domenica 27 febbraio 2011

FRATELLI D’ITALIA : In Italia tutti vedono la televisione

FRATELLI D’ITALIA : In Italia tutti vedono la televisione

Nella puntata di sabato 26 febbraio 2011 di Tv Talk in onda alle 14:50 su Rai Tre, una lunga telefonata di Michele Santoro su come la tv italiana sta raccontando le rivoluzioni in Nord Africa. Insieme all’inviata Mediaset Gabriella Simoni, Michele Santoro analizza le difficoltà della nostra televisioni nel trattare le questioni internazionali:

Dobbiamo capire se la tv italiana vuole raccontare il mondo o no. La sensazione è che non avvertiamo quella responsabilità che invece hanno la tv americana, quella inglese o quella francese, che si sentono partecipi delle vicende internazionali.

Siamo un piccolo paese senza respiro internazionale, le difficoltà della televisione in questo sono lo specchio delle difficoltà della politica.

Dicono gli addetti ai lavori : “La BBC diede tre anni ai suoi inviati per realizzare il documentario sulla Ex Jugoslavia (Jugoslavia morte di una nazione, di A. Macqueen, 1995), a noi non viene dato nulla e siamo sempre meno presenti sulle vicende estere, finiamo per rimasticare le immagini dei cellulari e delle reti internazionali.”


Per Santoro i ritardi e le difficoltà nel coprire i fatti internazionali nascono anche da questioni produttive: “Quando oltre dieci anni fa siamo andati in diretta dal ponte di Belgrado l’abbiamo fatto perchè avevamo totale autonomia decisionale: questa volta con la Libia abbiamo fatto partire il nostro inviato Formigli molto più tardi, abbiamo dovuto aspettare una serie di valutazioni degli uffici competenti.”

Un problema anche economico della nostra tv generalista:”In Italia abbiamo più canali generalisti di chiunque altro, la necessità di riempire 6 reti generaliste 24 ore al giorno porta a produrre a basso costo, per questo poi c’è così tanta tv spazzatura.”

E Santoro conclude con un appello:”Il reportage, anche quello sulle vicende internazionali, dovrebbe essere inserito strutturalmente nei nostri palinsesti.”


Sempre nella stessa puntata di Tv Talk, Ernesto Galli Della Loggia e Carlo Freccero hanno discusso sulla base del recente articolo di Della Loggia sul Corriere (”Quell’Italia che vive nell’Isola dei Famosi. Se la televisione si sostituisce alle élite“).

E infine Enrico Ruggeri e Franca Leosini hanno parlato della cronaca nera nella nostra televisione, con l’esclusiva delle immagini del film tv su Amanda Knox appena trasmesso negli USA.

Ecco di seguito allora l’articolo di Galli della loggia dal titolo “Quell’Italia che vive nell’Isola dei famosi Se la televisione si sostituisce alle élite” pubblicato su Coriiere della sera del 20 febbraio u.s.


Non c’è alcuna prova decisiva né alcuna statistica inoppugnabile che dimostri che il nostro Paese stia andando a rotta di collo verso una sorta di analfabetismo di massa e insieme verso un dilagante involgarimento delle sue abitudini e dei suoi stili di vita o verso l’offuscamento di una certa

tradizionale sensibilità al tempo stesso umana e morale. Così come non c’è alcuna prova che in tutto ciò la televisione e i suoi programmi c’entrino qualcosa.

Ci sono però a farcelo sospettare, anzi credere, la nostra percezione, viva,quotidiana; e la nostra intelligenza. Conteranno pure qualcosa! Per mille segni avvertiamo intorno a noi, infatti, che ogni giorno il senso della vita delle persone che abitano questo Paese, l’orizzonte dei loro sentimenti e delle loro emozioni, il loro rapporto con il passato, sono sottilmente ma ineluttabilmente distorti, svuotati, manipolati, corrosi, e poi ricombinati in modi nuovi dalla televisione. È un discorso trito e ritrito, questo sulla televisione?


Figuriamoci se non lo so. Ma anche i discorsi sulla mafia o sull’evasione fiscale sono triti e ritriti. I problemi e i mali d’Italia non sono quasi mai nuovi, ahimè: è forse però un buon motivo, allora, per non parlarne? È nello spazio strabordante dei programmi d’intrattenimento che soprattutto si compie la manipolazione distruttiva dell’antropologia italiana. In quei programmi dove— pure senza arrivare ai livelli postribolari di cose come L’isola dei famosi o del Grande Fratello— si mischiano presentatori-guitti, comicastri, sound triviali, corpi seminudi,trovate quizzistiche da quattro soldi e torrenti di chiacchiere sul nulla. È da questa poltiglia che colano ininterrottamente dalla mattina alla sera nella testa di milioni di italiani modelli di comportamento posticci e spregevoli, disprezzo implicito per ciò che è intelligente e frutto ditenacia e di sacrificio, l’idolatria dell’apparire, l’ammirazione per tutto ciò che è esagerato, sgangherato, enfatico, superfluo, ai danni di ciò che invece è normale e appropriato. Non so se anche altrove esistano programmi così fatti e in tale numero: mi pare proprio di no. Quello che è certo è che in Italia l’effetto è stato ed è particolarmente devastante.

La disgregazione delle grandi periferie metropolitane, una cultura popolare ritrovatasi a causa dell’urbanizzazione repentina e massiccia privata delle sue antiche basi, strati giovanili a cui l’acculturazione scolastica non dice e non dà più nulla, tutto ciò ha prodotto un vuoto in cui il modello turpe-televisivo ha trovato e trova facile modo di imporsi a suo piacere. Ma non bastano queste spiegazioni. Deve essere accaduto nel nostro Paese qualcosa di particolarmente rilevante e specifico, se in nessun altro luogo d’Europa si vede tanta televisione e così a lungo ogni giorno come da noi; se visibilmente essa ha un effetto così vasto e condizionante; se in nessun luogo d’Europa le più clamorose futilità televisive sono capaci di suscitare tanta attenzione e discussione come in Italia. Ciò che è accaduto è che dadecenni, in realtà, la poltiglia televisiva costituisce il surrogatodell’egemonia culturale sulla società italiana che le sue classi dirigenti non sono più capaci non dico di esercitare ma neppure di immaginare. La rottura è avvenuta intorno alla metà dei Settanta, non a caso quando cominciò la lenta decomposizione del quadro politico-intellettuale della Prima Repubblica e iniziò, contemporaneamente, a proliferare la televisione commerciale. Da allora chi ha la direzione effettiva della vita spirituale italiana, chi sempre di più determina i suoi stili e il suo «discorso» , è

la televisione. Ciò che ha la sua conferma nel fatto che in nessun altro Paese d’Europa come nel nostro il pubblico televisivo è così interclassista,copre tutti gli strati sociali, compresa quella che si dice l’élite. InItalia tutti vedono la televisione. E solo in Italia tutto ciò che non passa sullo schermo non esiste. Anche l’Unità d’Italia e il suo inno esistono solo se è la Tv che ne parla, sia pure per bocca di un teatrante geniale come Benigni.


Tutti sono in certo senso costretti a vedere la televisione, perché alla fine vederla è, paradossalmente ma anche molto concretamente, il solo modo che esista oggi di essere italiani, di partecipare in qualche modo a una comunità culturale che altrimenti come tale non ha voce, né centro, né effettivi protagonisti nazionali. Considerazioni come queste che sto facendo si concludono in genere con la messa sotto accusa di Berlusconi qualeartefice primo e massimo «utilizzatore finale» (politico) dell’egemonia televisiva. Ora, è vero che Berlusconi ha impiantato da noi la televisione commerciale: ma la pubblicità televisiva e la televisione commerciale fino a prova contraria esistono anche in molti altri Paesi. L’egemonia televisiva (a sfondo commerciale, certamente) è tutt’altra cosa: e non l’ha creata Berlusconi. Non è il frutto della malizia di un uomo, è il prodotto di una storia. È il prodotto della storia d’Italia: della fragile modernizzazione postbellica sempre più priva di una guida forte, della debole e superficiale

scolarizzazione, della pochezza e dell’incertezza delle classi dirigenti, della progressiva latitanza della politica. Ed è per questo che oggi nella brutalità sommaria di quest’egemonia televisiva ci stanno dentro tutti, destra e sinistra. In una trasmissione di Santoro c’è una dose di approssimazione impudica, di aggressività e di cialtroneria italiota almeno pari a quella del peggiore palinsesto di Mediaset. E chi finge di non accorgersene è solo perché conta di prendervi parte per avere agio di aggredire il nemico di turno.


Eremo Via vado di sole ,
domenica 27 febbraio 2011

OCCHIO DI GIUDA :Un giorno vennero a prendere me...

OCCHIO DI GIUDA :Un giorno vennero a prendere me...


Scriveva Bertold Brecht

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento perchè rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali

e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti

ed io non dissi niente perchè non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me

e non c'era rimasto nessuno a protestare.

E diceva un giorno Enzo Tortora


««Io ormai divido la gente in due categorie molto semplici: quelli che conoscono sulla pelle l’infamia di una carcerazione [pre- ventiva] in un regime cosiddetto democratico, protratta all’infinito, protratta per anni; e quelli che non hanno la jattura di conoscerla. E allora, se non la conoscono, dovrebbero quantomeno cercare di calarsi nei panni di chi vive questo tormento. Ma è un esercizio che quegli italiani difficilmente fanno. Parlano ed emettono sentenze, anche belle in molti casi. Morali così tonificanti, soprattutto per coloro che non hanno la sventura di trovarsi di fronte all’Italia com’è e non come si dice che sia. Io ho avuto l’amaro privilegio, da questo osservatorio spaventoso nel quale vivo da un anno, di vederla questa Italia che ci hanno creato poco a poco, che ci hanno fatto con questa legislazione degli anni cosiddetti di piombo, dell’emergenza che non finisce mai, del pentitismo che divora, galoppa attraverso i diritti fondamentali del cittadino, distrugge quelli che sono i presidi primordiali di ogni Stato di diritto. Questo è uno spettacolo agghiacciante. Questo è un Paese che io non avrei considerato più il mio. Io me ne sarei andato una volta conclusa la mia vicenda giudiziaria». (Enzo Tortora a Radio radicale, 7 maggio 1984)


Anche per questo è nata l ‘Associazione IL DETENUTO IGNOTO che ha nel suo slogan la seguente affermazione :"Non mi batto per il detenuto eccellente, ma per la tutela della vita del diritto nei confronti del detenuto ignoto, alla vita del diritto per il diritto alla vita."

L'Associazione Il Detenuto Ignoto nasce con l'intento di affermare e promuovere i diritti dei cittadini detenuti, in attuazione di quanto disposto dall'articolo 27 della Costituzione italiana. Il Detenuto Ignoto in questi anni è stata animatrice di importanti iniziative, attraverso lo studio delle realtà e delle politiche del sistema penitenziario italiano, la consulenza e la produzione legislativa, il coordinamento di comitati, l'organizzazione di seminari, convegni, eventi e manifestazioni.

.Articoli, proposte di legge, osservazioni, storie e dossier possono essere letti su :

http://detenutoignoto.blogspot.com/ e non parla soltanto della situazione italiana ma di tutto il mondo .

Afferma infatti uno dei suoi documenti : Nel 2010 negli istituti penitenziari di tutto il mondo 10milioni e 650mila persone sono state detenute, soprattutto in custodia cautelare (attesa di giudizio), o per l’esecuzione di condanne detentive. In misura inferiore si registrano anche detenzioni “amministrative” e internamenti.

La popolazione detenuta mondiale è in costante aumento: nel 2008 i carcerati erano 9.800 mila, nel 2002 erano 8.750 mila e negli ultimi 10 anni i detenuti sono aumentati di circa 2 milioni di unità. Ma particolarmente significativo è soprattutto l’aumento registrato in 40 anni di storia (1970-2010): a livello mondiale è stato del 71% (del 64% nei Paesi dell’Africa, dell’83% nelle Americhe, del 76% in Asia, del 68% in Europa e del 60% in Oceania). Più della metà di tutti i detenuti si trovano in soli 3 Paesi: gli Stati Uniti (2.29 milioni), la Cina (2,4 milioni, di cui 850 mila in detenzione amministrativa) e la Russia (900 mila).

Gli Stati Uniti hanno il più alto tasso di carcerizzazione del mondo, 756 per 100mila della popolazione nazionale, seguiti dalla Russia (630), dal Ruanda (604), da Cuba (531), dalla Bielorussia (468) e dalla Georgia (421). Quasi tre quinti dei Paesi (59%) hanno tassi di carcerizzazione inferiori a 150 per 100mila. Il tasso medio mondiale di carcerizzazione è di 168 per 100mila.

Mondo: tasso di carcerizzazione (media 168 per 100mila)


Eremo Via vado di sole , L’Aquila,
domenica 27 febbraio 2011

ET TERRA MOTA EST. Giusi Pitari : resistere

ET TERRA MOTA EST. Giusi Pitari : resistere


Siamo a L’Aquila a quasi due anni dal sisma, 682 giorni, per la precisione. Ieri un po’ di cittadini si sono riuniti in assemblea, in un bar. Altro luogo, non c’è.

Domenica scorsa un bel po’ di cittadini hanno ripulito una storica scalinata, liberandola dalle erbacce. Ché nessuno lo fa.

E già questo dovrebbe bastare a fare un po’ di luce sulla nostra situazione.

Ma c’è di più: durante l’ assemblea, più o meno positiva, più o meno partecipata, è successo che un signore, che si trovava nel bar con gli amici a farsi una sacrosanta partita a carte, è sbottato, infastidito. E mentre si accennava all’assurda situazione, mai risolta, della residenzialità studentesca, ha cominciato a dire ad alta voce: “Ma chi se ne frega degli studenti, “so’ io che non tengo la casa”!”.


E quando si discuteva del masterplan di Piazza D’Armi, non ce l’ha fatta più: “ Ma di che parlate? Non tenemo lavoro, non tenemo le case e voiatri perdete tempo”, si è alzato ed è andato via urlando: “Tutte le sere vengo a farmi una partita a carte, guarda che mi doveva capitare!”

Molti di noi si sono sentiti inutili, autoreferenziali, inopportuni. Me compresa. A non parlare dei bisogni primari di tanti aquilani: quelli che vivono in un garage, ammucchiati, e sbarcano il lunario con il contributo di autonoma sistemazione, persone ancora lontane dalla città. Perché in albergo, tra L’Aquila e provincia e il resto della regione, ci vivono ancora 1397 persone, persone, persone. E in caserma ancora 307 persone, persone, persone. E più di 14.000 hanno ancora il contributo di autonoma sistemazione, segno evidente che non hanno ancora una casa, e un lavoro chissà!


E mentre le persone ospitate nel progetto C.A.S.E. calano e gli appartamenti liberi non vengono assegnati a chi è ancora lontano, l’emergenza abitativa non accenna a diminuire, perché poi, in tutti questi report, gli studenti universitari fuori sede non vengono considerati e, se qualche aquilano dice “chi se ne frega?”, non lo si può neanche tacciare di provincialismo o cecità, perché se non ha la casa, non può ricostruire né lavorare, si può capire che le sue priorità sono altre.

E allora io che posso fare, oltre a lavorare, a cercare di vivere al meglio, a informarmi, informare….?


Per esempio, nel condominio del progetto C.A.S.E. dove vivo da un anno e mezzo circa, al piano terra, da due mesi, un appartamento è libero: si tratta di un appartamento per single. La persona che lo occupava se n’è andata, non so dove, riconsegnando le chiavi. Orbene? Perché dopo due mesi è ancora libero e tanti single sono ancora lontani, in albergo, a costi altissimi? Cosa c’è che non funziona nella S.G.E.? Non sapete a chi assegnarlo perché non si riescono a fare graduatorie? Allora chessò, tirate a sorte! Ma fate in modo che gli aquilani lontani, siano essi giovani o vecchi, riescano a rientrare nel territorio senza sentirsi più esiliati senza sapere il perché.

E il lavoro? Bè, non sono preparata a risolvere problemi di questa portata! Ricordo però che lo scorso anno, in occasione delle scarriolate, si era chiaramente detto che le macerie sono una risorsa e non un problema. Una risorsa in termini materiali, perché riciclate sono una materia prima secondaria, e perché sulla raccolta, differenziazione e riciclo, si possono creare posti di lavoro. Ed è solo un esempio.

E la gente che ha perso casa, persino in periferia, dove qualche abbattimento ha avuto luogo, ma le macerie sono ancora lì, non sa nemmeno dove, quando e se si ricostruirà. Non si parla più di “progetto di città” (masterplan), di cronoprogramma, di una “nuova città”, mentre quella vecchia langue e si autodistrugge.

Non si sa da dove cominciare e allora l’unico obiettivo che mi pare perseguibile è R-ESISTERE!

Dal blog di Giusi Pitari “Trentotto secondi “( Il nome di questo blog riporta il tempo che mi sembra sia passato dal momento in cui mi sono svegliata il 6 aprile 2009, a causa del sisma che ha colpito la mia città, e l’attimo nel quale ho percepito che la scossa si affievoliva. Non è il tempo a determinare la successione degli eventi, bensì è proprio lo scorrere degli eventi che determina il tempo che passa.) Pubblicato il 17 febbraio 2011

http://giusipitari.blogspot.com/2011/02/campo-santo.html

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, domenica 27 febbraio 2011

SETTIMO GIORNO : Solo in Dio riposa l’anima mia

SETTIMO GIORNO : Solo in Dio riposa l’anima mia


La parola dell’ottava domenica del tempo ordinario trova nel testo di Isaia ( 49,14-15) uno dei brani più commoventi dell’Antico Testamento perché arriva direttamente al cuore e tocca la sensibilità di ognuno di noi .

Isaia testimonia con queste brevi frasi : “ Il Signore mi ha abbandonato , il Signore mi ha dimenticato “ il timore di Israele di essere abbandonata nelle tristi vicende della sua storia. Che poi in definitiva è anche il nostro timore : quello di essere abbandonato alla deriva e al disorientamento in cui a volte la nostra storia personale e la storia delle nostre comunità si vengono a trovare.


E’ proprio di oggi il grido di Don Corinno Scotti il parroco di Brembate Di sopra che dice “ Ho rinfacciatao a Dio il suo silenzio, dinanzi al ritrovamento del cadavere di Yara Gambirasio scomparsa il 26 novembre 2011 e ritrovata cadavere solo ieri sabato 26 febbraio 2011 .

Ma è di oggi, nella parola proclamata nella liturgia domenicale, la rassicurazione e la esortazione ad avere fiducia in un Dio che ha il nome del suo popolo scritto sul palmo della mano e che lo tiene davanti a sé, davanti al proprio sguardo,con queste affermazioni : “ Si dimentica forse una donna del suo bambino ,così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero io invece non ti dimenticherò mai “.


Isaia pone l’accento su questo “ Io non ti dimenticherò mai “ che assume un più grande valore se si guarda al contesto in cui queste parole vengono pronunciate. L’assenza di Dio è dunque l’esilio . Questo Dio che ha indicato la terra promessa ad Abramo, che ha guidato Israele fuori dall’Egitto viene cantato dal salmista come colui nel quale sola riposa l’anima e dal quale viene la salvezza perché è roccia, riparo sicuro, rifugio , approdo. “ Confida in lui o popolo in ogni tempo / davanti a lui apri il tuo cuore”.

Alla luce dunque di queste affermazioni e della certezza che il Signore non si dimentica di noi , non ci abbandona , anzi solo lui è la nostra ricchezza e la nostra speranza,va letto il brano del Vangelo di Matteo (6,24-34) che ci pone davanti una necessità quella di cercare Dio e di affidarci a lui. Perché al primo posto è la ricerca del regno di Dio e la sua giustizia. Certo il brano inizia con quel “nessuno può servire due padroni “e poi sembra andare da tutt’altra parte con quella sua poesia sospesa ed elegiaca sul valore della provvidenza. In realtà la prima e la seconda parte del brano dicono la stessa cosa . anche se i commenti spesso hanno suscitato opposte riflessioni . Da una parte la ricchezza e il soddisfacimento dei bisogni materiali è un impegno fondamentale che comporta un agire e un impegnarsi ma dall’altra sembra essere superflua e quindi fa propendere per l’inazione.


E’ vero il comportamento che ci viene additato è quello degli uccelli che non seminano e non mietono ma hanno dal Padre celeste quanto loro occorre per vivere. Un comportamento che ci vuole ricordare però che la ricchezza per soddifare le esigenze materiali è un dono , è un esempio della Provvidenza divina che esclude la preoccupazione eccessiva, l’angoscia per la ricerca delle cose materiali ma non dispensa dall’impegno per produrre e usare nel modo giusto le cose necessarie alla sopravvivenza. Quindi anche gli uccelli faticano per trovare cibo e i gigli per crescere nel campo vivono un intenso lavorio . La differenza sta proprio nel mettere al primo posto e sopra ogni cosa la ricerca di Dio e dopo la preoccupazione per quello che si mangerà e berrà e di cui ci si vestirà. Vivere la vita in funzione delle cose materiali significa negare la vita stessa che di queste cose ha bisogno ma che deve solo servirsene . Il padre celeste sa che abbiamo bisogno di queste cose e quindi ci esorta a non preoccuparci perché esse ci “saranno date in aggiunta”, proprio come un dono perché esse passano in secondo piano nei nostri pensieri e nelle nostre azioni perché , e si trona all’inizio del brano , nessuno può servire due padroni: in questo caso Dio e la ricchezza.


E’ anche una questione di scelta . E proprio in quesa prospettiva scrive Don Marco Pedron “Scegliere vuol dire plasmare la nostra vita. Sono le nostre scelte che danno forma alla nostra vita. La nostra vita è nient'altro che il frutto delle nostre scelte, delle nostre non scelte o delle scelte di paura (che sono comunque delle scelte). Per questo ognuno avrà ciò che lui vorrà (come diceva la prima lettura quindici giorni fa; Sir 15,15-20). La nostra vita è perfettamente ciò che abbiamo scelto.

Avremo secondo ciò che faremo… avremo secondo la passione che ci avremo messo… avremo secondo la capacità di rimanere e di faticare… avremo secondo il desiderio di lottare… avremo nient'altro che ciò che avremo scelto…


…Una presupposizione di questo vangelo: la fede. Senza fede questo vangelo non lo si può capire.

E' vero che gli uccelli del cielo sono nutriti dal padre celeste (5,26)? No, perché anche loro devono faticare e volare per trovare erbe e animaletti. No, perché anche loro si preoccupano se non hanno cibo.

E' vero che i gigli del campo non lavorano (5,28)? No, perché dentro la pianta c'è un lavorio enorme.

E' vero che mangiare e bere ci viene dato in aggiunta (5,31-33)? No, perché il cibo e l'acqua non cadono dal cielo. …

Da un punto di vista materiale tutto dipende da noi. Se non ti dai da fare non mangi e non bevi.

…Ma da un punto di vista spirituale, tutto dipende da Dio, da Lui. Gli uccelli sono nutriti dal padre celeste? Certo. E i gigli vestiti meglio di Salomone? Certo! Fede vuol dire che la vita è più di quello che si vede. Gesù diceva: "Non vedi oltre gli uccelli del cielo? Non riesci a vedere oltre i gigli del campo? Guarda oltre, troverai qualcos'altro, troverai Qualcun altro". Quando guardi una cosa… guarda oltre. Quando guardi una persona… guarda dentro.

Con fede dunque .…La fede: non aver paura. La fede è il contrario della paura. Un esegeta ha calcolato che nella Bibbia l'espressione "non temere" ricorre 365 volte, come i giorni dell'anno. Allora ogni mattina mi devo alzare e devo scegliere se aver fede o aver paura.

Fede non vuol dire non provare paura ma non lasciarsi bloccare dalla paura. Fede non vuol dire che tutto andrà bene ma che in ogni caso saprò affrontare.”

Paolo Curtaz dice : “Prima il Regno. Con questa stupenda certezza la Parola di oggi ci invita a sollevare lo sguardo dalle nostre inquietudini e preoccupazioni per guardarci intorno, per osservare gli uccelli del cielo e i gigli del campo, ed avere uno sguardo che sappia ancora stupirsi del fatto che Dio ha creato il mondo con saggezza e previdenza.

Certo: siamo chiamati a guadagnarci il pane col sudore della nostra fronte, ma senza l'ansia dell'accumulo, senza il demone della bramosia che rischia di accecare la nostra anima.

È leggero, il cuore del discepolo, sa che il Padre conosce il suo cuore e veglia su di lui.

In questa domenica invernale proviamo a cogliere i segni della presenza del Signore nella Provvidenza che si occupa dei passerotti e degli alberi che si stanno risvegliando dal freddo dell'inverno.

Proviamo ad alzare lo sguardo oltre l'angusto limite della nostra quotidianità, cercando anzitutto il Regno e tutto il resto ci sarà dato in aggiunta. ( …)Perciò Gesù ci invita a guardare meglio.


I gigli, gli uccelli del cielo. E, aggiungo: il mare, il vento, la primavera che freme, la neve che riflette la luce accecante. Tutto intorno ci grida che Dio ha creato il mondo con sapienza e lo conserva con lungimiranza. Occupiamoci del lavoro, del futuro, del mutuo da pagare, certo, ma sapendo che il nostro cuore è altrove, che il Regno è da un'altra parte.

Sapendo che ogni (buona) cosa che viviamo non è che la caparra del futuro, la pagina pubblicitaria dell'assoluto di Dio, della pienezza che ci aspetta altrove.

Allora capiamo l'invito di Paolo nella seconda lettura: se anche la gente, intorno a noi, vive al contrario, chi se ne importa? Perché ci preoccupiamo di cosa pensa la gente e del loro impietoso giudizio? Vivere le beatitudini, vivere il paradosso del vangelo, vivere il desiderio di guardare l'invisibile è la nostra vita.

Anche se veniamo presi per ingenui, o pazzi. ”

Quindi come scrive Don Roberto Rossi : “Occuparsi meno delle cose e di più della vita vera, che è fatta di relazioni, consapevolezza, libertà, amore. Meno cose e più cuore. Non è una rinuncia, è una liberazione. "Non affannatevi....": quell'affanno che toglie il respiro, per cui non esistono più feste o domeniche, non c'è tempo per chi si ama, per contemplare un fiore, una musica, la natura... Il cristianesimo non è una morale, ma una grande liberazione. Libera dai piccoli desideri, per desiderare di più e meglio. Insegna un rapporto fiducioso e libero con se stessi, con il corpo, con il denaro, con gli altri, con le più piccole creature e con Dio. Ciò che preoccupato, ciò che ci occupa per primo, prima di tutto, non può essere l'avere; le cose non allungano la vita. Il possesso non fa crescere l'uomo nella coscienza di sé, nella sua persona, cioè non allunga la vita. Cercare il regno di Dio, occuparci della vita interiore, delle relazioni, del cuore; cercare pace per noi e per gli altri, giustizia per noi e per gli altri, amore per noi e per gli altri. Meno cose e più cuore, e si troverà il senso della vita e la gioia della vita.”


Eremo Via vado di sole, L’Aquila,
domenica 27 febbraio 2011

sabato 26 febbraio 2011

CAMERA OSCURA : Vecchia Sulmona


CAMERA OSCURA : Vecchia Sulmona


Nella casa dove ora abito, ho portato con me, dopo il terremoto, un computer e molti libri.Tra tutti quelli che ho dovuto mettere in deposito per ragioni di spazio, mi hanno seguito alcuni volumi di arte, di fotografia, sulle tradizioni popolari oltre a tutti i libri di poesia.

Ho lasciato nelle scatole, in attesa che possano rivedere luce, i libri antichi, i romanzi, i libri di viaggi , di storia, i vocabolari, le enciclopedie ,quelli di cucina.


Sul computer ho gelosamente conservato alcuni file di immagini che avevo tratte dai libri di fotografie. Tra i libri di fotografia ho portato con me un volume di Giuseppe Di Tommaso “Vecchia Sulmona “ stampato e distribuito a cura dello stesso Di Tommaso e altri due volumi : “ Dieci fotografi abruzzesi” e Rapsodia abruzzese” stampati dalla Regione Abruzzo, oltre naturalmente a volumi con foto di Ghirri, Giacomelli ed altri.

Ho fatto questa lunga premessa perché ho voglia con questa rubrica che chiamo “ CAMERA OSCURA “ di riflettere appunto su questa “settima “ ( !?) arte.


E’ vero porterò delle testimonianze di fotografi e di ricercatori per parlare di fotografia. Anche se poi, in definitiva la fotografia parla da sé. Ma prima delle opere di Ghirri , Giacomelli ed altri mi piace ricordare , proprio come una premessa, Giuseppe Di Tommaso. Che, non era un fotografo di professione.


Era un appassionato delle memorie della città di Sulmona e geloso della loro integrità ne apprezzava il valore. Il valore appunto di tutte quelle lastre e quelle foto che aveva raccolto in tutta la vita e che restituivano integrità ad un mondo cittadino attraverso due secoli fine Ottocento e Novecento.


Una passione appunto coltivata attraverso la raccolta costante e quotidiana di lastre e foto recuperate a volte dopo la chiusura di studi fotografici o dagli archivi dei fotografi che in quegli anni avevano uno studio aperto a Sulmona.

Foto firmate dunque con nome e cognomi dei primi fotografi della città e da altri amanti di questa nuova tecnica.

Lo incontravi, Di Tommaso, per il Corso di Sulmona con sotto il braccio la sua inseprabaile cartelletta che conteneva foto o lastre accuratamente avvolte nella carta velina..


Erano piccoli monumenti della storia di una città .

Ora Giuseppe Di Tommaso dorme nel cimitero di Sulmona e quando passo di lì lo saluto sempre come per dire grazie ad un passato che , come tutti i passati, contribuisce al presente e apre una finestra sul futuro.


CAMERA OSCURA dunque vuole dare un contributo alla riflessione sulla vita e sull’uso della fotografia di ieri ma anche di oggi.


Ed è anche una specie di omaggio a due amici a me cari Romeo Fraioli e Ida Rossi le cui foto ammiro e che molte volte ho usato per impreziosire i testi che vado condividendo su Facebook e su “ Osservatoriodiconfine”.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila,
sabato 26 febbraio 2011

venerdì 25 febbraio 2011

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Animali metaforici


ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Animali metaforici


L'importanza che gli animali hanno sempre avuto nella vita concreta dell'uomo e nella favolistica moraleggiante (Esopo, Fedro, La Fontaine) ha avuto come conseguenza l'uso metaforico dei nomi di moltissimi animali. La nuova accezione è per lo più spregiativa,

ma può anche essere positiva.

Di una donna stupida si dice che è un'oca (questo già nel Cinquecento, mentre è molto recente l'oca giuliva), di una che cerca d'attirare l'attenzione degli uomini che è una civetta (perché quest'uccello attira la preda sbattendo le ali e occhieggiando, catturandone così l'attenzione), di una generosamente disponibile che è una vacca o una troia, di un uomo lussurioso che è un porco o un mandrillo; un cocciuto è un mulo, un ignorante un asino. Una persona vile è una pecora, una pronta a cambiar bandiera rapidamente un camaleonte, per la caratteristica, che quest'animale ha, di cambiare la tinta della pelle, uniformandosi ai colori circostanti.


Chi saccheggia fra le rovine d'un terremoto o d'un bombardamento per impadronirsi di masserizie e oggetti abbandonati, o chi, in occasione di sequestri di persona o di simili eventi, interviene con telefonate per trarne profitto, è uno sciacallo. Chi estorce denaro con ogni mezzo è una sanguisuga o una piovra. La storia di quest'ultima è abbastanza interessante: si tratta d'una parola usata nel dialetto delle isole anglo-normanne (ove significa propriamente «polipo »), che Victor Hugo divulgò in francese (pieuvre),a ttraverso il suo romanzo TRA V AILLEURS DE LA MER, del 1 8 66. Le traduzioni di quest' opera fecero entrare in italiano il termine, che in questi ultimi tempi è stato largamente adoperato per indicare sia la droga sia la mafia.

Ad una persona astuta si dà della volpe (« il conte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto rispetto, che farebbe perder la traccia a chi si sia », dice il podestà nei PROMESSI SPOSI), ad una coraggiosa del leone,mentre termine abbastanza generico d'insulto è cane eper coprire una persona col massimo disprezzo si dice che è un verme.


Chi ripete acriticamente le parole altrui, o fa ciò che fanno gli altri, è un pappagallo, ma con questo termine si indica anche l'utensile di cui si servono gli ammalati per orinare restando a letto. I nomi degli animali infatti, oltre che per indicare persone che hanno determinate qualità, servono anche ad indicare o ggetti, strumenti, apparecchi, la cui forma ricorda, spesso vagamente, quella dell'animale. Oltre al pappagallo ricordiamo la gru, cioè la macchina usata per sollevare e trasportare carichi, il cui braccio ricorda il lungo collo dell'uccello omonimo, e la giraffa degli studi cinematografici e televisivi. Fra i mezzi di trasporto meritano un cenno almeno la cicogna, che indica sia un aereo da ricognizione, capace di decollare e atterrare in uno spazio assai limitato (fu adoperato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale) sia un autocarro a due

piani usato per il trasporto di automobili dalla fabbrica alle filiali o alle sedi dei concessionari di vendita, e le gazzelle e le pantere della polizia. La gazzella è chiamata così per la sua agilità e velocità, mentre la pantera fa riferimento all'abilità nel balzare sulla preda.


Anche uno speciale carrello delle ferrovie, munito di rotaie, per il trasporto dei carri merci su strada ha preso nome da un animale, in questo caso iloccodrillo, a causa del suo aspetto snodato che ricorda quello,del grosso rettile. Ma con lo stesso nome si indica anche un morsetto per contatti elettrici (in questo caso

dai denti, che ricordano la lunga bocca dell'animale), e, nel linguaggio iornalistico, il necrologio delle persone illustri, preparato quando sono ancora in vita.

Quest'ultima denominazione si richiama alla credenza,che ha dato origine anche all'espressione lacrime di coccodrillo, secondo cui quest'animale verserebbe lacrime

dopo aver divorato un uomo.


Particolare fortuna, linguistica s'intende, ha avuto la cavia, un piccolo roditore (in italiano è chiamato più comunemente porcellino d'India) che, a causa della sua utilizzazione per esperimenti nei laboratori scientifici, si adopera soprattutto nell'espressione far da cavia, usata talora anche scherzosamente per « essere la persona su cui si esegue qualche verifica», « prestarsi a compiere un'operazione rischiosa».


Eremo Via vado di sole, L’Aquila, venerdì 25 febbraio 2011

MEDITERRANEO : Missione Frontex

MEDITERRANEO : Missione Frontex


La missione Frontex, denominata 'Hermes', ha la finalità di assistere le autorità italiane nella gestione dell'afflusso di immigrati arrivati dall'Africa del Nord, in particolare dalla Tunisia, sull'isola di Lampedusa. Altre azioni, ha spiegato il commissario europeo agli Affari Interni, Cecilia Malmstrom, ''includono la cooperazione con le autorità tunisine, l'identificazione delle dotazioni finanziarie di emergenza e l'assistenza dell'Ufficio europeo di polizia (Europol)''.

La missione 'Hermes', ha chiarito ancora Malmstrom, fa parte di una serie di misure decise dalla Commissione europea "per gestire questi eccezionali flussi migratori" e sottolineando come si tratti di "un chiaro segnale della solidarietà europea" all'Italia”. Frontex ha ricevuto una richiesta formale di assistenza il 15 febbraio dal ministero degli Interni italiano in merito alla situazione straordinaria migratoria nelle isole Pelagie. Il governo ha chiesto l'assistenza per il rafforzamento della sorveglianza delle frontiere esterne dell'Unione europea, sotto forma di un'operazione congiunta. Inoltre, l'Italia ha sollecitato un'analisi mirata dei rischi sui possibili scenari futuri della maggiore pressione migratoria nella regione, alla luce dei recenti sviluppi politici in Africa del Nord e la possibilità dell'apertura di un fronte ulteriore migratorie nel Mediterraneo centrale.

La Frontex ha seguito da vicino la situazione in Nord Africa ed i suoi effetti sulle tendenze migratorie nelle ultime settimane e continuerà ad aggiornare il quadro della situazione presso le frontiere esterne dell'Ue. L'Agenzia dell'Unione europea con sede a Varsavia di cui è direttore esecutivo Ilkka Laitinen Pertti Juhani, è stata creata come un organismo specializzato e indipendente con il compito di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nel settore della sicurezza delle frontiere. L'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne e' stata istituita con il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio del 26 ottobre 2004 (GU L 349 del 25.11.2004) e ha iniziato ad operare il 3 ottobre 2005.

Frontex ha il compito di coordinare la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne. Sotto la scritta Frontex si leggono le parole 'Libertas, Securitas, Iustitia'. Nella sua missione anche assistere gli Stati membri nella formazione di guardie nazionali di confine, anche elaborando norme comuni in materia di formazione; preparare analisi dei rischi; seguire l'evoluzione delle ricerche in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne; aiutare gli Stati membri che devono affrontare circostanze tali da richiedere un'assistenza tecnica e operativa rafforzata alle frontiere esterne; fornire agli Stati membri il sostegno necessario per organizzare operazioni di rimpatrio congiunte.

Organismo comunitario con personalità giuridica e autonomia operativa e di bilancio. E' disciplinato dal proprio consiglio di amministrazione, composto da responsabili operativi dei servizi nazionali di controllo delle frontiere e rappresentanti della Commissione europea. Frontex promuove un modello pan-europeo di gestione integrata delle frontiere. Opera in stretto collegamento con altri organismi comunitari e dell'Ue responsabili in materia di sicurezza alle frontiere esterne, come Europol, Cepol, Olaf, e di cooperazione nel settore delle dogane e dei controlli fitosanitari e veterinari, al fine di garantire la coerenza complessiva del sistema. Frontex aumenta la sicurezza alle frontiere, assicurando il coordinamento delle iniziative degli Stati membri intese ad attuare le misure comunitarie per la gestione delle frontiere esterne.

Sul fronte dell'analisi dei rischi, Frontex ha un sistema di raccolta delle informazioni per monitorare la situazione alle frontiere esterne dell'Ue. Tali informazioni vengono poi analizzate per ottimizzare l'allocazione delle risorse. L'Agenzia assiste inoltre gli Stati membri nello sviluppo di standard comuni di formazione per le autorità di frontiera, tra cui un Common Core CUrriculum, al fine di attuare una politica di gestione integrata delle frontiere. Ma non tutti gli sviluppi possono essere previsti attraverso un monitoraggio costante dei rischi e la loro analisi. Per questo motivo, l'Agenzia europea ha creato un pool di risorse sotto forma di squadre di intervento rapido alle frontiere (Rabit), integrazione di risorse specialistiche tecniche e umane di tutta l'Ue.

La portavoce dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), Laura Boldrini. "E' giusto prepararsi ad ogni scenario e predisporre tutte le strutture necessarie nel caso di arrivi massicci - precisa - ma è anche vero che non bisogna creare allarmismi nell'opinione pubblica affermando che c'è il rischio di trovarsi di fronte a una vera e propria invasione".




Eremo Via vado di sole, L'Aquila,
venerdì 25 febbraio 2011