venerdì 27 aprile 2012

SILLABARI : Estetica ed etica della politica

SILLABARI :  Estetica ed etica della politica

Questo è il governo della rispettabilità.
E Presidente del Consiglio naturale della rispettabilità è Mario Monti.
Viene ripreso, la mattina dopo le dimissioni del governo Berlusconi: è appena uscito da messa, ha al suo fianco la moglie.
Morigerato, rispettoso della famiglia tradizionale, di famiglia alto borghese rispettabile, di scuola Gesuita e Università Bocconiana, è esempio e simbolo di una Milano "Calvinista".
La speculare contrapposizione del precedente Presidente del Consiglio e del suo governo.
Questo basta, per mandare in visibilio un'Italia abituata ad un governo di grotteschi cistercensi.
Ma può il giudizio di un governo basarsi sulla sua rispettabilità?
L'estetica della politica può assurgere ad unico metro di giudizio di chi gestisce lo stato Italiano, annullando le riflessioni di natura politica?
Il fondamento del problema è chiaramente se la differenza fra Berlusconismo e Anti-Berlusconismo, la distanza fra i due maggiori partiti politici Italiani oggi uniti sotto la stessa bandiera, possa essere ricondotta tutta ad una questione di estetica, di auto-rappresentazione, di Fenomeno filosoficamente intendendo.
Tolto il cerone, i tacchi e le nipoti di Mubarak, il Neoliberismo è più accettabile? (1)



All’inizio erano due estetiche, opposte e insieme alleate per stringere il paese in una tenaglia. Quella berlusconiana dell’avvenenza e della gioventù con le ragazze in tubino nero, “anche laureate con il massimo dei voti” (Carfagna, Pascale, Minetti, etc., etc.). Opposta, alleata e concorrente era quella popolare di Bossi, maschio, sudato in canottiera.
Poi la crisi del berlusconismo e l’archiviazione della Minetti , del tubino nero e delle “feste eleganti “. Il Pdl, per le divisioni interne e nel tentativo di appeasement con l’opposizione, mette la sordina anche al proprio linguaggio e mezza museruola al ghigno di Cicchitto e della sua versione femminile, l’acidissima Santanché.
La Lega invece, stretta fra la necessità di dividere le proprie responsabilità da quelle di Berlusconi e la paura di nuove elezioni, non riesce a trovare la “quadra”. Balbetta qualcosa. Sentito fallito il federalismo ri-minaccia la secessione. Alla fine sceglie l’estetica e abbandona la politica.
Sceglie l’estetica della comunicazione, verbale e non verbale. Credo sia un Iapsus di Bossi il suo inveire contro i 102 anni della Montalcini, obiettivamente più giovane e in salute di lui. Oppure conta sulla pietas e la buona creanza da prima Repubblica dell’opposizione dalla quale anch’io fatico a dissociarmi.
Poi nella Lega si dividono i compiti. A Bossi l’estetica della comunicazione non verbale. A Calderoli e altri quella verbale. Nella palese carenza di fantasia, il capo rispolvera la canottiera “popolana” esibita per un giorno intero, in mezzo agli amici “borghesi”, evidentemente posando come una modella in quegli abiti che non si portano mai. Può bastare questo ai padani delusi?
A Montezemolo che si candida alla politica, minacciando i voti residui della Lega, l’elegante ministro della Repubblica, Roberto Calderoli, rivolge un raffinato discorso politico: “Finalmente sono arrivati i Montezemolo, quelle scoreggie d'umanità che non hanno mai lavorato in vita loro.”

Gli ultimi esempi in questa odorosa settimana politica (?) sono più spregiudicati. Intenzionalmente (ma non ne sono sicuro), si fa sfoggio di confusione fra arbitrio e governo. Ma forse davvero i leghisti non distinguono le due cose.
Il senatore della Repubblica, tale leghista Piergiorgio Stiffoni, così “avverte” Famiglia Cristiana che ha osato criticare il governo: “Un'altra volta che il giornale dei Paolini rigioca sporco, allora penseremo sul serio a tassare i patrimoni, in primis quelli ecclesiastici così il giorno dopo la redazione di Famiglia Cristiana deve portare scrivanie e computer in mezzo alla strada”. L’opposizione che, a ragione o a torto, ha una pessima opinione dell’intelligenza degli italiani, non osa replicare all’intimidazione “mafiosa”.
Né replica, mi pare, all’incredibile ministro Calderoli quando, contro i giocatori che osano discutere di contratto e di contributo di solidarietà agita lo spettro di un emendamento che raddoppi per gli amati/odiati professionisti del pallone il contributo discusso. Come i gangster dei filmetti che minacciano di cavare il secondo occhio. Qualcuno, sommessamente rimpiange Pomicino. Ma forse sta per tornare la politica. E una nuova estetica. (2)

FONTI    : (1) http://alessandrogerosa.ilcannocchiale.it/2011/11/20/lestetica_della_politica.html
( 2 )  http://nessunosiasprecato.blogspot.it/2011/08/lestetica-invece-
Eremo Via vado di sole, L'Aquila ,venerdì 27 aprile 2012

Ho guardato in un altro modo il mare

Ho guardato in un altro modo il mare

1.
Ho guardato in un altro modo il mare
e i monti e il viso
d’un vecchio
quando ho letto con il loro passato
i racconti e i versi che  parlavano
 della pioggia nella pioggia
della memoria d’un viaggio
d’un viaggio nel viaggio.
E così ho deciso di fare
un po’ di festa guardandomi
attorno.Io mai avrei pensato
fin da quando ero ancora un ragazzo
e leggevo ogni cosa  che quelle cose
vogliono dire assai più di quello
che non dicono.
Ma tu già lo sapevi
quando mi leggevi
quelle poesie che amavi  tanto
e che ora ho imparato a memoria.
Io non so dire altro ,
penso a questo incontro
e spesso mi viene voglia di dire
perché non parliamo  un poco tra noi
come facevamo una volta
che è poi un modo di stare ancora
insieme ,l’uno vicino all’altra,
ora che  non ci se più.
E frattanto il tempo vero e ingannevole
è diventato il mio debito con il mondo
che tormenta il canto del cuore
e trita la vita
a quanti come me non sanno
far altro che guardare il mondo
con la poesia.

2.
Preferisco i gatti
perché sanno misurare il mondo
e si fanno la guerra per amore.
Per amore, per amore
Ho accettato questa sorte
e se non fosse che devo mostrarmi
uomo piangerei.
Chissà poi se piangere è ancora più
da uomini ,quelli che si incamminano
verso la polvere
e che si sforzano di una pietà
sempre più perfetta.
Ora in questa primavera scontrosa
quando pare che ricominci la vita
anche la vita è un po’ scontrosa
piena di burrasche
e di vicissitudini sospese.
Ma poi a pensarci bene
viene in extremis il sereno
come in una lunga giornata
di pioggia
ed è come oltrepassare se stessi
con un muto desiderio
di pace.

3.
Lei era come una fiammata
d’azzurro nel cielo, di papaveri
nel campo
di rosso di carne,
di nero di miniera , di giallo
e verde d’un campo falciato.
Io non riuscivo a starle
dietro,in una vita fotografata
in un lampo  nei giorni e nelle notti
del nostro vivere.
Molte volte ripenso ,
nella immutata solitudine
dei giorni della sua assenza
e di tutte quelle altre sospese
dal respiro di un sisma,
quando tagliò il mio cammino
incerto ed oscillante.
Ora sciolta nel suo passato
tra flutto e flutto d’erba
là nella terra dei morti
sotto la collina  ombrosa
so che attende  un lampo di rosso
azzurro, giallo  verde e nero
per fonderli  in uno solo
immenso e lungo
quanto è lunga
questa vita e il suo tempo ancora.
E quello che mi rimane
lo conto ogni sera ad ora
di cena  e so che come  una ventata
di marzo  se ne va
verso dove di preciso
non lo so e la sola
sicurezza è quella  di questo cammino
ormai immutato.


4.
Lascia che la polvere riposi
sugli oggetti ,
conosce  pace e desiderio
come il nostro cuore  lasciato
in quegli oggetti.
Dorme il mare mentre
i pescatori tessono le reti
per dare vita al mare,
quel mare alto e profondo
delle canzoni, delle poesie
di tutta la gente di mare.
E sogna il mare
nell’ombra quieta della notte
quando solo si sente
il suo respiro  fin quaggiù
su questa terra, questa terra
dietro la collina
dove insonne ascolto  qualche rara
cicala senza coro
e dormo qualche raro  sonno
senza sogni .
Di profumi e di carezze
passò un amore ,carezze
senza possesso
e ora nei meriggi solitari ,
nelle notti insonni , nei giorni
fuori dalla prospettiva
di dipinti  che non si fanno
terminare  mi torna in mente
la pazienza del mare
che sa dov’è il disaccordo
della vita
quello che ne rompe il canto.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 27 aprile 2012

AD HOC :DA UN COMICO DILETTANTE A UN COMICO PROFESSIONISTA

AD  HOC :DA UN COMICO DILETTANTE A UN COMICO PROFESSIONISTA

La politica italiana,  l’analisi dei suoi problemi  e dei problemi della gente, dell’economia , del territorio  , le promesse di rinnovamento dei partiti,  annunciano una grande operazione di trasformismo  mai verificatasi nella storia del nostro paese.  Stando a quanto scrivono  Giovanni Sartori   ed Ernesto Galli della Loggia alla fine  il pericolo  potrebbe essere : la politica italiana, da un comico dilettante e un comico  professionista .

Scrive Sartori in  “RADIOGRAFIA DI UNO STRANO PARTITO. Com'è liquido il Grillismo”

Chiarisco subito: «liquidismo» è un termine che ricavo dal sociologo polacco Zygmunt Bauman che chiama liquide le società che cambiano troppo in fretta per restare solide. E comincio, qui, dal «partito liquido». Quando discettavo sui partiti e sistemi di partito (davvero parecchio tempo fa, il mio librone uscì nel 1976) i partiti liquidi non esistevano. I partiti importanti, allora, erano i partiti di organizzazione di massa (come i partiti comunisti, socialisti e religiosi). Poi la televisione divenne sempre più importante per la propaganda politica e così l'organizzazione divenne secondaria. A tal punto che da una ventina di anni parliamo del «partito leggero». Di leggero in leggero, siamo ora arrivati al «partito liquido» e persino alla cancellazione della parola partito. Secondo molti sondaggisti l'antipolitica, il rifiuto della politica, è ormai così profondo da costringere i partiti a non chiamarsi tali.

Intendiamoci: anche se travestiti i partiti esistono e devono (dovrebbero) esistere. Ma se la società liquida approda al «liquidismo», a un calderone nel quale tutto è disfatto e nulla rifatto, allora arriviamo a Grillo, che non solo è emblematico di questo processo ma che oggi ne è anche protagonista.

Io mi diverto ad azzardare previsioni. Su Grillo scrissi due editoriali nel settembre e ottobre 2007 nei quali notavo che il suddetto «entra in politica avendo prima creato una infrastruttura di supporto e di rilancio: internet, blog e una rete territoriale assicurata dai 224 meetups (gruppi di incontro) che in un giorno raccolsero 300 mila sottoscrittori per una legge di iniziativa popolare». Mica male, pensai. Ma la mia fu allora, ovviamente, una previsione prematura. Però oggi la «liquidificazione» della politica (vedremo alle prossime elezioni amministrative) riporta Grillo alla ribalta. Oggi, come allora, cinque anni fa, Grillo propone liste civiche spontanee «certificate» da lui (che alcuni sondaggi accreditano di percentuali alte al voto). E poi? E poi niente perché in ogni caso Grillo si dispiega soltanto nella politica che dico «orizzontale» che culmina nelle elezioni, ma non ha nessuna ricetta né comprensione sensata della politica «verticale» che partendo dalle elezioni deve creare, o anche ricreare ma pur sempre gestire, una immensa organizzazione gerarchica: appunto, lo Stato.

Nell'orizzonte mentale di Grillo questo potere è tutto suo. Ma non perché Grillo voglia essere un dittatore. Per carità. È che Grillo, spesso efficace nel criticare, è incapace di progettare. Quando propone le cose che sarebbero da fare, il più delle volte propone assurdità o sciocchezze. Con Grillo la politica liquefatta ci riporta all'«infantilismo politico» del quale parlava Lenin.

Dicevo che alle imminenti elezioni amministrative appariranno - si prevede - innumerevoli liste civiche, liste civetta e simili. Grillo, se ho capito bene, le «certificherà», dichiarerà se sono buone o cattive. O forse Grillo certificherà soltanto liste sue, liste di «grillisti». Vedremo. E vedremo a quel momento a che punto sia arrivata la «liquidificazione» della politica italiana. (1)


Scrive   Galli della Loggia in “ ISTITUZIONI, PARTITI, PERSONE.Nuovi scenari antichi riflessi.

Forzando un po' le cose, ma solo un poco, la scena politica italiana si presenta grosso modo così: i vecchi partiti boccheggiano e i nuovi, sebbene annunciati, non si sa ancora se, quando e come vedranno mai la luce; alla ribalta sembrano così rimanere sempre più solamente le persone. Le persone-partito da un lato, le persone-istituzioni dall'altro. Da una parte, cioè, Vendola, Di Pietro, Pannella (in questo senso un vero antesignano), Grillo e Bossi (sia pure molto malconcio): tutti e cinque padri-padroni e mattatori di formazioni tutte all'opposizione che senza di loro molto probabilmente non esisterebbero, ma che oggi raccolgono, comunque, almeno un quarto dell'elettorato. E dall'altra parte - ad essi virtualmente contrapposti non per loro volontà, ma per il solo fatto di essere le ultime trincee del sistema politico - Mario Monti in rappresentanza dell'istituzione governo, e insieme a lui Giorgio Napolitano, titolare dell'istituzione presidenza della Repubblica.

I vecchi partiti, invece, se ne stanno più o meno tutti nascosti al coperto dietro Monti e Napolitano. Sentono che il futuro non è tanto nelle proprie mani, non dipende tanto dai loro tentativi più o meno credibili di «cambiare» (quasi sempre fuori tempo massimo), quanto piuttosto da ciò che succederà in tre ambiti cruciali, ormai, però, pressoché fuori dalla portata di ogni loro eventuale intervento modificatore: la dimensione dell'astensionismo, la misura del successo delle formazioni dell'antipolitica, infine ciò che deciderà Monti circa il proprio destino politico.

La realtà ultima del nostro sistema politico è questa. Con una precisa chiave di lettura che si impone su ogni altra: la forte tendenza alla personalizzazione leaderistica. Tendenza che percorre come un filo rosso l'intera crisi della Repubblica in corso da vent'anni; che si afferma irresistibilmente tanto nella politica che nelle istituzioni; che è conforme ai tempi e all'esempio delle altre maggiori democrazie; che è assecondata dal consenso di quote ormai maggioritarie dell'opinione pubblica. Ma che invece fa a pugni con i più radicati pregiudizi sia della nostra cultura partitica tradizionale, tutta imbevuta di un finto parlamentarismo, sia di quella della maggior parte dei costituzionalisti i quali, ideologizzati non poco e attratti dal miraggio di un sempre possibile ingresso alla Consulta, si sono sempre mantenuti su posizioni di rigido conservatorismo.

Accade così che mentre una larga maggioranza di italiani esprime la propria fiducia nell'orientamento decisionista a forte caratura personale rappresentato dalla coppia Monti-Napolitano; mentre la massima parte della protesta contro le degenerazioni del sistema politico si aggrega anch'essa intorno a figure individuali di leader; mentre tutto questo avviene, i vecchi partiti, invece, si mostrino assolutamente sordi alla voce dell'opinione pubblica. La nuova legge elettorale a cui stanno pensando in maggioranza i partiti, infatti, ripercorre con qualche correzione le vie del vecchio proporzionalismo, lasciando quello italiano tra i pochissimi elettorati europei destinati a non sapere, la sera delle elezioni, chi li governerà a partire dall'indomani. Anche se poi, per confondere le acque, qualche leader lascia trapelare che per il dopo elezioni potrebbe magari, chissà, pensare a un nuovo governo Monti sorretto da una maggioranza di unità nazionale. Come dire: intanto ripigliamo in mano il gioco alle nostre condizioni, poi eventualmente penseremo a convincere l'ostaggio necessario a tenere buono il popolo.

(1) Giovanni Sartori  Il Corriere della sera  25 aprile 2012 | 15:55
(2)Ernesto Galli Della Loggia Il Corriere della sera 27 aprile 2012 | 8:24

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 27 aprile 2012

martedì 24 aprile 2012

FRAMMENTI : Governo di transizione

FRAMMENTI   : Governo di transizione


Comunicazione ufficiale del Consiglio dei Ministri

Come saprete, ultimamente si sono registrati diversi casi di suicidio che qualcuno ha voluto associare all'operato del governo in materia economica. Questa è una correlazione che ci teniamo a respingere, poiché non è nostra abitudine attribuirci meriti che non abbiamo.
Sappiamo però cogliere gli spunti che ci provengono dalla società, per trarne strategie utili a salvare l'Italia dallo spettro della Grecia, e traghettarla oltre l'oscura palude della crisi. Ci sono quindi una serie di misure dirette ad agevolare la mobilità in uscita dalla vita che ci sentiamo in dovere di adottare per il bene del paese, alleggerendo il carico sul welfare da tutti coloro che rallentano la marcia.

✓ Tutte le norme di sicurezza sui luoghi di lavoro saranno abolite. Oltre a rilanciare l'imprenditoria, a cominciare dall'edilizia, questo provvedimento attirerà gli investitori stranieri, incoraggiando quelli che erano stati ingiustamente penalizzati come la Thyssen-Krupp, e trattenendo quelli che vorrebbero allontanarsi, come la FIAT. La morte sul lavoro verrà classificata fra le corrette procedure di licenziamento per motivi economici ammesse dalla Riforma del Lavoro.
✓ La Sanità pubblica non fornirà più nessun farmaco, nessuna analisi diagnostica, nessun intervento né procedura medico-chirurgica. Il sistema immunitario degli italiani dovrà reimparare l'autosufficienza, oppure, nel caso delle sindromi autoimmuni, l'autodisciplina. Gli anticorpi che se ne dimostreranno incapaci verranno licenziati, insieme al corpo del lavoratore malato che li produce.
✓ Il codice della strada verrà abolito. Questa liberalizzazione favorirà anche il mercato dell'auto oggi in crisi, moltiplicando le occasioni di rottamazione. Particolari agevolazioni verranno inoltre fornite a chi potrà dimostrare, tramite apposito test, di guidare in stato di ubriachezza.
✓ Le sofisticazioni alimentari saranno depenalizzate, e incentivate. Nella prossima stagione de La Prova del Cuoco, a vincere sarà il concorrente che riuscirà ad avvelenare il maggior numero di giurati.
✓ Ogni terreno che ospiti una falda acquifera sarà adibito a discarica.

✓ Occorre inoltre un'immediata ulteriore riforma del sistema previdenziale. A partire dalla prossima scadenza, i pensionati saranno tenuti a versare mensilmente la cifra che hanno finora percepito. Oppure tornare al lavoro seguendo l'alto esempio del Presidente e del Pontefice, i quali, benché ultraottantenni, rimangono entrambi a loro posto, disponibili anche a scambiarselo in caso di necessità.


C'è però un indeterminato numero di individui che non hanno più un loro posto in nessun luogo, e vagano fra le nebbie della terra di nessuno. Esiste una regione tra la luce e l'oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l'oscuro baratro del licenziamento, e le vette luminose della pensione: è la dimensione degli esodati, e si trova ai confini della realtà.
Fedele al suo compito di traghettatore, il governo s'impegna a risolvere anche la condizione di questi esseri sospesi nella zona del crepuscolo. Guidandoli verso la luce.

Infine per quelli che si preoccupano della ricostruzione di L'Aquila  è stata disposta per la "small city " la pubblicazione di una nuova collezione di figurine punti da inserire nei principali prodotti di pulizia per la casa . Gli aquilani   sono invitati alla raccolta punti . Il catalogo premi  ( vari modi di ricostruire la propria abitazione: con la fantasia, con l'drangheta, con  i modelli riviste   cartacee patinate ) sono disponibili presso i migliori esercizi comerciali .

Pubblicato Aprile 23, 2012 08:44 AM | TrackBack  Governo di transizione di Alessandra Daniele
Da   http://www.carmillaonline.com/archives/2012/04/004272.html#004272

Eremo Via vado di sole, L'Aquila ,martedì 24 aprile 2012

lunedì 23 aprile 2012

ET TERRA MOTA EST : L’Aquila, nel centro storico solo puntellamenti di ferro e legno. E niente ricostruzione

ET TERRA MOTA  EST  :  L’Aquila, nel centro storico solo puntellamenti di ferro e legno. E niente ricostruzione

storia delle ordinanzeIl capogruppo Prc in consiglio comunale: "Erano opere provvisorie, ma la garanzia di affidabilità delle strutture è scaduta. Nessuno ora si sta ponendo il problema di metterli in sicurezza". La zona rossa è ferma alle 3:32 di tre anni fa. Sull'asfalto ancora estintori di quella notte e auto schiacciate dalle macerie
Tre anni dopo, “non esiste alcun progetto di revisione”. Il centro storico dell’Aquila poggia ancora sui “puntellamenti”, pezzi di legno e ferro costati circa 200 milioni di euro, destinati a marcire. Opere iniziate dopo il sisma del 6 aprile 2009 per mettere in sicurezza gli edifici che dovrebbero essere revisionati.

La garanzia di tre anni di affidabilità delle strutture è scaduta e ora è arrivato il momento di rinnovarla. Enrico Perilli, capogruppo Prc in consiglio comunale, spiega però che “non ci sono soldi se non per la ricostruzione. I puntellamenti (qui il resoconto in pdf dei costi per il Comune) erano opere provvisorie, lo si sapeva fin dall’inizio, nessuno ora si sta ponendo il problema di metterli in sicurezza”. Perilli, di queste opere si è occupato fin dal settembre 2009, presentando interrogazioni alla Giunta capitanata dal sindaco Massimo Cialente (Pd). “Quello dei puntellamenti è stato il primo grande business dopo il terremoto. Non sono state fatte gare d’appalto e le ditte hanno lavorato per milioni di euro attraverso chiamate dirette”.



Per ora, in città, abita solo il silenzio. Durante la settimana, si sente solo un po’ di musica diffusa dalle casse dei pochi bar aperti e il motore dei mezzi militari che presidiano la zona rossa, estesa a gran parte del centro storico. Vietato entrare se non si dimostra di lavorare in un cantiere. Anche se la casa è di proprietà: per girare la chiave nella serratura occorre essere accompagnati dai vigili del fuoco. E qualcuno si chiede “che l’hanno puntellata a fare, la città, se poi non ci si può mettere piede per ragioni di sicurezza”.

progetti di ricostruzioneL’area off limits è rimasta ferma alle 3:32 di tre anni fa. Ci sono quei pezzi di legno e ferro a fare da stampelle ai palazzi, ma tutto appare congelato. Sull’asfalto ancora estintori di quella notte e auto schiacciate dalle macerie; nelle case, abiti negli armadi, bottiglie nei frigoriferi, dispense ancora piene di cibo ormai marcio. Intorno, la vita degli aquilani, spostatasi nelle 19 “new town” berlusconiane e nei centri commerciali. E tante chiacchiere: parole, convegni, promesse che hanno un costo.

La struttura commissariale creata per fronteggiare la “questione Aquila”, al cui vertice siede Gianni Chiodi, presidente Pdl della Regione Abruzzo, fino a qualche giorno fa vedeva all’opera “oltre trecento persone”. E’ l’assessore comunale con delega all’Assistenza alla popolazione Fabio Pelini a mettere in evidenza la complessità e i costi della governance. Fino all’ordinanza del ministro alla Coesione territoriale Fabrizio Barca di due settimane fa, questa era composta da Sge (Struttura gestione emergenza), Stm (Struttura tecnica di missione), Commissione tecnico-giuridica (quattro membri più un capo-segreteria “per una spesa di 400mila euro l’anno” fino a fine marzo 2012), più figure che si occupavano di smaltimento macerie, beni culturali e altre incombenze. Lo stipendio del solo vicecommissario Antonio Cicchetti nominato nel settembre 2010, si legge nel testo di Pelini, era di “232mila euro annui”. Stesso pagamento, continua la relazione, per il coordinatore della “Struttura tecnica di missione” Gaetano Fontana e trattamento economico «di tutto rispetto» per il coordinatore della “Struttura gestione emergenza” Roberto Petullà: “Stipendio base, 200 ore di straordinario festivo e notturno, 70 ore di ulteriore straordinario, se effettivamente reso, e il trattamento di missione, più 30 mila euro gentilmente concessi dal commissario con il decreto 65 del 28 giugno 2011″. Nel documento di Pelini si parla anche di lauti compensi a urbanisti ed economisti per la stesura di “qualche paragrafo” e di “professionisti ad alta qualificazione informatica da 60mila euro l’anno”. Ora, a tre anni di distanza, la Struttura gestione emergenza è stata smantellata, e così la Commissione tecnico-giuridica: termina il suo incarico anche il vicecommissario, mentre cambia nome la Struttura tecnica di missione, che diventa “Ufficio coordinamento ricostruzione”.

Restano, però, tante sigle. Quelle della struttura commissariale, e quelle delle abitazioni: dalle C.a.s.e, complessi antisismici sostenibili ecocompatibili, ai M.a.p, moduli abitativi provvisori, fino alle lettere che indicano il grado di agibilità delle abitazioni di proprietà, da “A”, agibili, fino a “E” che significa “gravi danni strutturali”. Gli aquilani di neologismi e acronimi farebbero volentieri a meno: sopratutto i 33.700 che ancora non sono tornati nelle loro abitazioni e che si aggrappano alla speranza che quei 5,7 miliardi a disposizione per la ricostruzione di cui ha parlato il ministro Barca possano portare a risultati concreti.

“Si è creato un ingorgo giuridico e procedurale che ha bloccato la rinascita della città”, spiega l’assessore comunale alla ricostruzione Pietro Di Stefano. “Qui si è trasferita la peggiore delle burocrazie e si sono volute sperimentare cose abominevoli: spero che qualcuno un giorno si assuma la responsabilità di tutto questo”. Emanuele Imprudente, consigliere aquilano dell’Mpa per il Pdl, sottolinea però che “le colpe non sono tutte di una parte. Il problema c’è stato con il passaggio dallo Stato al sistema locale. Cialente non aveva poteri commissariali e da qui si è iniziata a politicizzare la ricostruzione”.

Spettatori di questo immobilismo, i cittadini avvertono solo i litigi fra politici. “Si danno la colpa a vicenda, e intanto tutto rimane fermo – dice una signora davanti a un’edicola – Per noi ricostruzione è solo una parola che compare sulle carte e nei convegni. Ora, però, vogliamo concretezza”.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/06/laquila-centro-storico-solo-puntellamenti-ferro-legno-nessuna-ricostruzione/202790/#.T5VVgQVHUcY.facebook

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 23 aprile 2012

domenica 22 aprile 2012

E IL RITORNO LASSU’ - poesie –

E IL RITORNO LASSU’  -   poesie –


1.
E il ritorno lassù tra le antiche
strade e i muri sbrecciati ,
i campanili silenziosi e le fontane mute
è come un filo d’Arianna
d’una vita. Quante vite . Dove
si gonfia quel mare di soglie povere,
usci vuoti ,gugliate  gugliate
di luce e sole  perdute
nei cortili e sui cornicioni
della mia città lassù.
Lassù non ci sono voci , non senti
“come va “,”prendi un caffè”,
“che cosa mi racconti “.
Senti solo pensieri come cumuli
di terra da riporto  e non c’è
più nessuno, sono tutti di passaggio .
Mentre sono qui è come guardare
il volto d’Iddio  caldo di speranza
con l’occhio  di una lungimirante
preghiera sulle labbra
e  poi cedere a poco  a poco al freddo

2.
Perché parlare di sogni
mentre lavi le tazze del caffè latte
e togli le briciole  delle fette di pane .
E’ un mattino come un altro
con un po’ di sole  e molto vento
di questa pronunciata primavera .
E’ uno dei giorni in cui viene da dire
“vieni a passeggiare  questo pomeriggio
se il tempo mantiene “   e sta tutto qui
l’ingarbugliato pensiero di una vita
che ora si dipana  nel quotidiano
con la fretta  di chi non ha più
molto tempo  e s’ingegna
a non pensare quando sarà sull’uscita.
Che  sarà limpido quel sentiero
di fitti incontri  e forse ancora di traversie
ma  non più solitario .
Compagni gli amori vecchi e nuovi
nei giorni incerti al crocevia del tempo,
letti nei versi  dei poeti  , compagni
delle notte insonni di ansia
quando anche il dolore ha fine,
compagna tu finalmente ritrovata.
E tutto per anticipare i baci ritrovati
Nella luce dissipata d’un giorno
che volge alla fine  iniziato
sparecchiando la tavola
dei rimasugli della colazione.

3.
 “Tu che continui a dirmi che verrai domani
e non capisci
che per me  il domani è già passato …”
Così leggevi
in quel piccolo libro di poesie
ed  era come  parlare
un po’ tra noi  ed io ti amavo
troppo  per mentire o consolarti.


4.
E tornare ancora lassù
tra i giorni dissipati , teneri
e pieni d’ombra tra il rosa
delle albe e quell’acceso
arancio  di tramonti di sole.
Tornare lassù, come a chiedere  perdono
per non essere  più capaci
di vedere l’immagine dei baci
il suono dei canti
il rumore dei sogni.
Varcare poi  appena appena
la porta delle chiese
che non hanno più soglia
per pronunciare una preghiera
come quelle delle devozioni della sera
quando scacci dal sonno
case grigie e volti di uomini
voci e parole, insonnia, il tempo
d’una giornata ormai passata.
Tornare lassù come un mesto
rituale senza vita
che la vita di qui è passata
ed è oggi  scomparsa.
In questa vecchia casa
non ci sono più vecchi
che cuciono il tempo
con i ricordi
e non ci sono bambini
che guardano dalle finestre  le rondini .
Ora c’è il peso della terra
della polvere , del cuore
che ha perso ogni carità
e non sa più dire
lassù , lassù sono  tornato
e ho  trovato le immagini
addormentate dell’amore
l’amore di chi
di qui passò e poi scomparve .

5.
Io salivo nel silenzio
la costa pietrosa
e l’ombra delle case
pareva appannata
come un amore impari.
Poi nella grande piazza
alla sommità
un chiacchiericcio di sole
vendeva i propri meriti
ma portava sempre
il lutto
di tutta quella devastazione
attorno.
Io non ho ora più
il coraggio di ricercare
i luoghi delle scorrerie
d’estate  e delle passeggiate
dell’età matura.
E nemmeno più il coraggio
d’un amore senza limiti
che ti perde per la vita
e per la vita ti fa andare
alla deriva
tra memoria e desiderio.
Da lassù ora ho voglia
di andare via
e dico a bassa voce
- io ti lascerò -.
Passato ed avvenire si invertono
lo so
ma ho salvo l’uso della parola
per poter dire sempre
che il dolore brucia sempre
tutti allo stesso modo
chi va e chi resta.

6.
L’altro ieri in sogno
ho visto un quadro di Chagall
e le mani e le ciglia e gli occhi
e i balconi e le braccia
dipinte sembravano  luoghi
dove si è perduto il cuore.
Un cuore perduto dietro il sole
sulle case offuscate dalla sera
case di pietra come anime struggenti
della terra
al passo del nostro tempo
ma anche senza tempo.
Ho visto campi color vinaccia
del pomeriggio  e rocche brunite dal tempo
e dal colore taciturno
splendido e un po’ smaniose
di dialogare nelle vicende
che accarezzano il cuore.
E proprio del cuore dirò
dirò di un cuore perduto
come il sogno dell’altro ieri
nel vino delle feste familiari
ricordate con un po’ di nostalgia
e commozione o tra le lacrime
che bagnano le mani
allacciate intorno
a quella voce che sola batte
sulle sillabe.
D’ un cuore dissonante
dunque parlerò
come di un quarto di luna
come di una crepa sull’asfalto
come di un silenzio
che suona strano anche a Dio.
Di questo parlerò come  per guardarmi
indietro  con curiosità
e avrò voglia di parlare
per poco  con l’improvvisa certezza
che è forse inutile
ora, parlare ancora.

7.
Quando poi ti accorgi che il silenzio
sopra un foglio bianco
è un assedio di frasi che ballano
a somiglianza di un riflesso ,
è tardi per dire  che un bicchiere
è un bicchiere, una sedia una sedia,
una penna una penna.  Un sorriso
un sorriso.
Devi dire che ci sono giorni che ritornano
notti uguali ,due baci somiglianti ,
due sguardi tali e quali.
Perché invece “ non c’è giorno  che ritorni,
non due notti uguali uguali ,
né due baci somiglianti ,
né due sguardi tali e quali “.
Così avviene che smette di piovere,
ti cucini un piatto di pasta,
e dormi qualche ora nel pomeriggio .
Avviene così, semplicemente
che andando in giro per la città
ti ritorna in mente quel silenzio
e una via dopo l’altra
ma senza ritorno,
errori , dolori  speranze, propositi
e nuove speranze  riempiono quel silenzio
e non hai più bisogno di frasi
perché tutto diventa
stupore su stupore
amore su amore
sogno su sogno ,
in poche parole,  un silenzio
che ha lasciato qualcosa per dopo .

Le foto sono di Erica Simone
Eremo Via vado di sole, L'Aquila, domenica 22 aprile 2012

sabato 21 aprile 2012

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI : fare poesia

VERSI D’ALTRI E ALTRI VERSI   :  fare poesia


Non a tutti è concesso il privilegio di creare testi poetici; eppure tutti si possono divertire a scrivere versi con il sistema delle CODE; si tratta di una applicare una tecnica semplice: seleziona i termini finali di un testo poetico di tua scelta, e formula il verso di tua creazione.


Ecco un esempio
"Novembre"
Gèmmea l'aria, il solo così chiaro
che tu cerchi gli albicocchi in fiore
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto è il cielo, e cavo al pié sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie nun cader fragile. E' l'estate,
fredda dei morti.
                                                                                     (G. Pascoli)
E' un novembre chiaro,
c'è un fiore
amaro nel mio cuore.
Secche sono le piante,
aspettano il sereno.
Vuoto e sonante
è il terreno;
grandi ventate
negli orti.
E' l'estate
dei morti.
Provate anche voi con le vostre poesie preferite.                                               

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 21 aprile 2012

venerdì 20 aprile 2012

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : La fenice

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI  : La fenice

La Fenice, o Phoenix, è un favoloso uccello, dotato di longevità e caratterizzato dal suo potere di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte. Esso simboleggia così i cicli di morte e risurrezione. Georges Cuvier (1769-1832) ha visto in lui il fagiano dorato (Chrysolophus pictus). È stato anche identificato con l'uccello del paradiso.
Degli uccelli favolosi ugualmente chiamati Fenice si trovano  nella mitologia cinese (fenghuang) e persiana (simurgh).

    MITOLOGIA

    L'araba Fenice

    Un racconto arabo del XIII secolo, scritto da Attar "Il linguaggio degli uccelli" racconta una epopea mistica nella quale gli uccelli cercano il loro re, il Simurgh, e infine arrivano al suo palazzo, al di là dei sette mari, per scoprire che sono loro stessi il Simurgh e che Simurgh è sia uno che tutti.
    La Fenice è stata dipinta su bottiglie di vetro per conservare dei veleni. In questo modo, gli arabi credevano di essere preservati dall'avvelenamento.



    Phenix_roses_Antioche_mosaicoLa Fenice greca egiziana

    La prima menzione della Fenice si trova in Esiodo, il primo poeta greco del quale possediamo notizie storiche. Ecco i versetti dell'enigmatico frammento 50:

Di nove uomini forti così la ciarliera cornacchia

vive la vita; il cervo di quattro cornacchie, e il corvo

diventa vecchio quanto tre cervi. La fenice, poi, vive

per nove corvi; per dieci fenici viviamo noi Ninfe,

ricciole belle, figlie di Giove dell’egida sire.

(traduzione di Ettore Romagnoli, 1929)

    Erodoto è il primo a fornire una versione dettagliata del mito e ne parla nel secondo libro delle sue Storie, quello dedicato all’Egitto:
    II,73. “C’è anche un altro uccello sacro che si chiama fenice. Io non l’ho mai visto, se non dipinto; poiché, tra l’altro, compare tra loro soltanto raramente: ogni 500 anni, come affermano i sacerdoti di Eliopoli; e si fa vedere, dicono, quando gli sia morto il padre.
    “Per dimensioni e per forma, se è come lo si dipinge, è così: le penne della chioma sono color oro, le altre sono rosse; soprattutto esso è molto somigliante all’aquila per forma e dimensioni. Dicono che esso compia un’impresa di questo genere (ma secondo me il racconto non è credibile): cioè, partendo dall’Arabia, porta nel tempio del sole il padre, tutto avvolto nella mirra, e lo seppellisce nel santuario del Sole.
    “Per trasportarlo farebbe così: prima di tutto, dicono, impasta con la mirra un uovo grande quanto le forze gli permettono di portarlo; poi si prova a tenerlo sollevato e, quando si sia in tal modo allenato, avendo svuotato l’interno dell’uovo, vi introduce suo padre. Quindi con altra mirra spalma la parte per la quale ha praticato lo svuotamento e introdotto il padre, di modo che, essendovi quello dentro, si ristabilisce il peso di prima; avendolo dunque così avvolto, lo trasporta in Egitto nel santuario del Sole. Ecco quanto raccontano di questo uccello.”
    (traduzione di Luigi Annibaletto, 1956)

    Erodoto, che probabilmente trae le sue informazioni dall'Hecataeus di Mileto, descrive la Fenice come un vero e proprio uccello che si assimila a Bennu, un uccello sacro d'Egitto. Bennu è una manifestazione del dio Ra e il dio Osiride. Il suo canto è così splendido da far incantare anche le divinità ma la sua caratteristica principale è quella di poter vivere molti secoli, addirittura cinque, per poi morire in un bellissimo falò da cui rinascerà subito dopo. Gli antichi egizi furono i primi a parlare della Fenice come del Bennu, nome che deriverebbe dal verbo “benu” che significa risplendere, sorgere o librarsi in volo). I testi delle piramidi parlano di un uccello simile ad un airone comparso sulla prima collina emersa dalle acque primordiali e pure nella restante tradizione non si fa riferimento alla sua immortalità.

    Egretta garzettaIl volatile più idoneo a rappresentarla è la Garzetta: una specie di uccello affine all'airone, di cui numerosi esemplari vennero sterminati solo poiché i loro ciuffi costituivano le "aigrettes" usate per confezionare i pennacchi coi quali si adornavano le dive. Come l'airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall'acqua, la Fenice venne associata col sole e rappresentava il BA ("l'anima") del dio del sole Ra , di cui era l'emblema — tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra.
    Secondo altri, la fenice che Erodoto descrive non si riferisce al Bennu ma è la variante greca del mito orientale dell'uccello del sole, che avrebbe simboleggiato il "grande anno", cioè il tempo necessario per completare un ciclo equinoziale.


    La Fenice romana

    Ovidio nelle Metamorfosi - XV,392 - colloca la fenice in Assiria:
    Esiste un uccello che da solo si rinnova e si riproduce:
    gli Assiri lo chiamano fenice; non vive di frutti né di erbe,
    ma di lacrime d’incenso e di succo di cardamomo

    Lo storico latino Publio Cornelio Tacito parla della fenice nei suoi Annales:

    Durante il consolato di Paolo Fabio e Lucio Vitellio [eletti consoli nel 34 dC], dopo un lungo volgere di secoli, l’uccello fenice giunse in Egitto, e ai più dotti fra nativi e fra i Greci fornì l’occasione di molte disquisizioni circa quel prodigio. Mi fa piacere riferire quelle cose su cui si concorda e quelle cose ancor più numerose che sono controverse, ma che vale la pena conoscere.
    Questo animale è sacro al Sole e coloro che ne hanno raffigurato le fattezze sono concordi sul fatto che  è diverso da tutti gli altri uccelli per l’aspetto e per la varietà dei colori delle penne: sul numero dei suoi anni vengono riferiti dati diversi. La durata che va per la maggiore è di 500 anni: ci sono alcuni che affermano che si frappone uno spazio 1.461 anni, e che i precedenti uccelli, in primo luogo sotto il regno di Sesoside [Sesostri III, 1878-1843 aC], in seguito ai tempi di Amasi [569-526 aC], quindi ai tempi di Tolomeo terzo re d’Egitto di stirpe macedone [Tolomeo Evergete, 247-222 aC], sono giunti in volo nella città di Eliopoli, con un’abbondante scorta di tutti gli altri uccelli rimasti stupiti dall’aspetto singolare.
    Ma certamente gli avvenimenti del passato sono incerti: tra Tolomeo e Tiberio [imperatore dal 14 al 37 dC] intercorsero meno di 250 anni. Per cui alcuni hanno ritenuto che questa fenice fosse falsa e che non provenisse dai territori degli Arabi, e che non avesse fatto nulla di ciò che l’antica tradizione aveva stabilito.
   Così, compiuto il numero degli anni, quando la morte si avvicina, costruisce un nido nel suo territorio e gli infonde il vigore genitale dal quale scaturisce il neonato; appena diventato adulto ha come prima preoccupazione quella di seppellire il padre, e non lo fa a caso, ma dopo aver sollevato un fardello di mirra e dopo aver fatto una prova su un lungo percorso, quando il peso è giusto rispetto al percorso da compiere, sostiene il corpo del padre e lo trasporta all’altare del Sole e lo brucia. Queste cose non sono certe e sono ingigantite da leggende: del resto non si dubita che talora questo uccello venga scorto in Egitto.

    La Fenice cristiana

    Il mitico uccello evoca, elegantemente, il fuoco creatore e distruttore. Come il sole, il fuoco simboleggia l'azione fecondante che consumandosi purifica e consente la rigenerazione. Lucifero, il "portatore di luce" precipitato nell'inferno, incarna il fuoco che non si consuma ed esclude la rigenerazione. Al contrario, alla fenice aderisce il simbolismo del fuoco e dei riti iniziatici di morte e di rinascita.
    In alcuni riti di cremazione il fuoco è anche considerato come un veicolo: il messaggero dal mondo dei vivi a quello dei morti. Allo stesso modo, la fenice è spesso una stella che indica la sua natura celeste e la vita nell'altro mondo.
    GrifoneIl Medio Evo ha visto nella Fenice il simbolo della risurrezione di Cristo

    Dobbiamo ricordare che anche il grifone è una rappresentazione di Cristo e deriva dal fatto che è un animale terrestre (corpo di leone) e di aria (ali di uccello). La parte terrestre rappresenta il corpo di Cristo e la Sua presenza sulla Terra tra gli uomini e la parte aerea rappresenta la spiritualità di Dio.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 20 aprile 2012

mercoledì 18 aprile 2012

INTERSTIZI : Iconografie dal medioevo

INTERSTIZI   :   Iconografie dal medioevo

Qualche tempo addietro entrando in una chiesa in stile “romanico” del XV secolo mi trovavo ad osservare alcuni affreschi venuti alla luce dopo recenti lavori di restauro. Vi erano rappresentate scene di caccia, e tanti personaggi: frati, arcieri, soldati, mendicanti. Un tipico panorama medioevale. Colori sgargianti e luminosi: rosso, cobalto, indaco, porpora, bianco, nero.

Quella che riluceva davanti ai miei occhi era la scenografia che faceva da contorno alle funzioni religiose di un qualsiasi individuo del Quattrocento.

Riflettevo su quanto queste rappresentazioni potessero “occupare” l’universo mentale del paradigmatico contadino medievale venuto ad ascoltare la funzione religiosa. Considerando la lingua latina in uso durante le celebrazioni e l’analfabetismo medio dei tempi, non è difficile immaginare il ruolo “pedagogico” e formativo svolto dai cicli e dagli affreschi come quello dispiegato davanti ai  miei occhi.

Una “pastorale delle immagini”, ecco cosa avevo davanti.

Un assoggettamento produttivo capace di generare mondi per noi incomprensibili.

Inutile dire che oggi  queste rappresentazioni non sono in grado di trasmetterci nulla i più rispetto alla immediata “impressione estetica”. Quasi tutti i simboli, i gesti, i colori, che per l’individuo del medioevo erano un tramite ricco di semantica (un “segno” secondo l’accezione di Deleuze), sono per noi privi di significato. Quasi nulla oltre alla sollecitazione del giudizio estetico.

Immagini e cicli  facevano da “sfondo” ad un officio liturgico totalmente estraneo, nella sua prassi, a quello attuale, figlio delle riforme conciliari e delle “ristrutturazioni” ideologiche post-Tridentine.

Riflettiamo sulla differenza più “vistosa”, quella legata all’odierna interazione tra fedeli e officiante. Gli uni  e gli altri “partecipano” secondo le rigide modalità liturgiche del “Mysterium Fidei”  e esperiscono direttamente, attraverso gesti e rituali, il “Sacrificio” in atto. Ordine, disciplina e ritualità tendono a coincidere, nell’immaginario attuale, con questa esperienza del “Sacro”. Ben diversa era la declinazione prassica del fedele medioevale abituato ad una certa “caoticità” e ad una maggiore “distanza” rispetto all’officiante. La conseguenza era una certa libertà ed un maggior disordine durante le funzioni: fedeli che si alzavano nel corso della celebrazione, altri che pregavano (simili a tante vecchiette che anche oggi non riescono a star dietro al “ministro”), altri ancora che chiacchieravano tra di loro, litigavano, concludevano affari. A dimostrazione di quanto affermato  pensiamo alla conclusione delle rivolte palermitane del 1517, quelle culminate con l’eccidio dei rivoltosi facenti capo a Gianluca Squarcialupo. La strage avvenne durante una celebrazione liturgica, secondo modalità bestiali difficilmente immaginabili anche per l’epoca della “morte di Dio”.

Il fedele medioevale viveva, quindi, il “sacrificio Eucaristico” secondo modalità ben diverse da quelle attuali. La scenografia, in tale ordine, era non soltanto lo sfondo ma anche il medium capace di costituire l’immaginario attraverso il quale il singolo esperiva il proprio rapporto con la Divinità. Cicli pittorici rappresentanti vite dei santi, miracoli, ex voto, lotte con i diavoli e con creature bestiali plasmavano l’universo trascendentale in misura molto maggiore rispetto a tante prediche pur molto più celebrate dalla tradizione. In tale ottica, e solo a titolo d’esempio, si potrebbero formulare alcune questioni.  Quanto, e secondo quali modalità, i cicli pittorici fiamminghi influirono sulla mentalità religiosa pre-protestante? Quale l’influsso sull’immaginario di streghe, beghine e indemoniati?

Per cercare di non perdersi del tutto in mezzo a foreste popolate di orsi, di pastori, di lupi, per cogliere la semantica celata dietro ad un gesto di benedizione, ad una postura, ad un sorriso o, viceversa, ad un gesto di disperazione, voglio consigliare un bel libro di Chiara Frugoni (foto): “La voce delle immagini”. Pillole iconografiche dal Medioevo”, edito per i tipi dell’Einaudi.

Tutta una simbolica, legata ad un universo religioso a noi sconosciuto, qui trova delucidazione. Non è scorretto pensare al volume della Frugoni come ad una completa grammatica della semiotica medievale e proto moderna.

Osservando le centinaia di immagini che accompagnano il libro resteremo sorpresi nel constatare come alcuni dei gesti che ancora oggi compiamo affondino le proprie “radici” nel medioevo dei bestiari e dei demoni.

“Le immagini medievali si esprimevano con una loro lingua fatta anche di gesti in codice, di convenzioni architettoniche, di dettagli allusivi, di metafore e di simboli:se non li conosciamo quelle immagini non hanno voce” (C.Frugoni).

Il volume è composto da 6 capitoli più una completa bibliografia e un utile indice dei nomi.

Vengono analizzati: i linguaggi del potere, quelli del dolore, le convenzioni simboliche, ovvie per i medievali ma non per noi, le rappresentazioni dell’Altro, la semantica relativa a Gesù, Maria e le vicende loro correlate.

Alla fine della lettura ci si rende conto di quanto quel “mondo sia così diverso eppure uguale” dal nostro. Le chiavi di lettura forniteci rappresentano il primo passo per entrare in un mondo che troppo spesso immaginiamo per stereotipi e luoghi comuni che poco hanno a che dividere con “quello che fu”.

Chiara FRUGONI, LA VOCE DELLE IMMAGINI. Pillole iconografiche dal Medioevo, Einaudi, Torino 2010, pagg. 328, euro 35.
ott8 by sentieri erranti  di Fabio Milazzo

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì  18 aprile 2012

OVIDIANA : Il racconto del diluvio nelle Metamorfosi di Ovidio

OVIDIANA : Il  racconto del diluvio nelle Metamorfosi   di Ovidio

L’avventurosissima narrazione della grande pioggia primordiale che ci ha tramandato la mitologia greco-romana  si trova in  fonti  numerosissime e spesso tra di loro contraddittorie. La più famosa descrizione indoeuropea del diluvio,è dovuta al poeta romano Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-17 d.C.) e contenuta nelle "Metamorfosi", opera in quindici canti pubblicata nei primi anni dell'Era Volgare.
Secondo il mito fatto proprio anche dai poeti cinquecenteschi dell'"Arcadia", la storia delle origini dell'uomo si può dividere in quattro età: dell'oro, dell'argento, del bronzo e del ferro, ognuna più corrotta delle precedenti, come ogni metallo é più vile di quelli che caratterizzano le ere anteriori, in un crescendo di ingiustizia e di barbarie. All'ultima pone fine appunto il diluvio. Giove infatti, insospettito dal comportamento degli uomini, prende sembianze umane e si reca sulla Terra, dove chiede ospitalità a Licaone, re dell'Arcadia. Questi intuisce che il suo ospite é di natura divina ma, invece di accoglierlo subito con gli onori che egli merita, per sincerarsi se é o no un mortale tenta di assassinarlo nel sonno; poi, resosi conto ché é davvero un dio, per onorarlo uccide un ostaggio e gli imbandisce le sue carni. Giove, inorridito, si vendica facendogli crollare la casa e trasformandolo in un lupo. Tornato sull'Olimpo, raduna il consesso degli dei e spiega loro a qual segno di malvagità siano giunti i mortali. Conclude:
"Occidit una domus, sed non domus una perire
degna fuit; qua terra patet, fera regnat Erinys;
in facinus iurasse putes. Dent ocius omnes
quas meruere pati - sic stat sententia - poenas!"
(libro I, vv. 240-243)
"Una sola casa é caduta, ma non una casa sola fu meritevole di perire; quant'é ampia la terra, vi domina la feroce Erinni; credereste che abbiano fatto giuramento di empietà. é ormai tempo - questa é la mia ferma decisione - che tutti subiscano le pene che hanno meritato."
Tutti gli dei approvano, anche se alcuni sono titubanti, non sapendo più chi offrirà loro i sacrifici, se non ci saranno più uomini sulla Terra. é così che viene decisa la salvezza di un uomo, Deucalione figlio di Prometeo (il Titano famoso per aver rapito il fuoco agli dei) e Pirra figlia di Epimeteo, fratello di Prometeo. A differenza del mito babilonese, dunque, gli dei greci decidono di sterminare l'umanità non perché li infastidisce, ma perché si é corrotta ed é divenuta malvagia, e i sopravvissuti non si salvano contro il parere degli dei. Ci riavviciniamo, così, alla concezione biblica; non é affatto improbabile che tra pagina biblica e mito greco ci siano stati dei contatti, vista la grande diffusione delle comunità ebraiche nel Mediterraneo antico, ma non é il caso di affrontare questo discorso.
La distruzione dell'umanità non avviene tramite il fuoco, ma tramite l'acqua; così Ovidio descrive il perché di questo fatto, con versi divenuti giustamente celeberrimi:
"Iamque erat in totas sparsurus fulmina terras;
sed timuit ne forte sacer tot ab ignibus aether
conciperet flammas longusque ardesceret axis" (253-5)
"Già s'accingeva a spargere le folgori su tutta la Terra, ma temette che l'etere sacro s'infiammasse per così tanto fuoco, e ardesse il lungo asse dei cieli."
E', questo, il mito dell'ecpirosi finale del mondo: tutto é nato dal fuoco e tutto ad esso dovrà ritornare (si pensi ad Eraclito, ma anche alle nostre teorie sul Big Bang e sul Big Crunch!). E così, Giove rinchiude i venti che disperdono le nubi temporalesche, e dà libero sfogo a Noto, famoso vento foriero di tempeste. La dea Iride, messaggera di Giunone, attinge le acque e le riporta ad alimentare le nubi. Ma non basta; come nella Bibbia, il diluvio é provocato sia dalle acque superiori che da quelle inferiori:
"Nec Caelo contenta suo est Iovis ira, sed illum
caeruleus frater iuvat auxiliaribus undis" (274-5)
"Né all'ira di Giove basta il cielo, che é suo, ma a lui viene in aiuto il ceruleo fratello, con le onde come ausiliarii."
L'azzurro fratello é, evidentemente, Poseidone, che ordina ai fiumi di squarciare le proprie fonti, spezzare gli argini ed invadere la Terra. Inoltre, nella mitologia greca, Poseidone é anche dio delle acque inferiori, e quindi dei terremoti, segno probabile di un'antica attribuzione a lui anche del titolo di dio delle profondità, prima che gli Indoeuropei giungessero al mare, quando ancora percorrevano le steppe dell'Asia. Così, egli provoca anche scosse telluriche:
"Ipse tridente suo Terram percussit; at illa
intremuit motuque vias patefecit aquarum." (283-4)
"Egli stesso col suo tridente percosse la terra; essa sussultò e con il proprio moto aprì le strade all'acqua."
Dunque, anche nella leggenda greca il diluvio ha una doppia origine: pioggia e terremoto. Una curiosa coincidenza con il racconto biblico, dunque; eppure Ovidio era solo un poeta erotico, non un vate ispirato da Dio! E che si trattasse di un degnissimo poeta, terzo dopo Omero ed Orazio nel cenacolo dei poeti descritti da Dante in Inf. IV, 88-90, lo dimostra subito dopo, scrivendo:
"Iamque mare et tellus nullum discrimen habebant;
omnia pontus erant; deerant quoque litora ponto." (291-2)
"E ormai mare e terra non avevano più alcun confine; tutto era mare, e al mare mancavano, da ogni parte, le rive."
Non dimentichiamo che, secondo Ovidio, la Terra era sferica, contrariamente a quanto asserito dagli autori dei poemi mesopotamici e della Genesi, per i quali il nostro mondo era piatto. Sono dunque i fiumi, non le piogge, a causare il diluvio; nello spazio, da dove sarebbe venuta tanta acqua?
Dal diluvio, comunque, si salvano solo Deucalione e Pirra, che quando la vendetta di Giove si é consumata sbarcano sul monte Parnaso, il primo ad essere emerso dal diluvio, e subito si recano al sacrario della dea Temi, per sapere come avrebbero potuto, da soli, rigenerare la stirpe umana. Il vaticinio della dea é quanto mai oscuro:
"...Discedite tempio
et velate caput cinctasque resoluite vestes
ossaque post tergum magnae iactate parentis" (391-3)
e cioé: "Uscite dal tempio, velate il capo, scioglete le cinture delle vesti e gettate dietro la schiena le ossa della grande madre." Pirra, fraintendendo l'oracolo, si rifiuta di violare la tomba della propria genitrice, ma il marito intuisce che la grande madre é la terra, le sue ossa sono i sassi, e sono quelli che devono gettarsi dietro la schiena. Così fanno, ed ecco i sassi si trasformano in uomini! Ovidio commenta la miracolosa metamorfosi con il seguente cenno eziologico, volto cioè a spiegare il perché di una realtà per lui presente:
"Inde genus durum sumus experiensque laborum
et documenta damus qua simus origine nati." (414-5)
"Per questo dura stirpe noi siamo, adusi alla fatica, e diamo testimonianza da quale origine siamo nati."

Nati dai sassi dunque .
Di solito si salvano un uomo e una donna per poter rigenerare l'umanità, qui invece l'umanità rinasce quasi per generazione spontanea! "Che bisogno c'era di salvare un uomo e una donna dal diluvio? Non era sufficiente che gli dei stessi ordinassero alle pietre di ridiventare esseri umani?" Un tale espediente é perfettamente in linea con l'argomento del poema, che é per l'appunto quello di raccontare le "metamorfosi", cioè i cambiamenti di forma, dal caos che si trasforma nell'universo ordinato, a Giulio Cesare trasformato in stella. E' una di quelle che in termine tecnico si chiamano "inserzioni": come a volte in un tessuto più antico si trovano delle toppe più recenti, così capita che nel substrato di una tradizione s'insinuino racconti elaborati in epoche diverse, vere e proprie "finestre" su momenti intermedi della compilazione del racconto. Probabilmente, la catastrofe che generò la tradizione del diluvio universale, qualunque essa sia stata, dovette provocare una tale strage tra i nostri antenati da far pensare ad alcuni che fosse necessario un intervento diretto degli dei per salvare l'umanità dall'estinzione: un intervento "miracoloso", simile a quello prospettato dal mito greco-romano, narrato da Ovidio con tanta maestria.
http://www.fmboschetto.it/religione/Genesi/Diluv_3.htm

Eremo Via vado di sole, L’Aquila, giovedì 12 aprile 2012