mercoledì 19 novembre 2014

Il tempo s'addormenta








Scrive Giovanni Giudici in "La vita in versi": "Metti in versi la vita, trascrivi/ fedelmente, senza tacere/ particolare alcuno, l'evidenza dei vivi". E, al termine della composizione, "Inoltre metti in versi che morire/ è possibile a tutti più che nascere/ e in ogni caso l'essere è più del dire".

La poesia, allora, diventa un mezzo del cuore che attraverso la parola si fa carico di trasportare l'intero bagaglio dell'uomo, al fine di dire in un istante che cos'è la vita, l'esistenza. Un mezzo che però fallisce, a volte, questa missione, perché ad osservare bene da vicino la poesia, lì, ferma, chiusa nella pagina, si capisce che dentro essa ci si perde e che è molto più semplice dire cos'è la vita attraverso altre cose, piuttosto che dirlo con dei versi.

Tuttavia, delineare una geografia corporale, una scansione logico aritmetica delle scelte e delle possibilità di vita, lo spazio dentro il quale effettivamente si gestiscono le nostre abnegazioni e sofferenze, può essere un esercizio vitale per chiudere in un compromesso d'amore, vita e poesia.

E anche se la poesia è "costante" dell'anti-tempo rispetto ad un tempo della ragione che scorre inarrestabile, coniugare i due tempi è lo sforzo di posizione che bisogna fare perché la poesia non rimanga l'esempio di qualcosa di irraggiungibile, di assoluto, di profondo, qualcosa a tal punto vitale da scatenare un'invidia morale per chi riesce a dire con le parole quello che gli altri vagamente riescono a dire solo pensando o riflettendo in soliloquio.

Un compromesso d'amore che instaura il tentativo - attraverso il parlare di cose concrete, del corpo, dei luoghi che ci circondano, del tempo quotidiano - per farsi voce di chi non ha le parole, di chi non possiede la facoltà di farsi artefice e protagonista dello stesso mezzo che adopera per dare voce ai sentimenti, alla ragione, al senso civile.

Il tempo s'addormenta

Il tempo s'addormenta
tra la polvere e le muffe
dell'antica casa
ai piedi del colle,
là al limite della pianura
dove il ragno solitario
ricama la sua tela.
Il tempo si fa corpo
e quello che resta
è l'ambigua definizione
della vita
quando non riesce più
nemmeno a dormire
con la polvere e le muffe
del suo tempo.
Da Il Capoluogo .it

sabato 15 novembre 2014

LA NOTTE




Canto  XVII
di Federico Garcia Lorca

Vorrei sedermi vicino a te in silenzio,
ma non ne ho il coraggio: temo che
il mio cuore mi salga alle labbra.
Ecco perché parlo stupidamente e nascondo
il mio cuore dietro le parole.
Tratto crudelmente il mio dolore per paura
che tu faccia lo stesso.

Senza di te tornavo
di Pierpaolo Pasolini


Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.

La notte nell'isola
di  Pablo Neruda
Tutta la notte ho dormito con te
vicino al mare, nell'isola.
Eri selvaggia e dolce tra il piacere e il sonno,
tra il fuoco e l'acqua.
Forse assai tardi
i nostri sogni si unirono,
nell'alto o nel profondo,
in alto come rami che muove uno stesso vento,
in basso come rosse radici che si toccano.
Forse il tuo sogno
si separò dal mio
e per il mare oscuro
mi cercava,
come prima,
quando ancora non esistevi,
quando senza scorgerti
navigai al tuo fianco
e i tuoi occhi cercavano
ciò che ora
- pane, vino, amore e collera -
ti do a mani piene,
perché tu sei la coppa
che attendeva i doni della mia vita.
Ho dormito con te
tutta la notte, mentre
l'oscura terra gira
con vivi e con morti,
e svegliandomi d'improvviso
in mezzo all'ombra
il mio braccio circondava la tua cintura.
Né la notte né il sonno
poterono separarci.
Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita,
e ricevetti il tuo bacio
bagnato dall'aurora,
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.

giovedì 13 novembre 2014

FOGLI DI SERA : “Non io ti manco, tu mi manchi “




Questi sono i pomeriggi delle more. Poi verranno i giorni dell’autunno con i  boschi pieni di castagne. Ora la sera fa un po’ caldo. La mite temperatura invita a restare fuori casa. Nel pomeriggio assolato cerchiamo le more tra le siepi della strada. Ora non sono più impolverate. Non ci passa più nessuno perquesta strada. Sono i giorni che si raccolgono, si lavano e si cuociono per le composte, le marmellate da magiare durante l’inverno. I giorni dell’inverno conla legna accatastata fuori l’uscio per il camino. E dell’autunno sono i giorni della raccolta della legna da ardere in inverno. In questi giorni ora in cui si pensa all’immediato futuro la sera non guardo la tivvù ma rileggo i racconti,quelli scritti dagli uomini e dalle donne che preferisco, che fanno ridere ,che fanno piangere. Alcuni di quegli uomini e di quelle donne li posso vedere eascoltare appunto in tivvù, attraverso i loro blog e qualche volta da vicino quando vengono in questa città . Altri li guardo in foto. Foto piccole e grandi che conservo sparse qua e là nella stanza. Qualcuna attaccata con il nastro agli sportelli dei mobili. Qualcun’altra incorniciata. Qualcun’altra come segnalibro.
E li saluto ogni giorno . Riparto ogni tanto dai primi racconti .Quelli che ho letto da adolescente. Quelli che loro hanno scritto proprio in alcuni momenti .Sono storie di delitti d’amore, di principesse, di serve ma anche di uomini che si trasformano in grandi insetti. E poi ci sono frasi, espressioni,ed emozioni.
Quelle emozioni che mi tornano nel cuore e nella mente quando penso a te.Sono sei anni che le tue ossa si asciugano nel nostro cimitero, dove dormono i nostri genitori e i nostri amici. Sta lì appena fuori dellanostra città che abbiamo lasciata per venire a vivere in questa  città e da casa possiamo raggiungerlo a piedi. In un metro di terra di fronte a te ho piantato una rosa. Una rosa che mi hanno regalato per te. Non riesco a potarla perchè essa pure è fragile, come te. Che ora dormi e che alla finestra di casa asciugavi i capelli al sole di maggio quando ti svegliavi . Lavavi il sonno eil mio odore .
Quest’anno l’inverno si è spinto fino a metà primavera e all’improvviso è venuta l'estate. Quella che  abbiamo messo assieme  un giorno alla volta,che è appena passata e che ci ha introdotto, senza strappi in questo  autunno. Io ho continuato a piangere durante gli inverni di tutti questi anni   nel cavodelle mani perché non cadesse goccia a terra.Lasciavo alla pioggia bagnare la terra.
Ho staccato dalla stanza di quella casa terremotata le tue cose e le ho portate qua .Dicevo neanch’io resto , se vai. Poi mi sono confuso e ho aspettato. Aspetto .
L’ultimo capoverso d’un libro che sto leggendo mi introduce nella mente il silenzio come il chiasso di un quartiere in festa . L’ho letto come una lettera e stasera è come un salvacondotto per il sonno di questa sera. Questa sera non io ti manco, tu mi manchi .



Eremo Rocca S. Stefano giovedì 13 novembre 2014




mercoledì 12 novembre 2014

Vagabondo e viandante


di Valter Marcone

Vagabondo e viandante,
pellegrino dannato e deriso
uomo travestito
tra frenesia, sensazioni
e inganni
su una terra senza rimissioni
e peccati;
ingorghi frastornanti
su un violino tremante e piangente
alla ricerca della voce
degli angeli
ti accompagnino
uomo viandante e vagabondo. . .

lunedì 10 novembre 2014



Smart cities

Città intelligenti o digitali?

Il legame tra sviluppo urbano, nuove tecnologie e qualità della vita è indiscutibile. Ma non è detto che sia sufficiente. Ci sono anche fattori sociali, politici e culturali

di Rudolf Giffinger 9 Novembre, 2014
Viviamo in una società influenzata sempre più dalla tecnologia. Il computer, i cellulari e tutti gli altri oggetti elettronici stanno profondamente condizionando i nostri stili di vita. Basti soltanto pensare al momento di smarrimento che si prova allorquando ci si rende conto di aver lasciato a casa il cellulare o, ancora peggio, al nervosismo che si avverte quando ci si rende conto di averlo perso. Il nervosismo provato è chiaramente solo parzialmente riconducibile al valore monetario dell’oggetto perduto, ma soprattutto al valore sociale dello stesso. I nostri dispositivi digitali sono il nodo dei nostri network. Esserne privi significa essere, sebbene momentaneamente, fuori dal proprio mondo, tagliati fuori dal proprio sistema di relazioni, e quindi privati del proprio potenziale.
Se le tecnologie digitali hanno un impatto così determinante nella vita di ogni singolo individuo hanno degli effetti di gran lunga più prorompenti su organismi superiori e più complessi come sono le città. Parlare di sviluppo urbano oggi senza prendere adeguatamente in considerazione il ruolo delle nuove tecnologie è quindi quanto mai fittizio. Di questo sono consapevoli i media, ma anche un parte della letteratura scientifica, che propongono ripetutamente, a torto o a ragione, immagini di città il cui sviluppo è fortemente condizionato dalle nuove tecnologie. Si narra quindi di intere città costruite, soprattutto in Asia e nel mondo arabo, su quelli che sono i principi essenziali delle smart city e per opera di colossi aziendali provenienti dal mondo dell’Ict. Tali esperienze sono generalmente presentate come esperienze positive di sviluppo, dove la competitività economica delle città dovuta alla presenza di imprese enormi e l’infrastrutturazione tecnologica fungono da volano per lo sviluppo a tutto tondo delle città: non solo quindi dal punto di vista economico e fisico, ma anche sociale, culturale e politico.
La presenza di queste nuove tecnologie e la competitività economica sono quindi visti come una panacea per tutti i mali dalla povertà alla criminalità, dal traffico fino, in senso molto generale, al benessere. La smart city diventa quasi il simbolo di una nuova “utopia” che vede la crescita urbana come totalmente ancorata alla tecnologie digitali (Hollands, 2014).
Sebbene queste letture siano attraenti e, certamente, non infondata rimangono comunque discutibili. Già nel 2012 studiosi del calibro di Sennett mettevano in dubbio l’efficacia della smart city, ma soprattutto la convinzione che lo sviluppo delle città dovesse essere sostanzialmente centrato sulle tecnologie digitali. Sennett, nello specifico, parlando delle città arabe o di quelle della Corea del Sud, sottolinea che l’introduzione di nuove tecnologie, non si traduce necessariamente in un miglioramento della qualità della vita delle persone che in essa vivono. Affermando, in questo modo, tra le righe, che altri sono i drivers dello sviluppo urbano e ponendosi la domanda relativa a quale sia il reale ruolo delle tecnologie digitali.
Il nesso tra sviluppo urbano, nuove tecnologie e qualità della vita nelle società contemporanee è un nesso indissolubile e indiscutibile, ma quali siano le caratteristiche di queste connessioni e come esse siano collegate anche ad altri aspetti della vita delle città rimane una questione spinosa e irrisolta.
Nel corso del mio intervento dal titolo “Smart Cities: common challenges and common concepts?” punto l’accento sul problema di comprendere quali siano le sfide delle città contemporanee e per quale motivo è necessario procedere per intersezioni, mettendo in evidenza il ruolo giocato non solo dalle tecnologie, ma anche da altri fattori, non propriamente collegati alla smartness, e di natura sociale, politica e culturale.
In altre parole, il nodo gordiano che si proverà a sciogliere riguarda il ruolo delle tecnologie digitali per lo sviluppo delle città e se esse sono la chiave più importante delle smart city, oppure è necessario ampliare il campo semantico di quest’ultimo termine, accogliendo al suo interno anche altre questioni problematiche.
Giffinger a Laboratorio Expo

Rudolf Giffinger discuterà di smart cities e tecnologia digitale il prossimo 12 novembre a Milano (Triennale, viale Emilio Alemagna 6, ore 17,30) all’interno di Laboratorio Expo, il progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Expo Milano 2015
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il capoluogo | La luna di Dante

il capoluogo | La luna di Dante

mercoledì 5 novembre 2014

Con il cuore nella notte






Con il cuore della notte
incontro al mattino
il silenzio sulla bocca degli angeli
colorati di terra azzurra,
il fischio nella voce,
come un merlo che canta dentro
le ossa,
in sordina e monotonia
ogni momento che vivo
colleziona l'universo
il coro del cielo, le aggiunte
della terra.

Da IlCapoluogo.it mercoledì 5 novembre 2014

lunedì 3 novembre 2014

La luna di Dante

La luna dei lunatici e altre lune. Viaggio tra miti, leggende, poesie e realtà scientifiche sul satellite terrestre. Sesta puntata, prima parte. [Valter Marcone]

 

PRIMA PARTE


Dante Alighieri è un poeta lunare? Questa definizione non gli è stata ancora data, anche se vanno ricordati i numerosi nomi che ha dato alla luna in almeno sette canti dell'Inferno, in sette del Purgatorio e in nove del Paradiso. Senza luna la Divina Commedia sarebbe rimasta, per così dire, senza orologio. Infatti Dante non indica mai l'ora durante il viaggio attraverso i gironi dell'Inferno se non giovandosi delle varie posizioni della luna. Questa funziona come orologio, per cui il poeta può avvalersene per regolare il tempo della prima parte del suo viaggio nell'oltretomba.

Quanto la luna abbia influenzato Dante e quante immagini gli abbia ispirato, quale varietà gli abbia suggerito, appunto, si vede negli esempi che seguono.

La Luna è per Dante il primo dei pianeti che compongono il sistema aristotelico-tolemaico, codificato e trasmesso nel Medioevo attraverso i testi degli astronomi arabi.

La Luna dantesca mostra più volti e assume più ruoli: essa è lo strumento cosmico per segnare il cammino del viator, ma può anche presentarsi come termine di paragone stilistico ed espediente retorico per indicare diversi gradi di luminosità.

La Luna compare per la prima volta nella Commedia nella minacciosa profezia di Farinata, identificata con la sua faccia infera rappresentata da Proserpina:

Ma non cinquanta volte fia raccesa
la faccia de la donna che qui regge,
che tu saprai quanto quell'arte pesa.
(Inf. X, 79-81)


Il senso delle parole di Farinata è chiaro e riportato in tutti i commenti: a partire dalla data dell'incontro dovranno trascorrere cinquanta mesi. L'eretico fiorentino svela dunque il seguito delle vicende di Dante e dei Bianchi, dopo che Ciacco aveva previsto la caduta della fazione in «tre soli», cioè in tre anni (Inf. VI, 68).

Nel Purgatorio la Luna, considerata nella sua essenza astronomica, torna ad essere visibile agli occhi del viator, che può osservarne effettivamente il movimento durante la sua ascesa al monte. Il pianeta svolge ancora la sua funzione di 'orologio cosmico' in due casi. In Purg. X, 13-16 Dante ne contempla il tramonto nel cielo mattutino, mentre nel canto XVIII essa è presentata a notte inoltrata. In questo quadro, paragonata, nella sua fase calante, ad un «secchion», un paiolo di rame lucente o ardente [50], l'astro offusca col suo splendore la luce delle altre stelle.

La prima attestazione della figura di Diana assimilata all'astro notturno si ha solo molto avanti nell'ascesa del pellegrino:

Noi eravam partiti già da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder n'era permesso,
quand'io sentì, come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui ch'a morte vada.
Certo non si scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse 'l nido
a parturir li due occhi del cielo.
(Purg. XX, 124-132)


La figura di Delia come personificazione della splendente luce lunare è ricordata nel XXIX canto del Purgatorio:

e vidi le fiammelle andar davante,
lasciando dietro a sé l'aere dipinto,
e di tratti pennelli avean sembiante;
sì che lì sopra rimanea distinto
di sette liste, tutte in quei colori
onde fa l'arco il Sole e Delia il cinto.
(Purg. XXIX, 73-78)

domenica 2 novembre 2014

Un lunedì qualsiasi prossimo venturo

Commemorazione dei defunti. Il due novembre di una città e i luoghi che 'non ci sono ormai più'. Riflessioni in versi di Valter Marcone.

domenica 2 novembre 2014 05:15

di Valter Marcone

E' piena di tristezza l'ora
dei morti e per questo ho pianto
sui versi di un poeta. Posso scrivere
anch'io versi tristi - vuoi tu
rattristarti con me? - Sarebbe bello
invece andare insieme per le strade
di questa città e nelle drogherie
e pizzerie e lavanderie
che non ci sono ormai più
a dire: "l'odore del caffelatte,
del sugo di pomodoro e di vino nuovo
mi fa commuovere" e gridando
gridando, cercare di nuovo giardini,
mercanzie, frutta sulle bancarelle,
pietre e lana del tuo vestito
di secoli. Città perché non t'alzi
per spaventare i notai dei sentimenti,
gli architetti delle iperboli
i dottori dall'odore di aceto.
Per questo, città, un lunedì, un lunedì
qualsiasi prossimo venturo porta tutti
sulla piazza di specchi
che dovettero piangere di paura e vergogna
e strappa gli ombrelli. Grida al sole
al sole di un'altra stagione.
Così sia poi il tuo
due novembre dei morti.