mercoledì 31 agosto 2011

AD HOC : Gli asini litigano e i basti si sfasciano


AD HOC : Gli asini litigano e i basti si sfasciano

Leggo su Il Centro di oggi 31 agosto 2011 alcuni articoli che informano , in tema di ricostruzione a L’Aquila degli edifici classificati E ubicati al di fuori dei centri storici

" Nessuna proroga per la presentazione delle domande per l'ottenimento dell'indennizzo per le case classificate E fuori dai centri storici. Con un documento congiunto il commissario delegato per la ricostruzione Gianni Chiodi e il sindaco dell'Aquila Massimo Cialente comunicano che non verrà concessa una proroga alla scadenza del 31 agosto 2011. Previsto un potenziamento delle strutture che devono vagliare e smaltire qualcosa come 4mila pratiche.

Una commissione, presieduta dal commissario vicario Antonio Cicchetti, monitorerà l'andamento in modo da facilitare il processo. Dal 1º settembre 2011 i progetti dovranno essere presentati a Fintecna che li protocollerà in ordine cronologico e che saranno esaminati successivamente a quelli presentati nei termini. Per le domande e i relativi progetti presentati a partire dal 1º settembre 2011 resta fermo il diritto a ottenere l'indennizzo.


Ma il ritardo determinerà una riduzione dei benefìci assistenziali per i proprietari, nonché una rideterminazione di quanto spetta ai progettisti e agli amministratori di condominio secondo modalità e termini che verranno precisati in un'ordinanza in fase di predisposizione.

E continua ancora Chiodi

"Non è evocando scenari biblici o usando paroloni d'effetto, come guerra civile, tradimento e pugnalata, che si aiutano gli aquilani a ricostruire le proprie case. I cittadini hanno bisogno di rapporti corretti e trasparenti, in grado di garantire certezze sui tempi e sui modi del recupero edilizio". Lo afferma il Commissario delegato per la Ricostruzione, presidente della Regione Abruzzo, Gianni Chiodi.

"Sono profondamente deluso ed amareggiato per l'atteggiamento, tutt'altro che collaborativo, delle categorie professionali", sottolinea Chiodi. "Struttura commissariale ed Ordini avevano stretto a suo tempo un accordo che prevedeva, da parte di questi ultimi, un'apertura sul fronte informativo. In base all'intesa di reciproca lealtà, loro si erano impegnati a fornire notizie sul numero degli incarichi assunti, la tipologia, la disponibilità di risorse umane. Il Commissario, dal proprio canto, avrebbe assicurato la massima flessibilità per risolvere le criticità che man mano si fossero presentate".

"Ma a disattendere l'accordo", fa notare il Commissario, "sono stati proprio gli ingegneri. Solo il 14 per cento dei tecnici si è preoccupato di fornire le informazioni richieste. Il resto ha fatto finta di nulla, dimostrando così scarsa considerazione verso le esigenze della comunità aquilana".

Chiodi rivolge ad ingegneri, architetti, tecnici, l'ennesimo appello ad un lavoro sinergico, nel nome di una più alta unità d'intenti: "In fondo, a loro è stato chiesto solo di dire ai cittadini-committenti, con franchezza ed onestà, quando sarebbero potuti rientrare nella propria casa. Niente di più".

"A questo punto della ricostruzione", conclude, "non è più tollerabile giocare sulla buonafede degli aquilani e su continue richieste di proroghe che ritardano solo l'affrontare con serietà i veri problemi".

Gli fa eco sulla stessa pagina del Centro il presidente dell’ordine dei geometri e degli architetti con un titolo che anticipa la protesta per la mancata proroga con la possibilità addirittura di rivolgersi al Presidente Napolitano anche se lo stesso ordine solo il 29 agosto vista la mala parata ( rifiuto di concedere ulteriore proroga )aveva scritto una circolare che diceva

“Gli Ordini Professionali della Provincia dell’Aquila degli Ingegneri e degli Architetti ed i Collegi professionali dei Geometri e dei Periti Industriali:

premesso che:

- in data 14 luglio 2011 l’Ordine degli Ingegneri ed i Collegi Professionali dei Geometri e dei Periti Industriali, congiuntamente alle Rappresentanze Regionali e Nazionali, hanno sottoscritto con il Commissario alla Ricostruzione Dott. Gianni Chiodi un accordo finalizzato a stabilire la scadenza definitiva per la presentazione dei progetti di cui all’OPCM 3790/2009 relativamente agli edifici con esito di agibilità “E” posti all’esterno dei centri storici;

- tale accordo prevedeva che il Commissario sulla scorta delle difficoltà manifestatesi per tali tipologie di edifici, individuava la scadenza “tecnica” del 31/08/2011 al fine di poter attuare, in collaborazione con gli Ordini e Collegi Professionali, un’azione di indagine e monitoraggio utile alla definizione di una scadenza non più “tecnica” valida per tutti gli edifici oggetto dell’accordo;

- lo stesso accordo prevedeva, inoltre, la possibilità di prescindere anche dalla nuova individuazione di scadenza per casi eccezionali;

- il monitoraggio, effettuato tramite la Struttura Tecnica di Missione, ha fornito risultati che lasciavano prevedere la scadenza al 31 marzo 2012;

- considerato che mancano due giorni alla scadenza del termine “tecnico” del 31 agosto 2011 e non avendo alcun sentore di definizione della nuova scadenza, pur avendo svolto vari tentativi di contatto nel merito;

ritengono di essere in dovere di chiedere al Commissario per la Ricostruzione Dott. Gianni Chiodi quale valore attribuisce all’accordo sottoscritto, in presenza di una ipotetica non proroga.

In considerazione di quanto fin qui espresso e ritenendo di dover adempiere alle indicazioni normative vigenti, invitano i Professionisti, tutti, a fornire il supporto ai propri Committenti, in adempimento all’attuale scadenza del 31 agosto 2011, per la presentazione delle domande e degli atti disponibili in loro possesso.

Le stesse dovranno essere presentate a: Fintecna, Sportello Protocollo Comune o anche a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno indirizzata al Sindaco del Comune interessato. La domanda deve essere corredata dai documenti in possesso relativamente alla richiesta di indennizzo.

ORDINE DEGLI INGEGNERI DELLA PROVINCIA DI L’AQUILA – Il Presidente (Paolo De Santis)

ORDINE DEGLI ARCHITETTI DELLA PROVINCIA DI L’AQUILA – Il Presidente (Gianlorenzo Conti)

COLLEGIO DEI GEOMETRI DELLA PROVINCIA DI L’AQUILA – Il Presidente (Giampiero Sansone)

COLLEGIO DEI PERITI INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI L’AQUILA – Il Presidente (Maurizio Papale)

Una ulteriore lite dunque in presenza di una situazione per la quale al 26 luglio 2011 sono rilevate 13.014 persone beneficiarie del contributo di autonoma sistemazione, 13.433 persone sono alloggiate nel Progetto C.A.S.E., 7.085 nei MAP, 1879 in affitto e altre strutture comunali, 728 in strutture ricettive (120 fuori provincia) e 212 nelle caserme a L’Aquila.

La conclusione per il momento da parte del cittadino che non riesce a capire quanto accade e che ha solo il bisogno di rientrare nella propria abitazione è affidata alla vecchia saggezza popolare : gli asini ( asino numero uno : regione comune e commissari alla ricostruzione ; asino numero due l’ordine ingegneri geometri e architetti ) litigano e i basti ( cittadini in attesa della ricostruzione ) si sfasciano

Eremo Via vado di sole , L'Aquila 31 agosto9 2011


martedì 30 agosto 2011

SILLABARI : “ I ” come iniquità e inefficienza


SILLABARI : “ I ” come iniquità e inefficienza

L’ Europa ci chiede di risanare i conti in cambio del sostegno della Bce. Ciò significa modifiche di tipo strutturale, ovvero con effetti duraturi, alla spesa ed anche al sistema delle entrate. Queste richieste comportano sicuramente riduzioni di spesa e quindi di risorse pubbliche disponibili per

i cittadini. Possono perciò a prima vista sembrare in contraddizione con l'agenda europea per il 2020 approvata poco più di un anno fa e concepita proprio come road map per uscire dalla crisi e di cui in effetti non si sente più parlare negli affannosi scambi tra stati nazionali e Unione Europea.

Eppure, proprio quella road map potrebbe offrire un criterio per individuare la direzione in cui muoversi per non rischiare di soffocare ogni possibilità di ripresa anche per il futuro. Le tre priorità di quella agenda sono: crescita intelligente, basata su innovazione e conoscenza; crescita sostenibile, allo stesso tempo più "verde", più efficiente e più competitiva; crescita inclusiva, che produca maggiore occupazione e offra coesione sociale e territoriale. Questi obiettivi comportano da un lato un aumento degli investimenti pubblici e privati in ricerca e innovazione e prima ancora in un miglioramento della qualità e della diffusione dell'istruzione e della formazione continua tutti settori in cui l'Italia già prima della crisi viceversa investiva molto poco comportano cioè una valorizzazione delle risorse umane disponibili, che si tratti di uomini o donne, di giovani e meno giovani, di autoctoni o immigrati.

Invece di competere - per altro senza possibilità di successo - con le economie emergenti sulla riduzione dei salari e la bassa qualità dei rapporti di lavoro, occorre competere con la qualità dei prodotti sulla base di una forza lavoro di cui sviluppare appieno le capacità. Ne sono uno strumento anche le politiche di conciliazione famiglia-lavoro. Dall'altro lato, quegli obiettivi, mentre sollecitano una maggiore partecipazione al lavoro remunerato di tutti e per un periodo della vita più lungo, richiedono esplicitamente anche un sistema di protezione sociale universalistico, non un insieme frammentato per categorie e gruppi e inesistente per molti, come succede in Italia per a protezione dalla disoccupazione o per la povertà, La stessa Bce, nelle sue raccomandazioni richieste di questi giorni, non ci chiede solo una riforma dei rapporti di lavoro che riduca la rigidità nelle norme sui licenziamenti e i contratti a tempo determinato. Ci chiede anche, come chiedono da tempo molti commentatori italiani avanzando anche proposte che sono arrivate fino in Parlamento,d superare il modello attuale di protezione, fondato su un dualismo ingiusto tra lavoratori, per lo più giovani, con contratti a termine e lavoratori con contratto a tempo indeterminato.

Le richieste di Bruxelles e della Bce saranno anche, come ha osservato Monti, eccessivamente mercatistiche. Ma lo spazio lasciato aperto sia da quelle richieste che dall'agenda Europa 2020 è più ampio, rispetto alle opzioni possibili, di quanto non sembri nelle proposte avanzate in questi giorni, specie da parte governativa. Giustamente le parti sociali insistono sulla priorità della crescita, quindi su una riformulazione della spesa che non si limiti a tagliare ma che crei anche le pre-condizioni per cui si possa crescere. Quindi liberalizzazioni, investimenti e non riduzioni informazione, ricerca, conciliazione tra famiglia e lavoro e riforma della protezione dalla disoccupazione. Per spostare risorse su questi settori, contemporaneamente riducendo il volume complessivo della spesa corrente, i necessari interventi strutturali devono riguardare innanzitutto le iniquità e inefficienze: l'evasione fiscale, la troppo bassa tassazione delle rendite finanziarie, le false pensioni di invalidità, ma anche (verrebbe da dire soprattutto) i molti costi inutili e privilegi della politica e dei politici a tutti i livelli, centrali e locali, dello stato e del parastato, incominciando da subito da quelli (stipendi, servizi, vitalizi, enti inutili a partire dalle micro- provincie) che non richiedono riforme costituzionali. Sarebbe un bel segnale di serietà mandato sia ai cittadini italiani che a Bruxelles. Solo se si eliminano queste iniquità e inefficienze si può anche discutere di accelerazione delle misure già previste in campo pensionistico (agganciamento delle aliquote alle speranze di vita, progressiva equiparazione dell' età alla pensione per donne e uomini). E si potrà avere il tempo necessario per una riforma dell'assistenza che non aumenti ulteriormente le inadeguatezze di un sistema molto lontano dal modello "inclusivo" evocato dall'agenda europea.

Chiara Saraceno Colpire soprattutto iniquità e inefficienze La Repubblica 17 agosto 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 30 agosto 2011

sabato 27 agosto 2011

LETTERE DALL’EREMO Lectio sul "perdono" del priore di Bose Enzo Bianchi per la Perdonanaza 2011


LETTERE DALL’EREMO Lectio sul "perdono" del priore di Bose Enzo Bianchi per la Perdonanaza 2011

'Abbiamo bisogno del perdono perché la nostra società fa fatica a perdonare anche nel quotidiano'. La riflessione è del priore della Comunità Ecumenica di Bose Enzo Bianchi che a L'Aquila, alla vigilia della 717ma Perdonanza Celestiniana, tiene una 'Lectio' sul tema 'Vivere il perdono oggi'. 'Quella della misericordia è l'unica dinamica che ci permette di rinnovare la nostra vita in Cristo. Perdonare è un gesto senza logica apparente in cui si trova lo specifico del cristianesimo' aggiunge il priore di Bose. Tra gli eventi che hanno preceduto la centenaria festa aquilana anche l'applaudita messinscena dell'opera 'Matteo secondo Pasolini' nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio

Umberto MANUELE presidente dell’Azione Cattolica afferma : “Il 27 agosto per L’Aquila ci sarà un grande dono: la presenza in occasione della Perdonanza Celestiniana di Enzo Bianchi, priore della comunità monastica ecumenica di Bose. Padre Bianchi, nell’ancora splendida cornice della Basilica di Collemaggio alle ore 18.00, terrà una lectio sul significato del perdono nella società moderna, su come viverlo e donarlo. In un mondo spesso caratterizzato dall’arrivismo, dal protagonismo e dal relativismo, il perdono sembra sia divenuto un qualcosa di superfluo, eppure esso rimane ancora uno dei cardini del messaggio evangelico. Perdonare non significa solo rimettere, a chi ti ha fatto un torto, le colpe, ma anche abbandonare la presunzione di bastare a sé stessi in una società senza Dio e senza il prossimo. L’uomo è per sua natura un essere sociale e religioso. Dei recenti scavi, promossi dalla National Geographic Society di Washington, hanno portato alla luce, sulla cima di una remota altura della Turchia meridionale, quello che è stato definito il primo insediamento religioso della storia dell’uomo risalente al 10.000 – 8.500 a.C. ed in quest’area non vi era presente solo l’aula liturgica, ma anche un luogo dove si amministrava la giustizia, ovvero chi era in colpa si riconciliava con la società dinanzi alla divinità. Questo vuol dire che l’uomo, fin dagli albori ha sempre sentito la necessità di garantire un ordine ed una pace sociale e per fare questo ha cominciato affidandosi al divino perché certamente perdonare non è un atto tipicamente umano, ma avviene dopo un lungo cammino interiore di avvicinamento a Dio. Quando il figlio di Vittorio Bachelet, storico presidente dell’Azione Cattolica e vicepresidente del CSM, perdonò pubblicamente gli assassini del padre, seppe farlo perché in quella famiglia erano profondamente radicati i valori del Vangelo, poiché ciò che veramente caratterizza il cristiano e saper perdonare e andare incontro a quel fratello che ti ha fatto un torto, anche in questi nostri tempi così strani. L’iniziativa, promossa dall’Azione Cattolica diocesana, dal Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale e dal gruppo aquilano della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, nasce dall’esigenza, più volte sentita di riscoprire il messaggio Celestiniano incentrato sul perdono concesso da Dio, padre dell’umanità e perché no anche dagli uomini? “

Ha detto dunque Enzo Bianchi nel suo commento al brano della lettera di S. Giovanni Apostolo :

“Perché il perdono è un tema così decisivo nella nostra vita umana e cristiana? Perché la nostra vita conosce il male, questa contraddizione, questa negazione del bene che non possiamo rimuovere né negare. Il perdono ha a che fare con il male, il male che noi facciamo a noi stessi e agli altri, il male che gli altri ci fanno. Il male – nelle sue varie forme del cattivo pensare, del malvagio agire, dell’offensivo parlare – è una realtà nella nostra vita e nelle nostre relazioni. Il male – dice Gesù – è ciò che nasce dal nostro cuore e diventa aggressività, violenza, odio verso gli altri e verso noi stessi (cf. Mc 7,20-23; Mt 15,18-20). Il male è ciò che io faccio nonostante voglia fare il bene, confessa l’Apostolo Paolo (cf. Rm 7,18-19). Non a caso le domande che rivolgiamo a Dio nel Padre nostro, la preghiera insegnataci da Gesù, sono: «Non abbandonarci alla tentazione» e «Liberaci dal male» (Mt 6,13); e queste richieste sono precedute da quella del perdono di Dio, invocato perché ci renda capaci di perdonare i nostri fratelli: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12).

Il male come azione malvagia compiuta da noi esseri umani ci accompagna per tutta la vita. Nel quotidiano il più delle volte non è epifanico, non ha conseguenze vistose; in alcune circostanze invece esplode e ci spaventa, provocando in noi indignazione. In ogni caso, il male è sempre banale… L’uomo si abitua al male, e soprattutto la violenza può nutrire il male, farlo crescere fino alla negazione dell’altro, degli altri. Siamo sinceri con noi stessi: non arriviamo talvolta alla tentazione di voler vedere scomparire chi ci è nemico, di voler vedere escluso dal nostro orizzonte un altro che ci ha fatto del male? Non siamo tentati di ripagare con lo stesso male chi ci ha fatto del male? Non giungiamo perlomeno a sperare il male per chi ci ha fatto soffrire?

Questo è il nostro istinto di conservazione: vogliamo vivere e vivere a ogni costo, anche senza gli altri e magari contro gli altri. Siamo tutti malati di philautía, l’egoistico amore di noi stessi, e quando siamo offesi il nostro istinto è quello di difenderci attaccando, non diversamente dagli animali. Siamo tentati di rispondere al male con il male, alla violenza con la violenza, alimentando così una spirale di odio e di vendetta che ben presto finisce per mostrare la sua qualità mortifera. Noi esseri umani, in verità, sappiamo che per intraprendere il cammino di umanizzazione in vista di una vita piena di senso, di una vita segnata dalla qualità della convivenza, dobbiamo impedire la vittoria del male su di noi e la spirale di violenza che ne consegue: è qui che si colloca il perdono, che è innanzitutto, umanamente, un’interruzione del male, un porre un argine al male, un dire no a una logica di morte.

Gesù con la sua vita ha cercato di narrarci questo volto di Dio fino a vivere lui stesso, in prima persona, il perdono fino all’estremo. Perdono donato anche ai suoi carnefici, ai suoi aguzzini, a quanti lo hanno condannato a morte, a quanti lo hanno angariato durante la sua esecuzione: «Padre, perdona loro perché non sanno né quello che dicono né quello che fanno» (cf. Lc 23,34). Proprio per aver ricevuto la testimonianza e l’insegnamento di Gesù, Paolo nella Lettera ai Romani ha potuto rivelarci Dio quale fonte di ogni perdono. Ascoltate questo straordinario annuncio dell’Apostolo: “Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita” (Rm 5,8-10).

È una scandalosa simultaneità: mentre noi odiamo Dio, Dio ci ama e ci perdona; mentre noi siamo peccatori, Dio ci riconcilia con sé. Questo è il cristianesimo, a tal punto che Hannah Arendt, una filosofa ebrea e non credente, è giunta a scrivere: «A scoprire il ruolo del perdono nell’ambito delle relazioni umane fu Gesù di Nazaret» (Vita activa. La condizione umana V,33 [orig., 1958; Bompiani, Milano 200814, p. 176]). Questo è lo scandalo della croce di Cristo (cf. 1Cor 1,23), e solo nella folle logica della croce (cf. 1Cor 1,18.23.25) si può comprendere il perdono di Dio verso di noi, e quindi il nostro perdono verso noi stessi e gli altri.

Ma nel nostro cuore, di fronte a questo perdono così radicale ed esteso, sorge una domanda, un dubbio: e la giustizia? Sentiamo dire:misericordia, perdono; e ci chiediamo: sì, ma la giustizia? Certo, la giustizia è anch’essa un attributo del Nome di Dio («… non lascia senza punizione, castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione»: Es 34,7). Ma guai a noi se misurassimo la giustizia di Dio con i nostri criteri umani, se proiettassimo in Dio la nostra giustizia. La giustizia degli uomini è necessaria, è capace di arbitrare, di sanzionare il male, talvolta anche di arginarlo; ma solo la misericordia sa rendere all’uomo la sua dignità, sa fare del colpevole una creatura nuova, perché l’uomo ha bisogno certamente della giustizia, ma anche dell’amore e della gratuità del perdono. Solo la misericordia permette di fare giustizia senza vendicarsi, senza umiliare il colpevole, e di perdonare senza svuotare la legge, il diritto. Noi cristiani dobbiamo fare un ulteriore passo avanti nella comprensione della giustizia e nel cammino di umanizzazione. È stato il beato Giovanni Paolo II a farci il dono di aprire il cammino alla comprensione di come sia possibile coniugare insieme perdono e giustizia.

Nel suo Messaggio per la giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2002 egli ha innanzitutto confessato che, confrontandosi con la Parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, era giunto a comprendere che il Vangelo esige che il principio «perdono» sia immanente al principio «giustizia» (cf. § 2). Così ha potuto coniare un’affermazione lapidaria, che dà il titolo all’intero suo testo: «Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono». Questo il messaggio annunciato ai cristiani e anche ai non cristiani, messaggio straordinario che osa chiedere a tutti una prassi di perdono affinché sia possibile edificare insieme una polis, una città segnata da giustizia, pace, solidarietà comune.

Ma Giovanni Paolo II con forza e audacia ha anche chiesto che l’esercizio del perdono non avvenga soltanto a livello personale, ma sia una virtù proposta all’intera comunità civile. Così scriveva: “Solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una «politica del perdono», espressa in atteggiamenti sociali e istituti giuridici, nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano” (ibid.§ 8).

Questa la risposta vera alle patologie della società, ai conflitti che dividono gli uomini e li contrappongono tra loro. L’ordine sociale e la costruzione della polis non possono avvenire senza coniugare tra loro giustizia e perdono. In quest’ottica – lo ripeto – è particolarmente necessario situare il perdono anche nell’ambito giuridico: occorre sì arginare e disarmare il colpevole, occorre anche la detenzione per impedirgli di reiterare i delitti; ma nello stesso tempo occorre pensare a una rieducazione, ad apprestare un cammino di umanizzazione e di reinserimento nella società, mostrando anche la possibilità di un perdono, di un condono. Nel contesto politico, già ad Atene, nell’antichità, si conosceva la legge dell’amnistia, con lo scopo della riconciliazione tra partiti politici e della pace nella polis. Nel contesto economico, il perdono può essere esercitato con la remissione del debito dei paesi poveri, dando loro la possibilità di un’economia che conosca uno sviluppo.

Sì, il perdono, come ha detto Giovanni Paolo II («Le famiglie, i gruppi, gli stati, la stessa comunità internazionale, hanno bisogno di aprirsi al perdono per ritessere legami interrotti, per superare situazioni di sterile condanna mutua, per vincere la tentazione di escludere gli altri non concedendo loro possibilità di appello. La capacità di perdono sta alla base di ogni progetto di una società futura più giusta e solidale»:ibid.§ 9), a livello giuridico, politico ed economico internazionale non è solo un atto che vuole dimenticare un passato che altrimenti potrebbe solo alimentare il conflitto, ma è un atto che apre a un nuovo futuro. Perdonare è prendere coscienza che è necessario rinnovare la comunicazione, la relazione con l’altro, per non negarlo, per non lasciarlo nella condizione di nemico. Si pensi al perdono reciproco che si è attuato tra neri e bianchi in Sudafrica o a quello assolutamente necessario tra ebrei e palestinesi al fine di giungere a una pace vera e duratura. Il cammino del perdono è il cammino dell’umanizzazione, è il cammino di Dio per noi uomini.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 27 agosto 2011

venerdì 26 agosto 2011

ET TERRA MOTA EST : Perdonanza ( Domande )



ET TERRA MOTA EST : Perdonanza ( Domande )

L’arrivo del fuoco di Celestino e l’accensione del tripode danno l’avvio alle manifestazioni della celebrazione della Perdonanza.

E’ quello che è avvenuto a L’Aquila martedì sera. La fiaccola accesa sul monte Morrone nella Valle Peligna , nell’eremo di S. Onofrio - da dove in quel lontano anno della fine del 1200 l’anacoreta Fra Pietro partì per raggiungere L’Aquila per esservi incoronato Papa - ha ripercorso portata dai tedofori lo stesso cammino attraverso la Conca Subequana e la Valle aquilana dell’eremita del Morrone .

Dunque martedì 23 agosto al calar del sole la fiaccola è giunta a l’Aquila e la cerimonia si è svolta di nuovo ( per la prima volta dopo il terremoto ) in Piazza Palazzo nello spazio antistante Palazzo margherita e il fuoco è divampato sulla torre dell’orologio.

Per qualche ora una parte del centro storico, quella le cui strade sono state riaperte dopo aver messo con i puntellamenti in sicurezza gli edifici prospicienti . è tornato ad essere frequentato.

Sulla piazza gli aquilani si sono affollati in un grande abbraccio alle rovine provocate dal terremoto. L’abbraccio ad un corpo morto però.

Questa la sensazione scottante, forte, emozionante e struggente malgrado la calca, le voci, le spinte di quanti non sono riusciti a vedere tutto , seppure alzatisi in punta di piedi; Malgrado i discorsi ufficiali dal palco, le esortazioni dell’arcivescovo alla concordia e all’azione.

La sensazione è stata quella di dare vita ad un’isola in un mar morto. Dare vita ad un luogo circondato da luoghi morti. Ed è una brutta sensazione. Come quella del paralitico, del paraplegico che sente battere il cuore, riesce a pensare ma non può muoversi.

Il centro storico, il corpo della città,disteso su quel crinale che sale fino a piazza Duomo dalla Rivera e poi si confronta con la quinta di s. Domenico sull’altra sponda , il corpo del centro storico morto come il corpo di quel paralitico . Immobile, impossibilitato a muoversi , senza circolazione del sangue , con una impossibilità a fare qualsiasi cosa, pronto al disfacimento per cancrena.

Un respiro lento , monotono ,un’assurda fissità , un abbandono nel tempo , una inutile speranza per un impossibile ritorno “alla vita normale “.

E’ questo il destino di L’Aquila ?

Ebbene è questa la domanda che l’altra sera si leggeva negli occhi ,negli sguardi della gente , al di là della calca, delle voci, delle belle parole, delle strette di mano , di quell’atmosfera che pur sembrava festosa . Era nei colori delle facciate delle case, era nel silenzio che poi ha seguito la manifestazione e che è tornato ad avvolgere ogni cosa .

Cose morte alle ombre incombenti della sera che già spodesta, con l’accorciarsi dei giorni la luce dei tramonti estivi ,lunghi , folgoranti.

E dunque l’assedio delle domande, di tutte le altre domande insieme a quella domanda principale. E’ questo il destino dell’Aquila? Per quanti anni ancora a venire ? E se si perchè?

Eremo Via vado di sole ; L'Aquila, venerdì 26 agosto 2011

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mercoledì 24 agosto 2011

MEDITERRANEO : Due guerre in Libia


MEDITERRANEO : Due guerre in Libia

La fine del regime di Gheddafi segna l'inizio della vera lotta per il potere in Libia. La liquidazione del despota era il punto di fusione delle molte anime della ribellione. Ora si tratta di stabilire chi e cosa succederà al duce libico. Operazione non rapida e certamente sanguinosa: pur privato delle leve del potere, Gheddafi non sembra disposto a sgombrare il campo senza incendiarlo, ricorrendo ovunque possibile all' arma estrema della guerriglia.

Il regime non può più governare la Libia, ma non rinuncia a distruggerla. Dalle macerie della dit-

tatura fiorirà uno Stato unitario, più o meno assimilabile a una democrazia, con un leader eletto e riconosciuto da tutti i cittadini libici (pur se non sappiamo chi e quanti sono, in assenza di un censimento). Oppure sarà guerra civile permanente? O il pendolo della storia si fermerà in qualche punto intermedio fra i due estremi? '


Di sicuro, per ora, c'è che il vecchio regime sta sbriciolandosi e che milioni di libici festeggiano, liberi finalmente di immaginare una vita migliore. E mentre si dedicano a stroncare le sacche di resistenza degli ultrà gheddafisti o dei disperati che non sanno a chi arrendersi senza rischiare la pelle gli insorti già pensano a determinare i nuovi rapporti di forza. Chi fra loro comanderà, su quali territori e risorse secondo quali regole o equilibri?

In attesa che la polvere delle opposte propagande-, si depositi per aprire lo sguardo sull' orizzonte futuro, qualche illuminazione possiamo forse trarla dal modo in cui l'edificio gheddafiano si sta schiantando.

C'è un tratto comune nella fine di ogni tiranno: la perdita del senso della realtà. Come altri dittatori ac¬cecati dal potere, anche Gheddafi si era costruito un universo irreale. Quasi a immaginarsi eterno e invincibile. L'eco di tale paranoia risuona negli appelli lanciati durante la battaglia di Tripoli, a invocare una ad una brigate fantasma, tribù ormai convertite alla causa della vittoria, milizie popolari di questo o quel quartiere, che un tempo sarebbero scattate in massa all' appello del qaid, inconcussa guida della rivoluzione, ma che ora aspettavano solo la fine del massacro.


Gheddafi era da tempo un cadavere politico. La ra pidità dell' avanzata finale su Tripoli, in cui non è peraltro difficile scorgere la mano professionale dell' intelligence e di forze speciali occidentali, conferma che il regime era marcio. Le sue architravi erano tarmate e usurate. In retrospettiva, i sei lunghi mesi di guerra - non i pochi giorni pronosticati in Occidente sull'entusiasmo dell'insurrezione di Bengasi -sono non tanto il prodotto della resistenza di Gheddafi, quanto delle divisioni tra chi ambiva ad abbatterlo per prenderne il posto .

Abbiamo assistito finora a due guerre parallele.

Una calda e sanguinosa, tra i ribelli della Cirenaica e i loro alleati in Tripolitania e nel Fezzan, che con il sostegno. delle potenze occidentali puntavano a finirla con il regime per aprire una nuova pagina nella storia della Libia. L'altra prevalentemente fredda e sotterranea, ma talvolta violenta (vedi il misterioso assassinio del generale Younes) , fra le assai eterogenee componenti della coalizione anti-gheddafiana: islamisti e laici, conservatori e progressisti, esponenti tribali o di gruppi etnici particolarmente oppressi dal regime, berberi in testa. Unico fattore comune, la più o meno antica matrice gheddafista dei capi del Consiglio nazionale di transizione.

In questo senso, il crepuscolo del colonnello può essere descritto come la progressiva e sempre più rapida diserzione dei suoi accoliti. Quasi un prolungato, strisciante colpo di Stato - avviato ben prima della rivolta di Bengasi - di chi si rendeva conto di non aver più nulla da guadagnare dal regime e perciò lo abbandonava. Perdendo foglia dopo foglia, la pianta del regime si è spogliata fino a esibire la radice ormai esausta: il colonnello e i suoi figli.

Il pericolo non è solo che da quella pianta morente emanino ancora veleni mortali, sotto forma di guerriglia, attentati, colpi di mano dei nostalgici del vecchio regime, a Tripoli come nella Sirtica o nel Fezzan. È soprattutto che la coalizione prodotta dalla necessità di eliminare Gheddafi si scopra troppo incoerente, che gli interessi particolari - tribali, etnici, regionali - prevalgano sulla necessità di costruire finalmente istituzioni libere nella Libia riunita. Un avvitamento di tipo iracheno, se non somalo. D'altronde, le performance del gruppo di Bengasi non sono incoraggianti quanto a capacità politiche e di gestione. Né si deve dimenticare che l'assalto finale a Tripoli è venuto principalmente dall'Ovest e dalle montagne a prevalenza berbera, con il fronte orientale bloccato a Brega. Non sarà facile ricucire le antiche rivalità e le diffidenze fra tripolitani e cirenaici , o fra arabi, berberi e neri (questi ultimi assai compromessi col regime).

La speranza è che la fine della dittatura sia anche l'inizio della pacificazione fra le genti libiche e della costruzione di uno Stato unitario che non esiste, se mai è esistito. Per fortuna, la storia ha spesso più fantasia di chi prova a interpretarla. Le potenze europee ed atlantiche non possono comunque sottrarsi alle responsabilità che hanno voluto assumersi nel conflitto libico. Scesi in campo per un'improbabile "guerra umanitaria" - di fatto per cambiare il regime -la tentazione degli occidentali è di cantare vittoria, spartirsi le spoglie energetiche e tornare a occuparsi dei fatti propri. In tal caso la sconfitta è assicurata. Sconfitta dei libici che sperano in un futuro di pace, benessere e libertà. Ma anche di noi italiani ed altri europei che li avremo, come d'abitudine, usati e traditi.

Lucio Caracciolo Le due guerre di Libia. La Repubblica 23 agosto 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 24 agosto 2011

martedì 23 agosto 2011

AUTODAFE' : John Fante


AUTODAFE' : John Fante

E’ giunto alla sesta edizione il Festival letterario abruzzese Il Dio di mio padre, dedicato allo scrittore italo-americano John Fante, che si è tenuto dal 19 a1 21 agosto a Torricella Peligna, paese di origine del padre Nick Fante.

Il Festival, che come noto, prende il nome dall'omonimo racconto tra i più emozionanti ed ironici di John Fante, è diretto da Giovanna Di Lello, giornalista e filmaker abruzzese, che ha dedicato allo scrittore il primo documentario biografico in Italia e organizzato dal Comune di Torricella Peligna. L'edizione di quest'anno è stata ricca di eventi, appuntamenti di rilievo e prestigiose presenze, prima fra tutte quella dei figli dello scrittore, Victoria Cohen Fante e Dan Fante. Altro ospite eccellente sarà Enrico Rava, il jazzista italiano più conosciuto e apprezzato sulla scena internazionale e grande appassionato di John Fante, che si è esibito in duo con Giovanni Guidi il 20 agosto alle ore 21.30. Il giorno seguente alle ore 11, il musicista ha presentato il suo ultimo libro Incontri con musicisti straordinari. La storia del mio jazz edito da Feltrinelli. Non sono mancate inoltre le proiezioni, gli incontri e i dibattiti incentrati sulla figura e sull'opera dello scrittore e sceneggiatore John Fante. Tra gli altri eventi ricordiamo la Lectio Magistralistenuta dal filosofo Gianni-Vattimo, il 20 alle 17.45 e l'incontro con il critico letterario, giornalista e scrittore Antonio D'Orrico, il 21 alle 18. Momento fondamentale del Festival è stato, come per le precedenti edizioni, il Premio letterario John Fante Opera prima, rivolto a scrittori esordienti. La giuria ha scelto i finalisti di questa edizione: Un giorno verrò a lanciare sassi alla tua finestra di Claudia Durastanti (Marsilio), L'anno delle ceneri di Giuseppe Schillaci (Nutrimenti) e Non ci lasceremo mai di Federica Tuzi, (Lantana Editore.

Dunque si è conclusa con uno straordinario successo di pubblico la sesta edizione del festival “Il Dio di mio padre” dedicato allo scrittore italo-americano John Fante. L’edizione di quest’anno, insignita della medaglia di riconoscimento del Presidente della Repubblica e organizzata con il contributo dell’Assessorato alla Cultura della Regione Abruzzo, del Consiglio regionale degli abruzzesi nel mondo, della Fondazione CariChieti, dell’Ancitel e della Camera di commercio di Chieti, e patrocinata dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali, dall’Assessorato alla cultura della Provincia di Chieti, dalle Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “Gabriele D’Annunzio”di Chieti e Pescara e dalla Comunità montana Aventino Medio Sangro, è stata particolarmente ricca di appuntamenti e di incontri prestigiosi. A partire dal Premio Letterario John Fante Opera Prima, presentato da Giulia Alberico, Masolino d’Amico e Francesco Durante e vinto da Federica Tuzi con il suo romanzo “Non ci lasceremo mai” edito da Lantana.

Altro appuntamento seguitissimo e molto apprezzato è stata la lectio magistralis sull’arte del racconto a cura del filosofo Gianni Vattimo, introdotto da Giulio Lucchetta, docente di Storia della Filosofia antica ed estetica all’Università di Chieti. Vattimo, che ha conversato con una platea da record per il festival, ha espresso tutta la sua passione per Fante affermando come lo scrittore fosse in grado di aprire le porte di un mondo, cui il lettore era invitato ad abitare.

La serata del 20 agosto è proseguita nella pineta di Torricella Peligna, dove il jazzista Enrico Rava ha duettato con Giovanni Guidi in un concerto omaggio a John Fante, cui hanno partecipato commossi ed emozionati anche i figli di John, Victoria e Dan Fante.

Il Festival si è concluso domenica 21 agosto con una serie di appuntamenti legati al mondo dell’editoria e della scrittura, tra cui il match letterario “John Fante c’est moi”, in cui undici ragazzi di Torricella Peligna, che hanno seguito il corso di scrittura creativa in collaborazione con il festival “Montesilvano scrive”, diretto Alessio Romano, si sono affrontati nella lettura dei loro racconti. Tra questi il pubblico ha decretato la vincitrice, la quattordicenne Morena Di Martino con il racconto “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Il breve scritto narra di un amore spezzato dal destino, quello fra la protagonista e suo marito, che continua però ad essere presente spiritualmente al suo fianco. Un anno dopo, cambiando città, la donna riscopre la gioia di vivere. “L’ispirazione è arrivata vedendo quanto accaduto ad una mia vicina di casa, che ha perso il marito solo pochi mesi fa – ha detto la vincitrice dopo aver ricevuto in premio una cesta di libri –. Ho deciso quindi di dedicarle questo racconto”.

Altro prestigioso appuntamento nella giornata conclusiva della sesta edizione è stato l’incontro con il critico letterario Antonio D’Orrico, che nel presentare il suo libro “Come vendere un milione di copie e vivere felici” edito da Mondadori, ha conversato con il pubblico di letteratura , critica ed editoria.

L’autore, presentato ironicamente da Francesco Durante come il critico letterario più amato e più odiato d’Italia e che per questo ha “subito” la congiura del silenzio sul suo primo romanzo, ha confessato quanto sia rimasto affascinato vedendo a pochi metri da lui la macchina da scrivere con la quale John Fante ha “partorito” i suoi migliori racconti. D’Orrico ha poi sottolineato come il ponte ideale fra Italia e Stati Uniti sia proprio la città di Torricella Peligna, e ha infine risposto alle domande di Dan Fante, curioso di sapere cosa avesse spinto un critico ad avventurarsi sul terreno impervio della scrittura. “Io non ho studiato da critico – ha risposto D’Orrico - mi ci sono ritrovato, portando avanti la mia passione per la lettura".

Infine un emozionato, commosso e grato Dan Fante ha letto un brano tratto dal memoir “A Family’s Legacy of Writing, Drinking and Surviving” in uscita a settembre negli Usa.

www.johnfante.org

http://www.giornaledimontesilvano.com/chieti-e-provincia/63-chieti-e-provincia/9031-torricella-peligna-il-dio-di-mio-padre-tra-musica-e-letteratura.html

Biografia di John Fante

  • 8 aprile 1909 - John Fante nasce a Denver, Colorado da una famiglia di immigrati italiani: il padre Nick Fante originario di Torricella Peligna, era muratore; la madre Maria Capolungo, era nata a Chicago da genitori italiani. Ebbe un’infanzia povera.
  • John trascorre l’infanzia e la giovinezza a Boulder - frequenta scuole cattoliche e l’Università del Colorado.
  • 1932 - si trasferisce a Los Angeles e svolge lavori di ogni genere. Viene pubblicato un suo racconto su The American Mercury.
  • 1937 - John sposa Joyce Smart, da cui avrà quattro figli. Inizia a lavorare per Hollywood.
  • 1938 - Pubblica il primo romanzo, Wait until spring, Bandini
  • 1939 - Viene dato alle stampe Ask the Dust
  • 1940 - Pubblicazione di Dago Red, una raccolta di racconti.
  • 1952 - pubblica il romanzo Full of Life che avrà un grande successo in tutto il mondo con traduzioni in portoghese, tedesco, svedese, francese, ebraico, giapponese e italiano.
  • 1955 - si ammala di diabete, che lo porterà alla cecità, all'amputazione delle gambe e infine alla morte
  • 1956 – La Columbia Pictures acquista i diritti per fare un film da Full of Life. Fante può lavorare (per la prima e unica volta) a una sceneggiatura tratta da un suo libro. Il film avrà la regia di Richard Quine. I protagonisti saranno Judy Holliday (premio Oscar 1950), Richard Conte e per la prima volta sullo schermo Salvatore Boccaloni, stella del Metropolitan Opera. La sceneggiatura ottenne la candidatura come miglior commedia dalla Writers Guild of America.
  • 1957 - E' in Italia e lavora come sceneggiatore insieme a Richard Quine per la sceneggiatura di un film, The Roses, il cui ruolo protagonista la Columbia vuole affidare a Jack Lemmon. Risiede a Napoli (nel lussuoso Hotel Vesuvio) per sette settimane. Ma il film non vedrà mai la luce.
  • 1960 – Accetta, dopo tanta insistenza da parte del produttore italiano, un contratto con Dino De Laurentiis. Rimane oltre due mesi nella Roma della Dolce vita e delle Olimpiadi. La sceneggiatura diventa un film dal titolo (italiano) Il re di Poggioreale. La regia è dell’abruzzese Duilio Coletti. Il protagonista è Ernest Borgnine.
  • 1977 – Esce The Brotherhood of Grape, l’ultimo romanzo scritto da Fante. Nei mesi successivi il diabete, diagnosticato nel 1955 e mai curato con attenzione, lo porterà progressivamente alla cecità e all’amputazione di entrambe le gambe.
  • 1979 – Detta alla moglie Joyce il suo ultimo libro, Dreams from Bunker Hill, che uscirà solo nel gennaio 1982.
  • 8 maggio 1983 - John Fante muore a 74 anni, lasciando numerosi inediti.

Per notizie biografiche più approfondite c’è la biografia di John Fante curata da Stephen Cooper, edita in Usa, Full of Life : A Biography of John Fante

In italiano è stata pubblicata da Marcos y Marcos con il titolo Una vita piena – biografia di John Fante.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 23 agosto 2011

OCCHIO DI GIUDA : Carceri : digiuno ferragostano


OCCHIO DI GIUDA : Carceri : digiuno ferragostano

La mobilitazione è cresciuta di giorno in giorno, nelle carceri e fuori. Lo sciopero della fame e della sete, promosso da Marco Pannella per ottenere una convocazione straordinaria del Parlamento, dedicata al carcere - «questione di prepotenete urgenza sul piano costituzionale e civile», ha detto il presidente della Repubblica alla fìne di luglio - ha già ottenuto più di mille adesioni tra i detenuti e i loro familiari, i direttori di molti penitenziari, i poliziotti, gli educatori, gli assistenti sociali, i volontari, i cittadini comuni e anche i politici. I Radicali; anzitutto, da sempre in prima linea nella battaglia per un carcere a misura d'uomo e di Costituzione, ma anche. parlamentari del Pdl e del Pd.

Molti scioperano già da mesi, ma sarà oggi (domenica 14 agosto 2011 ) la giornata simbolo del digiuno, per cercare di accendere un riflettore sul carcere e sul mai risolto problema del sovraffollamento. Pannella si batte per un'amnistia, visto che la popolazione carceraria (66.942 presenze) continua a viaggiare oltre i numeri regolamentari (45mila) anche se, grazie ai permessi che in questo periodo sono più numerosi, resta per poche migliaia di unità sotto il limite del «tollerabile». Ma di amnistie e indulti il governo non vuole parlare: il neoministro della Giustizia Francesco Nitto Palma - che domani andrà a visitare il carcere romano di Regina Coeli lo ha già anticipato, spiegando che occorrono interventi organici, non più settoriali ed emergenziali, come i "perdoni di Stato" o la costruzione di nuove carceri. Piuttosto, il guardasigilli vuole seguire la strada imboccata dal suo predecessore Angelino Alfano con la legge 199 del 2010, la cosiddetta «svuota-carceri»', éhe ha consentito ai detenuti con un anno di pena residua, di scontarla ai domiciliari. «Dei 3000 che sono usciti - ha sottolineato il ministro - non ne è evaso neanche uno». Dunque, i timori che avevano accompagnato il varo della legge - soprattutto da parte della Lega si sono rivelati infondati.

Secondo indiscrezioni, al Di partimento dell'amministrazione penitenziaria si starebbe studiando la possibilità di ampliare la legge 199, consentendo i domiciliari anche a chi deve scontare ancora due anni di pena, rendendo questa misura permanente. Un modo per "svuotare" le patrie galere di almeno 6-7mila detenuti - a regime - ripristinando, di fatto, la misura alternativa della detenzione domiciliare, "strozzata" . dalla legge ex Cirielli.

Il sovraffollamento, ormai cronico, non fa che drammatizzare la situazione di crisi strutturale del carcere. La vera emergenza è diventata economica, fatta di penuria di fondi e di sprechi. Mancano i soldi per le missioni dei poliziotti penitenziari, per il vitto dei detenuti, per le manutenzioni ordinarie: Sezioni intere vengono chiuse perché sono in condizioni di degrado, se si guasta un bagno, si chiude la cella e così i detenuti finiscono per stare ancora più stretti di quanto già siano. Delle nuove carceri non si sa nulla e, del resto, il personale di polizia continua ad essere insufficiente numericamente, tanto più che le assunzioni straordinarie (2000 unità, scese a 1600) sono al momento bloccate. In alcuni istituti penitenziari dove le condizioni di vita sono, più diffìcìli (Foggia, Poggioreale, San Vittore, Ucciardone, Regina Coeli) si acuiscono le tensioni e, con il caldo. c'è sempre il timore che sfocino in forme di violenza. In burocratichese li chiamano «eventi critici», compresi i suicidi, che nel 2011 sono stati 38, 602 i tentati suicidi, 55 i casi di accumulo di farmaci e alcol, 305 quelli di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, 24 le risse.

La contabilità. carceraria non è cambiata molto dall'anno scorso, quando gruppi di parlamentari decisero di trascorrere il giorno di ferragosto nelle carceri. Poco meno della metà dei detenuti, 27.572, sono in attesa di giudizio. i condannati definitivi sono 31650, 1632 gli internati. I clienti "abituali" delle patrie galere sono in prevalenza stranieri (38010) e tossicodipendenti (25010), anche se entrano ed escono per brevi periodi; 43 i bambini detenuti insieme alle loro mamme.

Giuseppe Cascini segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati ha rilasciato l’intervista che segue sui problemi del carcere in italia a Donatella Stasio pubblicata su Il Sole 24 Ore appunto del 14 agosto 2011

La premessa: «Gli interventi indicati dal ministro della Giustizia su depenalizzazione dei reati minori e revisione della geografia giudiziaria sono in linea con le richieste dell' Anm per dare efficienza al sistema». L'auspicio: «Finora non abbiamo avuto ascolto. Speriamo cambi qualcosa». Il dubbio: «Se si punta all'efficienza con riforme come depenalizzazione e taglio dei Tribunali, non si può puntare anche sul processo lungo, perché va in direzione opposta». ' .

Giuseppe Cascini, segretario dell' Anm, non se la sente di fare aperture di credito al neoministro Francesco Nitto Palma. «I giudizi si danno sui fatti e non sulle intenzioni», dice, dopo aver letto l'intervista di ieri al Sole 24 ore. .

È scettico sulla reale volontà politica di approvare due riforme come la depenalizzazione e il taglio dei Tribunali? .

Queste riforme non sono mai state fatte perché la loro utilità si scontra con interessi di corto respiro. Prevale l'Italia del campanile: non si possono abolire province, Tribunali, uffici del giudice di pace, carceri. Ogni campanile difende l'assistenzialismo di Stato locale, indifferente ai costi complessivi di sistema che derivano dal mantenimento di queste strutture. La depenalizzazione si scontra con l'uso politico propagandistico che della giustizia penale si fa da anni, pretendendo di colmare, con la minaccia di una sanzione a volte anche bagattellare, l'incapacità della politica di affrontare fenomeni sociali complessi, come l'immigrazione, le tossicodipendenze, le morti su strada. La risposta è solo quella, inutile e demagogica, della sanzione penale o . dell'inasprimento dei meccanismi sanzionatori.

Crede che la crisi economica possa dare una spinta a queste riforme, necessarie alla crescita del paese?

Mi auguro che la crisi e la necessità di interventi di sistema aiuti a superare le resistenze. Peraltro, sono d'accordo con il ministro che la politica ha il dovere di tentare di imboccare questa strada, cercando il consenso anche su soluzioni non ottimali, ma condivise, purché non siano di facciata.

Il ministro, a proposito del carcere, lascia intendere che l'anomalia del gran numero di detenuti in attesa di giudizio impone un uso più meditato, da parte dei giudici, della custodia cautelare. Condivide?

C'è un numero eccessivo di detenuti in attesa di giudizio per due motivi: l'eccessiva durata dei processi e l'esistenza di leggi che hanno spinto nella direzione di un uso massiccio della custodia cautelare. Penso alla modifica dell'articolo 275 del Codice di procedura penale, che imponeva il carcere nei casi di violenza sessuale e traffico di stupefacenti, dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta. Ora, vorrei ricordare che le questioni di legittimità costituzionale su questa e altre leggi sono state sollevate dai giudici e che questi interventi sono stati pesantemente criticati dai politici. Lo stesso è avvenuto quando la Corte di giustizia europea ha dichiarato - sempre su input di un giudice italiano - che l'articolo 14 della Bossi-Fini (ordine di allontanarsi dal territorio, pena il carcere) è incompatibile con il diritto dell'Ue. Per non parlare della legge ex Cirielli sulla recidiva e delle norme che hanno ridotto il ricorso alle misure alternative alla detenzione. Insomma: se la politica chiede più carcere, è difficile che l'effetto non sia più carcere.

«Processo lungo»: il ministro non vede effetti deflagranti e ritiene che i magistrati, come in passato, sapranno trovare la «giusta chiave interpretativa» della nuova norma.

Francamente non capisco il senso di un'obiezione alle nostre critiche che tende a dimostrare, sostanzialmente, che il . processo lungo lascia le cose come stanno. Delle due l'una: o è così o è come diciamo noi e il Csm, e cioè, che la legge paralizzerebbe i Tribunali. In entrambi i casi non c'è ragione per approvarla.

Sulle intercettazioni la partita non è chiusa: Nitto Palma, a sostegno della riforma richiama anche le parole di Napolitano e dice che sono in sintonia con quanto afferma il centrodestra.

Trovo sgradevole ogni tentativo di strumentalizzare in chiave politica gli interventi del Presidente della Repubblica, da chiunque provengano. Sulle intercettazioni la nostra posizione è chiarissima: sono uno strumento irrinunciabile per le indagini e ogni tentativo di limitarne l'uso va respinto. Allo stesso tempo, sono uno strumento molto delicato ed è , giusto individuare misure per una migliore tutela della riservatezza delle persone, con riferimento a fatti non rilevanti per il processo. Da tempo è in campo una proposta dell'Anm e della Federazione della stampa. Se la politica avesse davvero a cuore questo tema, avrebbe già accolto le nostre indicazioni.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 23 agosto 2011

AD HOC : Tracciabilità rifiuti


AD HOC : Tracciabilità rifiuti

Due tratti di penna della manovra correttiva di Ferragosto cancellano come per incanto quello che, negli ultimi due anni, è stato l'incubo di centinaia di migliaia di imprese. Il Sistri, sistema di tracciamento digitale dei rifiuti, viene abrogato tout court con i commi c) e d) dell'articolo 6 del decreto 12 agosto 2011, provvedimento in attesa di promulgazione. Così, alla vigilia dell' entrata in vigore del decreto che scansiona le sanzioni amministrative per i reati ambientali, cade tutta l'impalcatura del progetto di digitalizzazione del comparto rifiuti iniziato dall'ultimo governo Prodi e. faticosamente portato (quasi) alla fine dal ministro Stefania Prestigiacomo.

Il decreto infatti abroga a effetto immediato il comma 2, lettera a), dell'articolo 188-bis, e l'articolo 188-ter, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni, e anche l'articolo 260-bìs del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 e successive modificazioni. Non solo, per maggior chiarezza lo stesso testo ora al vaglio del Quirinale riporta (o meglio, mantiene) in vita i registri di carico e scarico dei rifiuti - che la progressiva entrata in vigore : del Sistri avrebbe mandato in pensione - e anche il vecchio Mud, modello unificato di dichiarazione.

L'abrogazione del Sistri comunque, nonostante il ripristino delle vecchie prassi, produce serie conseguenze nella logica sistematica nella legislazione sulla gestione dei rifiuti. Fra norme che restano e che vanno, fra entrate in vigore differite e sistemi che scompaiono, non è facile orientarsi. Sempreché la conversione del "Dl manovra" non apporti altri stravolgimenti. Innanzitutto, occorre riferirsi al fatto che martedì 16 agosto entrerà in vigore il Dlgs 7 luglio 2011, n.121 (sulle sanzioni amministrative dipendenti da reato ambientale).

Il decreto nasce già deprivato della metà dei suoi contenuti. I suoi articoli 3 e 4 sono anche dedicati alla struttura del sistema sanzionatorio del Sistri, alla quantificazione . delle sanzioni e alla loro irrogazione (si veda Il Sole 24 Ore del3 agosto). Queste disposizioni, dunque, non avranno valore perché con l'abrogazione del Sistri viene meno l'oggetto al quale esse si riferiscono. Lo stesso dicasi per una parte dell'articolo 2, di tale Dlgs 121/2011 che declina il sistema della responsabilità amministrativa da reato sia per il trasporto di rifiuti senza scheda Sistri area movimentazione o con tale scheda fraudolentemente alterata, sia per il falso certificato di analisi che accompagna un trasporto assistito da Sistri.

Le sanzioni (oltre a quelle del reato o della violazione presupposto) sono pesanti: quote da 150 a 300: Anche di queste, a seguito dell'abolizione del Sistri, non rimarrà traccia e martedì 16 agosto entreranno in vigore solo formalmente, ma non sostanzialmente poiché dotate di vigenza, ma sfornite di efficacia.

Il "DL manovra" abroga il Sistri e le relative sanzioni fin dai . suoi primi vagiti (dall'articolo 1, comma 6, Finanziaria 2007 fino all'articolo 260 bis del "Codice ambientale", Dlgs 152/2006),nonché, per non dare adito a dubbi interpretativi tra effetti caducanti e vizianti dell'abrogazione della norma primaria rispetto a quella attuativa, cancella anche il Dm istitutivo del Sistri (17 dicembre 2009) e il Testo unico (Dm 52/2011).

Il nuovo Dl conferma e fa salva l'applicabilità delle altre norme in materia di gestione dei rifiuti, ma, in tema di loro tracciabilità, si sofferma (articolo 6, . comma 3) sul fatto che gli adempimenti Sistri previsti dall'articolo 188, comma 2, lett. a), Dlgs 152/2006(non abrogato) «possono essere effettuati nel rispetto degli obblighi relativi» alla tenuta dei registri di carico e scarico e del formulario di cui agli articoli 190 e 193 del medesimo "Codice ambientale". Questa disposizione sulla tracciabilità però, a mente dell'articolo 16, comma 2, . D 19s 205/2010 non è mai entrata in vigore perché subordinata all'avvio operativo del Sistri. Quindi, viene abrogata è una "norma fantasma".

Resta il fatto che tra abrogazioni e modifiche le imprese e gli enti obbligati ai registri di carico e scarico e ai formulari sono quelli indicati negli articoli 190 e 193, Dlgs 152/2006 nella: versione precedente alla modifica natalizia introdotta dal Dlgs 205/2010. Lo stesso dicasi per le relative sanzioni, reperibili nell'articolo 258, Dlgs 152/2006, anch'esso nella versione vigente prima della modifica del 2010.

Sul punto, soccorre una parte dell'articolo 4, Dlgs 121/2011 la quale dispone che le sanzioni su registri e formularisono applicabili nella formulazione vigente prima della data di entrata in vigore del Dlgs 205/2010 (25 dicembre 2010). Questa norma entrerà in vigore martedì 16 agosto, però avendo natura inter pretativa e non innovativa retroagisce

Alessandro Galimberti , Paola Ficco La nuova manovra dice addio al Sistri Il Sole 24 Ore 14 agosto 2011


Eremo Via vado di sole , L'Aquila, martedì 23 agosto 2011