mercoledì 29 agosto 2012

il capoluogo | Con il grande mondo dentro

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STORIE E VOCI DAL SILENZIO : Poesia e solidarietà. La città dolente

STORIE E VOCI DAL SILENZIO   : Poesia e solidarietà. La città dolente


Per una sera. Solo per una sera il frusciare delle lunghe vesti , il respiro dei veli,  i passi ovattati della clausura hanno fatto posto  ad una intrusione.In punta di piedi , nelle antiche sale  del Convento di S. Basilio  che ospita l’esperienza di clausura delle ultime monache celestine  , i presenti all’evento  “ Una cordata per l’Africa “  hanno   assaporato non solo  il cibo della cena  ma nell’orto hanno ascoltato la lettura di poesie .

 Voci di grandi poeti scelte da Vincenzo Battista che hanno proposto ai presenti i temi de 'La città dolente, le attese, spirito di riconquista',  un trittico curato da Vincenzo Battista  che con  Angelo De Nicola ha organizzato  l’iniziativa  di sensibilizzazione e solidarietà nei confronti più antico monastero aquilano e della sua missione in Africa intitolata a Celestino V nell'ambito del progetto "Cordata per l'Africa".
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Nell’orto del monastero,  prezioso non solo per la sussistenza delle monache, in una condizione di precarietà ma anche di essenzialità ,ma soprattutto  luogo della  comunione con il creato e il senso della vita che germoglia, vive e  muore in una sintesi  naturale dell’essere e dell’esserci , in un crescendo di emozioni e di sensazioni , l'attore Marco Valeri e il chitarrista Francesco Sabatini hanno raccontato la situazione della città (dolente), in un momento di attesa, ma con un uno spirito di riconquista. Tra le toccanti note di Bach, sono stati magistralmente interpretati brani e poesie di Buccio di Ranallo, Marcone, Montale, Palazzeschi, La Pira e Pavese.

Nell’aria  della sera appena rinfrescata di questa fine estate,   tra le mura dell’orto  segnato da impalcature e macerie , con il profumo di rosmarino e basilico  il pubblico presente ha potuto ascoltare appunto poesie e brani  d’amore, di  passione, di incitamento alla città , alla sua vita dolente dopo il sisma , alla sua voglia di riconquista  attraverso attese   che alimentano la quotidianità.
Proprio per la città e per questa voglia di riconquista ho scritto una poesia  che è stata letta in quel contesto  che parla della voglia di riconquista attraverso il cielo stellato e l’infinito  dentro e fuori di noi di cui è metafora il Laboratorio del Gran Sasso. .


Un omaggio all’Infinito di Giacomo Leopardi  nei cui versi si sente  il respiro dell’universo nelle viscere di una montagna.  Giacomo Leopardi un uomo   che ha saputo ascoltare e parlare. Appunto  come questo  uomo di ogni tempo   vagabondo, viandante e pellegrino che si ferma a guardare, ad ascoltare, a toccare   “un  altro mondo “  in “questo   mondo”  che quotidianamente  ha a sua disposizione. In lui , uomo , e nella sua “ ricerca “  continua, incessante,  faticosa, solitaria, estraniante, dunque si incontra  non solo  il mondo visibile ma anche quello invisibile ma soprattutto l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo  che non vengono messi a confronto  ma  che si completano  a vicenda per permettere a lui, uomo, di potersi chiamare sempre di più  “uomo”.
Veder le stelle in una pietra
sentir cantare il silenzio nel buio
toccare l’infinito in una siepe
domandarsi sulla terra il destino di una foglia
impastando cielo e terra
nel pianto d’un bambino
nello sguardo d’un vecchio.

Tu non dormi stanotte
e il pensiero di te
è un sogno vagabondo
viandante e pellegrino
che porti nel cuore .Dentro il cuore
coltivi l’infinito , storia d’ingorghi
d’amore frastornati dal mormorio
delle stelle.  Con le  stelle
vado incontro al mattino e nel silenzio
mi fingo uomo.

Veder le stelle tornare e tornare  ancora
nell’ora del desiderio  è come un morso
d’eternità,un fiore di terra
una gemma di mare,un pensiero
d’argilla. Veder cielo e terra
come un solo corpo d’amore,
come un canto ,un brivido
una vela fluttuante, un crepuscolo
che continua a cadere all’infinito ,
un profumo di tiglio a mezzanotte
su un’erba lattea di  prato.

Sul prato delle stelle  nascenti
seguire  l’ultimo volo d’un uccello
rotta d’ alfabeti  e ragnatela di vite
è per te come andare per mare ,
il mare dove è ancora dolce  naufragar .


Grande partecipazione anche alla cena di solidarietà, preparata con portate sorprendenti dalla scuola aquilana di cucina "Scherza col cuoco", che ha amplificato la raccolta di fondi. Alla fine è stata messa insieme una significativa cifra, che va ad aggiungersi ai fondi delle precedenti iniziative i cui ricavati sono stati devoluti a favore della costruzione di un pozzo per l'acqua nel convento delle Celestine nella città di Bangui, nella Repubblica Centrafricana, dove intere comunità di migranti dai conflitti etnici e dalle malattie lasciano i villaggi per cercare rifugio presso le istituzioni dei paesi europei e in quelle religiose come appunto il monastero di San Pietro Celestino, con il suo centro di accoglienza, per curare soprattutto i bambini.

L'iniziativa è stata realizzata grazie alla collaborazione del Lions Club L'Aquila Host, il cui presidente, Pierfranco Tantillo, ha consegnato un assegno alla badessa del convento nell'ambito di uno specifico service per la 718esima edizione della Perdonanza celestiniana: un gesto concreto in un momento difficile per il convento e per la sua missione.

La fotocronaca della serata evento "La città dolente, le attese, spirito di riconquista" è stata realizzata dalla fotografa romana Marina Mogarelli inviata all'Aquila per documentare la serata. Si trova su www.il capoluogo.it    mentre le foto di questo post le ho scattate  durante l’avvenimento.

Dunque nel refettorio delle suore  preso in prestito per la cena , accanto ad un altro refettorio dove le suore hanno dovuto approntare una cappella , tra gli oggetti cari e quotidiani per ciascuna di loro,  di fronte ad un crocefisso ligneo che ricorda quello  caro a frate  Pietro  che nell’ eremo di Sant’Onofrio sul Morrone gli parlava come racconta la leggenda , i convitati hanno potuto  vivere alcune ore,   segnate da quell’enorme  orologio a pendolo sistemato nell’ingresso dell’edificio,  in  comunione e allegria, nello spirito proprio del frate del Morrone   essenzialità e precarietà
Eremo Via vado di sole, L’Aquila, mercol.edì 29 agosto 2012  

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il capoluogo | Cordata per l'Africa: solidarietà al monastero di San Basilio

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il capoluogo | Con il grande mondo dentro

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domenica 26 agosto 2012


ASINOMONDO   : L’ASINO DI BURIDANO  O DELLA LIBERTA’


Buridano si occupò dell'analisi della volontà umana, che ritenne seguire le valutazioni dell'intelletto. In particolare la volontà che dovesse decidere quale scegliere tra due beni considerati equivalenti dall'intelletto si troverebbe in imbarazzo.Un esempio della sua tesi, che tuttavia non è dovuto a Buridano e ne banalizza pesantemente il pensiero, è il famoso paradosso dell'asino che posto tra due cumuli di fieno perfettamente uguali e alla stessa distanza non sa scegliere quale iniziare a mangiare morendo di fame nell'incertezza.
L'asino di Buridano.

Chi ricorda questa teoria medioevale? Forse pochi, nelle sue implicazioni. Eppure per un discorso sulla libertà inizierei proprio da qui.
La libertà, includendo anche il libero arbitrio, ha molteplici significati. Chi è libero? Un individuo? Un'insieme? La libertà di Dio?
Le due grandi suddivisioni sono tra indeterministi e deterministi. Ai primi appunto si fa riferimento con l'asino di Buridano,per dimostrare che non ci sono motivi che spingono a comportarsi in un modo o nell'altro. Si tratta sempre di volontà.
Muore di fame non sapendo scegliere tra due ceste di fieno uguali. E' questa la libertà dell'indifferenza,quando i motivi delle scelte alternative si annullano e la volontà può decidere liberamente: la decisione umana è libera.
Le critiche a tale conclusione sono: Se l'uomo sceglie da razionale e libero, perchè sceglie tra due alternative identiche? Se libertà è indifferenza, sarebbe pura casualità. A parte considero la libertà della psicologia della personalità, dove contano i condizionamenti dell' ambiente e le pulsioni.
Per i deterministi tutto è causale e non c'è libertà. Ci sentiamo liberi semplicemente perchè non siamo consapevoli di tutti i fattori che ci determinano.
Ma,si controbatte, la tesi del determinismo universale è ben lungi dal poter essere dimostrata. Nessuno in fisica,in cui le variabili sembrano sotto controllo,si può vantare una validità assoluta: figuriamoci nell'etica e nella psicologia.


Oggi il libero arbitrio indagato dalla filosofia deve tenere conto dell'apporto delle neuroscienze,come per importanti questioni filosofiche, e anche per certeemozioni che un tempo erano di solo dominio della psicologia (es. l'empatia) . Ho trovato utile la lettura del “Gene agile, la nuova alleanza fra eredità e ambiente”, di Matt Ridley, Biblioteca scientifica Adelphi. Il libero arbitrio, sempre definendo a cosa ci si riferisce, perchè ad esempio in tale campo scientifico non sarebbe opportuno citare Dio, sarebbe compatibile con i geni, in un processo di causa/effetto non, ma circolare. Nel cervello non ci sarebbe uno “Io” ma una configurazione di atti cerebrali in continuo cambiamento. Vi entrano in gioco storia, emozioni, istinto, esperienze e influenze esercitate dagli altri,dal caso,ecc.
In ogni caso nelle concatenazioni di eventi della nostra vita il potere decisionale autonomo dell'Io non ha fondamento né è possibile stabilire per certi episodi una gerarchia di cause-effetti, secondo importanza determinante.
Secondo tutti i grandi filosofi il libero arbitrio non esiste, come per Da Vinci, Hobbes, Spinoza, Hume, Leibniz, Kant, Voltaire, Schopenhauer. Bergson,ecc. Ecc. il libero arbitrio dei cattolici è il poter intervenire nel disegno di Dio.
Siamo tutti dotati di Libero arbitrio, ma in che senso? Si tratta solo di un sentimento della sua esistenza che non ne dimostra quella effettiva. Emotivamente siamo certi di essere liberi nel decidere, ma è impossibile,ad esempio per quanto riguarda il controllare impulsi,necessità,emozioni, desideri, gusti,scelte,determinate dai nostri interessi,ecc. Il libero arbitrio è un sentimento la cui realtà è negata dalla scienza e dalla filosofia, che potrebbero sollevarci da ansie e autocolpevolizzazioni. Ciò che decidiamo di fare o pensiamo è conseguenza di non controllabili necessità neurofisiologiche, di condizionamenti della propria storia biografica, di emozioni, desideri e pulsioni mosse da una causalità inconscia. Non ci resta che dire di sì al nostro destino, come affermò Jung. Ma se si preferisce possiamo anche far finta che tutto dipenda da noi, pur sapendo che non è vero. In un determinato periodo della vita nessuno avrebbe potuto fare scelte diverse da quelle che ha fatto. La frase controfattuale “se invece avessi fatto così ... allora ....” con cui sovente ci si rammarica di non aver imboccato strade alternative è un ipotesi irreale. Può giovare conoscere se stessi e valutare le situazioni che si presentano e che il caso mette sulla nostra via.
Ma “gli uomini si credono liberi soltanto perchè sono consapevoli delle loro azioni e inconsapevoli della cause che le determinano.” E' Spinoza. Chi ha il coraggio di contraddirlo?

Ma è Leibniz che afferma ancora :49. Da ciò segue altresí che il caso dell'asino di Buridano, fra due prati, ugualmente portato all'uno e all'altro, è una finzione che non potrebbe verificarsi nell'Universo, nell'ordine della natura, benché il Bayle abbia altra opinione. È vero che, se il caso fosse possibile, bisognerebbe dire che si lascerebbe morir di fame; ma, in fondo, la questione verte sull'impossibile, a meno che Dio non produca la cosa espressamente. Infatti l'Universo non potrebbe esser diviso in due parti da un piano condotto per il mezzo dell'asino, tagliato verticalmente nel senso della sua lunghezza, in maniera che tutto sia uguale e simile da una parte e dall'altra, come un'ellissi o come ogni figura piana, della categoria di quelle che io chiamo “anfidestre” [a due lati], per esser cosí divisa in due parti uguali da una linea retta qualsiasi passante per il suo centro: infatti né le parti dell'Universo, né le viscere dell'animale sono simili, né ugualmente situate dai due lati di questo piano verticale. Si avranno dunque molte cose dell'asino e fuori dell'asino, sebbene non ci appaiano, che lo determineremmo ad andare da una parte piuttosto che dall'altra; e quantunque l'uomo sia libero, mentre l'asino non lo è, non è meno vero, per la stessa ragione, che anche nell'uomo il caso d'un perfetto equilibrio tra due partiti è impossibile, e che un angelo, o almeno Dio, potrebbe sempre render ragione del partito che l'uomo ha preso, assegnando una causa o una ragione inclinante che l'ha indotto realmente a prenderlo, benché questa ragione sia spesso molto complessa ed inconcepibile a noi stessi, perché il concatenamento delle cause legate tra loro va lontano.
(G. W. Leibniz, Monadologia e Saggi di Teodicea, Carabba, Lanciano, 1930, pagg. 121-124)


Eremo Via vado di sole. L'Aquila, domenica 26 agosto 2012

mercoledì 22 agosto 2012

Brasile. Ogni detenuto potrà leggere un libro al mese, farne una recensione e così ottenere quattro giorni di sconto della pena.

Il più struggente e anche il più istruttivo elogio del libro arriva dalle carceri brasiliane. È un elogio che
ci riguarda: perfeziona l'equivalenza universale tra i libri e la libertà. Perché tra i dannati di laggiù si è appena accesa la luce di «una alternativa alla pena» che i legislatori brasiliani hanno intitolato alla «redenzione dei reclusi». È un esperimento varato in quattro carceri, grazie a una legge appena approvata. Dice che ogni detenuto potrà leggere un libro al mese - di letteratura, filosofia o scienza - farne una relazione scritta «con proprietà di linguaggio e accuratezza, dimostrando di averne compreso il valore e il senso» e ottenere in cambio «quattro giorni di sconto pena». Non più di un libro al mese, per ora. Dodici libri all'anno, l'equivalente di 48 giorni di libertà in più.

L'idea è così azzeccata, così pertinente, che poteva venire in mente solo a chi ha conosciuto la geometrica afflizione del carcere, il rumore delle serrature, i fantasmi della solitudine. E infatti è stata Dilma Rousseff a idearla. Che molto prima di diventare l'attuale presidente del Brasile è stata incarcerata per tre anni, dal 1970 al 1972. Era la cupa stagione dei generali. Dilma, studentessa di famiglia borghese era entrata nella guerriglia, era stata arrestata a San Paolo con un'arma addosso, aveva subito ventidue giorni di tortura. Da allora non ha mai dimenticato quanti abissi contengano quelle mura. Quanto buio. E quali piccole vie d'uscita possano trasformare i reclusi in «persone migliori».

Il libro è una di quelle vie d'uscita. Perché apre mondi immaginari. Racconta vite vere. Insegna che il destino è multiplo, la malasorte ondivaga, l'odio può essere guarito, la poesia può svelare significati inattesi alla semplice nostalgia di un tramonto, l'amore può cambiarci in una sola sera, e anche la libertà è sempre possibile, ma mai chiudendo gli occhi. «Chiunque di loro avrà una visione più larga del mondo» hanno detto al ministero della Giustizia brasiliano, varando questa legge che punta tanto sui libri, quanto sui detenuti.

http://www.controlacrisi.org/notizia/Altro/2012/8/15/25450-brasile-ogni-detenuto-potra-leggere-un-libro-al-mese-farne/
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venerdì 10 agosto 2012


SILLABARI :  Diritti  (I )


Charles Beitz è un filosofo politico americano professore a Princeton. Noto per  essere stato tra i primi a occuparsi di giustizia globale, Beitz ha pubblicato di recente per Oxford University Press un libro, The Idea of Human Rights, in cui esamina la dottrina dei diritti umani nella prospettiva della politica globale. Scrive nella recensione  sul libro Sebastiano Maffettone su Il Sole 24 Ore del  28 febbraio 2010 “L’ analisi è di natura fìlosofica, e il suo scopo principale sta nel mostrare in che cosa consistono la forza e il valore del linguaggio dei diritti umani. La tesi centrale è che dipendano da una pratica di successo moralmente difendibile. In questo modo, Beitz rovescia un'intera tradizione filosofica in materia. Non si tratta di argomentare a favore di una teoria della giustizia da cui far dipendere una lista ideale di diritti umani in base alla quale poi criticare l'esistente. Si tratta invece di valutare le teorie normative dei diritti umani confrontandole con la pratica attuale.
Questo metodo innovativo è capace di numerose sorprese. In base a tale scelta, infatti, Beitz riesce a criticare con successo quelle che sono oggi le due visioni filosofiche più popolari in materia di diritti umani. Mi riferisco alla teoria del diritto naturale, da San Tommaso al naturalismo contemporaneo, e a quella consensualistica, cui si possono associare nomi illustri della fìlosofia sociale e politica contemporanea come quelli di Habermas e Rawls.Con rigore argomentativo straordinario, Beitz dimostra come la "pratica" dei diritti umani non sia giustificata a sufficienza da queste teorie. C'è quindi bisogno di un punto di partenza innovativo ("a fresh start"), che egli trova in un modello a due livelli. Questo modello deve giustificare una pratica sociale sulla base della rilevanza degli stati nazionali e del valore della tutela dei diritti umani nella politica globale. Ciò vuol dire che i diritti umani richiedono tutela istituzionale da parte di soggetti del tipo degli stati e che proteggono gli interessi delle persone che sono ritenuti essenziali dal punto di vista della . comunità internazionale. Questa stessa visione teorica è applicata poi a casi complessi come quelli della povertà, della democrazia e della tutela delle donne.
Nel proporre questa teoria, Beitz fa un uso spregiudicato dell'ultimo Rawls e ne difende le tesi anti-cosmopolitiche in maniera brillante. Soprattutto, mostra come la filosofia analitica possa essere applicata a problemi concreti in maniera del tutto persuasiva. Si tratta di un libro impegnativo e originale che sicuramente farà discutere molto quanti si occupano di teoria delle relazioni internazionali.
Charles Beitz. “  The Idea of Human Rights”, Oxford University Press, pagg. 236, $ 20,50.


SILLABARI : Diritti ( II)


Carlo Carbone sul Sole 24 Ore del 14 febbraio 2010 aveva scritto  la recensione ad un volume di Michele Ainis  intitolato la cura. In questo volume si affronta l’esame dei diritti in Italia in un momento di crisi che a distanza di alcuni mesi  palesa tutta la sua importanza e richiede appunto come il libro di Beitz  un’attenta lettura.Scrive Carbone :”Nonostante i recenti tentativi di tessere un dialogo tra governo e opposizione e le reiterate sollecitazioni del Presidente della Repubblica per avviare quel riformismo istituzionale e operativo che serve al paese, la cura al capezzale dell'Italia malata tarda ad essere prescritta e, soprattutto, somministrata. Nel migliore dei casi, è rinviata a dopo la tornata elettorale di fine marzo.(2011, che non c’è stata n.d.r. ). Intanto, nell'arena politica aumenta la confusione, tra l’eco dei rischi di default degli anelli deboli dell'area euro, nel Mezzogiorno europeo (Grecia, Portogallo e Spagna) e l'amara sorpresa del recente impeachment del nostro vertice della Protezione civile. Eppure si era detto che la crisi finanziaria internazionale avrebbe dovuto rappresentare un'opportunità per indurre la politica a "cambiare registro" al fine di apportare le necessarie riparazioni ad un motore - il sistema Italia - che ha denunciato malfunzionamenti.

Del resto, il termine crisi in latino, in senso figurato, significa scegliere, decidere e tutti sappiamo quanto il nostro paese avrebbe bisogno di un ceto politico che lo facesse con serietà, responsabilità e determinazione. Servono riforme istituzionali democratiche e costituzionali in grado di rendere più competitivo il paese e di intercettare una struttura sociale sempre più sfuggente e liquida: soprattutto, cambiare alcuni meccanismi di funzionamento che contribuiscono a paralizzare l'Italia, malata di precoce invecchiamento, di un latente quanto subdolo declino economico, di relazionalità nepotistica e corporativa, di mancanza di merito e di adeguate politiche dr inclusione sociale. Il paese è perciò in una situazione certo non incoraggiante (ulteriormente depressa dalla crisi), che è ribadita da un'analisi collettanea ltaly Today. The Sick Man oJ Europe che uscirà  a Londra da Routledge, con contributi in prevalenza di studiosi stranieri. Dunque, il malato deve essere curato e, se cerchiamo terapie adeguate, conviene iniziare a consultare La cura di Michele Ainis (Chiarelettere), un volu­me che prescrive una terapia, proposta nel format di un deca­logo, tanto suggestivo quanto radicale. «Se volete nuove leggi, bruciate quelle vecchie», sug­gerisce Ainis, costituzionalista e autore di un bel saggio, La leg­ge oscura. « Una guerra silenzio­sa - egli scrive - arma l'uno con­tro l'altro gli italiani. È la guerra del diritto contro il privilegio, dell'equità contro l'ingiustizia. È anche la guerra dei più giova­ni contro il potere degli anziani. Delle donne contro le strettoie d'una società maschile. Dei sin­goli contro il concistoro delle lobby. Dei talenti contro i paren­ti. Più in generale degli spiriti li­beri, dei senza' partito,' contro l'obbedienza cieca e serva recla­mata dalla politica». C'è insom­ma una camicia di forza da  mandare in pezzi per promuovere una democrazia fondata sul me­rito, la legalità, l'uguaglianza (in­tesa come pari opportunità "ai nastri di partenza"). Per rimuo­vere “l'ingessatura'' occorre una cura adeguata, riforme" del fare" che riguardino le classi di-­rigenti e la società, i loro mecca­nismi di formazione e quelli di selezione. Bisogna anche esse­re animati da una pretesa tecno­cratica che è, forse, specchio di quei cambiamenti nel software culturale e istituzionale che l'in­certa rivoluzione borghese ita­liana non è stata in grado di in­trodurre nei centocinquanta anni di unità del paese. Istitu­zioni e classi dirigenti italiane. avrebbero riscosso maggior fi­ducia e legittimità se avessero adottato una linea culturale in. grado di mettere in valore meri­ti e competenze, piuttosto che ricorrere ai moltiplicatori della disuguaglianza, quali sono i cri­teri di fedeltà e di mera apparte­nenza di ceto.Come dar torto a questa idea tecnocratica, di buona democrazia come meritocrazia elettiva, che sembra ispirare Ainis e accomunarlo al forum di pensiero  che va da Platone a Giovanni Sartori? Perciò proviamo a girare pagina, raccogliendo la sfida riformista per disarmare il potere delle lobbies che agiscono "sottotraccia" e remano a favore dei propri interessi, come fanno del resto le oligarchie dei partiti politici e dei sindacati o ancora, gli ordini professionali e i baroni universitari: per non parlare della necessità di evitare di essere guidati da élite inette. Altrimenti assisteremo all'evaporazione della centralità dell'interesse nazionale e all' affermazione arrogante di singoli, gruppi e piccole patrie. Il decalogo di Ainis spazia da cure specifiche per i concorsi pubblici (con sorteggio dei commissari), a regole capaci di disciplinare la democrazia interna di partiti e sindacati, ad un'emersione delle lobbies con una legge dedicata, che, tra l'altro, preveda il depotenziamento del ricorso alla cooptazione, ad una nuova legge elettorale che cancelli le nomine di fattto dei parlamentari, ad un ricambio delle classi dirigenti che rispetti la regola dei due mandati al massimo' per gli incarichi di vertice. Dunque abbiamo più, che un'idea delle terapie necessarie e, volendo, disponiamo di mezzi e soluzioni per inaugurare una stagione riformista in grado di cambiare le istituzioni e il  paese. Resta appunto il problema del soggetto innovatore. Chi . si farà parte e guida di un simile cambiamento? Ma a questa domanda è chiamato a rispondere il ceto politico, di governo e d'opposizione. È nell' arena politica la "porta stretta" da attraversare per cambiare l'Italia.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 10 agosto 2012

il capoluogo | L'aria palpitante sulle parole ...

il capoluogo | L'aria palpitante sulle parole ...

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI    :  L’anfisbena


L’anfisbena, dice Eliano, è serpente a due teste, una davanti e una dietro (Nat. anim., IX, 23); quando va in una direzione, la testa dietro viene disattivata e funziona da coda, mentre quella davanti osserva, pensa,
prende le decisioni; e se c’è da scappare non deve perdere tempo a voltarsi,ma passa il comando all’altra testa, quella di scorta, che è di natura piùpavida ed è già pronta a fuggire alla massima velocità, evitando qualsiasi ripensamento. L’anfisbena ha risolto con quest’alternanza di potere o comunque di prerogative decisionali, il conflitto che si può creare tra le teste negli animali a più teste. Ogni testa nell’anfisbena avrebbe potuto tirare in un senso, e avremmo avuto un animale teso allo spasmo in due direzioni come una fune, e irresoluto, da un lato feroce ma impossibilitato ad attaccare, perché l’altro avrebbe tirato per scappar via senza riuscirci;due teste la cui somma fa zero, ma con altissimo costo energetico.
Il problema delle molte teste e dei rapporti intrapersonali, si ripresenta in diversi animali fantastici: l’idra di Lerna, la chimera, i capelli serpentiformi della Medusa eccetera. Ogni testa avrà una sua personalità;
ce n’è una che funge da capo? o vige di massima un sistema democratico parlamentare? nel senso che ci saranno teste più benpensanti e conservatrici, e altre più di sinistra, anarcoidi, propugnanti un regime di
stampo sovietico; altre ancora timorate di Dio, remissive, devote, con il sorriso falso da prete in faccia; e poi altre, pure e semplici teste di cazzo, ignoranti e però con l’idea ad esempio di avere buon gusto, ad esempio in fatto di moda, con l’idea di saper essere originali e di distinguersi da tutte le altre, mentre invece resta il fatto che sono teste di cazzo ignoranti, e non arriveranno a capire neanche questo, che è una forma di autodifesa,l’ignoranza, perché se lo capissero (quanto sono ignoranti, e infantili, e
penose, nel giudizio di tutte le altre) cadrebbero nella depressione, in forma di attacchi di panico, che oggi si cura coi neurolettici, ma un tempo,ad esempio nei tempi antichi, non aveva vie di guarigione, e se qualcuna delle teste dell’idra finiva in questo stato (per via dell’ignoranza originaria)la si vedeva poi floscia, stare sdraiata mentre le altre le turbinavano intorno all’arrivo di Ercole che doveva compiere su di loro una delle sue fatiche.
Difficile pensare che cento teste siano tutte unanimi, anche se gli autori antichi su questo tacciono, che non ce ne sia ad esempio qualcuna stonata ma con la mania di cantare, e tutte le altre a dirle «basta», «smettila», «ci fai venir mal di testa», e lei che invece per un po’ sta zitta e poi si rimette a canticchiare, e il fatto è che essendo tutte attaccate allo stesso corpo (l’idra era una specie di grosso sauro) non si può rispedire costei a casa sua o mandarla in qualche altra zona disabitata della palude. La situazione
dell’idra di Lerna è quella di un condominio dai muri di carta, dove continuamente si sente gridare «basta!» al vicino o a quello del piano di sopra, e battere con la scopa al soffitto: «è tutta notte che qualcuno cammina e sposta i mobili... basta!», per non parlare del volume della televisione, che ai tempi di Ercole non c’era, ma c’era l’analogo, e tra le teste dell’idra imperava la discordia e il battibecco condominiale, per cui in realtà erano animali deboli, questi dalle cento teste, persi dietro a quisquilie, cause penali pendenti, dispetti, sgarbi, antipatie. Cosa peraltro che già si riscontra negli animali fantastici a tre (Cerbero) o a solo due teste, i bicefali, che tendono a mordersi, avere opinioni opposte, questi
sono come una coppia di coniugi al tempo del matrimonio indissolubile: dei musi!, le due teste si piantano dei musi che durano settimane, o non si parlano più per dei mesi, una voltata di qua, l’altra di là; si avvicina il cavaliere con la spada in mano, anche se sono animali fantastici nessuna delle due però vuole cedere: «Senta da quella lì», risponde una delle due al cavaliere, facendo cenno verso quell’altra. «Che cosa?» dice l’altra «chi è che dovrebbe sentire da me?». «Ma smettila una buona volta! » dice la
prima. «Chi è che la deve smettere?» dice l’altra. Il cavaliere a questo punto rinuncia e va via disgustato.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 10 agosto 2012

mercoledì 1 agosto 2012

BIBLIOFOLLIA  L’Almanacco Bompiani  è tutto completo


Per la prima volta la Libreria Antiquaria Malavasi di Milano ha riunito e passa sul mercato la collezione completa dell'«Almanacco Letterario Bompiani» (Mondadori-Unitas-Bompiani, 1925-1999), per un totale di 42 voll., in brossura e cartonato, in 8 °piccolo e in 8° grande.Laacollezione è in vendita al prezzo di €44oo. Un lungo saggio firmato dallo storico dell'editoria e bibliofilo Hilarius Moosbrugger  sul sito www.maremagnum.com ricostruisce la storia della rivista. Il direttore letterario Rcs Mario Andreose su Il Sole 24 0re del 21 novembre 2010 traccia questo profilo culturale.
Il primo numero dell'Almanacco Bompiani vede la luce nel 1930 (anche se qualche esperimento c'era già stato). È un modo, per l'eclettico e dinamico Valentino, per catturare le grandi fìrme, anche all'infuori dell'ancora ristretto ambito degli autori della casa, con una pubblicazione che, oltre a registrare gli avvenimenti culturali più signifìcativi dell'anno, si impone per la formula di interventi ad ampio spettro e la veste raffinata.


Chi potesse sfogliare oggi l'intera collezione (42 numeri, compresi i primi e le ristampe) potrebbe leggerla come uno "specchio del tempo", le cui fasi in successione recano il segno dei collaboratori che hanno affiancato l'editore. Come Zavattini e Bruno Munari -quest'ultimo responsabile fin dal 1933 diuna rivoluzione grafica e iconografìca che lo pone al livello della migliore avanguardia europea, nonostan te la convivenza iniziale con i disegni tradizionali di Angoletta, Novello, Veliani Marchi. Nell'Almanacco 1937, ribattezzato antiletterario, Munari realizza, fuori testo, fotomontaggi e collage che celebrano,nobilitandolo, l'immaginario mussoliniano del tempo; come farà poi anche nei libri per bambini, ci sono pagine con dei buchi-finestre dai quali, continuando a sfogliarle, appare sempre affacciato il volto del duce.Interrotto durante la guerra l'Almanacco riprende nel '59 (l'ultimo Bompiani-Zavattini). In seguito saranno i vari collaboratori della casa editrice a occuparsene, su temi che, remoti alla vocazione bellettristica delle origini, cercano di cogliere fermenti e suggestioni di una società sulla via del villaggio globale.

Nel 1972 Valentino esce di scena e sarà Umberto Eco a curare l'ultimo Almanacco della sua gestione, titolo Cent'anni dopo. Il ritorno dell'intreccio. Il secondo titolo suona come un atto di pentitismo da parte di un ideologo del  Gruppo '63. In realtà, e con il senno di poi, appare di più come un esercizio di laboratorio per il futuro romanziere perché, accanto a testi d iBarthes, Sartre, Gramsci e altri, Eco allestisce una «crestomazia di pagine celebri e ignote della narrativa d'appendice». Il declino si consuma con la fine degli anni 70 nonostante il tentativo di affidarlo in precedenza a penne brillanti quali Rita Cirio, Nataliaspesi, Lietta Tornabuoni (assieme a Oreste Del Buono per il numero del 1980). Ci saranno due sole eccezioni, postume, all'insegna della "sicilitudine": Leonardo Sciascia, nel 1986, curerà, a cinquant'anni dalla sua morte, un Omaggio a Pirandello che comprende anche la ristampa anastatica dell'Almanacco 1938 a lui dedicato; Matteo Collura, nel '99, nel decennale della scomparsa, cura Leonardo Scia scia. La memoria e il futuro.


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 1 agosto 2012