché metterei nei guaitutti i cristiani; se fossi l’imperatore, lo farei senz’altro: taglierei latesta a tutti quelli che mi stanno intorno. Se fossi la morte, andrei da miopadre; se fossi la vita, non starei insieme a lui: lo stesso farei con miamadre. Se fossi Cecco, come in effetti sono e sono sempre stato, prenderei ledonne giovani e belle e lascerei agli altri le vecchie e brutte.
« […] l’Angiolieri riesce a raggiungere, con taleinconsapevole fedeltà alle immagini di un’altra e tutta diversa mitologia, quelmondo di figure ideali che è sola dimora dell’arte.»
(G. Cavalli, Rime di C. Angiolieri, Fabbri, 1997)


Eremo Rocca S.Stefano giovedì 16 ottobre 2014


venerdì 26 settembre 2014

BIBLIOFOLLIA  :PaoloAlbani ISTRUZIONI PER MANGIARE UN LIBRO

   Da tempo, a proposito delle varie tecnicheescogitate per assimilare il contenuto di un libro (comunemente si pensa che lamigliore sia quella di leggerlo), sta prendendo campo l’idea che una delle piùefficaci e promettenti sia la tecnica che prescrive di mangiarlo, il libro,copertina e sopraccoperta incluse. È un’idea non nuova: il diplomaticofiammingo Ogier Ghislain de Busbecq (1522-1592) racconta, sulla base di notizieavute dai turchi, che i tartari mangiano i libri convinti di assorbirne lasapienza in essi racchiusa.
    Il ritorno sul mercato libraio della bibliofagia −pratica che ha origini lontane, almeno da quando Dio ordinò a Ezechiele dimangiare (anche se forse in senso metaforico) un lungo rotolo denso di paroleche si sciolsero come miele nella bocca del profeta − è stato salutato un po’da tutti con grande entusiasmo: editori, librerie, edicole, supermercati hannoesultato vedendo aumentare le loro vendite di libri; perfino le biblioteche sirallegrano, obbligate come sono per decreto ministeriale a farsi ricomprare illibro una volta mangiato dall’utente cui è stato dato in lettura o in prestito(gli unici dispiaciuti - e c’è da capirli, poveretti - sono i collezionisti chei libri spesso nemmeno li aprono per conservarli più a lungo).
    Di fronte all'ampia e inarrestabile diffusione del fenomenodella bibliofagia può essere utile la consultazione di questo piccolomanuale di istruzioni, uscito anonimo il mese scorso per le Edizioni Bartleby,che affronta il tema di come ingerire e gustare al meglio la prelibatezza di unlibro.

    1. Scelta del libro. Una volta individuati il genere el’autore è consigliabile orientarsi su volumi di media portata (non più di150-200 pagine), preferibilmente rilegati a filo (la colla può essere pesante,senza contare coloro che sono allergici a tale sostanza) e con copertina nonrigida. Naturalmente va da sé che per i buongustai e i lettori forti non sipone alcun limite al numero di pagine del libro da mangiare (un piatto specialeprediletto da questa tipologia di persone sono le enciclopedie, i dizionari egli atlanti geografici e storici in salmì). Per coloro che hanno problemi didigestione si consigliano particolari libri d’artista composti di fogli dicarta velina (sulla falsariga di quelli elaborati da Bruno Munari).

    2. Prima operazione. Non appena effettuata la scelta dellibro da mangiare, la prima cosa da fare è «sfogliare» il libro stesso, ovverostaccarne tutte le pagine, una per una, e metterle a bagnomaria. Per approntareun bagnomaria, si prepara anzitutto il composto cartaceo, cioè l’insieme deifogli non accartocciati, all'interno di un recipiente. Quindi si riempie di liquido,in genere acqua, un altro recipiente di forma e dimensioni adatte a contenereil primo recipiente in modo agevole e sicuro. Si mette il primo dentro ilsecondo e quest'ultimo sul fuoco o direttamente in forno. Tutto ciò rende piùmorbida la carta, liberandola allo stesso tempo da varie impurità tipo tarme ealtri insetti, polvere, macchie di unto, ecc. Si tenga presente che se un libroè intonso va da sé che più lungo dev'essere il tempo di cottura.

    3. Seconda operazione. Si prendono i fogli riscaldati, siseparano l’uno dall’altro facendo attenzione che non si rompano e si mettono aasciugare stendendoli a un filo, meglio se all’aria aperta, con una molletta dilegno o se preferite di plastica (evitare accuratamente l’acciaio che puòlasciare sui fogli ancora umidi delle piccolissime tracce residuali non propriogradevoli al palato).

    4. Terza e ultima operazione. Una volta asciutti si cucinanoi fogli del libro secondo la ricetta preferita. Ad esempio in un articoloapparso sulla rivista Le Livre del 1880 Pierre Gustave Brunet ricordacome uno scrittore scandinavo, dopo aver pubblicato nel 1643 un libellopolitico intitolato Dania ad exteros de perfidia Suecorum, divora perpunizione il suo scritto bollito nella zuppa. Le minestre, e in genere ognipiatto a base liquida, si presta in modo meraviglioso alla cucina di ogni ditipo di libro, specie quelli la cui trama, come il brodo, è allungatasurrettiziamente. Un famoso chef piemontese, Alberto Vettori, ha inventato il«romanzo alla Biron», ispirandosi all’omonimo personaggio delle Illusionsperdues di Honoré de Balzac, il giovane figlio di un orefice, segretariodel barone di Goërtz, ministro di Carlo XII, re di Svezia («Il giovanesegretario trascorre le notti a scrivere; e come tutti i grandi lavoratoricontrae un'abitudine, si mette a masticare la carta [...]. Il nostro belgiovane comincia con della carta bianca, ma vi fa l'abitudine e passa ai fogliscritti, che trova più saporiti [...]. Infine il piccolo segretario, di saporein sapore, finisce con il masticare delle pergamene [la masticazione lenta -altrimenti detta slow chewing - è un fattore importante per digerirebene la carta, ndr] e mangiarle»). La ricetta del romanzo cucinato allaBiron consiste nel prendere un romanzo (quelli di Moravia vanno benissimo),lessarlo bene a fuoco lento in una pentola stretta e alta aggiungendo circa 3litri di acqua per ogni kg di carta e 12-15 grammi di sale, pepe, sedano,cipolla e chiodi di garofano; quando il bollito di carta romanzesca sarà cottoa puntino (con i romanzi di Moravia è facile raggiungere in breve tempo unottimo stato di sfinimento), prendetelo con un mestolo forato, fatelosgocciolare e poggiatelo su di un tagliere, tagliatelo a fette di circa 5 cm dispessore utilizzando un coltello dalla lama liscia e lunga; disponete le fettedi carta su di un piatto da portata e servite immediatamente.

4. Suggerimento finale. Fate attenzione: ricordatevi che, così come nel campodei miceti esistono alcune specie di funghi che sono velenose, anche in quellolibraio esistono volumi nocivi, perciò bisogna stare in guardia e considerareche non tutti i libri sono commestibili; ve ne sono alcuni decisamenteimmangiabili, tossici e deleteri, altri che richiedono speciali procedure peressere cucinati a dovere al fine di non rovinarli e renderli poco appetibili.Ad esempio per cucinare un Perec è necessario seguire rigorosamente determinateregole, altrimenti si rischia di fallire come avviene con l’impazzimento dellamaionese; lo stesso vale nella preparazione di un buon piatto a base di paginedi Céline: in questo caso conviene prima togliere tutti gli innumerevolipuntini di sospensione disseminati nel testo che, al pari dell’aglio o delcetriolo, possono risultare indigesti. Per cucinare bene l’Ulisse diJoyce (consiglio di farlo in fricassea farcito di parole-macedonia) si develasciarlo frollare almeno una giornata intera.

settembre 2014
FONTE  :  http://www.paoloalbani.it/Mangiarelibri.html

Eremo Rocca S. Stefano 26 settembre 2014

domenica 23 marzo 2014

CANZONIERE  :  Cantie testi del brigantaggio: una memoria perduta

Non è possibile fornire una vera e propria genesi dei canti briganteschi,perché furono tramandati oralmente, trasmessi da padre in figlio. Si diffuserodopo il 1860, quando all’alba della liberazione del Sud, il movimentobrigantesco si estese nelle aree agricole del Meridione. La maggior parte diqueste canzoni popolari, o per lo meno, quelle a noi pervenute, provengono dalCilento e dal Vallo di Diano, altre, comunque, molto note hanno origini lucanee calabresi. Non è possibile affermare se queste canzoni popolari fossero stateprodotte dai briganti, è probabile, però, che alcune di queste siano stateestratte dai giuramenti dei briganti di cui si hanno versioni letterarie, ma diincerto valore storico. Sicuramente, questi canti erano conosciuti dal popolo efino alla seconda metà del XX secolo venivano ancora recitati dagli anzianicustodi di questo folclore antico e prezioso.

Canti briganteschi del Cilento

Simo breanti re lo Re Borbone
e lo Cilento tutto nui giramo
armati re coraggio e de ragione
e re li ‘nfami i cunti regolamo.
Tira compagno mio e non sgarrare
inta lo centro mira re lo core
fa’ li gendarmi tutti parpitare
come poddastro ra cortieddo more.
Canto raccolto a Laurino

Tu si’ lu giurici re li miei signuri,
i’ so’ lo capo re li fuorilegge;
tu scrivi co’ la penna e dai ruluri,
i’ vao ppe’ lu munno senza legge.
Tu tieni carta, penna e calamaio
ppe’ castia’ a sti poveri pezzienti,
i’ tengo povole e chiummo, quanno sparo:
giustizia fazzo a chi non tene nienti.
Canto raccolto a Mercato Cilento

Chi a la morte me vulia mannare
re lo mari pozza stare a lu funno!
Sta vita triste voglio io abbrazzare
senza legge,giranno ppe’lu munno.
I’non so’muorto e so’bbivo ancora,
l’uogglio re la mia lampa ancora rura;
stesse accorte chi mme vole male
ca non so’chiuso ancora tra quattro mura
Canto raccolto a Pellare

A mmi la morte no mme fa spavento
pure ca rormo a l’aria serena,
re la mia vita sono assai contento
non mme piglio arbascia oppure pena.
Accussì ha bboluto la fatale stella
ppe’compagnia avè le scuppettate
so’destinato a vivere ribbelle
ra nu mumento a n’ato esse scannato.
Canto raccolto a Centola



Eremo  Rocca S.Stefano domenica 23 marzo 2014

mercoledì 19 marzo 2014

E il ritorno lassù

E il ritorno lassù

I colori di maggio. A distanza di quattro anni tutto è rimasto a quel 6 aprile. Ogni mese si chiama aprile e ogni anno è quello del mese di aprile. [Valter Marcone]

mercoledì 19 marzo 2014 05:23

di Valter Marcone

E il ritorno lassù tra le antiche

strade e i muri sbrecciati,

i campanili silenziosi e le fontane mute

è come un filo d'Arianna

d'una vita. Quante vite. Dove

si gonfia qual mare di soglie povere,

usci vuoti, gugliate gugliate

di luce e sole perdute

nei cortili e sui cornicioni

della mia città lassù.

Lassù non ci sono voci, non senti

"come va", "prendi un caffè",

"che cosa mi racconti".

Senti solo pensieri come cumuli

di terra da riporto e non c'è

più nessuno, sono tutti di passaggio .

Mentre sono qui è come guardare

il volto d'Iddio caldo di speranza

con l'occhio di una lungimirante

preghiera sulle labbra

e poi cedere a poco a poco.

A poco a poco.

lunedì 10 marzo 2014

Libri: mare di plastica, mercurio e tritolo l’eredità che lasciamo - Il Fatto Quotidiano

Libri: mare di plastica, mercurio e tritolo l’eredità che lasciamo - Il Fatto Quotidiano

SILLABARI : Bellezza

SILLABARI  : Bellezza

Metto qui il bel pezzo scritto da Gianluca Sperasul film di Paolo Sorrentino ‘La Grande Bellezza’, pubblicato su OttoStorie l’8Marzo 2014


Su “La grande bellezza”, ormai, si sono sprecatii commenti, più o meno pertinenti, che hanno scatenato il consueto dibattitoinfuocato sulle pagine di facebook o twitter tra improvvisati criticicinematografici, equamente divisi tra estimatori e detrattori di Sorrentino,intenti a discettare, senza alcun timore di sfidare il senso del ridicolo, dicopione, trama, sceneggiatura, fotografia e recitazione. L’impressione che sen’è ricavata è piuttosto deprimente perché molti degli audaci commentatori,nella migliore delle ipotesi, si erano soffermati solo su qualche spezzonedella pellicola tralasciandone la visione integrale. L’errore di fondo è statoquello di incentrare la contrapposizione soltanto sull’opportunità diassegnare, o meno, l’Oscar al film di Paolo Sorrentino. Molti degli intrepidicinefili, essendo sprovvisti delle capacità e delle conoscenze indispensabiliper poter conferire attestati od esprimere giudizi, avrebbero fatto meglio, purgarantendo a ciascuno la possibilità di esprimere una critica più chelegittima, tenuto anche conto che certe incongruenze del racconto non sonoproprio esenti da censure, a concentrare la discussione sulla visionecomplessiva della società italiana che ci ha proposto il regista napoletano conferoce sarcasmo, insolito nelle produzioni nostrane appiattite su commediole dinessuna rilevanza.
Quello che ha descritto Sorrentino è un Paese molto vicino alla realtà,assomiglia spaventosamente a quello che viviamo e subiamo ogni maledettogiorno, alle storture che accompagnano l’affannoso incedere di una Nazione chesi sta condannando da sola all’inevitabile retrocessione. E’ l’Italia dellecongreghe autoreferenziali, del potere corrotto, dei circoli ristretti, dellavolgarità imperante, della tracotanza dilagante, dell’ignoranza elevata asistema. E’ un Paese fondamentalmente depravato che sta bruciando secoli esecoli d’Arte, sta relegando la Conoscenza a momento accessorio e non necessario, dove anchela lettura è diventato un fenomeno elitario. Se vogliamo, alcune situazionisono pure peggiori di come le ha tratteggiate il film perché Sorrentino, indefinitiva, ha indugiato su aspetti intellettualistici, che alla fine tracimanoaddirittura, non senza un’evidente forzatura, nel misticismo, evitandoun’analisi generale dei vizi e dei difetti ancestrali della società italiana edelle gravi conseguenze che ne derivano in termini di opportunità assenti edoccasioni mancate. Per tanti Jep Gambardella, o affini, che salgonoimmeritatamente alla ribalta, ci sono tanti sconosciuti che restano confinatiingiustamente nel loro avvilente anonimato.
C’è una parte del Paese che non emerge perché viene trattenuta con la testasott’acqua, in uno stato di perenne apnea da mani violente guidate da genteprepotente che non intende concedere nemmeno un millimetro ai potenzialiconcorrenti. L’Italia dei monopoli, costruita sul controllo capillare e dispoticodi tutti i settori di produzione, sull’occupazione degli Enti di gestione,sulla blindatura dei vertici delle professioni intellettuali, sull’abbassamentocomplessivo del livello di discussione, sull’azzeramento di ogni forma didissenso. In quest’epoca più che decadente, il lavoro, merce rara, vienedistribuito con parsimonia e secondo metodi tutti italiani. Il sistema devegarantire i già garantiti, perpetuare il potere di chi determina fortune esfortune altrui, assicurare rendite e ricchezze solo a quei pochi che sonoammessi e frequentano assiduamente le stanze dei bottoni. Non importa se tuttoquesto, prima ancora di ridurre il gusto estetico, ha distrutto l’economianazionale, l’idea di giustizia, progetti e prospettive delle giovanigenerazioni. Sul lungo periodo, privarsi delle menti migliori, costringeretanti ad emigrare, affidarsi ad una classe dirigente mediocre che, assuefattaal codardo servilismo in parte imposto ed in parte accettato senza fiatare, siomologa ad un’improduttiva bruttezza, risulta fortemente penalizzante, crea ungap difficilmente colmabile con il resto del mondo.
“Non si mangia con la cultura”, è stato lo slogan di questi ultimi anni in cuiè stato consentito ad una ristretta cerchia di persone di mangiare pure tanto,di appagare tutta la loro egoistica ingordigia, di sfamarsi fino a sazietà. Noncon la cultura, ma con gli appalti pubblici e le commesse di Stato. Quelli chesono stati riservati con estrema generosità a chi ha dimostrato fedeltà emilitanza, devozione e subordinazione più che preparazione e competenza,tendenza al compromesso più che un minimo anelito di progresso.
Questo tipo di mentalità ha bloccato sul nascere ogni tipo di iniziativa, hasfasciato quel poco che funzionava, ha arrestato sviluppo sociale ed evoluzionecivile. Ci ha reso ridicoli all’estero dove non arriva un’immagine deformatabensì la reale percezione del disastro. D’altronde, le rappresentazioniedulcorate, così come le cronache ruffiane, non agevolano certo la comprensionedelle problematiche né la cura dei mali endemici che impediscono la crescitadel Paese.
Quest’Italia, quella raccontata da Sorrentino, quella con cui ci troviamo acombattere nell’estremo tentativo di piegarla, senza riuscirci, ad un minimo diequità, ha delle vaghe similitudini con l’Irlanda di inizio novecento uscitadalla penna di Joyce. Le problematiche non sono del tutto coincidenti ma ilsenso della sconfitta incombente è lo stesso. Uno dei personaggi di “Gente diDublino”, all’apice dello scoramento, disilluso dall’impressione di unsoffocante senso di immobilismo, prendeva amaramente coscienza che l’unicasoluzione per sottrarsi alla disfatta era la fuga senza alcuna riserva orimpianto. “Non aveva dubbi: per aver successo nella vita, bisognavaandarsene”. Non si può fare nulla in Italia.
(dal Blog di Eliana Petrizzi  Crateri Il falò della volgarità di Gianluca Spera )

Eremo Rocca s.Stefano  lunedì 10 marzo 2014







domenica 9 marzo 2014

SILLABARI Amore e poesia

SILLABARI  Amore e poesia



Anche se in questi ultimi anni lo si è fatto piuttosto spesso, è semprescabroso trattare il tema * amore '. perché c'è di mezzo il corpo oltre allo 'spirito ', e a quanto pare col corpo, malgrado tutte le rivalutazioni eriappropriazioni, continuiamo a non avere molta confidenza.
È un'impresa da sconsiderati, anche perché l'amore è un fenomeno cheosservato dall'interno, ossia dal punto di vista di chi ama, presenta aspettiassolutamente 'non rilevabili all'osservazione esterna; .il che significa cheil materiale di documentazione più attendibile e significativo ci può veniresolo da quel punto di vista privilegiato. Ora, se è vero che si tratta diun'esperienza che abbiamo fatto tutti, non è meno vero che una volta che nesiamo fuori, diciamo pure negli intervalli visto che 'siamo tutti recidivi, cisuccede non dico di rimuovere ma certamente di mutilare e alterare il ricordodi quell'esperienza, secondo i me-diocri bisogni e disegni del ' senno di poi '.Un mio paziente diceva che in genere noi viviamo 'la brutta copia della nostravita, tranne 'che quando amiamo: perché in quel caso la brutta copia lascriviamo dopo.
Per fortuna c'è un'altra categoria di ' sconsiderati ' che da almenoventisette secoli si è assunta il compito di abolire lo scarto tra esperienza ericordo: i poeti. Certo per dargli credito in questo senso non bisognacoltivare l'immagine del poeta come visionario, e nemmeno come veggente nelsenso paranormale del termine, ma quella del poeta come esperto nell'arte difermare e calare in parole 'l'ineffabile, o meglio ciò che fino a quel momentoappariva tale; capace perciò di offrirci, a distanza magari di millenni, unasorta di ' presa diretta ', coinvolgente 'e drammatica ma anche straordinariamenteilluminante.
A me beato sembra come un dio l'uomo che siede a tè dinanzi,
ed ode da vicino le tue dolci parole
ed il tuo dolce riso amoroso. E subito nel petto sbigottisce il miocuore:
se io ti vedo solo un istante, subito la miavoce si spegne.
Mi si spezza la lingua, ed una fiamma sottile mi trascorre per lemembra,
ed io non vedo nulla più con gli occhi; romban gli orecchi.
Freddo sudor m'inonda, ed un tremore tutta mi prende,
e più verde dell'erba io sono, e non mi sembra esser lontana dalla miamorte...
In questo ' carme lirico ' di Saffo ci sono quasi tutti gli aspetti che citroveremo a trattare nel corso delle nostre riflessioni sull'amore. In primoluogo c'è un'adesione immediata, che è una caratteristica fondamentaledell'esperienza amorosa: un sentirsi, di fronte alla persona che si ama, senzaalcuna possibilità di resistere, un dire di sì a tutto quello che vediamodavanti a noi, privi di qualsiasi atteggiamento critico. La persona di cui ciinnamoriamo ci cattura con una immediatezza che non troviamo in nessun'altraesperienza. È come se fossimo in uno stato ipnotico, nel quale la persona chesuscita in noi la condizione ipnotica ci comunica qualcosa che forse abbiamosempre so-spettato di poter conoscere, di poter godere ed afferrare. Lacaratteristica fondamentale è dunque un'immediata « partecipazione all'altro »,con un carattere che potremmo definire compulsivo: il nostro 'investimentoamoroso ci spinge coattivamente in una precisa direziono. Fiatone parlavaaddirittura di « delirio divino », che è la dimensione dell'estasi. Ricordiamole prime parole del frammento di Saffo: « A me beato sembra come un dio l'uomoche siede a tè dinanzi... ». Di fronte all'amato l'amante prova un 'senso diincredibile pienezza e, contemporaneamente, ha la sensazione di aver vissutofino a quel momento in una condizione di privazione. La funzione dell'amore èproprio quella di riempire un vuoto nella nostra esistenza e questa possibilitàè testimoniata dalla sensazione di turbamento che ci provoca la vista dellapersona amata. È un turbamento particolarissimo, che implica uno spostamento diforze all'interno del nostro vissuto esistenziale. C'è qualcosa che si muove,qualcosa che non è altro che il poter catturare, il poter estrarre dall'altrouna dimensione che permette di andare a coprire quel senso di vuoto che hacaratterizzato la nostra esistenza fino a quel momento. La nostra esperienzasembra dirci che è qualcosa di esterno a catturare noi, qualcosa verso cui vail nostro sguardo, ma la verità è che l'esperienza amorosa vive di ciò cheaccade in noi. Guardare l'oggetto del nostro amore significa ricevere qualcosa.Quello che io vedo ha significato perché evoca e muove all'interno di me stessodelle dimensioni importanti. Si può anche dire che, da un certo punto di vista,l'altro non può essere classificabile perché si 'implicherebbe la conoscenzadell'altro: nell'esperienza amorosa c'è qualcosa di incomprensibile. Per tuttala durata dell'amore i! nostro tentativo di porci di fronte a questo oggettopieno di mistero e di fascino è in realtà il tentativo di farlo uscire da ciòche non è chiaro. Io rimango innamorato fino a quando l'altro non è afferrabilenella mia dimensione spirituale. C'è qualcosa che mi spinge a interrogarmi sulsignificato di quel volto. L'amato diventa così una figura che spinge allaricerca di una mia verità interiore. E qui tocchiamo un elemento essenziale:
la persona che amo, sulla quale riverso tutta la mia energia, diventa quellache possiamo chiamare la trasparenza del mondo (1). Questo è secondo me uno deifenomeni più belli della dimensione amorosa che, attraverso questa esperienzadella trasparenza del mondo, ci permette di capire veramente la realtà esterna,lo sono tagliato completamente fuori dagli altri, sono tagliato fuori dal mondodello spirito e delle cose, se non ho vissuto almeno una volta 'l'esperienzadella dimensione amorosa. Infatti, attraversando questa dimensione, si illuminadi significato qual-siasi aspetto dell'esistenza, sia fisica che psichica:
ciò avviene solo a condizione che io sia « rapito » da un personaggio chenon riesco a inquadrare e che, come un pensiero dominante, orientaincessantemente nella sua direzione la mia vita psichica. L'oggetto d'amore piùbello è quello che non si riesce a definire, « l'oscuro oggetto del desiderio»: esso non si lascia ridurre, esaurire o banalizzare nel rapporto. La nostracapacità di mantenere viva un'esperienza d'amore sia nel riuscire a rendere continuamentenuova l'esperienza proprio grazie a quell'arricchimento interiore che ci haconsentito il rapporto stesso. La vitalità che noi sentiamo quando amiamoderiva dal fatto che attingiamo nuove forze che ci spingono, rispettoall'altro, in una dimensione diversa da quella usuale in cui siamo quando nonamiamo. Ecco perché amare è così « stressante ». Da un certo punto di vistaamare è un autentico lavoro psicologico. II più impegnativo che esista, proprioperché esso fa scattare in noi una nuova possibilità di conoscenza del mondo.Allora, se si vive per venti o trenta anni in un clima di mancanza d'amore, nelmomento in cui si incontra questa dimensione si deve imparare di nuovo aconoscere un mondo che sembrava ormai familiare e d'un tratto ha assunto unafisionomia diversa. Questa diversità è dovuta al fatto che il catturaredall'altro una dimensione che mi mancava ha reso me diverso, e ora i mieistessi occhi 'sono diversi, la mia stessa capacità di vivere quell'esperienza èdiventata diversa.
« E subito nel petto / sbigottisce il mio cuore: se io ti vedo / solo unistante, subito la mia voce si spegne ». « Solo un istante » e « subito »:questa immediatezza, questa fulmineità nel cambiare radicalmente la mia interavisione della realtà è un'altra caratteristica dell'esperienza amorosa. C'è'come un ritmo del desiderio che prende a pulsare dentro di noi e la personache abbiamo accanto acquista un significato mutevole e sfuggente, in quantocambia la nostra dimensione interna — perché acquisisce forza dall'altro —'etale cambiamento diventa uno stimolo a capire di più. Tutto questo però avvienecon dei ritmi particolari, il 'nostro desiderio è scandito dalla presenzadell'altro. E in questo momento, poiché entra in scena il desiderio, il corpoprende il sopravvento. Quando guardiamo gli occhi della persona che amiamo,quando contempliamo l'altro, in realtà cerchiamo di riconoscere segni che forseabbiamo già conosciuto nel nostro passato e, se non li riconosciamo, cerchiamodi dare a quel volto un nuovo significato; e dare al volto dell'altro un nuovo'significato vuoi dire fare entrare nell'esperienza amorosa la dimensionecorporea.
Saffo ci dice « ... la mia voce si spegno »: noi veniamo turbati daldesiderio, e con la voce è l'intera realtà che si spezza. Anche questo è unaspetto peculiare dell'esperienza amorosa: la realtà esterna così vistosa eingombrante fino a questo momento, si defila e scompare, e al suo posto, comecambia la scena su un palcoscenico girevole, si insedia una realtà fantastica,un nuovo universo al centro del quale stanno le due persone coinvolte in quelrapporto amoroso.
Dal loro punto di vista quell'universo è l'unico plausibile; ma solo da quelpunto di vista, come c'è un solo punto dal quale ognuno delle due braccia di quell'immensopronao della basilica di San Pietro che è il colonnato del Bernini apparecomposta da un'unica fila di 32 colonne anziché da 32 file di quattro colonneciascuna. Per tutti gli altri, per tutti quelli che ovviamente non possonovedere 'le cose da quell'angolazione così particolare il mondo di coloro che siamano è aberrante e inesplicabile. E questa è l'inevitabile violenza a cui ciesponiamo nel momento in cui siamo rapiti dalla dimensione amorosa. Ma in fondoè bene che 'almeno l'amore ci 'costringa a fare anche solo una volta nella vitaquesta salutare esperienza di non essere più in sintonia con gli altri, eperciò di non riuscire a comunicare — se non con il linguaggio dell'arte, dellapoesia, che coi suoi misteriosi poteri al-chemici riesce a trasformare inparole l'ineffabile.(...)

Ed ecco perché quella realtà l'abbiamo vissuta, finché è durata, comequalcosa di definitivo, di perenne. Quando si è attraversata un'esperienzad'amore fino alla fine, che ci sia o no una fine, sappiamo che il senso delladimensione amorosa si accompagna al senso dell'eternità. Nessuno può amarepensando che quell'amore finisca, nessuno può amare pensando di morire o chequella esperienza sia limitata nel tempo. Se si vuole fare l'esperienzadell'infinito psichico, di una dimensione che trascenda i limiti della nostraesistenza, si deve fare l'esperienza della dimensione amorosa. In quel momentonoi perdiamo H senso della realtà. Ma è un bene che sia così, noi dobbiamo perderlo.È per questo, del resto, che spesso gli altri si coalizzano contro di noi:perché siamo «e persi » per la loro realtà, abbiamo disertato, siamo passatiarmi e bagagli a una realtà diversa, « straniera » per loro, incomprensibile eperciò temibile.
« Mi si spezza la lingua, ed una fiamma / sottile mi trascorre per le membra». L'amore è caratterizzato da un'alterazione del nostro rapporto con larealtà; ma cosa significa in termini psicologici essere « alterati »? Significache l'assetto psichico di cui eravamo portatori fino a un momento fa haesaurito la sua funzione: non avremmo potuto calarci in una situazione d'amorese questo assetto psichico non avesse consentito la possibilitàdell'alterazione. Le persone sagge sanno che bisogna aspettare che si compiaquesta esperienza perché atteggiamenti apparentemente rigidi possanodissolversi come neve al sole. Con l'amore cambia tutto, ma il cambiamentomaggiore è nel nostro modo di sentire le cose della vita, noi vediamo con occhidiversi.
Una persona attenta e sensibile riesce sempre ad accorgersi sel'interlocutore si trova in una dimensione d'amore, perché chi è immerso inquesta dimensione ha una tendenza particolare: la tendenza a considerarel'oggetto d'amore come fonte di felicità infinita. Quando nella 'nostraesistenza ci troviamo a vivere un'esperienza nella quale una persona esterna anoi diventa la fonte della nostra felicità, noi siamo certamente in unaesperienza-limite. Quando io mi rendo conto che la mia felicità passaattraverso l'altro e mi abbandono con generosità nelle sue braccia, allora,come dicono i versi di Saffo, sono colto dalla paura perché mi sono messo nellemani di un altro. Si è detto spesso che la possibilità di resistere al mondo èin ragione diretta della capacità di autonomia; ma è innegabile che laconoscenza del mondo passi attraverso questo identificare nell'altro la fontedella propria felicità. È vero che mettersi nelle mani degli altri può recaresofferenze altrettanto intense della felicità che ci si aspetta, ma si trattain ogni caso di un'esperienza che va fatta e ricercata.
Avvicinandoci maggiormente agli aspetti psicologici dell'esperienzadell'innamoramento, possiamo dire che essa trascende il desiderio sessuale. Neimomenti m cui si ha la percezione di perdere l'altro si dicono di solito, e conestrema sincerità, frasi che rivelano che siamo pronti anche a escluderel'intimità fisica pur di non rinunciare ad un « oggetto » che sentiamo come lafonte insostituibile della nostra felicità. Sono questi i momenti in cui lasessualità sembra trascendere o addirittura rinnegare se stessa.
Violenza dell'Eros Aldo Carotenuto, Roma

Eremo Rocca s. Stefano domenica 9 marzo 2014