mercoledì 13 gennaio 2010

LESSICO FAMIGLIARE -poesie-

1.
Guardammo dalle sponde erbose
e dai campi arati
salire la notte di settembre,
il volto delle cose fuse
di colore, sapore, odore.
Sole conservano un respiro
sotto il cielo di settembre
che veste stasera la casa della torre
la casa, quella casa che tanto amiamo.

2.
Rotaie deserte luccicanti al sole
di una domenica mattina, E’ tutto
il mondo stamattina questo poco sole
d’una stazione ferroviaria. Pure brutta.

3.
Ottobre cuce l’autunno
su una tela ocra
e nello specchio di sole
di quest’angolo di giardino
si scalda una lucertola
prima del riposo invernale
attaccata com’è
all’idea del sole.


4.
Quei passi sonnambuli
per solitudini
di strade trasparenti
di grandine.
E, come per uno scherzo,
noi perduti affondati
nel tempo
d’un orologio che fa ora il rumore
del tarlo.

5.
Corre il vento la notte, sulle ore
dell’orologio del campanile. Viene
il sole all’orizzonte.
Comincia appena un altro
giorno. Come in un deserto
di tempo veleggia per le vie
del paese un azzurro mattino.

6.
Vele d’azzurro
a sfiorare il confine
lontano,
oltre costellazioni
alzate come stendardi.
Fa paura
salpare in questo mare.

7.
Pisciatoio fresco e odoroso
d’una stazione di campagna
nessuno più aspetta il treno
e alla fermata ora a richiesta
fiorisce solitario il rosmarino.


8.
E’ forse vero. Anche noi facciamo
come i cani randagi. Riconosciamo
i luoghi della nostra vita prodigio
irrazionale del miracolo ,solo dai pisciatoi.



9.
Vestivamo il diavolo senza poter comprare
i vestiti di Prada
che per la fame non avevamo nemmeno
gli occhi per piangere.
A volte le vecchiette di Vico Spezzato
ci dicevano attenti agli spiriti per farci
paura
e tenerci a bada monelli come eravamo
ma gli spiriti erano angeli con le scarpe
da zappaterra o con la camicia da ferroviere
padri e zii che lavoravano dalla mattina
alla sera
come mastro Salvatore Petrilli il muratore
e mastro Puntello il falegname
che poi la sera si sedevano specialmente
d’estate fuori la porta della cantina di Ioletta
e con un bicchiere di vino in mano
raccontavano storie affascinanti di Garibaldi
e qualcuno dei loro padri era stato garibaldino.
Oreste Bagonghe cantava bandiera rossa
e il professor Carlo Autiero commemorava
ogni anno
nella sezione del PCI di Corso Ovidio
Lenin e la Rivoluzione d’ottobre.
Avevo i calzoni corti e andavo dietro
a mio padre
trovai da leggere in quella sezione
“La madre” di Gorkj e “I cosacchi” di Tolstoi
e ho amato così la Bur grigia.
I cugini Marcone giocavano tutti al calcio
io non li guardavo nemmeno perché
forse del pallone non me ne importava niente
ma in fondo ero un po’ geloso
di non saper giocare al calcio come loro.
Andavamo a far guerra tirandoci sassate
fuori Porta e non avevamo ancora letto
“I ragazzi della Via Pal”.
Leggevo Capitan Mike,Grande Black
e il Monello
che costavano venti lire e me li comprava
mia madre il mercoledì
quando andava a dare l’acqua alle piante
di zia Liberata che in agosto andava
a Pescara da sua sorella.
Mi piaceva di più Gino Bartali
perché Fausto Coppi era un po’ aristocratico
e tutte quelle storie della Dama Bianca
che da ragazzo non capivo.
Parlavo nel sonno durante la notte
e zio Arnaldo qualche volta me lo riferiva
a modo suo che dormivamo nella stessa stanza.
Erano gli anni dell’oratorio, della prima comunione,
delle versioni di latino della professoressa Rizza
della colazione con pane e frittata prima
di entrare a scuola.
Erano gli anni che ricordo ora sempre di più
ogni giorno
e la notte quando non posso dormire
mentre faccio finta di dimenticare quello
che ho mangiato ieri
erano gli anni lievi che non ingombrano il cuore
il cuore leggero di quegli anni vissuti
alla leggera.

10.
Truccare non si possono più
le rughe di troppi secoli
e questo paese ha ancora il fascino
di un volto di fanciulla,
del canto per una danza sull’aia
in agosto,del respiro
d’un treno lontano nella valle,
del colore d’un pastello
che ha scompigliato l’aria.
Al mio paese nevica stamattina
secondo le previsioni del tempo
ed è tutto bianco stamattina
stamattina che nevica.

11.
Di Tione ricordo Olindo Rosati
maestro di scuola per una vita e pure
sindaco
e il suo amico Don Rinaldo che incontro
ancora qualche volta
e il gran parentado di Annamaria
la famiglia Trionfi e quella loro grande casa
sulla piazza.
E ricordo nonna Francesca tra i silenzi
del suo giardino di montagna
di fronte ad un’altra montagna
dove il gelo d’inverno e la solagna d’estate
spaccano ugualmente le pietre
e Massimino che da giovane andava
in bicicletta a l’Aquila per trasportare
così le sue merci
e quei morti che dopo la frana
non si sono più trovati
un cimitero scomparso
che Caterina andava a cercare nelle campagne
del pendio del monte
per accendere un lumino il due novembre.
Quel paese mi ricordo dove erano rimasti
solo due asini
che incontravi la sera all’abbeverata alla fonte.
Di Tione ricordo gli amici che Daniele
mi ha fatto conoscere
e che ora vado a trovare in quel piccolo
cimitero sulla strada per Fontecchio
ora che per le sue strade non s’incontra
più nessuno
né vivi né morti perché il terremoto
se li è presi tutti e si è preso le loro case
e s’è preso la Chiesa di S. Vincenzo
e solo la torre ha lasciato in piedi.
Di Tione mi restano nel ricordo
queste poesie di “Stelle in corsa”
che per Tione qui ho ricopiato come
l’alfabeto d’un pianto, il sillabario
di un dolore,
il canto d’una luna di gennaio
sul monte e sulla valle, lungo il fiume
e dentro i boschi ,come un respiro
che di respiro ha il vezzo
che l’ultima volta che l’ho visto
mi si è mozzato in gola il fiato.
Di Tione non voglio più dire ora
ora che dorme nel cuore un sogno
il sogno di tornare a rivedere i suoi tetti
le sue case e poi parlarne di nuovo.

(le poesie da 1 a 8 sono state pubblicate su “Stelle in corsa “
ottobre 2000 le altre sono inedite)


L’Aquila, Eremo di Via vado di sole
mercoledì 13 gennaio 2010

DORMO SEMPRE DAVANTI ALLA TIVU’ ACCESA -poesie-

1.
Noi sentivamo cantar vespro
mentre giocavamo sulla piazza
della chiesa
e ragazzi da servir messa e
benedizioni
chierichetti in tonaca bianca e scarponi
infangati
suonavamo anche le campane
che per avviare il campanone
bisognava salire su in cima
al campanile
e nella novena di Natale
recitava il campanone con voce lenta
e lunga
“cavoli pesci e baccalà” che noi
cantavamo insieme
e la campanella ci assecondava
piano piano.
Poi guardavamo Mike Buongiorno
e anche il Musichiere che piaceva
tanto a zia Rita
alla tivù della sala parrocchiale e cantavamo
“volare” e “ tintarella di luna”
e Modugno e Mina
nell’autoradio della seicento cantavano
pure loro
nelle feste da ballo ogni sabato
pomeriggio
in una casa diversa.
Poi abbiamo comprato un frigorifero
che zia Ida ha chiamato per tutta
la vita “frigider” con il suo inglese
mezzo tionese e mezzo sudafricano.
L’estate andavamo al mare con il treno
Sulmona-Pescara e la zia Anna la pescarese
ci faceva mangiare il cocomero
e qualche anno dopo andavamo
tutti i venerdì sera all’ultimo spettacolo
al Cinema Pacifico
a vedere “Indagine su un cittadino al di sopra
di ogni sospetto”
o “Zeta l’orgia del potere”
e non era già più tempo di spogliarelli
al cinema Balilla quando facevano
come diceva mio padre “la serata nera”
e pure l’avanspettacolo non si vedeva
più al cinema Pacifico.
Noi andavamo per Corso Ovidio sotto
e sopra , sopra e sotto e ci andiamo
ancora qualche volta che torno ora
a Sulmona
con Totò Barasso e Antonio Di Cioccio
anche se ci fermiamo di più ora
da vecchietti a prendere il sole
a Piazza del Carmine.
Nel dormiveglia del mattino ho sognato
quegli anni di Sulmona
e sembrava di andare con loro lontano
e sembrava che mi ero perso
ed era invece una nuova strada.

2.
Noi andavamo alla Libreria Colacchi
a cercare nelle pagine dei libri
i sogni
e il caos reale della nostra vita
lo lasciavamo fuori la porta,
il caos della nostra vita e di quella
dei nostri ragazzi
del carcere minorile.
Io e Luca andavamo a cercare
viaggi e meraviglie
che la nostra bibliofollia non ha limiti
e lo raccontavamo poi a Giovanna
che ci parlava della sua tesi di geografia.
Poi tornavamo a rileggere Moby Dick
e sognavamo le foreste di Salgari.
Ora i tarli scavano i miei libri.
Ora i miei libri sono una catasta
nel mezzo della stanza
della casa di Via Beato Cesidio
e presto ammuffiti
e io a cercar spesso in quella catasta.
In questa catastrofe mi ricordo
un’altra catastrofe di quell’altra biblioteca
del Centro Servizi Culturali di Sulmona
frequentata da studenti ladri
che rubavano i traduttori dal latino
o le foto dei pittori futuristi e naif
o quelle stupende illustrazioni
del Don Chisciotte della Mancia
e Carlo Marx non stava nemmeno
nel catalogo
senno fregavano pure quello
quei cari figli marxisti immaginari.
Con quelle storie ricoperte di polvere
noi andavamo a respirare
anche l’aria della biblioteca comunale.
Con le parole di quei libri
si può essere vivi o morti ?
o con le parole si può vivere o morire?
Non lo so . Molte volte le parole
poi si dimenticano e dai da capo
a rileggere quelle storie ricominciando
da Moby Dick.
Ma le parole della lagna politica
della lagna televisiva , della lagna
dei talk show
me le ricordo come i peccati
ti rimangono dentro e scavano
solchi profondi
che fanno male come una fumata
di tabacco puzzolente,
ti tolgono il respiro
e se riuscissimo a guadagnar un giorno
senza lagna
sarebbe un bel giorno della nostra vita
un giorno senza rancore un giorno
per frequentare di nuovo la libreria
Colacchi.


3.
Non amo la tivù e la sera mi addormento
sempre davanti al televisore.
Che ci posso fare se poi sono fuori dal coro
e le litanie le recito pensando da solo
senza ripetere quelle collettive
di stretto rito televisivo che te le schiaffi
nella testa e non te le togli nemmeno
con le cannonate.
Così capita che mentre stiamo mangiando
tocca vedere alla tivù il bambino seduto
sul cesso
che puzza (roba da dare di stomaco);
io non amo la tivù ma a volte non è umano
spegnerla.
Quanto umana è la tivù quando indispettisce
il potere , quando racconta
le storie dell’al di qua dell’al di là
come se fossero vere e ti dimostra
di aver preso tutti i vizi
di chi la sta a guardare e che le virtù
sono poi un’altra cosa.
Oh la tivù, la tivù
e anche se gli angeli quelli veri
quelli con le ali bianche bianche
e con i riccioli biondi scendessero sulla terra
ti pare che la tivù non vorrebbe
laminarli d’acciaio e d’alluminio
o vestirli come ha fatto Prada
con il diavolo
ma loro sdegnati si rifiuterebbero
per rimanere parte di aria svettante
verso l’azzurro del cielo
per rimanere aria che diviene aria
e il rifiuto costerebbe loro il ritorno
nell’altro mondo
perché nella tivù di quaggiù non c’è posto
per loro.
Ma poi esagero con questa storia della tivù
che mi hanno detto “ e tu lasciala spenta”.
E se la lascio spenta stento a prender
sonno
e gli ho risposto “ che mi vuoi far venire
l’esaurimento nervoso senza dormire “
ed è meglio allora tenerla accesa e dormire
che per sognare mentre dormi
basta comprare un catalogo da internet
quello dei sogni belli belli
te ne scegli uno ci clicchi sopra e vai.
Chiara la sorella di Cristian non ci crede
e nemmeno io ma sapete il poeta
è fingitore
e fingo anche che non mi piace la tivù.
Adoro i film di Zorro che trasmette rai tre
la domenica pomeriggio
e da ragazzo a casa di zia Elvira vedevo
alla tivù sempre Gilberto Govi
che poi è scomparso dalla tivù come dalla tivù
è scomparso anche Eduardo De Filippo.
Adoro i documentari sulla natura
adoro questa tivù che ti fa due palle
come una casa perché mi hanno detto
è innocua e un po’ meschinetta.
Adoro la tivù innocua che ci accompagna
nelle nostre giornate ma non mi fido tanto
che poi sono malfidato anche per altre cose
ma qua ho parlato troppo di tivù
e a voi viene voglia di accendere la tivù.
Fate bene, fate bene perché è ora
è ora di dormire, di dormire davanti alla tivù.

L’Aquila, Eremo di Via Vado di Sole venerdì 8 gennaio 2010

venerdì 8 gennaio 2010

STORIE E VOCI DAL SILENZIO

HO INCONTRATO UN POETA FANCIULLO

Ho incontrato un poeta fanciullo dall’età di 86 anni.. Era l’ultimo giorno dell’anno. Abbiamo cenato insieme. Poi lui non ha voluto aspettare la mezzanotte. E’ andato a dormire. Si chiama Salvatore Blundo (Donblù).
Mi ha anche parlato del suo lavoro di archivista che ora, da anni non fa più. Insieme abbiamo fantasticato sul perché gli archivi sono messi quasi sempre nei sottoscala, negli scantinati, nelle stanze senza finestre. L’archivio, abbiamo detto è un luogo affascinante. Segreto o pubblico ha sempre un suo fascino. Mistero e polvere,silenzio ed ombra. Ti parla di silenzio, di polvere, di solitudine e di storie di uomini e cose che stanno lì,appunto, in silenzio.. Che cosa attendono non si sa. Da questo fascino mi è venuta l’idea di questo primo “Storie e voci dal silenzio” con Salvatore protagonista.
Protagonista perché dopo aver parlato di alcune cose ha preso a recitarmi a memoria pezzi di canti della Divina Commedia e soprattutto le sue poesie!. Tutto a memoria senza l’ombra di uno scritto, di una pagina stampata. Un fantastico cantastorie di altri tempi che ricorda a ottantasei anni le poesie mandate a memoria , in questo caso in quarta elementare , grazie alla maestra di cui ricorda solo il cognome . E poi le sue poesie scritte appunto a nove ,dieci anni.
Al confine d’un sogno dorme spesso un fanciullo nella vita di ciascuno di noi. E quel fanciullo nella vita di Salvatore si è ripresentato una sera di dicembre per parlare dal silenzio.
Il silenzio parla. A volte grida. E’ che, a volte, non si hanno orecchie per ascoltarlo. D’altra parte nella musica il silenzio è un suono particolare. Senza silenzio non ci sarebbe partitura musicale. Come è anche per il vuoto ,omonimo del pieno nelle arti figurative. L’occhio è forse più vigile e più allenato dall’esperienza quotidiana a scorgere i vuoti e i pieni che ci circondano. La mente a volte ha difficoltà a riconoscerli. Non sempre siamo capaci di ascoltare i silenzi. Non ne abbiamo l’abitudine. Non ne conosciamo l’alfabeto. Siamo sordi ? No. Ci manca la frequentazione degli altri mondi. Esiste spesso un solo mondo, ovvero ne vediamo uno solo, quello nostro. Ma questo è tutto un altro discorso. La vecchiaia è allora silente? Quali ne sono i confini. Possiamo adottare il criterio spazio tempo a questi confini oppure dobbiamo cercare altri criteri? Quali confini: limiti ,barriere , impossibilità, perdite, nostalgie, nuove incapacità .
Un discorso dal silenzio di un’età non più giovane tra due persone che si incontrano nella quiete della sera dell’ultimo giorno dell’anno in una quieta dimora tra il conforto di persone a loro care..
E la scintilla di quei versi recitati a memoria.
Chi non ha mai scritto una poesia da fanciullo o da adolescente alzi la mano. Una selva di braccia dunque, un brusio assordante. Alcuni hanno continuato ad esprimersi sulla carta scrivendo “poesie”. Pochi ci hanno donato poesie vere. Tra questi pochi sono allora i “ poeti “ che spesso campano poco e nella loro vita hanno poco pane. Tutti gli altri ? Tutti gli altri quelli che scrivono solo poesie alla quarta elementare come Salvatore sono un’altra pasta di poeti. Quelli che vivono la loro vita bella o brutta, felice o dolente come una poesia. Quelli che come Rimbaud hanno fatto della poesia la vita e della vita poesia. Senza accorgersene , senza scriverlo sui taccuini, senza recitarlo su un palco. Magari accompagnando per mano un bambino a scuola. Vegliando su un capezzale. Lavorando duramente ogni giorno. Vivendo insomma.
Tra questi è quel poeta fanciullo che ho incontrato la sera dell’ultimo dell’anno . Mi ha recitato le poesie che seguono scritte da lui . Eccole :


DOLOR DI MAMMA
Avevo la felicità per compagnia
quando avevo te, mio fanciulletto
ma la nefasta sorte a me ria,
per sempre ti strappò dal mio petto.
Per me una barriera si è creata
tra il mondo intero e la mia nuova vita
ch'io passo romita e addolorata
or che l'anima tua da te s'è dipartita.


ATTIMI DI VITA
O attimi fuggenti di vita
di sogni dorati
nelle notti silenti passati
seco il mio cuore vi invita
a godere la soave dolcezza di un bacio
momento d’ebbrezza
avvinta all’uomo ch’io amo
odo i suoi palpiti ardenti
ei parla ascolto gli accenti
vieni mio amore, vieni sogniamo.


PRIMO AMORE
Scende da lontano un dolce sussurro
amor ti chiede e lieve s’avvicina
nell’etereo ciel tinto d’azzurro
trepidante invoca la bocca tua divina.
In te spero troverà gradita intesa
nel tuo sen riposerà sul cuor
al mio amor anche la vita ti è resa.
Ricordo resterà del nostro primo amore.

E infine :

Dianzi ch’io dicer dovrò del grande amore e pene e morte che questi arreca e al gran mal che ne sovviene dopo che pio fuggirne non si puote da tanto male a rivedere l’albore che alla vita ridesta e ci riscuote dironne l’altre cose che a noi più care.

L’Aquila,Eremo di Via Vado di Sole, giovedì 7 gennaio 2010

mercoledì 6 gennaio 2010

FRATELLI D'ITALIA








FRATELLI D'ITALIA 1


UN PAESE IN FIAMME

Quando si dice “un paese in fiamme” sembra una sciocchezza,un luogo comune, un modo di dire che però a pensarci bene fa nascere qualche preoccupazione dopo quello che è accaduto a Milano ( contestazioni di piazza e aggressione al Presidente del Consiglio dei Ministri ). Questo è un paese in fiamme a causa della politica. Che paese è allora quello in cui viviamo? Le risse televisive,i toni alti della polemica sui giornali, gli scontri di piazza sono il volto reale di questo paese? Il Presidente della Repubblica Giorgio Napoletano dopo aver invitato tutti ad abbassare i toni ha ha espresso un concetto e una rassicurazione presa in sordina dai mass media :” La società italiana è più coesa di quella politica”. E’ vero ? E’ vero che sono in buona compagnia il gruppo Repubblica- Espresso, con Il fatto, Annozero di Santoro, il terrorista mediatico Marco Travaglio, il partito di Di Pietro , i pubblici ministeri che si occupano di Silvio Berlusconi e che esiste uno scollamento tra loro e le persone comuni che vivono in questo paese ?
Riflettiamo per favore su queste domande, su questi quesiti e su questi accadimenti.
Mi sono domandato che fine ha fatto la politica come la conoscevo io e di tutto quello che mi hanno insegnato da bambino appunto sulla politica. Che fine ha fatto quella “ politica” che era il fine ultimo e supremo, il bene sommo dello stare insieme perché era lo strumento del bene di tutti. Che politica era quella e che politica è quella di oggi. Io non ho nostalgie per la politica dei decenni dell’ultimo mezzo secolo. Vorrei che la politica di oggi fosse conseguente alle conquiste di quegli anni di quei decenni passati. Alcuni deprecabili altri sostanzialmente positivi. La politica di oggi spreca i suoi valori, le sue ricchezze dilapidando un patrimonio di idee che hanno retto e sorretto intere generazioni. La politica riduce oggi tutto al CONTRASTO e ignora il CONFRONTO. Alla ricerca del CONSENSO vorrebbe recriminare sul DISSENSO.
In questo senso la società italiana è più forte della politica e dello sbando nel quale alcuni politici tentano di gettare questo paese pensando tanto peggio , tanto meglio..
Perché il volto reale è quello di milioni di persone che si alzano ogni mattina per andare a lavorare , per assistere parenti ed amici con problemi di ogni genere, di milioni di giovani che si recano a scuola in cerca di qualcosa e di milioni di uomini e donne che continuano a cercare lavoro. E’ un paese in cui uomini e donne non si arrendono davanti alle difficoltà e che spesso mettendosi le mani in tasca non trovano molte risorse per soddisfare bisogni o desideri. E’ un paese che molti politici non conoscono o non conoscono più . E’ un paese in cui esiste una frattura appunto tra quello che vuole la gente e quello che la politica non riesce più a dare . Un paese di scollamenti dolorosi e di sofferenze .
Malgrado questo gap è però , ancora , un paese di diritti e di libertà.
Salvaguardare questi diritti e questa libertà allora può e deve significare alcune cose dopo gli avvenimenti di Milano.
Innanzitutto riuscire ad isolare la violenza. Rispetto al negazionismo dell’olocausto alcuni paesi hanno sanzionato come reato questa opinione. Tutti gli altri l’hanno additata come una opinione da isolare. Ecco dunque che la democrazia, rispetto ad alcuni comportamenti violenti sulla piazza o sulla rete , rispetto alle parole o alle espressioni che creano incendi deve avere la capacità di creare ambienti di isolamento, camere stagne. Gridare “al fuoco” in una sala cinematografica significa procurare danni incalcolabili alle persone. Eppure gridare “ al fuoco” avvistando l’incendio di un bosco può salvare ettari ed ettari di territorio. Isolare dunque la violenza da qualunque parte essa provenga. Anche dalla rete. E’ certo sotto questo versante che noi non abbiamo più solo la piazza ma anche la rete. Ebbene ci sono persone che tendono a restare in una nicchia consultando solo siti o blog nelle cui opinioni si riconoscono. A volte tra simili si possono alzare i toni del settarismo e dell’estremismo. Da qui può scaturire un problema di violenza. Ma anche qui occorre promuovere l’incontro e il confronto. Stare con chi non la pensa come te , anzi interessarsi proprio a chi non la pensa come te aiuta a crescere, serve a moderare i toni , a conciliare le situazioni, a riflettere maggiormente appunto sulle opinioni degli altri.
E allora appunto in tema di diritti e di libertà Gian Antonio Stella su Il Corriere della sera del 15.12.2009 afferma: “ Se è vero che la nostra libertà finisce là dove inizia la libertà degli altri , anche la libertà di parola, cioè il bene più prezioso dell’oro in una democrazia ha un limite che non è solo il buon senso : è il codice penale”.
Appunto la libertà sulla rete può essere garantita attraverso uno strumento che già esiste e che va a colpire solo quanti si rendono colpevoli di comportamenti sanzionabili. Non si può rompere il termometro per eliminare la febbre come afferma Concita De Gregorio su L’Unità.
E prima di continuare a riferire le argomentazioni di Stella su questo tema non posso esimermi da una confessione. Facebook che sembra, pronunciata male, una parolaccia è diventato per esempio, in un contesto come quello di L’Aquila, uno strumento utile e interessante. Appunto in un contesto in cui non esiste più aggregazione sociale, in cui il centro storico della città che assolveva a questo compito è scomparso e chissà e se e quando tornerà ad assolvere a questa sua funzione. In una situazione appunto parcellizzata di town di periferia avere una rete , (mi direte - senza ragno -, -va bene – rispondo - anche senza ragno -) è utile per rompere l’isolamento,per continuare a parlarsi , a confrontarsi, a crearsi obiettivi comuni a dare un senso allo stare insieme in attesa, appunto, di poter stare di nuovo insieme su Piazza Duomo, o in un pub di Via Paganica che ora sono soltanto una quinta ,una vuota scena a causa di forza maggiore. Mai avrei pensato di usare Facebook ma come loisir, come passatempo, come possibilità di incontro in questa situazione, qui ed ora va bene.
Ciò detto voglio continuare a leggere con voi Gian Antonio Stella. “ Ci sono delle leggi che puniscono l’istigazione a delinquere e l’apologia di reato. Uno Stato serio non può tollerare che esista una zona franca dove divampa una guerra che quotidianamente si fa più aspra, volgare , violenta. Come ha spiegato Antonio Roversi nel libro ‘L’odio in rete’ il lato oscuro del web ‘ è popolato da individui e gruppi che ,pur nella diversità degli accentui e degli idiomi utilizzati,parlano tutti, salvo qualche rara ma importante eccezione,il linguaggio della violenza, della sopraffazione,dell’annientamento.’ Tomas Maldonado lo aveva già intuito anni fa :’ In queste comunità elettroniche cessa il confronto, il dialogo, il dissenso e cresce il rischio del fanatismo. Web significa rete ma anche ragnatela . Una ragnatela apparentemente senza ragno, dove la comunicazione a differenza della tivù, sembra potersi esercitarsi senza controlli.’
Ma più libertà di odio è più democrazia? E’ una tesi dura da sostenere. E pericolosa. Perché diceva Fulvio Tomizza,che aveva visto il suo piccolo paradiso istriano disintegrarsi in una falda etnica un tempo inimmaginabile,’ devono ancora inventarlo un lievito che si gonfi come si gonfia l’odio.’ (…) Non puoi combattere l’odio se non lo combatti tutto . Andando a colpire sia i teppisti razzisti che sputano ondine su Umberto Bossi chiamandolo ‘paralitico di m.’ sia quanti aprono gruppi di Facebook intitolati ‘Io odio Di Pietro’ o ‘ Uccidiamo Bassolino’. Mai come stavolta ,però,il buon esempio deve venire dall’alto. Occorre abbassare i toni. Tutti.”
Fin qui Gian Antonio Stella. In realtà basterebbe pensare e riflettere su una sola cosa: l’Italia è una grande democrazia dove si vota liberamente. Uno vince, uno perde. Chi vince governa, chi perde sta all’opposizione. E allora perché tutto questo? Forse un problema che nasce è anche il tentativo di cambiare la costituzione quella scritta ( perché quella di fatto per alcuni argomenti già è cosa diversa da quella scritta) che qualcuno definisce eversivo per il modo in cui sta avvenendo. Ovvero non con legge costituzione e in forma condivisa tra maggioranza e opposizione ma rafforzando la costituzione di fatto , di cui parlavamo sopra, con leggi e leggine. Un altro problema è dare una risposta alla domanda che segue. Dove deve avvenire il dibattito e il confronto su alcuni temi che interessano tutti dentro o fuori il Parlamento ? E ancora un altro problema . C’è differenza tra la legittimazione che viene dal popolo con il voto e la legittimazione che viene da un corretto rapporto tra le istituzioni e proprio nel rispetto dei compiti, dei ruoli, dei limiti di i ciascuna di esse? E infine. Perché l’attuale Presidente del Consiglio dei ministri come un usurpatore di un potere per quello che rappresenta più per quello che fa ?
Le parole sono pietre e appunto una pietra è stata scagliata sul volto di un uomo da una mano armata da un contesto non sereno. E per la pietà che si deve agli uomini e a quell’uomo così ferito e sanguinante è necessario valorizzare i gesti politici e la volontà di confronto che mettono al centro l’uomo , i suoi bisogni, , questa società fatta di uomini e donne e i loro bisogni in questo momento storico.
Non ci scordiamo che il senso della politica in questo momento è soddisfare l’esigenza di otto milioni di cittadini che sono ridotti all’indigenza e di due milioni e mezzo e passa di cittadini che sono ridotti all’indigenza totale, di due milioni di persone che sono disoccupate 8 il dato peggiore in questo settore dal 1994).
Afferma Tito Boeri venerdì 18 Dicembre su La Repubblica : “ E’ salito a 781.000 il conto dei posti di lavoro distrutti dall’inizio della recessione in Italia. Come documentato ieri dall’Istat ,si tratta per un terzo di contratti a tempo determinato.Per quasi due terzi si tratta invece di contratti a progetto e lavori ai confini tra il lavoro autonomo e il lavoro alle dipendenze. Sono sempre i lavoratori temporanei ,duali, a pagare il conto più salato anche se cominciano a registrarsi riduzioni di posti di lavoro tra i contratti a tempo indeterminato e sono quasi mezzo milione i cassintegrati a zero ore ,come si può calcolare sulla base dei dati sulle ore di Cassa Integrazione dell’Inps. Questa crisi è già costata in termini occupazionali più di quella pesantissima del 1992-93 (…) “ E continua Boeri :” Mai una crisi era stata così diseguale nel colpire i giovani . La disoccupazione tra chi ha meno di 25 anni è balzata dal 18 al 27 per cento in solo un anno e mezzo. Il rischio di essere disoccupato è di 3,5 volte più elevato per chi è in questa fascia di età che per il resto della popolazione. Non c’è altro paese dell’Ocse in cui lo svantaggio relativo sul mercato del lavoro dei giovani sia così forte, nonostante sia sempre più basso (e minore che altrove) il numero di coloro che si affacciano per la prima volata al mercato del lavoro. Non è colpa della demografia ma del mercato. Il fatto nuovo di questa crisi è proprio il licenziamento massiccio dei giovani . E’ un problema sociale nuovo , cui non siamo minimamente preparati I dati Istat ci dicono che solo il 10 per cento di chi ha perso il lavoro è oggi coperto da sussidi di disoccupazione e4 indennità di mobilità. Questo significa che l’estensione della Cassa Integrazione ‘ in deroga’ a lavoratori in passato non coperti da questi trattamenti è stato soprattutto un modo per prorogare i trattamenti a chi già li riceveva,lasciando fuori i soliti disoccupati di serie B”. (…) Solo in Italia questi rischi - perdere il lavoro, trovarsi senza lavoro e senza alcun aiuto dello Stato, essere pagato molto poco ,essere condannato a pensioni al di sotto della soglia di povertà,non ricevere formazione - sono tutti inesorabilmente concentrati sui giovani. E’ un problema che è stato fin qui colpevolmente ignorato dal governo , convinto che i costi sociali della crisi tra i giovani fossero marginali perché sono comunque aiutati dalle loro famiglie. Si sbaglia perché la disoccupazione tra i giovani non è più solo tra chi è in attesa di entrare nel mercato e vive ancora con i genitori. Si tratta sempre più di persone che hanno perso un lavoro magari trovandosi a centinaia( migliaia nel coso dei lavoratori immigrati) di chilometri dalla loro famiglia..”
Ma continuiamo la nostra riflessione. Chi critica il governo, chi manifesta un’opinione non conforme sui giornali, in Parlamento o in televisione, diventa un nemico del Paese,un avversario della sovranità popolare ,un fomentatore d’odio ? Questo si chiedeva Ezio Mauro mercoledì 16 dicembre 2009 su La Repubblica.
E rispondeva più avanti :” …dobbiamo solo ricordare quello che abbiamo scritto domenica sera, quando uno squilibrato ha colpito il Presidente del Consiglio : nel discorso pubblico democratico la piena libertà di Berlusconi di dispiegare le sue politiche e le sue idee ( che difendiamo senza riserva da ogni assalto violento) coincide con la nostra piena libertà di criticarlo. (…) Chi scambia la critica per odio e il lavoro giornalistico per violenza è soltanto un irresponsabile antidemocratico ,mimetizzato dietro la connivenza di chi tacendo acconsente. Chi poi vuole usare la debolezza momentanea di Berlusconi colpito al volto e la solidarietà repubblicana che è arrivata al leader per trarne un miserabile vantaggio politico ,non merita nemmeno una risposta. Stringere la mano al Premier ferito è doveroso, condannare l’aggressione è obbligatorio ,far passare le leggi ad personam è impossibile. Tutto qui. “.
Di quel volto ferito e del dialogo su Facebook si è occupato Adriano Sofri su La Repubblica di mercoledì 16 dicembre 2009. Ebbene tutti possono leggere le varie opinioni che valgono quello che valgono come tutte le altre su numerose pagine e siti di quella rete. Quello che voglio notare è l’avvio di Sofri che appunto riferisce il dialogo dalle pagine di cui è titolare : “ Qualcuno ha commentato l’aggressione a Berlusconi dicendo :’Siamo contro la violenza ma…’ No l’unico commento degno è: Siamo contro la violenza. E niente ma. “ e la chiusura dello stesso articolo : “Farò a te e a tutti una domanda. Passate da una strada e c’è B. che ha avuto un incidente e ha bisogno di soccorso. Che cosa fate? ( Non rispondetemi davvero : rispondete a voi stessi (…) Mi auguro a ciascuno di noi di rispondersi com’è normale: mi fermo e gli presto soccorso come posso.”
Siamo partiti da un paese in fiamme e vogliamo tornare a quella riflessione. Ebbene la stampa estera sembra accreditare dopo i fatti di Milano una tesi : l’Italia rischia una nuova stagione di violenza. Il Financial Time scrive:” L’assalto a Berlusconi accende le tensioni in un’Italia sempre più divisa nell’assegnare la responsabilità dell’odierno clima di odio” e l’Herald Tribune:” l’attacco potrebbe segnalare l’inizio di un nuovo ciclo di violenza politica marcato da azioni terroristiche come quelle che sconvolsero l’Italia negli anni ’70 e nei primi ’80.” Il Times traccia un parallelo storico :” Può essere che Berlusconi tragga vantaggio dall’ episodio un po’ come Mussolini quando una irlandese gli sparò nel 11926 ferendolo al naso. Lei fu dichiarata pazza e Mussolini conquistò poteri autoritari.”Il Guardian si domanda se il Premier ha cura leggendaria della sua persona ostenterà le cicatrici come frutto dell’odio dei suoi avversari. L’Indipendenti mette l’accento sul fatto che in un paese normale “ l’attenzione si sarebbe focalizzata sul fatto che decine di guardie del corpo non sono state capaci di proteggere il primo ministro.” E El Pais afferma “ E’ tanto miserabile e politicamente destabilizzante che l’opposizione abbia mostrato qualche accondiscendenza per l’aggressione, quanto il fatto che alcuni alleati del premier stanno utilizzandola per zittire l’opposizione”
Proprio su questa ipotesi di ritorno a un nuovo ciclo di violenza terroristica come quella degli anni settanta e inizio ottanta che è anche opinione di Giampaolo Pansa, Umberto Ambrosoli su Corriere della Sera di martedì 15 dicembre 2009 afferma :” L’aggressione al Presidente del Consiglio Berlusconi e gli scontri alla manifestazione per la quarantesima ricorrenza della strage di Piazza Fontana hanno indotto Giampaolo Pansa e alcuni commentatori ad affermare che il paese sta tornando nel clima di esasperata contrapposizione , disordine violenza e dolore che ha contraddistinto gli Anni Settanta. Non sono d’accordo. Non condivido tale pensiero e lo reputo improprio e pericoloso. Improprio perché ricorrendo alla memoria di chi ha vissuto quel periodo , è di tutta evidenza l’assenza oggi del contesto politico e sociale che allora aveva attivato, sorretto e diffuso quelle gravissime tensioni. Tante realtà che oggi diamo per scontate ,non sono sempre esistite nella storia d’Italia repubblica e non erano riconosciute all’inizio del 1970; così è stato per i diritti dei lavoratori ,per quelli di tutti i componenti la famiglia (la riforma del 1975) per quello alla casa eccetera. L’Italia ( e non solo) era pervasa da un forte sentimento di ingiustizia sociale che, da sempre, , costituisce la miccia di manifestazioni di violenza. Il mondo oggi non è più diviso in due blocchi ideologicamente agli antipodi e in pericoloso conflitto ,sempre tesi ad affermare il proprio dominio. Blocchi capaci di sorreggere dittature affermatisi con inaudita crudeltà,blocchi che si confrontavano anche prendendo parte a conflitti devastanti. Blocchi che avevano nel muro di Berlino il simbolo del confine, nel mezzo dell’Europa , di due modelli diversissimi di intendere l’uomo ,la società, la libertà, il futuro. E questi modelli costituivano la matrice profonda di ogni tensione sociale: amplificando ed esasperando le manifestazioni che nascevano da altro , demonizzando facilmente l’avversario politico , ma in ordine al fatto che egli rappresentava (vero o non vero che fosse ) il rischio dell’affermazione dell’altra realtà. E così in quegli anni in troppi hanno negato il confronto delle idee preferendo l’esercizio della violenza quale strumento per il raggiungimento dei propri fini. Il risultato sono stato centinaia di morti e di feriti. Poliziotti, magistrati,uomini delle istituzioni ,politici, giornalisti , imprenditori ,sindacalisti, operai , liberi professionisti, semplici cittadini in transito in una via o sopra un treno… Oggi la base di squilibrio politico che ha prodotto tutto ciò, pur nella grave situazione economica che mette in crisi tanti diritti, non c’è. Né esiste più il muro di Berlino e il modello occidentale ssi è affermato anche in quei Paesi che prima gli erano avversi. (…) “Anche se la violenza sta bussando di nuovo alla porta , afferma categoricamente Ambrosoli “..trovo pericoloso cercare di dare ai gesti violenti di oggi la maschera di quasi quarantenni fa. (…)Quella di oggi è una violenza grave , quanto banale nella sua genesi , la cui soluzione coinvolge direttamente tutti rendendocene responsabili . Dobbiamo farlo prima che degeneri. (…) Riaffermiamo nel nostro intimo ,il pensiero che le istituzioni ,in quanto tali, non devono essere nemiche anche se rappresentate pro tempore da chi è espressione di un pensiero politico nel quale non ci identifichiamo ,ma sono la premessa imprescindibile del vivere collettivo. Ricordiamoci tutti ,cittadini o esponenti delle istituzioni che in tema di violenza l’espressione fisica è solo quella finale legittimata da quella concettuale e ideologica , anche nascosta dietro l’estetica delle parole e dei fini. Il passaggio dall’uno all’altro tipo di violenza è talmente collaudato nella storia dell’uomo da imporre la concentrazione su toni assolutamente misurati . In Parlamento come tra amici.(…) Ricordiamoci che dalla violenza degli Anni Settante il Paese è uscito: che ciò è stato possibile perché ha saputo ritrovare nelle istituzioni tutte, dal Parlamento ai Tribunali ,la sede per la definizione dei problemi della società. Buttare o meno alle ortiche questa esperienza ,tanto più in assenza dei presupposti che avevno generate quelle violenze , è una responsabilità di tutti …”
Occorre cambiare il clima. La gente che vuole vivere la propria vita si merita questo impegno . L’impegno di fare politica, di far vivere la politica per creare coesistenza tra sconosciuti come afferma Nadia Urbinati su La repubblica di venerdì 18 dicembre 2009.”La politica è l’arte della coesistenza tra sconosciuti – persone che non si conoscono ,che non si frequentano come amici parenti e che sanno conversare senza dover sapere in anticipo le rispettive idee e, soprattutto senza dover essere sempre d’accordo. La lingua che li unisce è quella che regola il loro discorso e che dà alle loro parole un significato che tutti possono comprendere perché non è segreto o per pochi iniziati ,ma accettato per convenzione da tutti e consolidato con la tradizione. (…) L’arte della parola , che è l’arte della politica,non teme il dissenso né la partigianeria.’Partigiani amici’ erano i cittadini ai quali Macchiavelli pensava quando ragionava su come una città libera articola la propria vita pubblica. Non ‘partigiani nemici’, i quali non sanno come i primi distinguere tra inimicizia privata e dissenso politico ,tra antagonismo e odio totale tra minoranza/maggioranza per elezioni e perdenti/vincitori come in guerra. La lotta politica democratica assomiglia certo a una battaglia senza armi e sangue ; una battaglia di idee e con parole. Ma non è battaglia meno difficile - semmai è più impegnativa e richiede una virtù che solo i cittadini democratici possiedono ; la capacità di ascoltare e di rispettare l’avversario.”
In sostanza – continua Nadia Urbinati – in questi anni ininterrotti di transizione verso una democrazia dell’alternanza matura e senza risentimenti ,abbiamo progressivamente disimparato l’arte della parola pubblica perché abbiamo appreso a disistimare la politica. Il privato con tutto il peso che si porta dietro, è entrato prepotente nel pubblico e lo ha colonizzato e cambiato ,proprio a partire dal linguaggio. I programmi televisivi ne sono il segno più evidente e inquietante. Anche quando sono fatti con lo scopo di discutere di problemi d’attualità, sono vere e proprie corride ,più interessate a fare largo ascolto che a costruire opinioni - anche perché hanno abituato col tempo i telespettatori a desiderare lo scontro più che il dissenso pacato, a volere la demolizione dell’avversario ,diventando una pessima scuola per la cittadinanza. (…) Ciò che ha cambiato la scena pubblica italiana - lo spazio pubblico – è stata questa giornaliera pratica di mala educazione della cittadinanza, di trasformazione ,del discorso politico in un’arte tutta privata ,come è quella appunto del divertimento e dello spasso…”
Ma il dissenso politico e il diritto di critica non sono questione di odio e di amore? Un politico deve per forza essere amato dal suo popolo ? Il dissenso e la critica –talvolta anche aspri sono elementi fondamentali di una democrazia sana. L’odio e l’amore non fanno politica. La politica si fa nell’interesse generale con atti, gesti, comportamenti concreti e responsabili. E soprattutto per i politici , voglio aggiungere prendendo in prestito le parole da Carlo Maria Martini di “Conversazioni notturne a Gerusalemme” per il politico una “ dote necessaria è il coraggio civile e il coraggio di dire la verità”. E quindi accettare il dissenso e la critica,rispettare la Costituzione, senza rinunciare ad aggiornarla ma nelle forme previste ,onorare la divisione dei poteri ,rispondere alla magistratura se si è chiamati a farlo . Il coraggio di dire forte e chiaro :” Bisogna fermare l’esasperazione della polemica politica… misurare le parole… tornare ad un civile confronto” come dice forte e chiaro Giorgio Napoletano.” Il mio appello – parlando con il direttore del TG2 Mario Orfeo – è rivolto a tutti in nome di un dovere di imparzialità che ho sempre rispettato e sono deciso a rispettare (…)non ha senso che gli uni diano colpe agli altri per il clima che si è creato (…)La verità è che , se si ha un senso della comune responsabilità si deve tornare a un normale, civile confronto tra le diverse parti politiche e le istituzioni. Bisogna rispettarsi reciprocamente : misurare le parole ,dovunque si parli,pesare i giudizi e non estremizzarli …si parli nelle piazze ,nei congressi di partiti, alla tv(…) ciascuno deve fare la propria parte e restare nei limiti del proprio ruolo, che sono fissati dalla Costituzione (…)l’opposizione non alimenti tensioni cercando scorciatoie,l’altra parte vedendo complotti anziché riconoscere dissensi”
La Costituzione dunque l’antidoto alla violenza. Afferma Gherardo Colombo,ex pm di Mani pulite a Milano, da due anni uscito dalla Magistratura e oggi presidente della casa editrice Garzanti : “ Oggi mi pare che siamo di fronte a una contemporanea presenza di contrapposti modelli di società,tra chi ritiene ‘giusto’ organizzarla sulla base delle disparità,con la ripresa di un pensiero tradizionale conservatore ,e chi con la Costituzione vigente trova ‘giusta’ la pari opportunità dei cittadini,l’uguaglianza di fronte alla legge e la pari importanza delle persone,cioè i principi fondamentali sulla base delle esperienze tragiche vissute nella prima metà del secolo scorso dalle società organizzate fuori da quelle convinzioni. (…)Certi aspetti della nostra costituzione possono essere resi più moderni ,coerenti con il passare del tempo nei decenni dalla sua nascita: riduzione dei parlamentari ,eliminazione delle province,superamento del bicameralismo perfetto. In generale ,è positivo ogni cambiamento utilmente strumentale alla realizzazione concreta del principio di fondo. Ma quelli in contrasto con esso ,del resto sempre possibili perché la Carta stessa ne prevede l’eventualità,creerebbe una società diversa,secondo me peggiore. Perchè proprio la discriminazione è all’origine della violenza sperimentata nel passato.”
La Costituzione dunque, la politica poi, lo stato di diritto e le libertà.
Abbiamo accennato sopra il discorso dell’odio e dell’amore .Ad esso è collegato quello sul Male e il Bene. La politica allora deve sviluppare in base a questo tipo di categorizzazione una nuova elementare teologia politica in modo da sostituire nel nostro paese il discorso pubblico democratico. E in base a questa categorizzazione in tv e in politica vince chi racconta barzellette?
Siamo seri come è seria l’inchiesta realizzata da Giampiero Mazzoleni e Anna Sfardini , due studiosi della comunicazione che lavorano all’Università di Milano,che hanno provato ad esaminare il fenomeno in un loro studio pubblicato con il titolo Politica Pop , Il Mulino, pp.181.
Ci riferiscono che il fenomeno del cambiamento drastico delle modalità espressive nella comunicazione in politica non è solo italiano, anzi è diffuso ed offre esempi cospicui da Obama negli Stati Uniti a Sarkozy in Francia .In Italia putroppo ha assunto connotati vistosi e caratteristiche sue proprie. Uomini come De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa erano politici notissimi, uomini di una certa levatura eppure la loro vita privata è sempre rimasta distinta da quella pubblica. Oggi invece la costruzione di “celebrità” apre anche in politica la strada al predominio dell’immagine e dell’emozione sulla parola e sul ragionamento. Come ha fatto la televisione a trasformare la politica a sua immagine e somiglianza.? In Politica Pop si spiega che hanno agito tre fattori : quello culturale che si riferisce ai modelli, alla visione del mondo imposti dalla tv; quello economico che riflette gli imperativi del mercato televisivo e l’ultimo legato alla sociologia del pubblico televisivo.A causa di questi fattori il messaggio politico è andato sempre più confondendosi a uno spettacolo di varietà da una parte ( si sente l’eco di quelli del Bagaglino) e assomigliando dall’altra a un qualsiasi messaggio pubblicitario.
Vince chi sa creare slogan, chi riesce a confezionare messaggi che possono essere immediatamente captati ?
E come si è arrivati allora al punto di infiammare questo paese con la politica ridotta a messaggi pubblicitari per i bastoncini di pesce o le superlative qualità del caffè o di una rinomata marca di stuzzicadenti in legno pregiato.
Come ci si è arrivati?

Dall’eremo di Via Vado di Sole di L’Aquila lunedì 21 dicembre 2009 ore 19,05

martedì 5 gennaio 2010

SILLABARI

“Non sono racconti ,non sono apologhi,non sono operette morali .Io non riesco a trovare migliore definizione che questa: sono romanzi virtuali .Intendo dire che pochi ,insignificanti particolari contengono in sé virtualmente delle architetture complesse, degli intrecci, dei rapporti romanzeschi. Son dunque cellule, cellule da cui potrebbero scaturire innumerevoli romanzi possibili. “ Così scriveva Cesare Garboli commentando e presentando i Sillabari di Goffredo Parise nel gennaio 1982.
Lo stesso Parise nell’avvertenza ai suoi Sillabari scriveva:” Nella vita gli uomini fanno dei programmi perché sanno che, una volta scomparso l’autore,essi possono essere continuati da altri. In poesia è impossibile non ci sono eredi. Così è toccato a me con questo libro: dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani,così labili partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene,vive e muore quando vuole lei , non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita soprattutto come l’amore.”
E alla pubblicazione della prima serie dei Sillabari puntuale arriva la lettera di Italo Calvino a Goffredo Parise:
“ Caro Parise
tenevo lì il tuo Sillabario ,e ogni tanto ne leggevo un pezzo e ora che lì ho letto tutto tengo a scriverti che questa tua poetica,questa tua precisione nel rendere facce, cibi,giornate funziona molto bene. Finchè leggevo le tue dichiarazioni nei colonnini del Corriere potevo dire : ma sì, le solite cose che ogni tanto si dicono per cercare di scrollarsi di dosso l’intellettualismo di cui non possiamo liberarci,rimpiangendo un modo di raccontare che tanto ormai non riesce più a nessuno ,perché è finito con i russi dell’Ottocento. Invece in pratica sei riuscito a fare qualcosa di diverso da come si faceva ieri e da come si fa oggi ,proprio nel modo di costruire il racconto, di mettere a fuoco il vissuto attraverso alcuni particolari e non altri e a dare un taglio alla prosa che è molto tuo e serve molto bene a quello che vuoi dire,insomma uno stile. E anche quel tento di partito preso che ci metti nell’applicare questa tua poetica,è proprio il segno del fatto che che scrivi oggi,che esegui un’operazione letteraria (protesta pure) e il senso di quello che fai è proprio lì. Come esempio di racconto che mi piace ( non tutti mi piacciono ugualmente) citerò AMICIZIA e in genere quelli del tipo più indiretto e con movimenti nel tempo.
Tanti cari saluti. Tuo Calvino”


SILLABARIO 1 : NATALE


Nato da donna
Nella lettera ai Gàlati (4,4-5),che è il documento più antico della cristianità in quanto scritto prima degli stessi Vangeli (antecedente allo stesso Vangelo di Marco che è il primo ad essere stato scritto) Paolo afferma: “ Fratelli quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio,nato da donna, nato sotto la legge,per riscattare quelli che erano sotto la legge.
L’inciso usato da Paolo “nato da donna” che sembra una ovvietà in realtà è teologicamente il fondamento di tutta la cristologia.
Paolo vuole dire che il figlio di Dio e Dio egli stesso e che per sua natura è dunque incontenibile si è rinchiuso nel ventre di una donna , Maria, per prendere ossa e carne di uomo. Egli è così vero Dio e vero uomo.
E’ Maria dunque, la giovinetta che aveva detto all’angelo si faccia di me quello che vuole il Signore,che dopo aver adagiato il bambino nella mangiatoia continua a preservare la promessa di Dio all’umanità del dono di un Salvatore nella pienezza del suo cuore di donna e madre. Afferma Luca che ella :”da parte sua custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore” e dando così una risposta alle aspettative degli uomini che nel Messia Salvatore sono divenuti figli di Dio e chiamati a vivere come lui.
A Maria nel cui seno verginale è avvenuto il prodigio del concepimento e della incarnazione di un Dio che si fa uomo rimanendo vero Dio ,noi chiediamo l’aiuto per nutrire e fortificare la nostra speranza.
Speranza che nel significato lessicale del termine comune è attesa di qualcosa che potrebbe anche non avverarsi diventa teologicamente il nostro cammino verso il futuro di Dio.
Un Dio sempre presente che il salmista ci indica come pietoso :”Dio abbia pietà di noi e ci benedica/su di noi faccia splendere il suo volto ;/perché si conosca sulla terra la tua via/la tua salvezza tra tutte le genti(Salmo 66,2)
Dobbiamo scoprire allora giorno per giorno i segni dell’amore di Dio che bene-dice e bene-fa.
“Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il signore Faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace ( Numeri 6,22-25)
E d’altra parte chi avrebbe mai sospettato di essere capaci di una forza che dopo gli avvenimenti catastrofici di L’Aquila ci ha aiutato a ricominciare da capo, a riprendere il cammino affrontando le avversità . Forse perché questo Dio che bene-dice e bene-fa , come dice la Bibbia non fa mancare le piaghe ma non fa mancare nemmeno le fasce.


Venne un uomo mandato da Dio
Nella prima domenica dopo il Natale ci fermiamo a riposare. Ci fermiamo per guardare meglio al mistero che abbiamo contemplato : la nascita di un Dio ,del Figlio del Padre, che si è fatto bambino. Povero, inerme, pacifico, silenzioso.
Così come ci si sofferma dinanzi ad un paesaggio di giorno , a un cielo stellato di notte, o davanti ad un’opera d’arte figurativa o musicale per meglio guardarne i particolari così ci fermiamo a guardare meglio , a capire meglio, a sentire meglio il Natale.
Ed è il testo dell’evangelista Giovanni (1,1-18) che veste in questa splendida forma letteraria la parola che si fa carne.
“In principio era il Verbo,e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. gli era, in principio,presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio : il suo nome era Giovanni . Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui Non era lui la luce ,ma doveva dare testimonianza alla luce: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.”
Il racconto di quell’uomo venuto da Dio che appare prima di Cristo ma che in realtà viene dopo : “ colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me” è uno splendido gioco letterario che instaura e conferma un discorso sul tempo.
Giovanni, che pur usando la lingua greca, è e resta un ebreo intende i Logos non nei termini della filosofia greca ma come Sapienza, quella del Siracide.
La Sapienza è il Logos dunque. Entrambe erano presso Dio. E come la Sapienza a cui il Creatore diede un ordine:” Colui che mi h creato mi fece piantare la tenda e mi disse : - Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti. – Prima dei secoli ,fin dal principio,egli mi ha creata per tutta l’eternità io non verrò meno.”
Così il Logos si è “attendato” (tradotto letteralmente) tra gli uomini.
E’ questo testo del Siracide che sostiene appieno lo stupendo prologo di Giovanni al suo evangelo. E Giovanni pone a confronto dunque Mosè e Cristo. Mosè ci ha mostrato l’ombra di Dio nel roveto , Gesù Cristo ce lo ha rivelato nella luce e nella carne , in tutta la sua pienezza.
“Il verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezzo a noi.”
Paolo nella lettera agli Efesini ( 1,3-6,15-18) esprimendo l’augurio che il Dio del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi del cuore proclama questo inno meraviglioso: “Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo , secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia , di cui ci ha gratificati nel figlio amato.”
Afferma d’altra parte Clemente Alessandrino ne Il Pedagogo:” Il Logos (Cristo) diventando carne, ha manifestatamene dimostrato come le virtù si esercitano contemporaneamente sia nella vita pratica che nella preghiera e nella contemplazione. Sì, prendiamo Cristo come norma di vita…”
Il Verbo parola eterna del Padre si è fatto uomo. La sua incarnazione è la risposta obbediente e libera al disegno di salvezza voluto da Dio. L’eterna Sapienza scende dal cielo e fissa la sua dimora umana. La divina Sapienza che fa scoprire la via della salvezza quella rappresentata dunque da Gesù Cristo che è la via , la verità e la vita ,” vera luce che splende nelle tenebre”.

Domenica 3 Dicembre 2010 . L’Aquila, Eremo di Via Vado di Sole

sabato 2 gennaio 2010

uno sguardo verde d'erba -poesie-

1.
Perché scomponi il cielo
in mare,
per il loro comune azzurro,
insieme li fa stare
forse un infinito,
pure,se troppo presto sbiadito
in un mare e cielo svanito.

2.
Di questo si può vivere
poche cose
pazienza e anni di lavoro
assenze e parole.
Piovose primavere.
Viene l’ora malvagia
d’un terribile dolore
come un vento di primo mattino.
Ciechi e taciturni
Si rimane come alberi,
“ lì comincia l’autunno”.

3.
Il mattino ha un vento
ed è
come un dolore che storce
anche le pietre.

4.
Qui tacciono i giorni
e dove dormo
solo si sente in alto
una tramontana
che batte i muri
come una fuga di Bach
e l’impressione è quella
di portarti in viaggio
in quella terra che sembra essere
già mia
dove continua
una musica che altro
non è, se non voce,
voce di tramontana.

5.
Mio è il tuo stesso dolore
segreto,
ed è come ascoltare
il suono fondo e la voce rara
della campagna
appena…
appena mescolato
con uno sguardo verde d’erba
nella stagione buona,
quella delle parole ospitali,
ed è tutta una sfolgorata,un poco dolce, un poco amara,
di consolazioni.

Anche questo dolore passerà
e questa solitudine, anche.

6.
Mercurio brilla al tramonto
e su un trapezio di stelle
s’arrampica la luna
in un cielo di maggio
mentre il vento torna
in volo
a dissipare una sera,
ogni sera e questa sera.

7.
E suonava il vento un flamenco
tra le rose
con la sonorità del loro rossore.

8.
Una piccola terra,
nemmeno un giardinetto
dove fioriscono le rose
sentinelle all’orizzonte
tra case e mattoni
alberi di pino,selciato
umido di resina
e nuova stagione.
Questa è una piccola terra.


9.
Veder le stelle
in corsa
nell’amato cielo,
sentir raschiare
la porta
da un gatto famigliare
raccontar la vita
e il suo dolore

dolce amata poesia

veder sparire
il conto degli anni
e da vecchio far
finta
che il mondo non è più quello
che mi ricordavo.

10.
Che dire di te
e di quel poco del tuo
dono
che posso portare con me.

Un poco del tuo dono
saprò poi donare
anch’io?

Verrò a vedere le ali
dipinte dei tuoi uccelli
in volo
in un cielo blu
di canapa e tempera
quando verrò.

Come si fa a volare
senza il tuo cielo?
Lieto sarò con un’allegrezza
solitaria quando verrò
e come per incanto
un altro bacio sulla guancia
mi darai.

Dono raro e grato
dono solo per me.

11.
Tu dormi dietro quel muro
di sassi e attendi con la civetta
il giorno, il giorno sull’orto
solitario e ombroso
d’un rosso agosto;
ed è rossa anche l’erba
quest’anno come il sole.

Sono venuto nel mese dell’erba
rossa a parlare di te
con te e di me e non so
più dirti
quelle parole che ascoltavo
da bambino.
Sono rimaste sulle labbra
senza voce per affiorare
ora al mondo.

E te le dico ora che
non ho più
uno sguardo per guardare,
un amore per amare,
un sorriso per sorridere,
un canto per cantare,
un sogno per sognare,
un pianto per piangere,
un dolore per soffrire,
una gioia per gioire,
un pezzo di vita per vivere.

E te lo dico ora per
finire di cantare
questo giorno e il suo stordimento
e la voglia di ritornare
cresciuto all’ombra d’un aprile
d’un aprile d’inverno.

Ma oggi è giorno
che non è giorno
-come dirtelo? –

12.
Non si può tornare a questo paese
vuoto e muto
come le ore e le campane,
a questo paese povero
povero
che al sole prende il colore
il colore delle ossa
di tutti i suoi morti.

Non sei più tu qui
dove un vento freddo
parla sugli usci delle case
a mezza voce
e arrossa e sbianca il male
del nostro esilio
fatica di vivere
che muta in beffa la morte.

Qui la morte
è ancora calda di lacrime,
di calme primavere
di visi sbiancati
dalle lacrime di salnitro
che non bastano mai
come il pane.

Come tornare con questo dolore
da vecchi
a guardare con gli occhi
di bambino
una piazza e queste case;
di questo si può vivere:
riudire un suono, una memoria
rivedere un cielo stellato
su questo paese.
Sulla via della morte
paese mio
nel conto della mia rabbia
ci sei anche tu
paese che non vuoi morire
con me.

13.
Il giorno studiavi matematica
la notte a ballare sulle piazze.
Come si fa nella vita a costruire
il quadrato sull’ipotenusa
sotto la luna artificiale
e le stelle di luce elettrica
appese al cielo, firmamento
di sogni e d’allegre piazze
come la pazza gente che balla
balla la notte sulle piazze?
“Grazia dei miracoli “
a te risuonava dentro il cuore
di crisalide la vampa del fuoco,
il fischio del vento,l’onda
del tempo : quel gran casino
che fanno le parole,
metà all’ombra, metà al sole,
metà quadrato sui cateti
quadrato intero sull’ipotenusa.

L’Aquila. Eremo di Via Vado di sole
Sabato 2 gennaio 2010

agosto vive di grilli - poesie-


....
Un lago tremulo di luce e la malinconia
aspra di un’aria di primo mattino.
Tace ogni cosa e come una creazione
incattivita
è tutto pietrificato sotto l’eco di un sole
che ha cancellato ogni colore.


Così è. Con voglia di pane
formaggio e mela in attesa
della sera.
Per troppi giorni uguali.
Passa la vita e quello che resta.
Ritorna la voglia e non solo
di pane e mela
la voglia di te che un giorno
mi hai portato a L’Aquila
ed io ti ho seguita.


I tramonti si raccolgono nel cavo
di una mano
e poi in un giorno di luce sospesa
ritornano come un ricordo odoroso
nel tempo
tra le poesie di Cattafi.Con versi
rubati
dai miei due cari poeti
un amore rinchiuso si svela
ed io non ho che da stringere al petto
un vecchio libro
un antico cappotto dal bavero anch’esso
lacero
per risentire tutto il tuo odore
di quell’inverno fumoso attaccato
ormai
al petto bigio squassato da una
vampa di zolfo.


A notte poi nel silenzio della stanza
amavi
domandarmi : dormi ?
E io non rispendevo quasi addormentato
dall’odore dei comodini
con il loro tanfo di vaniglia
e di erba secca.
Il ritaglio della luce sul soffitto
era azzurro
azzurro e sembrava un pezzo di cielo
sereno, quando è veramente sereno
e ti dà la sensazione della libertà
e dell’infinito.
Sul tappeto del pavimento
del colore del deserto
sbadigliava e starnutiva Sasha ad ogni
nostro movimento
e così passava la notte.
Ora una notte ci separa
e indietro non si va
piuttosto forse entrambi verso
un nuovo mattino.


Ho troppe e troppe cose da dirti / in sospeso
le arance sulla tavola
il freddo dietro le finestre / di dicembre
pane e mela a tarda ora
come cena, i giorni tutti uguali
l’uno dietro l’altro
gli oggetti abbandonati ora rosi
dal tarlo e dall’inedia
l’odore dei calcinacci delle case
cresciuto insieme e quello
delle arance del mercante
sulla bancarella nella piazza
il verde che nasce solo
dal prato tenuto verde.
Ma tu le sai queste cose
vivo questo abbandono
come una malattia
ed è meglio così, non ho impazienze
che le forze ora sono quelle
e se piove sul tetto
la pioggia ha il rumore degli anni
e corre lieve sui giorni
senza nemmeno toccarli.
Tu le sai queste cose ma io continuo
a ripeterle
sai già tutto e io continuo insomma
a vedere cose che in realtà non ci sono
perché così mi illudo di tirare avanti
appunto con quello che tu amavi
mai però quanto io ho amato te.


Agosto vive di grilli
si accampa tra le spighe
e nel silenzio della notte
arde di stelle.



Un’alba troppo grande
a cavallo di un cielo azzurro
è un dono immeritato
per tutti e per i gatti avviliti
che non hanno più
tetti da calpestare.


Già si accorciano
le ombre, si fa mezzogiorno
e non ci sono che ali stranite
scolpite contro le nuvole
del cielo della città.


L’Aquila. Eremo di Via Vado di Sole Frammenti
e poesie .2009 Domenica 27 Dicembre 2009