giovedì 30 dicembre 2010

OCCHIO DI GIUDA : Cavalli in carcere


OCCHIO DI GIUDA

29/11/2010: ore 10:00 – 12:00 “CAVALLI IN CARCERE” – Primo incontro informativo presso la II° Casa di Reclusione Bollate - Milano



Lunedì 29 novembre 2010 si è svolto presso la II° Casa di Reclusione Bollate - Milano il primo incontro informativo sul progetto “Cavalli in Carcere” organizzato dall'Associazione Salto Oltre il Muro (ASOM) in collaborazione con il Comitato Regionale Lombardo e il Dipartimento di Riabilitazione Equestre della Federazione Italiana Sport Equestri (FISE).
Attenta la partecipazione di rappresentanti di diversi settori professionali che hanno in comune la passione per il cavallo e la conoscenza del grande potenziale che questo magico animale può avere sull’animo umano: psicologi, educatori, rappresentanti della Facoltà di Veterinaria di Milano, esponenti della Giustizia, della Sanità, dell'Arma a Cavallo.
Gli invitati hanno poi potuto verificare lo stato di benessere dei cavalli presenti e il lavoro svolto dai detenuti che in questo momento sono impegnati, oltre che nelle cure giornaliere degli animali anche nell’ampliamento dello spazio dedicato agli animali.
Questi gli obiettivi emersi:
- creare quanto prima un tavolo di lavoro comune che metta insieme le diverse competenze delle realtà presenti all’incontro, con l'intento di sviluppare maggiormente sinergie operative a favore di questo progetto di grande valenza sociale
- organizzare corsi di mascalcia e selleria
- realizzare l’accoglienza e il recupero psico-fisico di cavalli sequestrati alla criminalità organizzata.
- diventare un punto di riferimento per altri istituti detentivi distribuiti sul territorio nazionale
- trovare collaborazioni tra gli operatori del settore per rendere ASOM autonomo dal punto di vista economico.

Il progetto attualmente si basa essenzialmente sul lavoro volontario e la struttura ancora non può garantire la continuità del lavoro da svolgere con i cavalli per la mancanza di un campo coperto, limitando le attività all’aperto nei periodi con freddo avverso.
A titolo di esempio è stata proposta l’adozione a distanza dei cavalli del carcere e l’associazione ad ASOM, ma ogni altro contributo operativo sarà valutato con piacere ed attenzione
Detenuti e cavalli sono due mondi che hanno in comune la reclusione, ma che nel contesto del progetto “Cavalli in Carcere” si confrontano su un piano di libertà reciproca con l’obiettivo comune di darsi entrambi una seconda opportunità.

“Gli animali in carcere aiutano a riportare rispetto, dignità e soprattutto amore, ingrediente principale per la motivazione al cambiamento”

Pauline Quinn

L’Associazione Salto Oltre il Muro (ASOM)

è presente presso la II° Casa Circondariale Milano Bollate dal 2007 ed è responsabile del progetto “Cavalli in carcere”, un percorso riabilitativo nella devianza sociale mediato dal cavallo.

Responsabile del progetto è Claudio Villa che ha ottenuto la realizzazione di un maneggio all’interno delle mura che oggi ospita 10 cavalli.

Il progetto si sviluppa con un corso di formazione per ARTIERI indirizzato a detenuti preventivamnete selezionati e interessati ad imparare questo mestiere.

Il corso di formazione è volto a promuovere il reinserimento sociale e lavorativo di persone in esecuzione di pena detentiva, garantendo una competenza nella gestione del cavallo e di una scuderia.

Oltre all’aspetto pratico della gestione dell’animale, il forte impatto emotivo che il cavallo ha sulla popolazione carceraria che se ne prende cura avvalora l’importanza delle Attività Assistite da Animali (AAA).
Lavorare con un animale di mole così imponente, infatti, obbliga ad un comportamento che necessariamente deve abbassare difese e aggressività per trovare una via di comunicazione non verbale che porti al rispetto reciproco. Nella relazione uomo – cavallo il confronto è sempre diretto, chiaro, onesto e non giudicante e permette al detenuto di elaborare metafore importanti utili alla rielaborazione di comportamenti pregressi.

Un’altra finalità del progetto è quella di andare incontro al sempre crescente interesse rivolto alla tutela del benessere animale.
La II° casa di reclusione Bollate Milano, infatti, in virtù del suo stato giuridico risulta essere il luogo adatto per l’accoglienza di cavalli sequestrati alla criminalità organizzata, abusati, destinati al macello o arrivati a fine carriera.

OBIETTIVI A FAVORE DEL DETENUTO
Il programma di riabilitazione del detenuto prevede l’insegnamento di un mestiere in un ambiente a forte impatto emotivo, in cui tutti sono sullo stesso piano e il comportamento sul campo è regolato da un animale che non giudica, ma nemmeno fa sconti in caso di errore, inducendo significativi cambiamenti nelle attitudini personali.

OBIETTIVI A FAVORE DEL CAVALLO
Il programma di riabilitazione del cavallo invece prevede un lavoro di recupero del benessere emozionale e fisico dell’animale tramite l’addestramento e la cura quotidiana ad opera del detenuto. Un lavoro che si basa soprattutto sulla fiducia e l’onestà reciproca.

OBIETTIVO COMUNE
Lo scopo finale del programma è quello di dare una seconda opportunità al binomio.
Per il detenuto mediante il reinserimento sociale e lavorativo. Per il cavallo mediante un’adozione e lo svolgimento di nuove attività sportive.

IL CORSO

Il corso si rivolge a 20 detenuti preventivamente selezionati, dura tre mesi ed è articolato su 5 giorni lavorativi con frequenza giornaliera.
E' suddiviso in 2 fasi per un totale di 360 ore di cui 40 in aula e 320 di pratica in maneggio.


1° fase: preparazione di base nella conoscenza del cavallo:

  • basi di etologia
  • gestione e cura dell’animale
  • alimentazione
  • elementi di veterinaria
  • elementi di ippologia
  • scuderizzazione e cura dei finimenti
  • mantenimento della condizione atletica

2° fase approfondimento dell’ etologia nella pratica

  • messa in sella
  • allenamento programmato del cavallo

Dopo questa preparazione di base la formazione continua con la gestione completa della struttura equestre da parte dei detenuti che permetta l’operatività degli stessi all’interno dell’istituto quale tirocinio e successiva possibilità lavorativa esterna o interna.

Eremo Via Vado di sole, L'Aquila, giovedì 30 dicembre 2010

SILLABARI : Razzismo

SILLABARI : Razzismo


Sembra leggere una cronaca su uno di quei fogli dell’Ottocento . Il titolo potrebbe essere : “ Un gesto di solidarietà da parte di un giovane di buon cuore “ che evoca un ‘ atmosfera deamicisiana .In realtà è la cronaca da Illasi apparsa il 24/12/2010 che racconta il botta e risposta tra Alberto Fabris e l'assessore leghista Paolo Fasoli sul «no» all'aiuto a una signora straniera. Lo studente: «Date i miei 200 euro alla famiglia, vanno condannate le scelte razziste»; Fasoli: «Prima la tutela di chi è veneto e illasiano.

Ecco il testo dell’articolo di Vittorio Zambaldo :


Gran Galà del Premio Illasi con un fuori programma che ha movimentato la scena prenatalizia e l'atmosfera di buoni sentimenti che di solito accompagna questo genere di manifestazioni, quando vengono premiati cittadini illustri per meriti culturali, sportivi o imprenditoriali o coppie che hanno passato il mezzo secolo di vita matrimoniale.

Quand'è stato il turno di Alberto Fabris per ritirare la busta del premio con 200 euro e il diploma di encomio per il massimo dei voti conseguito alla maturità classica, questi ha preso la parola ringraziando l'amministrazione. «Felice di onorare il mio paese facendo del mio meglio», ha esordito, ma non ha evitato di accennare a un fatto che ha definito «gravissimo ed estremamente preoccupante». In una delibera di giunta di ottobre, che assegnava un contributo a favore di una persona in forte stato di indigenza, gli assessori in quota alla Lega nord, Paolo Fasoli ed Elena Colognato, davano voto contrario mettendo a verbale che «l'oggetto della delibera va contro i principi morali, etici e ideologici del movimento che noi rappresentiamo» e dichiaravano di impegnarsi per un regolamento che preveda erogazione di contributi solo ai residenti a Illasi da almeno cinque anni. «Criterio per ricevere sostentamento dunque», ha proseguito Fabris, «non sarebbe l'effettivo bisogno, ma una sintomatica "illasianità", una discriminazione consapevolmente motivata in termini morali, etici e ideologici che ha un nome preciso: razzismo».

Disgustato dal fatto che l'amministrazione non abbia preso posizione, Fabris ha tenuto per sé solo il diploma e ha restituito al vicesindaco Bruno Zambaldo, che lo aveva premiato, la busta con il denaro, chiedendo che la cifra venga destinata alla signora in difficoltà. Applausi hanno accolto la dichiarazione del giovane, che è tornato al suo posto, ma applausi ci sono stati anche per l'assessore Fasoli, che chiamato a sua volta a premiare altri cittadini non ha perso l'occasione di rispondere a quello che ha definito «l'amico comunista che ha trasformato un giorno di festa in un comizio». Fasoli boccerebbe di nuovo la delibera: «perché prima dobbiamo pensare ai veneti, ai veronesi e agli illasiani».

Il sindaco Giuseppe Vezzari, a fine cerimonia, ha sottolineato il valore della famiglia, da cui nascono le eccellenze che il Comune ha premiato: «C'è stata qualche nota stonata», ha aggiunto riferendosi allo scambio Fabris-Fasoli, «perché ci sono momenti in cui devono prevalere la concordia e la comunità viva», ha concluso interrotto dall'applauso, «e perdonate i limiti umani, ma credetemi, lavoriamo per la concordia della nostra comunità». Condividendo le considerazioni di Fabris, anche Mauro Marconcini, tra i premiati per un premio di poesia, si era autoescluso comunicandolo con una lettera al sindaco in cui riteneva prematuro il riconoscimento per la sua carriera di poeta. «Mi sarei piuttosto aspettato di essere citato per il premio ricevuto come maestro del lavoro per i 40 anni esercitati come commerciante e rappresentante di categoria», ha precisato in seguito.

Al di là di questi momenti da nervi scoperti, la manifestazione ha avuto comunque il successo che merita per l'attenzione che l'amministrazione dimostra verso i concittadini. Lo spettacolo è stato garantito alla bravura della pianista russa Elena Bruk, che ha accompagnato il cantante Orazio Ragusa in un vasto repertorio di brani degli anni Quaranta, impreziositi dalle coreografie di ballo di Sergio Azzolini e della moglie Ornella Lombardi.

Fonte http://www.larena.it/stories/Provincia/


Eremo Via vado di sole , L’Aquila giovedì 30 dicembre 2010



mercoledì 29 dicembre 2010

VOCI E STORIE DAL SILENZIO : Tolstoj

VOCI E STORIE DAL SILENZIO : Tolstoj

Un anno con Tolstoj - BILANCIO DEL CENTENARIO DISERTATO DALL'EDITORIA

Può sembrare paradossale, ma a cent'anni di distanza dalla scomparsa dell'autore di Guerra e pace sembrano sul punto di compiersi le sue ultime volontà: essere ricordato non tanto per le opere narrative - quelle «sciocchezze», come amava ripetere davanti a testimoni attoniti - quanto per i testi di carattere teorico composti all'indomani della conversione. Un sentiero di lettura tra gli ultimi titoli

Due «date fauste» avrebbero dovuto - secondo Guido Ceronetti - contrassegnare il 2010: il centenaro dalla morte di Tolstoj e il centocinquantenario dalla nascita di Cechov, «formidabili consolatori del genere umano». A distanza di quasi dodici mesi non si può che constatare l'eccessivo ottimismo di un simile augurio: se dell'anniversario cechoviano non si è accorto pressoché nessuno, il centenario dell'autore di Guerra e pace, pur in assenza di progetti editoriali di ampio respiro o di percorsi interpretativi originali, sembra avere evidenziato una netta cesura nella ricezione del romanziere, sulla quale vale senz'altro la pena di interrogarsi. Il lento ma inesorabile esaurirsi di celebrazioni un po' in sordina potrebbe diventare l'occasione per stabilire quale posizione abbia assunto l'astro tolstojano e quale faccia ci mostri ora di sé: ovviamente a patto di affidarci alla «bella e amabile illusione» già attribuita da Leopardi agli anniversari: l'illusione di indurci a credere che due date prive di qualsiasi nesso siano in realtà legate da un'intima necessità, dal materializzarsi di un'ombra che torna a visitarci.

Può sembrare paradossale, ma a cent'anni di distanza dalla scomparsa sembrano sul punto di compiersi le ultime volontà dello scrittore: essere ricordato non tanto per le sue opere narrative - quelle «sciocchezze», come amava ripetere dinanzi a testimoni lievemente attoniti - quanto per i testi di carattere teorico ed edificante composti all'indomani della conversione. Una sorprendente rivincita postuma del moralista sul romanziere sancita da molti titoli apparsi di recente.

Il versante pedagogico

I titoli usciti negli ultimi tempi vanno da Il risveglio interiore. Scritti sull'uomo, la religione, la società (a cura di Nicola Caleffi e Guglielmo Leoni, Incontri Editrice) a La religione del progresso e i falsi fondamenti dell'istruzione (a cura di Giuseppe Ianiello, Pungitopo), passando per La schiavitù del nostro tempo. Scritti su lavoro e proprietà (a cura di Bruna Bianchi, Bfs edizioni) e il saggio di Bruno Milone, Tolstoj e il rifiuto della violenza, in cui il romanziere russo viene celebrato come pervicace «negatore» (netovshchik, così l'aveva ribattezzato il principe Petr Vjazemskij) di idee ritenute scontate dai suoi contemporanei (in primis il progresso elevato a legge), nonché anticipatore di temi quali la descolarizzazione e la decrescita. In questa ottica, di particolare interesse è il volumetto proposto da Pungitopo dove, replicando a un certo signor Markov che aveva definito irrealistici i metodi di insegnamento sperimentati a Jasnaja Poljana, Tolstoj smascherava i presupposti coloniali impliciti nella «religione del progresso» e ribadiva l'interrogativo posto alla base del suo pensiero: «I figli dei contadini devono imparare a scrivere da noi o noi da loro?».

Accanto a questa rivalutazione delle considerazioni pedagogiche del romanziere russo (avviate in Italia nel 1995 dal volume di Pier Cesare Bori L'altro Tolstoj e riprese dal convegno di studi Fa quel che devi, accada quel che può. Arte, etica e politica in Lev Tolstoj, che si tenne in novembre a Ca' Foscari), gli scaffali evidenziano un'altra variante dell'«accanimento biografico»: quella per cui l'attenzione si è andata concentrando, appunto, sul «personaggio Tolstoj» e, in particolare, sull'afflato indubbiamente romanzesco della sua fuga da Jasnaja Poljana su treni di terza classe diretti verso il sud. I possibili sviluppi narrativi di questo epilogo sono stati esplorati con alterne fortune da una pletora di testi che vanno dal Tolstoj è morto di Vladimir Pozner (scritto nel 1935 e proposto a maggio da Adelphi nella traduzione di Giuseppe Girimonti Greco) alla Fuga di Tolstoj di Alberto Cavallari (1986, ripubblicato ora da Electa) all'Ultima stazione di Jay Parini (Bompiani, traduzione di Lorenzo Matteoli), cui fa da corollario Begstvo iz raja («Fuga dal paradiso») di Pavel Basinskij, un libro che ha appena vinto a Mosca il premio Bol'shaja Kniga, e tende a rileggere retrospettivamente tutta la parabola esistenziale e artistica dello scrittore alla luce del suo atto finale.

Voci catturate in famiglia

A fronte di questo tenace interesse per gli ultimi giorni di Tolstoj risulta tanto più impressionante il vuoto che si è aperto intorno alla sua opera narrativa: con la meritoria eccezione del racconto Chadzi Murat, edito da Voland nella nuova versione di Paolo Nori, l'anno del centenario ha brillato soprattutto per l'assenza di quelle particolari riletture che sono le ri-traduzioni. Tutt'al più si dipanano narrazioni accessorie e periferiche, come l'itinerario «coniugale» intrapreso dalle edizioni La Tartaruga già nel 2009 con la pubblicazione di Amore colpevole (mediocre romanzo della moglie Sof'ja) e proseguito ora con una scelta dai Diari della stessa contessa Tolstaja. Nella medesima linea, benché con esiti più significativi, si colloca Preludio a Chopin che inaugura la nuova collana «Asce» degli Editori Riuniti: quattro racconti di autori diversi, diseguali per valore letterario e legati tra loro da una comune intenzione: replicare a quell'inaccettabile provocazione rappresentata dalla Sonata a Kreutzer, ultimo atto dell'annichilimento dialettico che Tolstoj aveva riservato alla istituzione matrimoniale, tanto nella Felicità domestica che in Anna Karenina.

Tra gli autori che polemizzano con Tolstoj c'è innanzi tutto il suo quartogenito Lev L'vovic, i cui due testi sono interessanti più che altro come atto d'accusa contro la generazione egoista dei padri che vorrebbero negare ai giovani la possibilità di un amore puro e (neo)romantico. A questi si affianca il racconto di Nikolaj Leskov A proposito della Sonata a Kreutzer, una raffinata sfida endoletteraria dove intorno ai rimorsi di coscienza di un'adultera convergono non solo gli alter ego di Tolstoj e dello stesso Leskov, ma addirittura l'ombra di Dostoevskij. Anche Cechov si unisce al coro con Mia moglie, benché questo soffocante interno domestico illuminato con la consueta intelligenza e malinconia sembri ispirarsi, più che al dibattito sulla Sonata tolstojana, alla carestia che nel 1892 colpì la regione in cui si trovava Melichovo, la tenuta dello scrittore.

Soffocato dal chiacchiericcio dei suoi familiari e privo di alcuni tra i suoi «lettori» più sensibili (in libreria manca sia il fondamentale volume di Viktor Sklovskij edito dal Saggiatore nel 1978, sia il saggio di Dmitrij Merezkovskij che nel remoto 1900 inaugurò la tradizione del raffronto con Dostoevskij), Tolstoj appare oggi confinato in un passato arcirusso, come suggerisce anche il sottotitolo di una biografia appena uscita in Inghilterra, Tolstoy: A Russian Life di Rosamund Bartlett. Perché, invece, non riportarlo a confronto con Kierkegaard o con Proust, come si era già tentato vent'anni fa, o indagarne la presenza fantasmatica, ma più che accertata, nella prosa postmoderna russa di oggi?

Sul fronte editoriale italiano l'evidente mancanza di «investimenti» tolstojani appare tanto più sorprendente dal momento che, solo vent'anni fa, l'effervescenza era tale da generare veri e propri mostri. Ricordo, a questo proposito, che Tolstoj entrò nella mia vita di dodicenne - era il 1988 - con un titolo bizzarro, Casa Rostov: il volume che mi venne messo allora in mano conteneva stralci di Guerra e pace nell'adattamento che l'editore Marietti aveva approntato per i più giovani: niente digressioni storico-filosofiche, pochissima «guerra» e, della «pace», la sola linea narrativa legata alla casata Rostov, privilegiata rispetto a quella dei Bolkonskij nella speranza di far scattare nelle menti preadolescenziali i più scontati meccanismi di identificazione psicologica. Così amputato, Guerra e pace si riduceva a un libretto tutto sommato agile, di sole duecentocinquanta pagine, che divorai avidamente, un po' turbata dalla sua sconclusionatezza di fondo: i riassunti inseriti qua e là non potevano certo restaurare la coerenza dell'intreccio e parevano alludere alla mole invisibile che si estendeva al di là delle pagine superstiti. L'immaginazione finiva così per proiettarsi su quei territori negati, su quel resto che veniva taciuto.

Più tardi, una volta affacciata sulla mole del corpus tolstojano, mi accorsi che quel caso di vivisezione editoriale aveva lasciato una traccia durevole nella mia memoria. Non a caso, a distanza di anni, l'immagine della lacuna o, meglio, dell'eclissi resta inscindibile per me dall'opera dello scrittore di Jasnaja Poljana, complice anche la lettura reiterata dei Diari dove, a frammenti di sfolgorante introspezione, subentrano abissi temporali spiazzanti, quando l'autore, dopo aver fustigato per bene la propria vanità ed essersi imposto regole di condotta draconiane, dimentica per mesi, se non per anni, i suoi quaderni in un cassetto. O magari per effetto di quel passo meraviglioso di Adolescenza in cui si descrive intento a voltarsi di scatto, per sorprendere il nulla cosmico che intuisce alle sue spalle.

A distanza di anni Tolstoj avrebbe riposizionato la sede di quel vuoto, imprimendole una rotazione di 180 gradi e collocandola di fronte a sé («Vivo è l'uomo che avanza verso il luogo rischiarato da un lume che si muove innanzi a lui», annotò nel diario del 1890), ma immutata sarebbe rimasta in lui la tendenza a contraddirsi, a superare quanto era già in suo possesso. «Non si può mettere su un piedestallo, ad ammaestramento dei posteri, un individuo che è esclusivamente una lotta», scriveva di Dostoevskij nel 1883; eppure avrebbe potuto benissimo riferire questa frase a se stesso, perennemente impegnato com'era a inseguire il miraggio dell'autoperfezionamento, a respingere la tranquillità definendola «vigliaccheria dell'anima».

Ipotesi su un disinteresse

Alla luce di questa «discontinuità» già notata da Isaiah Berlin, forse non dobbiamo sorprenderci se una parte di Tolstoj è fatalmente destinata a restare in ombra, a sottrarsi allo sguardo dei lettori. Resta però da chiedersi se lo scarso fermento editoriale del 2010 sia indice di saturazione («Tutti hanno già letto Tolstoj») oppure di scoramento («Nessuno legge più Tolstoj»). E se sul versante accademico sia opportuno dedicare interi corsi all'«altro Tolstoj», visto che gli studenti spesso non hanno ancora letto Guerra e pace - neppure in forma vivisezionata.

Definendolo «uomo di intempestività, inattualità e differenza», Andrea Zanzotto lo ascriveva al novero ristretto di quegli autori che potrebbero investire tutta la nostra esistenza con una semplice frase. In effetti, basterebbe a dimostrarlo quell'autentica slavina verbale che è l'incipit geniale e arcigno di Resurrezione: «Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra su cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d'erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fiumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli - la primavera era primavera anche in città».

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IN RUSSIA

Riletture, omaggi e dissacrazioni nella lingua del grande romanziere

Nel corso di questo anno tolstojano in Russia non sono certo mancate le riletture, gli omaggi e le dissacrazioni. Se l'ultimo romanzo di Viktor Pelevin, significativamente intitolato «T», si annuncia come l'ennesima pirotecnica fantasia sul tema della fuga del romanziere russo da Jasnaja Poljana, Vladimir Sorokin costruisce la sua recente fatica, «Metel'» («Tempesta di neve»), intorno a una riattualizzazione della forma tipicamente ottocentesca della «povest'» (romanzo breve o racconto lungo che dir si voglia). Difficile infatti non accorgersi che dietro il viaggio metafisico del medico di campagna Platon Il'ic Garin nel cuore della natura matrigna russa si cela la duplice ombra di Puskin e Tolstoj, entrambi autori di due racconti dall'identico titolo. Un esperimento, questo della rilettura incrociata di Puskin e Tolstoj, già intrapreso da Vladimir Makanin a metà degli anni Novanta in «Kavkazskij plennyj» («Il prigioniero del Caucaso»), disillusa trasposizione post-coloniale del mito letterario del Caucaso nella Cecenia dei giorni nostri.

Fonte: Valentina Parisi - il manifesto


Eremo Via vado di sole , L'Aquila, mercoledì 29 dicembre 2010 

AD HOC : Le cose da chiedere al Natale di oggi: il rispetto e la speranza


Le cose da chiedere al Natale di oggi : il rispetto e la speranza


Il Natale — quella nascita e quella notte che tagliano la Storia e fanno balenare la promessa o almeno l’esigenza che questa possa essere anche Storia della salvezza — non è cosa da family day. Quel neonato concepito fuori del matrimonio è irregolare, illegittimo secondo le regole del mondo. Proprio per questo è un figlio per eccellenza, accettato e voluto nonostante le difficoltà, anziché casualmente subito come talora accade pure nelle migliori famiglie. Il suo diritto alla vita, calpestato nelle forme più varie sotto tutti i cieli — negato dalla fame, dalla guerra, dalle malattie e dalla stessa debolezza dell’individuo, che nelle fasi iniziali della sua esistenza gli impedisce di rivendicarlo esplicitamente — è stato garantito dal coraggio della donna che lo sta allattando.

Quando Maria riceve l’annuncio della sua maternità, non sa ancora quale sarà l’atteggiamento di Giuseppe ed è decisa ad affrontare tutte le conseguenze della sua accettazione, anche il disonore e la vergogna che marchiano una ragazza madre; è pronta ad assumere sulle sue spalle l’infame peso della colpa e dell’emarginazione iniquamente messo in carico soltanto alla donna. Maria, che nella sua solitudine dice sì, è una donna, non quell’idolo di gesso o quel fantasma in cui più tardi una superstizione idolatrica degraderà spesso la sua immagine. Il suo compagno si comporterà come un vero uomo, virile e libero da tutte le prepotenze, convenzioni e insicurezze maschili; anche per questo si attirerà le pacchiane barzellette di tanti cretini, così frequenti fra i narratori di barzellette.

In quella capanna di Betlemme ci sono un figlio, una madre e un padre. Non c’è, per loro fortuna — è giusto che il figlio di Dio si sia concesso almeno questo privilegio—la consueta torma di suocere, zii, terzi cugini, suoceri di cognate, un clan talora caldamente protettivo ma spesso asfissiante e invadente, quelle tante donne Prassede, di cui esistono altrettante e altrettanto micidiali versioni maschili, che in nome della Provvidenza— di cui si considerano gli unici interpreti autorizzati —guastano la festa al loro prossimo in generale e soprattutto a chi hanno sottomano.


A quella capanna, a festeggiare il neonato, non arriva alcun parentado, arrivano alcuni pastori. Sono loro, in quel momento, la famiglia di quel bambino. Anche da adulto egli ribadirà, pure con durezza, il primato dei legami nati da libera scelta e affinità spirituali su quelli di sangue, dicendo che i suoi fratelli e le sue sorelle sono coloro che ascoltano e condividono la sua parola e chiedendo perfino bruscamente alla madre, dinanzi a una sua interferenza, cosa vi sia fra loro due. Dopo i pastori arriveranno, secondo la tradizione, i Magi, seguaci e maestri di un’alta religione—quella di Zoroastro, la prima a proclamare l’immortalità dell’anima individuale. Quella capanna è un tempio di tre grandi religioni mondiali; la quarta, che arriverà secoli dopo, l’Islam, si richiamerà ad esse e soprattutto alla prima, quella ebraica.

Pastori e più tardi Magi restano davanti alla capanna; dentro ci sono, a riscaldare il bambino col loro fiato, un bue e un asino, a testimoniare che anche per gli animali, per questi nostri oscuri cugini, dovrebbe esserci salvezza, come ben sa quel personaggio di un racconto di Singer che recita il Kaddish, la preghiera ebraica per i defunti, per una farfalla morta e come sapeva, nel poema sacro indiano Mahabharata, il re Iudistira che rifiuta di accedere al paradiso abbandonando il fedele cane all’inferno.


Quel bambino non è venuto a fondare una nuova religione, di cui non c’era bisogno perché ce n’erano già forse troppe. È venuto a cambiare la vita, cosa ben più importante di ogni Chiesa. Indubbiamente la promessa di pace, annunciata in quella notte, è stata e continua ad essere clamorosamente smentita. È difficile dire se, in questo senso, quel neonato abbia finora vinto o perso la sua partita. Ma è indubbio che egli abbia posto per sempre, nel nostro cuore, nella nostra mente e nelle nostre vene, l’esigenza insopprimibile di quella salvezza. L’albero di Natale col suo verde scuro di foresta, le sue candele e i suoi globi colorati (sul mio ce n’è ancora uno proveniente dalle favolose vetrerie di Norimberga, che adornava quello di mia madre quando era bambina) non dice un’idillica quiete domestica, ma una speranza sinora delusa. Ma proprio perché nel mondo c’è tanta sofferenza e ingiustizia e il male così spesso trionfa, ammoniva Kant, è necessaria l’accanita e lucida speranza, che vede quanto sciaguratamente vanno le cose ma si rifiuta di credere che non possano andare altrimenti.

Pure quel bambino di Betlemme è nato per morire. Morirà anzi presto e fra angoscia e tormento, che la resurrezione non cancella in alcun facile lieto fine. Gesù ha scelto la morte perché, pur amando la vita, sapeva che essa non è il bene supremo e che talora si può essere chiamati a perderla per amore degli altri. Ama il prossimo tuo come te stesso, sta scritto. Dunque il nostro prossimo sono gli altri ma siamo anche noi ed è lecito, anzi doveroso amare noi stessi e lenire le nostre sofferenze insieme a quelle altrui. Ogni compiaciuta mortificazione viene dal Maligno. C’è un diritto di nascere, di cui si parla poco, e c’è un diritto di morire, di cui si parla molto. Per quel che mi riguarda, faccio mia la dichiarazione congiunta della conferenza delle Chiese cattolica e protestante tedesche sul diritto—rivendicato però dall’interessato e soltanto da lui — di sospendere, in determinate condizioni inaccettabili, cure a quel punto inutilmente accanite. Un uomo che ha fede, ha scritto il teologo Wiener Thiede, non artiglia spasmodicamente quel pezzetto di vita che gli è stato assegnato; le sue mani, non contratte dall’ansia, possono aprirsi e lasciare la presa.


È la libertà — del cristianesimo, ma anche della grande classicità pagana, serenamente inserita nel ciclo della natura—che fa dell’uomo un viandante, un nomade senza fissa dimora e non un sedentario nella vita. Ma spesso si sente dire — con un’espressione infelice e involontariamente rivelatrice — non che l’uomo è libero, ma che è il proprietario della sua vita, declassando così il sacro diritto di morire ad una delle tante e sempre più frequenti leggine ad personam, in difesa dell’uno o dell’altro monopolio di cui si vuol godere. Si può essere proprietari soltanto di cose, di cui si può disporre a piacimento. Non si può essere proprietari di persone, perché in tal caso si è padroni di schiavi e dunque pure schiavi, giacché ogni padrone di uomini perde ogni rapporto con la libertà: «Mi me credevo — Un omo lìbero / E sento nascere — in mi el paron », dice un verso del grande Noventa. Poco importa se lo schiavo di cui siamo proprietari reca il nostro nome: in questo caso trattiamo noi stessi da schiavi, cosa forse ancor più umiliante.

Il proprietario dispone delle cose che possiede; posseggo un’automobile e posso venderla o demolirla a mio arbitrio, essa è in mio potere. Ma il mio io — i miei pensieri, sentimenti, sogni, timori — è in mio potere, come la mia automobile? Posso ordinarmi di innamorarmi, di credere in Dio, di cambiare fede politica, di capire la meccanica quantistica? Ogni io è tutt’al più un condominio, costituito come tutti i condomîni da vicini litigiosi; forse ogni io non è neanche questo, bensì piuttosto un agglomerato di inquilini provvisori che nemmeno posseggono le due camere e cucina e il riscaldamento centrale per cui litigano. Quando ci innamoriamo, votiamo, preghiamo, lavoriamo, ci divertiamo, possiamo e dobbiamo cercare di essere liberi nel nostro agire, ma senza alcuna presunzione di essere proprietari della vita, neanche della nostra, perché in quel caso saremmo come quei padroni delle commedie, cui i servi rubano tutto sotto il naso. Anche il diritto di morire può affidarsi solo alla libertà e al senso del sacro, non all’arroganza di un inesistente padronato di se stessi. La vita è sempre sacra, quando la si riceve e quando la si restituisce. Anche quando la si toglie, come tragicamente può accadere — ad esempio in guerre in cui può sciaguratamente ma inevitabilmente capitare di trovarsi, in una Stalingrado o in una Normandia in cui non si è potuto fare a meno di sparare per impedire che il mondo diventasse Auschwitz.

Sotto l’albero di Natale ci si aspetta di trovare dei doni, ogni anno sempre più mestamente aggiornati alla nostra età e meno fantasiosi dei giocattoli d’infanzia, che un mio zio inventava e fabbricava con le sue mani. È possibile fare una lista di regali desiderati, come si usa per quelli di nozze? In questo caso, cosa chiedere, dato che comunque sarebbe svergognato chiedere di essere felici, come se due sposi chiedessero non un servizio di bicchieri o una lavatrice, ma una grande villa con parco? Forse è presuntuoso chiedere l’amore, anche se è per questo che è venuto quel bambino. Se ci guardiamo in giro e allo specchio, gli orrori la mediocrità l’aridità e la viltà che vediamo scoraggia dal pretendere l’amore che ci manca. Pretendere di renderci capaci di amare è come pretendere di renderci capaci di comporre la musica di Mozart.


Se l’amore è una grazia troppo alta possiamo chiedere almeno un’altra virtù fondamentale, il rispetto, che per Kant è la premessa di ogni altra virtù e che sembra sempre più latitante. Se non possiamo amare la folla oscura come noi che entra nella metropolitana, possiamo sentire concretamente che ognuno di quelli sconosciuti ha gli stessi nostri diritti e la stessa nostra povera dignità. Rispetto per ognuno, anche per l’avversario e per il nemico, anche per chi crediamo di dover combattere duramente, anche per chi va giustamente e pure pesantemente punito per un reato commesso. È questo rispetto, nient’affatto incompatibile con la severità, che manca sempre più, ovunque: nella lotta politica, nella violazione di ogni intimità, nell’arrogante negazione dell’altro.

Non chiediamo di essere perfetti, ma almeno di non essere crudeli e indecenti; di vivere in un mondo in cui si perseguono inesorabilmente i crimini ma si riconosce anche nel volto del criminale giustamente punito senza indulgenza il volto del Cristo o più semplicemente dell’uomo; in cui nessun colpevole—terrorista, pedofilo, mafioso, stupratore, assassino — venga trattato ignominiosamente come ad esempio quel sacerdote, verosimilmente pedofilo e dunque da punire, che si è gettato sotto il treno dopo essere stato insidiato da un falso penitente—inviato da una petulante trasmissione televisiva pretesamente spiritosa—che, in confessione, si è finto tentato dall’omosessualità per adescarlo e scoprirlo, colpendolo in un punto colpevole, debole e tormentato della sua personalità. Vorremmo chiedere, quale dono di Natale, che persone come quel sacerdote finiscano in carcere, se viene appurato un loro crimine, ma non sotto un treno. Una trasmissione televisiva non può diventare un plotone d’esecuzione.

Sotto l’albero di Natale, davanti al Presepe ci sono anche innumerevoli storie terribili, perché quel bambino è venuto a redimere il mondo ed è ovvio che abbia a che fare soprattutto con le sue brutture. Lava ciò che è sordido, piega ciò che è rigido, dice uno dei più grandi inni cristiani.

Claudio Magris in Il Corriere della sera del 24.12.2010

Eremo Via vado di sole , L'Aquila mercoledì 29 dicembre 2010



martedì 28 dicembre 2010

ET TERRA MOTA EST : La presa dell'Emiciclo ?

ET TERRA MOTA EST : La presa dell'Emiciclo ?

“Basta con commissari, cricche ed affari”

A novembre scorso dinanzi e dentro Palazzo dell’Emiciclo all’Aquila, sede del consiglio regionale, i comitati cittadini hanno protestato con forza contro le politiche della ricostruzione adottate dalla regione e dal Governo.

Poco meno di un centinaio di persone, con cartelli e striscioni, hanno espresso il loro dissenso nei confronti della nomina di un nuovo vicecommissario per la ricostruzione. “Basta con i commissari, cricche ed affari”, ” Fuori i poteri dall’Aquila, no commissari, no manfrine”: sono solo due dei cartelli issati dinanzi al palazzo del Consiglio regionale tra slogan e fischi.

A proposito di quella protesta così ne riferiva la rivista on line Il capoluogo .it

MANIFESTANTI "INVADONO" L'EMICICLO- Per ragioni di sicurezza i cancelli di Palazzo dell'Emiciclo sono stati poi aperti e i manifestanti sono entrati nell'aula dell'Emiciclo dove era in corso il Consiglio regionale ordinario, poi chiuso dopo la decisione del vice presidente del Consiglio regionale Giorgio De Matteis.

I comitati cittadini hanno infatti deciso di occupare la sala per chiedere la revoca della nomina a vicecommmissario per la ricostruzione di Antonio Cicchetti. Presenti all'Emiciclo, per ragioni di sicurezza, agenti della polizia e dai carabinieri.

ASSEMBLEA CITTADINA ALL'EMICICLO- I comitati cittadini e l’assemblea permanente di Piazza Duomo hanno deciso di svolgere un’assemblea cittadina nell’aula consiliare. All’assemblea hanno partecipato, oltre al capogruppo di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, il capogruppo dell’Idv, Carlo Costantini, il capogruppo del Pd, Camillo D’Alessandro, i consiglieri regionali Lucrezio Paolini (Idv), Luciano Terra (Udc), Franco caramanico (Pd), il vicepresidente del Consiglio regionale Giovanni D’amico (Pd); tra i banchi solo il consigliere Pd Claudio Ruffini. Per la maggioranza, unico in aula l’assessore all’Agricoltura, Mauro Febbo.

“Stiamo protestando per dire no ai commissariamenti e non a Cicchetti - spiega il portavoce dei comitati e dell’assemblea permanente, Anna Lucia Bonanni - Commissariamenti e ordinanze vanno bene nella fase dell’emergenza. Con la ricostruzione serve una legge organica, flussi economici certi e la partecipazione dal basso dei cittadini nei processi di ricostruzione. Invece, qui si va avanti a forza di ordinanze che istituiscono strutture dirigenziali su strutture dirigenziali, mentre queste cose non servono perché la ricostruzione deve essere demandata alle istituzioni democraticamente elette. Pensavamo di venire qui ad ascoltare, invece i consiglieri sono scappati via perché hanno paura della gente”.

Dure le critiche dei manifestanti ai consiglieri regionali tra cui Daniela Stati. L'ex assessore alla Protezione civile, chiedendo la parola, ha ribadito "mai assegnato un euro ad Abruzzo Engineering, a differenza delle sedute precedenti".

Dopo la chiusura della seduta ordinaria, anche quella straordinaria sulla ricostruzione, prevista per il pomeriggio di oggi è stata rimandata.

OPPOSIZIONE CHIEDE RIPRESA IMMEDIATA CONSIGLIO Decisa la reazione da parte di alcuni consiglieri. Le forze di opposizione alla maggioranza di centrodestra - intesa come il presidente della Giunta, Gianni Chiodi, il presidente del Consiglio, Nazario Pagano, il capogruppo del Pdl, Gianfranco Giuliante, e i capigruppo Giorgio De Matteis (Mpa), Daniela Stati (gruppo misto) e Giuseppe Tagliente (Rialzati Abruzzo)- hanno chiesto l'“’immediata convocazione di un Consiglio regionale affinché oggi stesso riprendano i lavori del Consiglio regionale”.

Nel documento, le forze di opposizione dicono di ritenere incomprensibile la decisione della maggioranza di “fuggire dall’aula” di fronte a una legittima manifestazione di protesta da parte dei cittadini aquilani ed esprimono la loro condivisione su quanto sostenuto dagli aquilani circa l’inopportunità della nomina di un nuovo subcommissario.

CONSIGLIO RIMANDATO A DOMANI Inizialmente è stato detto che seduta straordinaria del Consiglio sarebbe stata fissata domani dalla conferenza dei capigruppo. L'annuncio è stato dato dal capogruppo del Pd, Camillo D’Alessandro alla presenza dei manifestanti riuniti in assemblea nell’aula consiliare. “Vi comunico questa notizia che mi è stata data dal capogruppo del Pdl, Giuliante - ha detto D’Alessandro - così vi regolate”. Successivamente è stata diffusa la notizia che il Consiglio regionale d’Abruzzo è stato riconvocato, come da regolamento, per domani alle ore 11 per il prosieguo della seduta ordinaria e alle ore 15 per quella straordinaria, con all’ordine del giorno “Ricostruzione post terremoto Abruzzo”.

I cittadini riuniti in assemblea dentro l'emiciclo hanno diffuso un comunicato stampa (di seguito riportato integralmente) sulla giornata.


IL COMUNICATO DEI CITTADINI IN ASSEMBLEA DENTRO L'EMICICLO

"Ancora una volta un’assise pubblica chiusa alla cittadinanza: al Consiglio Regionale straordinario convocato oggi alle 15 per discutere della ricostruzione post-terremoto dell’Abruzzo, sono state sbarrate le porte. E i cittadini ancora una volta si sono trovati un cordone di polizia, a dividerli dai loro rappresentanti eletti. Quando finalmente siamo riusciti a entrare, la seduta di consiglio è stata prima sospesa e poi interrotta. Non era certo questo che volevamo: eravamo arrivati per entrare e ascoltare. Siamo stati costretti a forzare i blocchi della Polizia. Un simile ordine del giorno era tale da prevedere una grande partecipazione: come si può pensare di farlo a porte chiuse, o limitando a pochissime persone la libertà di partecipazione? Condanniamo pertanto il comportamento di quei consiglieri – e del Presidente Chiodi – che hanno abbandonato l’assise. Ribadiamo tutta la nostra avversione alla logica del commissariamento: la ricostruzione non può essere gestita con le ordinanze e affidata a personaggi di dubbia competenza, che non godono di nessuna investitura democratica e che hanno già dimostrato in passato di non saper vigilare sulla correttezza della gestione dei fondi pubblici. Il futuro del nostro territorio deve essere affidato alla certezza della legge e dell’arrivo dei fondi. Continueremo a sostenere l’importanza della partecipazione dei cittadini nel lungo processo di ricostruzione.


Chiediamo una chiara presa di posizione da parte di tutti i consiglieri regionali riguardo al Commissariamento e alla figura di Antonio Cicchetti. Chiediamo se intendono riappropriarsi della loro dignità di eletti perché solo a loro, per legge, spettano i compiti di vigilanza e indirizzo, poteri che non possono essere attribuiti dall’alto. Rifiutiamo con sdegno l’accusa di essere “un gruppo di violenti facinorosi”, formulata dal consigliere Pdl Riccardo Chiavaroli. “Una legittima espressione del pensiero e del dissenso”, come afferma Chiavaroli, era esattamente quello che intendevamo fare, quando abbiamo trovato la Polizia a sbarrarci la porta di un’assise pubblica. La stessa Polizia che troviamo ogni volta. Riteniamo che la vera violenza sia quella di sottrarre ai cittadini il loro futuro, di esautorare le istituzioni democratiche per attribuire i loro poteri a chi no ha nessun titolo per riceverli e cercare di criminalizzare ogni forma di dissenso. Domani alle 15.00 saremo di nuovo qui."

I COMMENTI

CHIAVAROLI (PDL), GRAVE EPISODIO IN CONSIGLIO ABRUZZO- "Quanto avvenuto pochi minuti fa nell'Aula Consiliare del Consiglio Regionale d'Abruzzo non ha nulla a che fare con la legittima espressione del pensiero e del dissenso". Lo afferma il consigliere del PDL Riccardo Chiavaroli. "Il fatto - aggiunge - che un gruppo violento di facinorosi possa irrompere in un'aula istituzionale ed interromperne i lavori, infatti, non e' un buon servizio ne' alla democrazia ne' tantomeno alla citta' dell'Aquila. Un fatto incredibile mai successo prima e che non va sottovalutato per il germe di violenza che, al pari di altri episodi in Italia in questi giorni, lascia intravedere. Preoccupa - dice ancora Chiavaroli - il fatto, poi, che persino alcuni consiglieri delle opposizioni abbiano ritenuto giustificabile il comportamento dei manifestanti. Mi auguro, tuttavia, che si tratti di di un episodio isolato ma al contempo rivolgo sin d'ora un pubblico appello a Prefetto e forze dell'ordine affinche' - nel rispetto assoluto delle leggi - non sia mai piu' impedito ad un organo legislativo quale il Consiglio Regionale d'Abruzzo, di esercitare le proprie funzioni a causa di azioni di forza esterne. Cio' infatti rappresenterebbe un vulnus gravissimo a danno della democrazia, delle istituzioni e soprattutto dei pacifici cittadini aquilani che sono per fortuna la stragrande maggioranza".

D'AMICO, "OCCORRE UN INCONTRO CON IL PD" "Dopo la manifestazione odierna dei movimenti cittadini dell’Aquila in Consiglio regionale, ritengo che non si possa più eludere un incontro all’Aquila del Partito Democratico che fissi un adeguato coinvolgimento di tutti i gruppi dirigenti e le rappresentanze istituzionali locali, regionali e nazionali per definire una linea di indirizzo chiara , evidente nella direzione di restituire alle assemblee elettive il reale controllo delle politiche di ricostruzione." Ha affermato Giovanni D'Amico, vice presidente del Consiglio Regionale. "Bisogna operare compatti e vicini ai cittadini, senza prerogative esclusive che ci stanno logorando. La ricostruzione dell’Aquila è un problema regionale e nazionale, non può restare chiusa in una logica stratta e priva di chiarezza. Il Partito Democratico deve essere portatore di istanze fortemente partecipate e condivise, vicine ai cittadini colpiti dal sisma del 6 aprile."

GIULIANTE, "E' UNO SPETTACOLO INDECENTE"- "L'ennesimo attacco alle istituzioni, con un salto di qualità che ha visto coinvolti personalità di rilievo del panorama dei centri sociali e della sinistra antagonista italiana". E' quanto afferma Gianfranco Giuliante in relazione a quanto sta accadendo. "Caruso, già parlamentare ed extraparlamentare, si è presentato all'Aquila interrompendo i lavori dell'assemblea legislativa abruzzese, coadiuvato dai soliti noti dei centri sociali e dell'antagonismo militante. Il gravissimo episodio ha ricevuto il plauso dei consiglieri regionali


sinistramente co-protagonisti dell'accaduto. Dopo Bonanni a Torino e diversi episodi di intolleranza anche L'Aquila suo malgrado diventa protagonista di uno spettacolo indecente. Chiediamo con forza che vengano isolati quanti, pur di essere mediaticamente protagonisti, calpestano le più elementari regole di democrazie e di libertà, impedendo di affrontare problemi importanti per il lavoro ( Abruzzo Engineering) e per la vita della città."

COSTANTINI, "CICCHETTI E' UNA VIOLENZA" La nomina di Cicchetti è una violenza fisica ed è la dimostrazione che non c’é più considerazione degli aquilani. Ho sentito dire da De Matteis - ha aggiunto Costantini - che ‘c’é di peggiò. L’esperienza dei comitati può essere punto di ripartenza: il problema è che manca l’interlocutore”.

DE SANTIS (IdV), "PRIMA O POI I NODI VENGONO AL PETTINE". "Prima o dopo, i cittadini reagiscono, i precari si incazzano, i senza casa protestano di fronte ad una realtà difficile e paludosa, che il Governanti cercano di edulcorare e di ammantare di giustificazioni e di promesse, che a 17 mesi dal sisma si rivelano spesso solo chiacchiere. Insieme con tutti i problemi irrisolti della ricostruzione, che si vuole gestire - di fatto – con un solo ed unico Commissario, Cicchetti, vengono al pettine i problemi esistenziali dei nuovi poveri, i precari, che non sanno come arrivarealla fine del mese. Si tratta di una nuova categoria sociale: i precari della Scuola, i precari della Regione, i precari della Provincia, che rischiano di essere espulsi in modo ingiustificato dal mondo del lavoro, mentre assistono a fenomeni di sperpero di denaro e di corruzione ad ogni livello. Il Sindaco, Cialente, inconsapevole ed ambiguo protagonista di questo drammatico momento storico, da una parte alimenta la protesta, contestando a parole la nomina di Cicchetti, dall’altra non rappresenta e non interpreta le istanze e le aspettative dei cittadini. Mi domando, dopo la imposizione del Commissario, Cicchetti, e dopo la comprensibile occupazione dell’Aula del Consiglio Regionale, cosa aspetta Cialente a dimettersi da impotente Vice-Commissario per la ricostruzione, per svolgere – in sintonia con le forze vive e democratiche della città- a tempo pieno ed con forza il ruolo di Sindaco, eletto dai cittadini? Nell’interesse della città e per affidare la responsabilità della ricostruzione a mani capaci e decise, lungo un percorso chiaro e condiviso da tutte le Istituzioni Locali e dai cittadini, si dimetta anche Cicchetti, che potrà così tornare alle sue numerose attività".


PAOLUCCI (Pd), "CICCHETTI E' UN ESPROPRIO AGLI ENTI LOCALI". «La nomina di Cicchetti è un ulteriore esproprio delle funzioni degli enti locali e del diritto degli aquilani a partecipare alla ricostruzione della loro città». Lo denuncia Silvio Paolucci, segretario regionale del Pd, intervenendo sulla nomina del nuovo vicecommissario. «Anziché sbloccare i fondi per l’assistenza delle decine di migliaia di cittadini ancora fuori casa – dice Paolucci – il governo Berlusconi produce una nuova e inutile sovrastruttura, senza invece dotare la Sge degli strumenti, degli operatori e dei finanziamenti indispensabili per farla funzionare. Così come è oggi, la Sge rischia di diventare uno strumento che produce incarichi, poltrone e confusione, senza dare risposte ai cittadini del cratere. Si arrivi subito all’approvazione di una legge speciale per la ricostruzione che attendiamo da sempre».

DI STANISLAO (IDV), "CICCHETTI NON SERVIVA". Dopo le proteste dei comitati che fanno irruzione in Consiglio Regionale in Abruzzo, l'On. Di Stanislao torna a ribadire l'assoluta inutilità della terza nomina a Vicecommissario di Cicchetti e a dimostrare piena solidarietà ai centinaia di manifestanti. "C'è già un Commissario e

Berlusconi si preoccupi di valutare e monitorare l'incapacità del suo operato e non di fare altre nomine che giovano tutti meno che i cittadini e la ricostruzione de L'Aquila. Una ricostruzione bloccata, una città paralizzata e una gestione delle risorse e degli appalti che fanno gli interessi dei soliti con un giro di affari e di potere messo su da questo Governo. Indagini della magistratura, appalti truccati, infiltrazioni mafiose, questi sono gli elementi che caratterizzano l'operato del Governo Berlusconi e del Commissario Chiodi. Non servono nuove nomine per facilitare gli intrallazzi e mettere ulteriore confusione ai cittadini, serve un piano reale e concreto per ridare vita e dignità ad un territorio che ha perso tutto e continua a vedersi tolta alche la speranza." L'On. Di Stanislao ha presentato ulteriori tre distinte interrogazioni sulla ricostruzione post-terremoto e chiede al Presidente del Consiglio dei Ministri spiegazioni e soluzioni.

La protesta si è ripetuta oggi 28 dicembre 2010 nell’aula dell’Emiciclo sede dell’assemblea del Consiglio regionale d’Abruzzo per chiedere con forza di rimettere in discussione la questione fiscale e l’attività del commissario al terremoto che sembra , a questo punto, con le difficoltà che si incontrano nella ricostruzione , una figura quasi inutile , una istituzione che va a surrogare ma allo stesso tempo a svuotare quelli che sono i compiti e le responsabilità degli enti locali che , secondo i manifestanti, rappresentano l’unica istanza reale e democratica a cui affidare appunto tutte le azioni e le responsabilità per la ricostruzione .

Eremo Via vado di Sole , L’Aquila, martedì 28 dicembre 2010



domenica 26 dicembre 2010

OCCHIO DI GIUDA : Ultime dal pianeta


OCCHIO DI GIUDA : Ultime dal pianeta

Dopo la divulgazione delle foto delle torture nel carcere di Abu Ghraib in Iraq, i media di regime hanno pensato bene d'impegnarsi nell'improbabile tentativo di convincere il loro pubblico che quello che era successo nella prigione irachena era solo l'opera di pochi militari mentalmente deviati. In realtà, negli Stati uniti alcuni mesi fa avevano suscitato scalpore le affermazioni della senatrice californiana Diane Feinstein che, dopo aver visto le prigioni all'aperto di Guantanamo, aveva dichiarato: le prigioni US sono peggiori! Molti attivisti per i diritti civili avevano sostenuto le ragioni della senatrice. "Preferirei stare a Guantanamo che in un penitenziario statale nell'Illinois" ha detto Doug Cassel, direttore del Centro Internazionale per i Diritti Umani della Northwestern University, "Nelle prigioni US si corrono grossi rischi di stupro, si deve necessariamente far parte di una gang o pagarsi la protezione per evitare di esser ammazzati o brutalizzati". Negli Stati Uniti ci sono 766 carcerati su 100.000 abitanti (in Giappone nel 2000 vi erano solo 47 detenuti per 100.000 abitanti; in Norvegia 56; in Francia 80; in Italia 94; in Germania 97. Solo la Russia postmarxista ha cifre paragonabili: 730 detenuti ogni 100.000 abitanti). L'incremento della popolazione carceraria è un fenomeno iniziato con l'era Reagan (nel 1980 i detenuti erano solo 318mila), ma che non si è mai interrotto (è stato nel 1995, sotto la Presidenza Clinton, la spesa pubblica del Governo Usa per costruire prigioni ha scavalcato per la prima volta quella per le Università). Ai detenuti bisogna poi aggiungere chi è in libertà condizionata o per buona condotta, 6,9 milioni di persone alla fine del 2002. In totale, negli Stati uniti il 2,5% della popolazioni è in prigione o sotto sorveglianza giudiziaria. Poiché la stragrande maggioranza dei detenuti è di sesso maschile, le persone sotto controllo giudiziario rappresentano il 5% dei maschi. Se si escludono i minori di 14 anni e gli anziani ultra 65-enni, questa percentuale sale al 7,6% (un maschio adulto su 13).
La popolazione carceraria americana, (dato aggiornato al 31/12/2007) ammonta a 2.193.157 detenuti, distribuiti tra istituti di pena "locali" e "federali". Un dato a dir poco pazzesco, se consideriamo che la popolazione statunitense è di circa 305 milioni di abitanti (dato 2008). In Italia, a fronte di una popolazione di 59.832.179 abitanti (dato anno 2008) la popolazione carceraria è di circa 66.000 unità, e tra l'altro il nostro sistema carcerario è al collasso, visto che la capienza totale dei nostri istituti è al di sotto delle 50.000 unità.

Gli USA appaiono "il paese del carcere facile", e andare nei carceri americani, stando ai dati, non è certo come farsi una "vacanza". Presto approfondiremo questo argomento.

Negli Usa 88500 detenuti hanno denunciato di aver subito abusi sessuali da altri prigionieri o dalle guardie. Secondo l'IRIB questi i dati forniti dal ministero della Giustizia americano per il biennio 2008-2009. Secondo la ricerca le detenute hanno subito il doppio delle violenze dei prigionieri maschi. Secondo Human Rights Watch gli abusi vengono protratti soprattutto contro gli immigrati. “Gli incidenti di cui siamo a conoscenza sono solo la punta dell’iceberg perche’ molte volte le donne che sono vittime di abusi vengono espulse dal suo americano”, ha spiegato Meghan Rhoad, ricercatrice di HRW.


E per venire ai fatti di casa nostra Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha nominato Vincenzo Lo Cascio, funzionario di polizia penitenziaria, quale nuovo garante comunale delle "persone private della libertà". Una scelta che non ha precedenti, almeno in un paese occidentale che voglia reputarsi "democratico". Sarebbe come mettere a capo della CGIL Emma Marcegaglia. Il ruolo di "garante" dei detenuti dovrebbe essere ricoperto da un esperto in diritti umani, e comunque una persona "terza" che possa garantire imparzialità, e non certo un poliziotto penitenziario.

Fonte

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, domenica 26 dicembre 2010

venerdì 24 dicembre 2010

Natale : Abbiamo visto spuntare la sua stella


Fra i personaggi del Natale ce ne sono tre che il racconto evangelico ci presenta con un’aura di particolare fascino e di mistero : i Magi. “ Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode,ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano : “ Dov’è colui che è nato , il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo.” ( Matteo 2,1s)

In questi uomini venuti da lontano pellegrini nella notte guidati da una stella , mi sembra sia possibile vedere la ricerca del nostro cuore inquieto : essi ci rappresentano tutti , o almeno coloro fra noi che sono disposti a vivere l’esistenza non come resa all’evidenza finale della morte, ma come esodo , cammino verso la luce che viene dall’alto.

E questo riguarda non solo chi crede , ma anche chi cerca non avendo il dono della fede : il cosiddetto ateo , quando non è non per semplice qualificazione esteriore, ma per le sofferenze di una vita che lotta con Dio senza riuscire a credere in Lui , vive in una condizione di vera ricerca , di viva e spesso dolorosa attesa.

Il non credente pensoso , come il credente non negligente , è qualcuno che lotta con Dio : proprio così alla ricerca della verità, pellegrino nella notte , attratto e inquitetao0 da una misteriosa stella.

L’essere umano è un mendicante del cielo (Jacques Maritain ), cercatore di un senso, che dia dignità e bellezza al vivere e al morire . Tentazione è sentirsi arrivati, non più esuli in questo mondo, possessori di un oggi che vorrebbe arrestare la fatica del viaggio. «L’esilio di Israele - afferma un detto rabbinico - cominciò il giorno in cui Israele non soffrì più del fatto di essere in esilio». L’esilio è di chi ha dimenticato la meta e si è «accasato» nella mediocrità della scena che passa. Se i Magi rappresentano l’u omo alla ricerca di Dio, la stella che li guida e il Bambino cui essa li conduce ci mostrano un Dio alla ricerca dell’uomo. Dio viene nelle nostre esistenze, nel nostro dolore e nella nostra gioia: si fa compagno di strada del nostro impegno, della nostra attesa, dei nostri problemi.

Maestro del desiderio, Dio è colui che dandosi si nasconde allo sguardo e, rapendoci il cuore, si offre sempre nuovo e lontano: il Dio rivelato e nascosto! Proprio così, è il Dio vicino, che sostiene la nostra stanchezza, alimenta la nostra speranza, condivide il desiderio e l’impegno per gli altri, soprattutto per i più deboli e i più poveri. La Parola viene ad abitare fra noi, affinché nessuno si senta più solo e i nostri gesti di fede e d’a more la rivelino a chi ancora non l’ha incontrata: il Verbo si fa carne affinché diventiamo noi stessi il riposo della Parola, dove essa si lascia custodire e dire, come nel grembo verginale della Donna che ha detto «sì» al mistero dell’avvento, per dare vita e speranza ai cuori spezzati, per suscitare energie e futuro in chi è chiamato a farsi protagonista del domani: «Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Isaia 40,30s).



Pellegrini nella notte, guidati dalla stella, i Magi hanno riconosciuto nel Bambino il dono della verità, la luce che salva: lo hanno adorato. In questo atto di adorazione il cercatore è raggiunto dallo sguardo del Dio che ha avuto tempo per l’uomo. l’i ncontro, è la fede: lotta, agonia, non riposo di un possesso tranquillo. Dio è fuoco divorante, il Dio vivente, non il «Deus mortuus» o «otiosus». Perciò Pascal affermava che Cristo sarà in agonia fino alla fine del tempo: quest’agonia è la lotta di credere, di sperare e di amare, la lotta del discepolo con Dio! L’a ver conosciuto il Signore non esimerà nessuno dal cercare sempre più la luce del Suo Volto, accenderà anzi sempre più la sete dell’a ttesa. Il credente è un cercatore di Dio, sulle cui labbra risuonerà la struggente invocazione del Salmista: «Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Salmo 27,8s). Anche così la fede è resa e abbandono, approdo di bellezza e di pace: la bellezza dell’Uomo dei dolori, dell’amore crocifisso, della vita donata. L’adorazione dei Magi non è, allora, assenza di scandalo, ma presenza di un più forte amore: la fede non è risposta tranquilla alle nostre domande, ma sovversione, ricerca del Volto amato, consegna al Dio rivelato e nascosto.

(da una riflessione di mons. Bruno Forte Arcivescovo di Chieti Vasto )

Buon Natale

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, venerdì 24 dicembre 2010