giovedì 29 settembre 2011

LETTERE DALL’EREMO : Per la dignità dell’uomo

LETTERE DALL’EREMO : Per la dignità dell’uomo

Discorso non lungo, ma densissimo, quello tenuto da Benedetto XVI a Berlino, davanti al Parlamento riunito e alle principali autorità della Germania. Con la pacatezza, associata alla fermezza, che contraddistingue sempre le sue parole, accompagnate in questo solenne ritorno alla lingua materna da qualche sapiente pennellata d’ironia, il Papa ha ricordato come politica e diritto non debbano mai essere dissociati, perché la politica deve sempre essere un impegno per la giustizia (e come esempio dei funesti effetti di questa dissociazione, egli – tedesco – ha rammentato ai suoi ascoltatori – tedeschi anche essi – come la loro stessa comune esperienza attesti che queste parole sono tutt’altro che espressioni retoriche). Ha ricordato come nel processo di formazione del diritto positivo il ricorso al principio di maggioranza non basti a tutelare la dignità dell’uomo.

Mettendo il dito nelle piaghe del presente ha rilevato come oggi stia divenendo estremamente difficile per un politico, ancorché animato dalle migliori intenzioni, discernere cosa sia veramente giusto: la crisi della dottrina del diritto naturale, una dottrina, sottolinea amaramente il Papa, che «quasi ci si vergogna di menzionare», il dilagare di una visione funzionale della realtà e l’adesione acritica a paradigmi positivistici rendono arduo stabilire i necessari ponti tra l’etica e il diritto. E infine, riprendendo un tema da lui amatissimo, Benedetto XVI è tornato ad ammonire l’Europa a non dimenticare di avere un’identità e che tale identità è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma. La situazione paradossale del presente è che l’Europa, dimenticando o nascondendo le sue radici, si pone, in un mondo contrassegnato dalla vivace rivendicazione del valore di tutte le culture, in una condizione di «mancanza di cultura». Un continente che non possiede una cultura o, peggio ancora, che misconosce la propria, non può inserirsi in modo creativo e positivo nel dibattito multiculturale che caratterizza un mondo globalizzato.


C’è però nel discorso di Benedetto XVI un tema che sovrasta tutti gli altri, sia dal punto di vista dottrinale che dal punto di vista pastorale. È quando il Papa osserva come l’esigenza di radicare la politica nella giustizia spiega perché nella storia gli ordinamenti giuridici siano quasi sempre stati motivati in modo religioso. Il cristianesimo, però, ha continuato il Pontefice, a differenza di tutte le altre grandi religioni mondiali non ha mai né imposto né nemmeno proposto un «diritto positivo rivelato»: esso ha piuttosto sempre rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto. Riflettiamo su questo punto. Da una parte esso riassume in modo semplicemente perfetto perché la laicità, cioè l’ autonomia della politica e del diritto, sia un principio radicalmente cristiano. Dall’altra spiega perché una cultura laicista secolarizzata, come quella oggi tanto diffusa in occidente, una cultura che sta perdendo ogni fiducia nella ragione e nella natura, non possa alla lunga che perdere se stessa e la sua ragion d’essere, quella ragion d’essere che il Papa riassume, ancora una volta e con semplice fermezza, nella difesa dei diritti dell’uomo.

Non esiste un «diritto rivelato». Gli ordinamenti giuridici non si legittimano attraverso il riferimento a un Dio che promulga codici e norme vincolanti e coercitive. La fonte del diritto sta nella natura e nella ragione, ma sia l’una che l’altra, nella loro oggettività, vanno percepite in armonia reciproca e presuppongono una Ragione creatrice, un «creator Spiritus». Qui il discorso del Papa si trasforma in un ammonimento – salutato infine dall’applauso corale dei rappresentanti del popolo tedesco – rivolto ai cristiani e a tutti gli uomini di buona volontà: chi è alla ricerca della giustizia e anela alla libertà, non cessi mai di meditare sulla fragilità del genere umano («l’uomo non crea se stesso»!) e non distolga mai il proprio sguardo da un mondo che chiede di essere compreso nella sua profonda unitarietà di senso e che proprio a partire da questa comprensione abbiamo il dovere di rispettare. A tal fine abbiamo tutti bisogno, ha concluso Papa Benedetto, citando la Bibbia, di un «cuore docile», che ci dia la capacità di distinguere il bene dal male e di servire la giustizia.

Francesco D’Agostino Avvenire 23 settembre 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 29 settembre 2011

CONTRAPPUNTO : Il tesoro del re

CONTRAPPUNTO : Il tesoro del re

Il mondo è pieno di tesori nascosti: affondati o sequestrati durante i centinaia di conflitti bellici della storia, nascosti da criminali in località segrete, o frutto di civiltà che sono state distrutte o dimenticate. Ed il mondo è anche pieno di cercatori di tesori, che il più delle volte spendono milioni di dollari per ottenere praticamente nulla.

Tesori sotto i pilastri che nell’isola di Ariano delimitavano il confine tra stato veneto e pontificio, ove ci sono ancora adesso padèle colme di palanche, di marenghi o di zecchini nascosti o dimenticati, di volta in volta, da re Adriano, da Garibaldi, dai paladini di Carlo Ma

Il tesoro di Napoleone, ottanta tonnellate d’oro saccheggiate dall’esercito francese nell’autunno del 1812, sarebbe ancora intatto, sepolto sotto un cumulo di terra a poche centinaia di chilometri da Mosca.

Il vicerè del Perù, nel 1820, volle trasportare il tesoro del Paese lontano dai turbamenti interni che si facevano sempre più preoccupanti. William Thompson venne incaricato di guidare 11 navi piene di preziosi verso il Messico. Ma quest'uomo non era di certo il più affidabile al mondo: era stato un pirata sanguinario in passato, e tutta quella fortuna era troppo per poter resistere. Non appena lasciò il porto, uccise le guardie peruviane e fece rotta verso l'Oceano Indiano.

La nave principale di Thompson, la Mary Dear, venne catturata poco dopo, e tutto l'equipaggio venne impiccato, tranne il capitano ed il suo primo ufficiale. Vennero mantenuti in vita per mostrare la posizione del tesoro rubato che, pare, nascosero sulle Cocos Islands.

I due tuttavia sparirono nella giungla delle isole, e non vennero mai ritrovati. Da allora, più di 300 spedizioni hanno cercato di ritrovare il tesoro, senza alcun successo.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'esercito giapponese sotto il comando del generale Tomoyuki Yamashita rubò un tesoro del valore di svariati miliardi di dollari. Il tesoro venne nascosto in una serie di caverne sotterranee nelle Filippine.

Il Castello di Novara fu costruito durante il dominio di Galeazzo Visconti verso la seconda metà del Trecento. Dal 1472 in poi fu completamente ristrutturato per utilizzo militare prima e come carcere poi. Splendido il parco dell'Allea che lo circonda, collinare.Esiste una leggenda che riguarda l'esistenza di un cavallo d'oro disegnato addirittura dallo stesso Leonardo da Vinci. Pare che questo tesoro fu realizzato in onore di Ludovico il Moro che però fu catturato nel sul stesso castello. Il cimelio tanto prezioso fu nascosto nei sotterranei, talmente bene che nessuno fu stato mai in grado di ritrovarlo. Si dice infatti che vi sia una profonda galleria che attraverserebbe tutta la città, ma non se ne conosce l'entrata. Chissà, forse un giorno mosso dal desiderio del cavallo d'oro qualcuno troverà il coraggio di esplorarla!

Ma la storia e le vicende dei tesori sono esemplari in questa storia raccontata da Erodoto che riassumo :

Il faraone Rampsinito si fa costruire una camera di sicurezza per nascondervi i suoi tesori. Il costruttore dispone però una pietra del muro in modo che possa essere facilmente tolta anche da un solo uomo. Prima di morire, il costruttore rivela il segreto della pietra mobile ai suoi due figli. Questi ne approfittano subito e cominciano a svaligiare la sala del tesoro. Il re si stupisce di vedere diminuire il tesoro, mentre i sigilli sono intatti. Per venire a capo dell'enigma il re fa disporre dei lacci attorno ai vasi contenenti i preziosi. Quando i due fratelli compiono un'altra incursione, uno dei due viene preso in un laccio. Egli allora convince il fratello a tagliargli la testa, per evitare di essere riconosciuto. Il fratello così fa e si allontana portando via la testa mozza.

Il re si stupisce ancora di più quando ritrova nella stanza chiusa un cadavere senza testa. Fa appendere il cadavere giù dalle mura, sperando che i lamenti dei parenti consentano di identificarlo. La madre del morto impone al fratello sueprstite di staccare dal muro il cadavere: se questi non lo farà, minaccia di rivelare la verità al faraone.

Il giovane riesce con uno stratagemma a far ubriacare tutti i soldati di guardia al cadavere e nottetempo sottrae il cadavere del fratello.

Il re rimane sempre più stupito dell'abilità di questo ladro ed escogita un mezzo (che a Erodoto però sembra incredibile) per identificarlo. Colloca la figlia in un postribolo con l'ordine di obbligare tutti i clienti a raccontarle, prima di intrattenersi con lei, la loro azione più intelligente e quella più scellerata. Chi avesse raccontato il fatto, doveva essere trattenuto.

Il giovane ladro accetta la sfida: taglia il braccio a un cadavere e si presenta alla figlia del re con questo braccio sotto il mantello. Alle domande della figlia del re, risponde la verità e quando la donna, al buio, cerca di afferrarlo, le porge il braccio del cadavere, mentre egli fugge.

Il re ammira l'astuzia del giovane e gli promette non solo l'impunità ma anche grandi doni: il giovane si presenta e ottiene in moglie la figlia di Rampsinito, che si è meritata perché se gli Egiziani superano per intelligenza gli altri, egli superava gli Egiziani stessi.

Ma nelle leggende, a guardia dei tesori , si narra siano messi dei diavoli (tema molto diffuso nella favolistica di molte culture) secondo altri sono i Mazzamurelli che riescono a disturbare i cercatori facendo in modo che essi parlino ( i tesori infatti vanno cercati in assoluto silenzio ), in tal modo gli scavi si richiuderebbero. Molte sono le ubicazioni di tesori della zona narrati da leggende e tramandati sia scritturalmente che verbalmente.

E’ un vero tesoro del re il fondo salva Stati che verrebbe potenziato fino a 3mila miliardi di euro. Il piano sarebbe stato studiato ai margini del vertice del Fmi a Washington. Aumento della dotazione del fondo salva Stati fino a 3mila miliardi di euro (dai 440 attualmente previsti); misure che consentano l'eventuale ricapitalizzazione delle banche vulnerabili; permanenza della Grecia nell'Euro, anche nell'eventualità di un default: queste le linee guida del piano che i paesi di Eurolandia avrebbero discusso con i colleghi del G20 per arginare la crisi del debito europea e impedirne l'effetto domino, destabilizzante per l'intera finanza internazionale.

I Paesi più potenti del pianeta si sono impegnati a Washington a sostenere la crescita che latita e le banche indebolite, pur dopo aver lasciato emergere contrasti sulla politica da seguire di fronte alla crisi. I ministri delle Finanze e i banchieri centrali dei principali Paesi ricchi e emergenti del G20 si sono impegnati a dare "una risposta internazionale forte e coordinata per trattare le sfide rinnovate che incontra l’economia mondiale", come è emerso da una dichiarazione comune pubblicata al termine della cena inaugurale di lavoro. Promettono di fare in modo che le "banche dispongano di un capitale adeguato", dopo il crollo negli ultimi giorni dei valori bancari europei, colpiti dai timori legati alla crisi del debito nella zona euro.

Aiuto alle banche Le banche centrali, che svolgono da molte settimane un ruolo di "pompiere" nella crisi, hanno da parte loro annunciato che continueranno "a sostenere la ripresa". Inizialmente nessun comunicato doveva essere pubblicato. Ma "l’importanza della situazione", le "turbolenze" sui mercati che hanno conosciuto ieri un’ennesima giornata nera e "la constatazione comune di una risposta collettiva che desideravamo portare" hanno portato alla diffusione di questo testo, ha dichiarato il ministro delle Finanze francese Francois Baroin, il cui Paese è presidente quest’anno del G20, durante una conferenza stampa. Il comunicato del G20 riprende in parte un testo precedente pubblicato il 9 settembre dai Paesi del G7. Ma il G20 si è spinto oltre. Soprattutto, ha annunciato, in previsione del vertice di Cannes (sudest della Francia) il prossimo 3 novembre, un "piano d’azione collettivo ambizioso, in cui ciascuno avrà il suo ruolo da giocare" per "sostenere la crescita" e "attuare piani di consolidamento di bilancio credibili".

Intervento su fondo salva Stati Il fondo "salva Stati" supporterà gli aumenti di capitale delle banche più fragili, e un nuovo intervento da parte dei paesi dell’Eurozona viene assicurato a metà ottobre. Il G20 accoglie così l'invito del Fondo Monetario Internazionale secondo cui ci sarà presto necessità di ricapitalizzazioni per le banche europee più fragili a causa dell’esposizione ai rischi dei debiti sovrani. Gli stessi esperti di Washington prevedono, a causa della crisi del debito europea, costi per le banche nell’ordine di 2-300 miliardi.

Fonte : http://www.nibiru2012.it/forum/misteri/tesori-nascosti-perduti-e-misteriosi.-132750.0.html

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 29 settembre 2011

COTTO E CRUDO : Il pane portoghese

COTTO E CRUDO : Il pane portoghese

Fernando Pessoa trascorreva molto tempo alla Brasileira do Chiado, il caffè di rua Garrett a Lisbona, seduto al tavolino dove adesso immortale campeggia la sua statua di bronzo. Oppure sorseggiava Porto e limonate al Caffè Orquidea o degustava omelette alle erbe al Café Martinho da Arcada nella piazza del Commercio. Lo scrittore era cliente assiduo di osterie e ristorantini rustici (tascas).

Ne è testimone Antonio Tabucchi, conoscitore e traduttore dell'opera di Pessoa: ai gusti del tormentato autore portoghese, lo scrittore toscano dedica pagine gustose nel suo libro Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa. Ma soprattutto lo testimonia Il libro dell'inquietudine, «un'autobiografia senza fatti», quaderni e fogli in prosa poetica per esplorare dietro la finestra il mondo che si apre fuori, nelle strade, e quello "dentro", seguendo tormenti, vaneggiamenti, sinfonie dell'anima. In una parola: sensazioni. Perché sono quelle che suscitano i ricordi, «sono una delle maniere con cui l'umiltà del mondo esterno mi può parlare, mi può dire cose del passato». Ecco la metafisica del quotidiano, come l'odore del pane che cuoce «nella panetteria fonda» e riaccende la memoria.

Il pane portoghese tradizionale è preparato con la farina di mais. Sbriciolate il lievito nel latte e mescolate. Aggiungete l'acqua. Formate una fontana con la farina gialla, quella bianca e il sale, versatevi il lievito e l'olio. In una terrina lavorate l'impasto fino a ottenere un composto liscio. Copritelo e lasciate lievitare per mezz'ora. Tornate a lavorare l'impasto, lasciatelo riposare prima di dargli forma tonda. Sistematelo su una placca da forno, copritelo e lasciate lievitare per un'ora. Spolverate il pane con la farina di mais e cuocete in forno per 45 minuti.

Ingredienti 2 cucchiaini di lievito di birra secco, 125 ml di latte, 200 ml di acqua, 200 gr. di farina di mais, 300 gr. di farina bianca, sale, 1 cucchiaio di olio di oliva.

Il pane di Pessoa di Donata Marrazzo La Domenica del Sole 24 Ore 4 settembre 2011

EEremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 29 settembre 2011

REMIX : Avviso di chiamata

REMIX : Avviso di chiamata

Ricordate quando funzionavano i posti telefonici fissi , molto tempo prima delle cabine a gettoni e all’inizio della realizzazione della rete telefonica che poi ha portato un telefono in ogni casa . Un posto fisso per interi paesi o quartieri di città . In qualche bar addirittura proprio con un asuo locale come per esempio gli uffici postali o le caserme dei carabinieri e l’ambulatorio del medico condotto. Strutture che costituivano la carta d’identità di un territorio ,il volto di un paese, la fotografia di un mondo ormai scomparso. A favore della affermazione di internet, di twitter e della telefonia mobile con cellulari e tablet .

Ebbene sembra che in Africa quella nostra preistoria in tema di uso della tecnologia sia stata saltata a piè pari per arrivare direttamente alla telefonia mobile che ha avuto uno sviluppo esplosivo. Cresciuta del 550% negli ultimi 5 anni. Parlare di sorpasso non rende neanche lontanamente l'idea degli effetti che la telefonia mobile ha avuto in Africa. È stata rivoluzionaria. Ha dato vita a innovazioni che trovano applicazione in tutto il mondo. La società MPESA (#MPESAishowdoit), ad esempio, che offre un sistema di pagamento via sms, ha aperto i battenti nell'aprile 2007 con 53.000 utenti, ora ha 8,5 milioni di iscritti e volumi di transazioni che sfiorano il 10% del PIL del Kenya, con una media di 20 dollari Usa per operazione. Ad oggi l'importo complessivo di denaro trasferito da persona a persona è pari a 300 miliardi di scellini kenioti. .

Ci sono alcuni paesi dell’Africa in cui si posseggono tre telefonini di tre gestori diversi mentre in altri non si riesce a telefonare .

O meglio poiché non è necessario che il proprietario del telefonino sia anche l’utilizzatore si è andata affermando un nuovo tipo di azienda, Ci sono infatti operatori che raggiungono i vari paesi secondo un itinerario prefissato. Si fermano per alcune ore in ogni paese e in quelle ore mettono a disposizione telefonini perché i locali possano telefonare pagando un certo corrispettivo.

E’ quello che stanno tentando alcuni gestori in Europa quando vorrebbero sostituire il telefono di casa con il telefonino per il quale i costruttori stanno approntando una cornetta simile a quella dell’apparecchio fisso che funziona come auricolare .

Ho raccontato questa storia perchè mi sembra veramente affascinante . Immaginate una persona che magari a cavallo di un asino percorre chilometri tra paesi e peasi per mettere a disposizione un telelefonino e una sim per far telefonare contro un corrispettivo che a volte può essere in natura . Ovvero torna a casa a piedi con l’asino carico di prodotti alimentari o altre mercanzie da baratto.

Scherzi a parte . Grazie all'influenza di scrittori quali Dambisa Moyo che mettono in discussione le teorie consolidate sugli aiuti e promuovono il concetto di microfinanza supportata dalla tecnologia, sotto forma di progetti come Kiva, vediamo tutto il potenziale della tecnologia usato al meglio per creare reali cambiamenti sociali. Ridurre la povertà delle popolazioni africane investendo nello slancio imprenditoriale locale invece di finanziare lo stile di vita sontuoso dei dittatori. Ci sono miriadi di organizzazioni che uniscono tecnologia mobile ai servizi offerti. Non si tratta solo di cellulari, dato Twitter che vuole essere il polso del pianeta fra un miliardo di anni. Assistiamo al ricorso a Ushaidi, software crowdsourcing, indicatore significativo di quanto può succedere quando l'informazione proviene dal basso e viene visualizzata. Una più stretta collaborazione fra il regno degli SMS, la telefonia mobile e il mondo online si fa prospettiva interessante in Africa.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 29 settembre 2011

mercoledì 28 settembre 2011

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Animali metafora

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : Animali metafora

Ivano Dionigi ci procura con gli Atti degli ormai istituzionali convegni dell'Università di Bologna sulla persistenza del classico, un altro interessante contributo alla conoscenza dell'antichità e al suo confronto col moderno. Questa volta il titolo è Animalia, e il tema la posizione dei nostri fratelli o cugini ovvero di quel niente assoluto che sono gli animali. L'uomo al centro del mondo, e gli animali limitrofi ovvero gerarchicamente inferiori di gradino in gradino fino al basso estremo.

A un estremo si pongono appunto Aristotele e la tradizione aristotelica. Un «terribile passo» dell'Etica Nicomachea, come lo definisce lo stesso Dionigi, suona così: «Non vi è amicizia né legame di giustizia verso le cose prive di anima.

E nessuno vi è verso un cavallo e un bue, poiché non vi è nulla in comune». È così che sui freddi resoconti degli storici si calcola che nelle ventisei cacce alle fiere africane offerte ai suoi sudditi da Augusto perirono 3.500 creature, sotto Tito 9mila, sotto Traiano 11mila; Commodo abbatté di sua mano 100 orsi, 6 ippopotami, 3 elefanti, una tigre e una giraffa, imprecisati i leoni, leopardi, struzzi.

Ma in questo squallore emerge anche la voce, sia pur minoritaria, dei materialisti, degli atomisti e degli epicurei, che tutto azzerano e in quest'altro squallore che è il reale, tutto identico per natura, collocano in ugual posto e cielo e mare e terra e fiumi e alberi e viventi (così in Lucrezio).

Soprattutto emerge, per loro capacità sentimentale e fantastica, la voce dei poeti. La seconda parte di Animalia contiene un'antologia di passi in tema, dalla Bibbia e dai tragici e comici ateniesi ai lirici ed epici del primo impero romano; passi che si distinguono tutti per la loro intensità e bellezza. Vi si può forse lamentare la scarsa presenza dei favolisti, ma questo non è un manuale come il Birds in Greek Life and Myth di J. Pollard o l'Animals in Roman Life and Art di J.M.C. Toynbee, bensì un accumulo di problemi (sono presenti anche il religioso Enzo Bianchi e il filosofo Massimo Cacciari).

Chi dunque ha mai osservato il volo e ascoltato la voce degli uccelli come Aristofane nella sua commedia, anno 414 a.C.? Uomini, vite d'ombra, essi ci dicono, ascoltate, voi effimeri e privi di ali: siamo noi che vi sveliamo le stagioni, la gru vi dà il segno della semina, il nibbio quello della primavera. E le rane nell'altra commedia (405) come gracchiano felici tra i giunchi nelle giornate di sole! Brekekekex koak koak, Brekekekex koak koak, Brekekekex koak koak...

Queste rane giù negli stagni dell'Averno «sono cigni»!

E la repubblica comunista delle api osservata e descritta da Virgilio nel trionfale finale delle Georgiche, come secoli più tardi qualcuno (Montaigne) ammirerà il mondo delle rondini e qualcun altro (W. Smellie) la repubblica, che più repubblica non si può, dei castori. Un brusio continuo nel giorno, ciascun'ape al suo posto per svolgere il suo compito. In comune i piccoli, una accanto all'altra le case; e chi giovane va al raccolto e torna sfinita, e chi accoglie il carico e lo ripone nei favi, e le anziane che modellano e governano sapientemente la città armoniosa... E quando Vespero le richiama tutte a tornare, tutte riposano dalle loro fatiche, curano i loro corpi, e «si ode un ronzio, un basso brusio che percorre pareti e ingressi». Prendono posto ognuna nelle sue stanze, e per tutta la notte cala il silenzio e «il sonno s'impadronisce di quelle membra spossate». Nemmeno conoscono allora, le api, i piaceri di Venere, non partoriscono figli ma li raccolgono, sole, con i piccoli rostri, nati come da rugiada sulle foglie di erbe dolcissime.

Tutto questo intrecciarsi e sovrapporsi di destini e di contraddizioni ha la sua espressione più alta nel celebre coro del l'Antigone sofoclea che canta la grandezza e la miseria dell'uomo re dell'universo. Egli domina tutti gli elementi, si apre varchi nel mare, logora con l'aratro la terra, intrappola la «specie spensierata degli uccelli», cattura le belve selvatiche e trae a sé con le reti «la vita profonda degli oceani», inventa con la sua intelligenza mezzi per dominare sulle libere bestie dei monti e piega al giogo il puledro e il toro infaticabile. Ma poi? Questa meraviglia delle meraviglie alla morte neppur essa troverà scampo.

Molti di questi spunti e memorie di questi passi si ritrovano nell'intervento di Umberto Eco, tra i più ricchi, sul'«Anima delle bestie». Anche Eco cita Aristotele e san Tommaso, per il quale francamente l'anima solo sensitiva di cui godono gli animali permette di sfruttarli e di ucciderli, com'essi sfruttano a loro volta per la propria sopravvivenza i vegetali. Da qui un fitto andirivieni nei secoli successivi, che fa interessanti e spesso divertenti le pagine di Eco, centrate sul problema significativo e dirimente del possesso o meno del linguaggio. Cartesio è tranchant: le bestie non parlano semplicemente perché non sono intelligenti; come esprimono le loro passioni, ad esempio i cani quando abbaiano, così esprimerebbero evidentemente i loro pensieri, se ne avessero. Eppure, dirà La Mettrie quando, un secolo dopo, i libertini ravvivano il pensiero materialistico dell'antichità, le bestie hanno quanto meno un linguaggio "affettivo", come le scimmie. In fondo, ciò che la natura ha fatto è soltanto d'aver messo «un po' più di lievito» nell'impasto umano.

Guillaume Bougeant va ancora più in là nel filosofare e nel concedere. Nel suo Divertimento filosofico sul linguaggio delle bestie (1739) egli sostiene addirittura una certa economica saggezza nella loro ristrettezza comunicativa. Il loro comportamento e i loro rapporti sono in generale intelligenti, anche se il carattere è cattivo. Essi parlano, pur dicendo alcuni non più di due o tre parole al giorno: ma è ciò ch'è essenziale per la loro sopravvivenza, e senza mai mentire «nemmeno in amore».

Il problema animalesco viene portato alla sua conclusione sul finire dell'intervento di Eco con un implicito sillogismo di Allais. «Perché no? – egli chiedeva – Ho incontrato nella mia vita una notevole quantità di uomini, tra cui qualche donna, bestie come un'oca».

Animalia, a cura di Ivano Dionigi, Bur Rizzoli, Milano, pagg. 160, € 9,90

Fonte : http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-09-25/animali-metafora-081340.shtml?uuid=AaVOLN7D

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 28 settembre 2011

sabato 24 settembre 2011

GRAFFITI : Neutrini

GRAFFITI : Neutrini

Scrive Piergiorgio Oddifreddi sul suo blog “Non vedi quanto più veloci e lontano devono andare, e percorrere una maggiore distesa di spazio, nello stesso tempo che i raggi del Sole riempiono il cielo?”. A parlare è Lucrezio, nel suo capolavoro La natura delle cose, riferendosi ai simulacri che fluiscono di continuo e in ogni direzione sulla superficie delle cose, e producono le impressioni visive negli occhi degli osservatori. Ma a parlare potrebbe anche essere il portavoce del Cern, che oggi ha annunciato che alcuni esperimenti mostrerebbero che i neutrini possono andare a velocità superiore a quella della luce, appunto.

Prima di Lucrezio, la teoria di Epicuro assegnava ai simulacri una velocità ovviamente inferiore a quella della luce. Analogamente, prima dell’annuncio di oggi, facevano i fisici con i neutrini: particelle che, in qualche modo, sono sempre state collegate alle ricerche italiane. Infatti, alcune delle intuizioni più profonde al loro riguardo erano state fatte da Bruno Pontecorvo, fratello del regista. Intuizioni che, opportunamente sviluppate e confermate, portarono molti scienziati al premio Nobel (nel 1988, 1995 e 2002). Ma il premio non andò mai a Pontecorvo, che fu punito per essere scappato nella direzione sbagliata (in Unione Sovietica) dopo la guerra.

Se le osservazioni effettuate dal team di Antonio Ereditato fossero confermate, la memoria di Pontecorvo sarebbe finalmente vendicata da un italiano. Il condizionale, però, è d’obbligo. Già altre volte, infatti, i neutrini hanno riservato sorprese. Ad esempio, a lungo si pensava che non avessero massa, e andassero alla velocità della luce. Poi si scoprì che una massa ce l’avevano, e che dunque dovevano andare un po’ più lenti. Oggi, ci dicono che invece vanno un po’ più veloci. Certamente una delle tre alternative è quella giusta, ma quale? E, se fosse quella annunciata oggi, che succederebbe?

Sgombriamo subito il campo da un’interpretazione sensazionalistica, che è circolata ad arte insieme alla notizia dell’esperimento. La relatività di Einstein non prevede affatto che la velocità della luce non possa essere superata! Lo si dice continuamente, ma questo non significa che sia vero. Ciò che la relatività prevede, è soltanto che ci debba essere una velocità limite che non può essere superata. Gli esperimenti finora sembravano indicare che questa velocità insuperabile fosse quella della luce nel vuoto, e forse dovremo cambiare espressione: invece di dire che non si può superare la velocità della luce, magari un giorno diremo che non si può superare quella dei neutrini.

Una possibile riformulazione dell’annuncio, dunque, è semplicemente che la velocità massima prevista da Einstein non è quella della luce, bensì qualcosa di molto prossimo ad essa: la differenza sembra essere di 60 nanosecondi sul tempo di percorrenza della distanza di 730 chilometri tra il Gran Sasso e il Cern, tra i quali si è fatto l’esperimento. E questa differenza infinitesimale sarebbe appunto sfuggita negli esperimenti fatti finora sulla luce: un fatto sperimentale interessante,ma certo non una tragedia teorica.

Coloro che preferiscono le rivoluzioni, si chiederanno se l’errore non stia invece, più che nelle misure sulla luce, nella relatività stessa. Tentare di buttare giù dal piedestallo Einstein, come lui aveva fatto con Newton, è una tentazione troppo grande per resisterle. Purtroppo per i giovani turchi della fisica, la relatività è confermata da miliardi di esperimenti, e non ne basterà uno solo a scalzarla. D’altronde, era Einstein stesso a dire che “la scienza non è una repubblica delle banane, dove le rivoluzioni succedono ogni giorno”: ovvero, ribellarsi è giusto, ma il successo non è garantito.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 24 settembre 2011

AD HOC : I conti sono stati fatti e rifatti . In entrambi i casi danno risultati clamorosi

AD HOC : I conti sono stati fatti e rifatti . In entrambi i casi danno risultati clamorosi

Tempo addietro ho sentito ripetere più volte : “Marx è morto, Dio è morto “ e qualche volta ho aggiunto : “ E anch’io non mi sento troppo bene “ . A parte gli scherzi, quel “ Marx è morto, Dio è morto “ che si leggeva anche su qualche muro , voleva essere l’epigrafe non di una caduta ma di una incertezza L’incertezza per esempio dovuta alla caduta del muro di Berlino, incertezza appunto del cambiamento di un mondo per lo meno in bilico.

Una incertezza che si manifesta con la profondità di una crisi e che costringe il nostro paese a fare i conti con se stesso, con la propria economia e con la propria etica. Fino alla formulazione di una domanda importante che attende risposte ormai da tempo : “ Com’è stato possibile giungere alla situazione di oggi ,al degrado conclamato, alla recessione in via di articolazione , alla crisi di credibilità dei politici e della politica, all’incapacità a crescere ,alla decadenza sociale e morale “ Come ?Una domanda che dunque mette sul tavolo una moltitudine di problematiche tra le quali quella più importante è quella della crescita.


Un nodo che non si riesce a sciogliere creando allarme sulle prospettive delle soluzioni che non riescono a creare l’aggiustamento dei conti che non tornano ( meno spese, riduzione del debito ,più crescita ) che ha aumentato l’incertezza anche a causa del peso che la politica non ha per la soluzione di queste problematiche.

Soluzioni povere in una situazione di contagio. Un contagio dovuto alla volatilità dei mercati ,un contagio che l’Europa propala e che ritorna indietro sotto forma di denso brodo di recessione aggravata dal comportamento di faccendieri , almeno nel nostro paese , che inaspriscono ancora di più le conseguenze.

Un processo che non riesce ad essere guidato dalla politica e che esprime anche dei paradossi.

Per esempio quello della miseria nella società dell’abbondanza.

Come dice Zygmunt Bauman ,all’epoca dell’Illuminismo di Bacone , Cartesio o Hegel ,in nessun luogo della terra il livello di vita era più che doppio rispetto a quello delle aree più povere. A differenza di oggi che il paese più ricco , il Qatar ,vanta un reddito pro capite 428 volte maggiore di quello del paese più povero , lo Zimbahwe

Una abbondanza che ignora la povertà e che provoca le tragedie che sta vivendo il Corno d’Africa con la morte per fame e sete di milioni di creature umane tra cui molti bambini.

Incertezze dunque, per riprendere il discorso iniziale che per esempio, come dice Jean Paul Fitoussi potrebbe rivelarsi come una regressione in tema di democrazia “ nei paesi ricchi e particolarmente in Europa.” Anche se “ per il momento niente di essenziale è ancora in gioco perché le libertà individuali sono dappertutto garantite ( parliamo di Europa n.d.r.)” malgrado si avvertano ascesa di estremismi politici, ,la tentazione protezionista, il riemergere dei nazionalismi .

Terreni di coltura di stravolgimenti in un mondo in cui democrazia, sovranità nazionale e globalizzazione , dovrebbero essere coniugati verso una eliminazione delle diseguaglianze e la riaffermazione di regole concordate ma da rispettare in ogni caso .

Incertezze che sembra difficile colmare .

Specialmente ora che da Ginevra arriva la notizia delle notizie , quella rivoluzionaria all’ennesima potenza che se confermata potrebbe cambiare molte cose. ( Il mondo stesso ? ) Per il momento ai mercati finanziari non interessa quasi niente e pure gli scienziati probabilmente, come molte volte è accaduto nella storia dell’umanità, non riescono a capire che cosa hanno scoperto . Non lo sanno nemmeno loro che cosa hanno di fronte.

Di che si tratta ?

La velocità della luce è stata superata. I neutrini sono più veloci della luce di circa 60 nanosecondi. Il risultato è ottenuto dall'esperimento Cngs (Cern Neutrino to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern verso i Laboratori del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn).

Il risultato si deve alla collaborazione internazionale Opera, che con i rivelatori che si trovano nei Laboratori del Gran Sasso ha analizzato oltre 15.000 neutrini tra quelli che, una volta prodotti dall'acceleratore del Cern Super Proton Synchrotron, percorrono i 730 chilometri che separano il Cern dal Gran Sasso.

I dati, che sono stati presentati a Ginevra, dimostrano che i neutrini impiegano 2,4 millisecondi per coprire la distanza, con un anticipo di 60 miliardesimi di secondo rispetto alla velocità attesa. L'analisi dei dati, raccolti negli ultimi tre anni, dimostra che i neutrini battono di circa 20 parti per milione i 300.000 chilometri al secondo ai quali viaggia la luce.

Il risultato è stato ottenuto con una serie di misure ad altissima precisione, fatte in collaborazione con gli esperti di metrologia del Cern e di altre istituzioni.

La distanza tra l'origine del fascio di neutrini e il rivelatore Opera è stata misurata con un'incertezza di 20 centimetri sui 730 chilometri del percorso e il tempo di volo dei neutrini è stato determinato con una precisione di meno di 10 nanosecondi, utilizzando strumenti molto sofisticati, come sistemi Gps progettati appositamente per l'esperimento e orologi atomici. "Abbiamo sincronizzato la misura dei tempi tra il Cern e il Gran Sasso con un'accuratezza al nanosecondo e abbiamo misurato la distanza tra i due siti con una precisione di 20 centimetri", ha detto Dario Autiero il ricercatore che presenterà i dati al Cern. "Nonostante le nostre misure abbiano una bassa incertezza sistematica e un'elevata accuratezza statistica - ha aggiunto - e la fiducia riposta nei nostri risultati sia alta, siamo in attesa di confrontarli con quelli provenienti da altri esperimenti".

Il Cern stesso rileva in una nota che "considerando le straordinarie conseguenze di questi dati, si rendono necessarie misure indipendenti prima di poter respingere o accettare con certezza questo risultato. Per questo motivo la collaborazione Opera ha deciso di sottoporre i risultati a un esame più ampio nella comunità".

"Quando un esperimento si imbatte in un risultato apparentemente incredibile e non riesce a individuare un errore sistematico che abbia prodotto quella misura, la procedura standard è sottoporlo ad una più ampia indagine", ha osservato il direttore scientifico del Cern, Sergio Bertolucci. "Se questa misura fosse confermata - ha aggiunto - potrebbe cambiare la nostra visione della fisica, ma dobbiamo essere sicuri che non esistano altre, più banali, spiegazioni. Ciò richiederà misure indipendenti".

I neutrini sono come i debiti. Ci piovono addosso a miliardi .

I neutrini sono le particelle più effimere che si conoscano perché ci piovono addosso a miliardi ( loro però )ogni secondo, attraversano la Terra e il nostro corpo senza che ce ne accorgiamo. ( dei debiti invece ce ne accorgiamo e come perché non sono neutri in senso metaforicoe reale ) Infatti le particelle essendo neutre, senza carica elettrica, non interagiscono con la materia. Si pensava non avessero una massa e invece sono riusciti a scoprirla sia pure piccolissima. Il neutrino ha una lunga e interessantissima storia iniziata nel 1930 quando Wolfang Pauli ne ipotizzava l'esistenza. Se ne occupava anche Enrico Fermi mentre era all'Università di Roma e fu lui nel 1934 a battezzare l'ipotetica particella «neutrino». In seguito pure Ettore Majorana, il fisico misteriosamente scomparso, compiva ricerche fondando sul neutrino teorie ancora attuali e da approfondire.

Passare dalla teoria alla pratica si dimostrava arduo e schiere di scienziati cercavano di individuarlo nei loro esperimenti. Trascorsero addirittura 22 anni prima che nel 1956 i fisici Clyde Cowan e Fred Reines durante un test con il reattore di Savannah River negli Stati Uniti riuscissero a mostrare delle reazioni provocate proprio dai neutrini. Finalmente erano stati rintracciati. Tuttavia era solo un primo passo perché indagandoli in profondità rivelavano stranissimi comportamenti che mobilitavano schiere di fisici i quali allestivano laboratori sotto le montagne, come il professor Fiorini sotto il Monte Bianco, oppure realizzavano vasche sotterranee in varie parti del mondo proprio per cercare di intrappolare la fantomatica particella. Uno dei maestri era Bruno Pontecorvo, fuggito in Unione Sovietica col sospetto di essere stato una spia. Egli aveva ipotizzato strane specie di neutrini che complicavano ancora di più la scena. Era proprio per aggredire il mistero che si faceva sempre più fitto che il Cern di Ginevra e l'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) ideavano l'esperimento Opera. Dal laboratorio svizzero sparavano un fascio di neutrini nel sottosuolo poi raccolti e intrappolati da un esperimento sotto la montagna del Gran Sasso.


L'operazione internazionale coinvolgeva un centinaio di fisici ed era diretta da Antonio Ereditato che ora sarebbe il padre della grande scoperta.

Ecco qua ,dunque. Conclusione : sia per i debiti che per i neutrini i conti sono stati fatti e rifatti .In entrambi i casi danno risultati clamoro

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, sabato 24 settembre 2011

giovedì 22 settembre 2011

AUTODAFE’ : Erri De Luca: «Sono un redattore di storie»

AUTODAFE’ : Erri De Luca: «Sono un redattore di storie»

«C’è un momento dell’infanzia in cui la testa è più veloce, va avanti. Esce rapidamente, e il corpo invece rimane quello del marmocchio: non si sposta, sta sempre fermo lì. In questa storia, poi, il corpo viene sentito come una zavorra, una gabbia dalla quale bisogna uscire, che va forzata, perché se no non riesce a muoversi». Erri De Luca risponde ponderato, dosando la brezza sollevata da ogni pur minima parola calata a voce. Gli chiedo notizie del nuovo libro, I pesci non chiudono gli occhi (Feltrinelli, pagine 128, euro 12,00), da oggi in libreria. Infaticabile allevatore di memoria, stavolta lo scrittore lancia le sue reti nell’estate 1960, trascorsa a Ischia insieme alla madre. Lo scontro fisico con alcuni coetanei, l’amicizia per una ragazzina scesa dal Nord, il padre lontano, oltreoceano, la manovalanza tra i marinai del luogo, i pensieri degli altri trovati allineati nei libri, qui sono soltanto ulteriori tasselli di un processo formativo ormai irreversibile, che mette l’individuo dinnanzi alle sue prime, certificate responsabilità.

Oltre a un pugno di persone, il racconto fa riaffiorare alla superficie l’isola delle tue vacanze, ma in un tempo anteriore rispetto a «Tu, mio». Perché ti sei spinto ancora laggiù? Che cosa ti ha mosso?

«Il giubileo. Il fatto che adesso, a sessant’anni, posso ricordarmi di averne avuti anche dieci. E il me di cinquant’anni fa era un ragazzino che respirava, viveva solamente tre mesi l’anno sopra a un’isola. Il resto, quei nove mesi, era la clausura di una città non fatta per l’adolescenza e per i bambini. All’epoca, Napoli aveva la più alta mortalità infantile e i bambini, quando scampavano a questa prima selezione, poi andavano a lavorare, invece che a scuola. Ma era anche fisicamente una città stretta, buia, senza spazi. Quindi, poco adatta a loro. Quei tre mesi di sbarco sopra l’isola corrispondevano dunque alla conoscenza della libertà. Che non era un elenco di diritti, ma proprio l’esperienza fisica della pelle che si scurisce, si spella e si brucia, perché allora non si usavano le creme. Era l’andare scalzo, che immediatamente forma sotto la pianta del piede una suola, con la quale si può addirittura correre sulle pietre. Era la possibilità di guardare lontano. Di mettere lo sguardo altrove, farlo perdere fin dove può arrivare. L’isola era questo.

Se devo ricordare qualcosa di buono di me stesso in quell’età, sicuramente metto al primo posto tutto ciò che si è svolto sull’isola. Per cui, ci torno volentieri».

La lettura, il modo stesso in cui affrontavi i libri, si stampa sulla pagina con una suggestione di mare: «Leggerli somigliava a prendere il largo con la barca, il naso era la prua, le righe onde. Andavo piano, a remi…». È cambiato nulla da allora?

No, sono un lettore lento. Adesso sulla prua ci devo appoggiare un paio di occhiali, ma l’andatura è la stessa.

All’inizio parli di un amico pescatore, le cui frasi «erano scogli staccati e molte onde in mezzo». Hai imparato da lui a pescare le parole una ad una?

«Le parole vengono dentro il fiato e i miei racconti sono tutti orali. Non ho bisogno di fare il pescatore di parole. Mi metto solo in ascolto di quelle che formano un racconto a voce. Il mio puntiglio è che siano precise. Le parole non sono pesci per me. E non sono neanche così libere. Ma soprattutto devono corrispondere esattamente a quel tono di voce, a quella frase, a quella determinata espressione. Usare parole precise in italiano, credo sia anche il puntiglio di chi scrive. E, più in generale, della scrittura».

Questo, affermi, l’hai appreso grazie alla passione per l’enigmistica…

«Sì. L’enigmistica, con la sua capacità di dirottare le parole, di trasformarle, mi ha aiutato».

Qual è stata l’importanza della sonorità dialettale, in cui sin da bambino sei stato immerso, nella definizione del tuo modo di scrivere l’italiano?

«Esageratamente decisiva. Forse, la sopravvaluto perfino. La madrelingua del napoletano, con cui sono cresciuto come ascoltatore più che come parlante - parlo poco, e uso il dialetto solo con i napoletani -, mi ha plasmato l’udito. Quando devo scrivere delle cose capitate a Napoli o nei suoi paraggi, faccio il traduttore in italiano».

Di quali nodi è fatta la lingua che usi comunemente quando scrivi?

«Nodi? No, no. Né nodi né peli. La mia lingua scritta, quella in cui ho la cittadinanza, è italiana. Sono un italiano perché parlo la sua lingua, non perché sono un patriota del suolo o della bandiera. E buona parte del mio affetto dipende dal fatto che avendo imparato altre lingue, le posso comparare con la mia».

Cos’hai trovato in più nell’italiano?

«La possibilità di spostare i termini di una frase, di mettere il soggetto all’ultimo banco. E magari un aggettivo, un verbo prima. Insomma, la sua elasticità. Qualità che gli viene dall’essere una lingua che si è arricchita dai dialetti. L’italiano è una lingua alluvionale: sta in fondo alla discesa dei dialetti».

Sembra una contraddizione: parlare di mare utilizzando una scrittura così asciutta, poco propensa a prendere il largo in frasi e periodi di grande apertura. Una scrittura che, nella sua essenzialità, pare quasi manifestare un profondo rispetto, un timore direi, di attraversarne, anche solo sulla carta, tutta l’immensa vastità…

«La carta è asciutta. E il mare si asciuga dentro una pozza da cui evapora. Quel bianco, quel resto asciutto e salino che rimane incrostato quando l’acqua, la vita che c’era se ne è andata, è la scrittura».

Mentre sulla barca misuravi, con lo sguardo del piccolo pescatore notturno, l’ampio spazio aperto, non ti ha mai raggiunto la domanda: Da chi tutto questo? E perché?

«No. Il mio sguardo non risale a un mittente. Vedo la lettera e non il postino».

Nemmeno davanti alla bellezza della notte stellata?

«La bellezza è qualcosa che ha a che vedere con il mondo, con la materia con cui è fatto. Non è una decorazione né un arredamento. È proprio l’energia che contiene al suo interno. Per muoversi, per essere vivo, ha bisogno di quel combustibile. Brucia bellezza il mondo, non energia».

Libri, traduzioni, articoli, canzoni, teatro, cinema. Ti ritieni un autore baciato dal successo?

«Non sono d’accordo manco con la parola autore. Scrivo semplicemente delle storie. E siccome sono accadute, io le redigo. Mi considero un redattore di storie, che per qualche motivo a me sconosciuto piacciono a un numero sempre maggiore di persone. Successo, poi, è come il participio passato del verbo succedere. E da questo punto di vista, penso siano successe cose più importanti delle mie».

Alessandro Bottelli L’Avvenire 21 settembre 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, giovedì 22 settembre 2011

mercoledì 21 settembre 2011

MEDITERRANEO : Festivaletteratura, Ala al-Aswani e le paure dell'Egitto che cambia

MEDITERRANEO : Festivaletteratura, Ala al-Aswani e le paure dell'Egitto che cambia

MANTOVA - Chi ha amato l'“Egitto plurale” di Ala al- Aswani tutto raccolto nel suo Palazzo Yacoubian, con gli eleganti borghesi impoveriti, i nuovi ricchi arroganti, i giovani tentati dall'integralismo, le donne usate e violate, gli intellettuali coraggiosi e sfortunati, ritrova una voce amica e inconfondibile anche in questo suo ultimo libro, “La rivoluzione egiziana” (Feltrinelli) che viene presentato oggi al Festivaletteratura di Mantova. Storica voce di opposizione al regime di Mubarak, il cinquantaquatrenne narratore traccia un affresco del suo paese, con la mano del ritrattista che usa il trapano della sua satira di dentista- scrittore, di cui va molto fiero.

Al-Aswani: lei è stato travolto dal 25 gennaio 2011 a Piazza Tahir che è diventata come la Comune di Parigi.

«In Egitto c’era molta frustrazione, poche voci pensavano che ci sarebbe stata la thawra, la rivoluzione. Io ero tra queste. Due giorni prima stavo firmando alcune copie del mio libro e ho detto: “il cambiamento è vicino”. Non immaginavo così vicino… Diciotto giorni in strada sono stati l’esperienza unica di questa rivoluzione: che si avvicina per molti aspetti alla Comune: in piazza c’era gran parte della realtà sociale egiziana. Mentre l’autorità del regime crollava, è stata l’autorità del popolo a prendere il suo posto».

La thawra l’ha prevista ed attesa… Ma perché gli egiziani non si sono ribellati prima?

«Per la stessa ragione per cui gli spagnoli hanno avuto Franco per quaranta anni e l’Unione Sovietica il comunismo per settanta anni La ragione è semplice: quando la morsa dell’oppressione è forte, ci vuole tempo per rappresentare il proprio desiderio di libertà».

Quali sono le questioni aperte del processo rivoluzionario e i rischi di una controrivoluzione sempre in agguato per evitare che il regime travolto tenti di ricostruirsi con altre forme?

«La rivoluzione ha avuto due momenti: quando Mubarak si è dimesso, la manifestazione pacifica ha dimostrato di poter sconfiggere una delle macchine oppressive più evolute al mondo. Ha avuto successo perché ha ottenuto ciò che voleva. Il secondo momento è quando Mubarak è stato portato davanti al giudice e ha detto: “yes, sir”. Si è aperta una pagina importante: non era più nostro padre, il simbolo della nazione, ma un semplice funzionario pubblico che poteva essere giudicato. Ora preoccupa che chi ha vinto non abbia preso il potere, affidato all’esercito in una fase di transizione. E positivo perché l’Egitto è stato protetto dai crimini del dopo rivoluzione, ma è anche negativo. L’esercito non è rivoluzionario e oggi bisogna combattere contro la controrivoluzione per avere elezioni e democrazia. L’esercito tende a riformare, ma le riforme non sono rivoluzione. La thawra è l’eliminazione del regime in modo totale. Le riforme sono alternative al regime, per poterlo salvare. Se applichi riforme durante la rivoluzione dai la possibilità alla controrivoluzione di intaccare i valori rivoluzionari».

Corruzione, sistema repressivo, assenza di uno stato di diritto, raccomandazioni, nepotismo, mediocrità fuga dei cervelli:quali sono i guasti più gravi e più difficili da correggere del regime di Mubarak?

«E’ tutto da riparare. Non posso immaginare l’Egitto in una situazione più catastrofica rispetto ad oggi. Se paragoniamo le potenzialità del mio Paese alle performances che abbiamo imparato a conoscere, capiamo che tipo di criminale fosse Mubarak».

L’emigrante a New York il cuoco a Roma , lei descrive con empatia gli egiziani della diaspora Un popolo costretto a fuggire dal proprio paese per costruirsi il proprio futuro non solo di individui, ma di cittadini.

«Un solo dato: tra diplomati, laureati e specializzati 824mila egiziani –una popolazione simile a quella di uno stato del Golfo – sono all’estero. Compresi tremila scienziati che si occupano di settori importanti come l’ingegneria nucleare, la genetica, l’intelligenza artificiale. Con un regime tirannico ed oppressivo i talenti d’Egitto, la nostra creatività. sono stati sprecati, il loro potenziale disperso».

Il regime non è riuscito a controllare Internet, mezzo docile e sfuggente, non è riuscito a comprenderne il linguaggio, le regole,le capacità aggreganti. Eppure non è stata solo la rivoluzione dei giovani: lei scrive che è come se la rivoluzione avesse fatto rinascere un egiziano di tipo nuovo, migliore. Quell’umanità dolente del suo “”Palazzo Yacoubian”, attanagliata dalla disperazione, piegata dall’umiliazionne si è riversata in Piazza Tahir?

«In Egitto c’è un numero di blogger che è superiore a quello di ogni paese arabo, ma certo non venivano tutti da lì i venti milioni che sono scesi in piazza. E in piazza mi è sembrato di vedere tutti i personaggi dei miei romanzi. Abbiamo assistito ad un fenomeno straordinario, quello di avere migliaia di donne rimaste a dormire per strada senza che nessuno le violentasse. La gente ha lasciato i propri effetti personali in piazza, nella profonda consapevolezza che nessuno glieli avrebbe rubati. La rivoluzione è come una vera storia d’amore. Tira fuori il meglio dalle persone. E’come se non avesse solo liberato gli egiziani, ma ne avesse curato anche i difetti sociali».

Lo scrittore non organico, l’intellettuale critico e scomodo che ha anticipato gli avvenimenti… E ora, dopo la thawra con i suoi tentennamenti e riflussi, quale ruolo pensa di avere nel nuovo Egitto.

«Non credo che la letteratura sia uno strumento di cambiamento politico. Sono un'attivista della democrazia, ho scritto articoli in suo nome, li avrei scritti anche se non fossi stato un romanziere. Ma è la politica che cambia le situazioni. Come intellettuale continuerò ad essere molto critico, continuerò a criticare. Non più contro Mubarak, è l’esercito che mi preoccupa».


Lei ha sempre rivendicato il diritto dell'intellettuale a occuparsi di politica. Non si può separare la letteratura dalla politica?

«Mi chiedo: è possibile separare la politica dalla vita? Se la risposta è negativa, allora la letteratura è la vita scritta sulla carta, ciò che si separa dalla letteratura si separa dalla vita».

Renato Minore Il Messaggero Venerdì 09 Settembre 2011

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, mercoledì 21 settembre 2011

martedì 20 settembre 2011

SILLABARI : Seduzione

SILLABARI : Seduzione

Cos’è per voi la seduzione?

Partendo dall’origine etimologica del termine, proviamo a descriverla.

Seduzione” è uno dei termini e dei concetti più ambigui che l’uomo abbia coniato.

L’etimo (se, prefisso separativo + dùcere, in italiano: condurre) riporta a traviare, condurre separatamente, ovvero condurre separando.

Chi seduce separa il sedotto da qualcuno e qualcosa a cui è solitamente collegato, oppure da se stesso, dalla sua stessa sfera volontaria, dal suo percorso naturale, in un’estenuante sfida tra inconscio e conscio.

La prima accezione lo riferisce all’etica e solo successivamente il termine acquista la connotazione erotica che lo caratterizza, in senso stretto e in senso lato, e lo lega piuttosto alla dimensione estetica.

Ci seduce chi ci porta fuori dalla nostra strada, e nel farlo vince le nostre resistenze. Ci seduce chi ci porta allo straniamento e, in un certo senso, ci contamina col suo carisma. Ci seduce chi ci cattura, ci invischia e ci rende preda.

In un certo senso la vita è frutto di seduzione, perché un atto di seduzione ha indotto i nostri genitori all’amplesso da cui nasciamo, perché uno degli spermatozoi ha sedotto l’uovo, perché il serpente ha sedotto Eva…

Gianfranco Casalis in LA SEDUZIONE NELLA DIMENSIONE D'AMORE scrive

Il concetto di seduzione si è modificato nel corso degli anni, ma è sempre stato presente in ogni forma dell’esistenza umana. Gli esseri umani si chiedono da dove venga la singolare e straordinaria capacità di certi uomini e donne di attirare gli altri e la storia dell’umanità è ricca di esempi che ci possono illuminare nella comprensione di tale fenomeno.

L’incontro di Ulisse con la maga Circe è l’incontro tra un eroe e una donna pericolosa “fatale”. Circe, con le sue arti magiche, ma soprattutto con il suo fascino di donna irresistibile e la sua bellezza disarmante, costituisce una serio pericolo per l’eroe greco, che uscirà indenne dall’incontro con la dea soltanto grazie all’intervento divino. Ulisse, dopo aver superato ostacoli d’ogni sorta ed essere sopravvissuto alle ire degli dèi, al cospetto di questa donna intrigante, trema ed esita perché sconvolto nel profondo del cuore.

La principessa Salomè, personaggio biblico legato alla vicenda della morte di Giovanni il Battista, rappresenta l’archetipo della danzatrice ammaliatrice e seducente per eccellenza che con la sua danza sinuosa strega chi si trova di fronte fino al punto di soggiogarlo totalmente al suo volere. Siamo dunque di fronte ad una nuova figura di donna terribile e incontrollabile, che soggioga l’uomo servendosi della seduzione e riducendolo in uno stato di languore senza via d’uscita.

Durante il periodo medioevale l’Amore Sacro prevaleva sull’Amore Profano e la seduzione trovava poco spazio per potersi esprimere. E’ noto come l’innamorato di quel periodo non doveva cedere ai sensi, ma rispettare viceversa un amore puro e spirituale. Nel corso dell’Alto Medioevo il trionfante ideale monastico instaurava un legame tra carne e peccato e contrapponendo il corpo all’anima ne predicava la mortificazione. Fu soprattutto la figura femminile a farne le spese.

La religione cristiana identificava la seduzione con Satana. Il demonio è stato considerato il grande seduttore che ci fa deviare, ci dirotta, ma il mito satanico ci ha consentito di creare la nostra storia. Il verbo sedurre, infatti, ha preso il significato di indurre in errore, deviare e la figura satanica è diventata il simbolo della seduzione. Il Cristianesimo, infatti, rinforzò quella tradizione misogina gia presente nella cultura giudaica e greco-romana.

Nel Medioevo il peccato originale, un peccato soprattutto d’orgoglio, si trasforma in un peccato sessuale e la femmina e il corpo, da Eva alle streghe, diventano luoghi diabolici che incarnano il male. Il clero considerava l’amore una passione che allontana l’uomo dalla religione, alla stregua di una malattia dei sensi che turba l’anima.

Nel corso del XII secolo qualcosa comincia a cambiare e nasce l’idea dell’amor cortese che porta con se un concetto positivo dell’amore. In questo periodo il desiderio e la passione erotica non sono negati e la donna viene considerata un essere superiore con pieni poteri sulla persona amata. A quest’ideale della donna angelica dello Stil Novo si oppone una nuova visione, legata alla poesia Comica che vede l’amore carnale fonte di continui litigi e scontri. La donna viene descritta come lussuriosa, avida e traditrice, capace soltanto di affermazione sensuale e sopraffazione e il tema misogino di chi prova avversione e disprezzo per le donne riaffiora nell’immagine della donna astuta e infedele. Nel Cinquecento il nuovo modello del comportamento femminile è imposto dai costumi di corte e la donna non è soltanto la madre di famiglia, ma esce dal privato familiare o dalla relazione esclusiva con l’amante per mostrarsi in un ruolo pubblico. In questo periodo nasce la figura della cortigiana, una nuova figura della donna del rinascimento che per tutto il XVI secolo la vede ottenere un riconoscimento sociale. La cortigiana, come la gentildonna di corte deve essere istruita nella propria arte e le due figure femminili hanno in comune l’idea della vita sociale come arte dell’inganno e della finzione. La prostituzione diventa per la cortigiana l’arte di simulare e dissimulare, vale a dire l’arte dell’inganno.

Bisogna arrivare al periodo del romanticismo e del decadentismo per accorgersi di come il sesso abbia un ruolo centrale nelle opere di fantasia in cui si alimentano il sentimento del sublime e l’immagine della donna fatale come elementi spesso intimamente legati. Dietro la figura della donna fatale si nasconde però la paura di se stessi, la rottura tra natura e progresso, la contestazione, la rivolta della ciclicità della natura e di tutto ciò che è atavico, ancestrale contro il mondo votato al progresso, privo di sentimenti. La donna fatale diventa allora l’espressione della Natura che crea e distrugge e che nasconde il fantasma di una Gran Madre potente e primordiale che seduce e annienta.

Soltanto nel settecento la seduzione perde il suo significato negativo è comincia a suscitare grande interesse. Infatti, il settecento è considerato il periodo dei grandi seduttori, come il Casanova che ricercava soltanto il piacere dei sensi e il più indifferente e cinico Don Giovanni, lanciato verso il trionfo, la conquista sociale e l’esibizionismo.

Con Baudelaire la donna fatale si trasforma in donna vampiro ed emerge la paura d’essere succubi della donna, la paura del piacere mascherata dal disprezzo. L’individuo che desidera diventa uno schiavo consapevole privo di volontà e fagocitato da una degradante sensualità all’interno del rapporto donna-peccato ed è proprio in questo contesto che trovano spazio temi come l’attrazione per la sessualità selvaggia, la bruttezza eccitante e l’amore saffico.

Verso la fine dell’Ottocento la calunnia e denigrazione delle donne considerate poco più che strumenti per fare figli condannava l’identità femminile e favoriva di fatto la “mascolinità” e la sessualità femminile veniva considerata come la fonte di degenerazione e rovina sociale. Agli inizi del Novecento le scienze mediche e biologiche erano tese a dimostrare che la natura aveva dotato le donne di un istinto di base che le rendeva predatrici e streghe distruttrici. Sotto l’apparenza angelica della donna si agitava l’insaziabile carne di una peccatrice mossa da un istinto inconscio profondamente radicato nella primitiva mente femminile.

Le scoperte biologiche del primo periodo del Novecento appesantirono la cultura occidentale di un erotismo morboso incentrato sulle immagini della donna vista come vampiro. Nel periodo del decadentismo la donna viene vissuta come dominatrice accompagnata da un uomo masochista e sottomesso. Il maschio dimentico del modo “virile” d’agire è reso impotente da una figura femminile che annienta attraverso i suoi abbracci e le sue carezze che non rispetta più la tradizionale divisione dei ruoli e assume l’iniziativa sessuale. L’Opera di Gabriele D’Annunzio che si muove all’interno di correnti romantiche e decadenti fornisce la migliore immagine del tipo della “donna fatale”, della sua sopraffazione e crudeltà. L’Opera Dannunziana è ricca di personaggi femminili sensuali, crudeli e corrotti che spesso sono anche vittime della follia come delle malattie e della demenza. D’Annunzio ripropone la seduzione in termini di conquista.


Verso la fine del secolo il pittore austriaco Klimt dipinge figure femminili dominatrici, peccatrici, seduttrici all’interno di un contesto sociale in cui non vengono più derise spietatamente, ma venerate come dee di una nuova e più libera cultura prigioniera delle sue grandi passioni, in un’Europa che cambia volto. Per Klimt la donna è la personificazione sia della tentazione sia della poesia che spinge al trionfo della seduzione artistica sulla seduzione carnale.

La psicoanalisi considera invece la seduzione come un’illusione che nasconde un bisogno taciuto, sottinteso creato dalla propria immaginazione al cui fascino è difficile sottrarsi. Nell’epoca attuale il passato con i suoi sentimentalismi viene respinto e l’idea del peccato scompare sostituita dal concetto che il sesso è la donna sono la stessa cosa. La parte razionale, intellettuale prevale su quella dell’anima e compare l’inquietudine e l’arte abbandona la natura e la simbologia ispiratrice del femminile. La donna non suggerisce, non ispira più come un tempo e nell’ottica maschile la donna per essere conquistata deve essere spesso maltrattata.

Dal punto di vista psicologico la seduzione ci consente di capire aspetti della nostra personalità che sarebbero vissuti nell’ombra e mai sperimentati. Il momento della seduzione si colloca all’interno di una dimensione magica. E’ qualcosa che accade in modo impensato, inaspettato, la cui caratteristica fondamentale è il mistero, l’arcano e il segreto. La seduzione sembra illuminare la nostra esistenza con una nuova luce. Nella dimensione seduttiva si crea una condizione emotiva, passionale in cui nulla è certo e ciò che sta accadendo non può essere codificato da regole conosciute, una dimensione d’amore in cui l’altra persona viene vissuta come un contenitore nel quale si può collocare il nostro mondo interno, il nostro segreto, le parti di noi che ancora non conosciamo e che proprio quella persona in qualche modo sta attivando in noi stessi ed è per questo che è così importante, ci attrae e ci affascina.

Nella seduzione, l’individuo che seduce rinuncia alla relazione profonda per i propri fini egoistici in quanto non riconosce l’altro se non come qualcosa che deve essere a sua disposizione, legato a se, manipolato e dominato. Il seduttore non vuole accettare la separazione dall’altro inteso come individuo e lo ambisce come un oggetto del suo desiderio senza tener conto di ciò che può desiderare l’altro. E’ un modo di non accettazione della realtà in quanto l’essere umano adulto dovrebbe essere consapevole di sperimentare continuamente la separazione da ciò che ama e accettare che ciò che ama non sarà mai completamente suo. La difficoltà sta proprio nel riconoscere e accettare la fondamentale e strutturale solitudine anche in quelle situazioni che sembrano allontanarla e scongiurarla. L’essere umano dovrebbe capire che il nostro desiderio ha a che fare principalmente con la nostra immaginazione e che per accettare la mancanza dell’altro dobbiamo averlo potuto interiorizzare. La seduzione si costruisce sull’illusione che si incarna in un’immagine. Le illusioni, le apparenze sono i sostegni della nostra esistenza e spesso ci imbrogliamo, ci tradiamo su quello che facciamo, sull’importanza che pensiamo d’avere nel mondo, sull’amore che viviamo per riuscire a sopravvivere. Non credo ci sia nulla di sbagliato in tutto questo poiché è un comportamento comune a tutti gli esseri umani che attiene ai sentimenti, ma il non apprendere dall’esperienza in cui le illusioni ci trascinano spesso può essere dannoso per il nostro benessere.

Nella seduzione l’altro non è mai un soggetto ma un oggetto in quanto rinuncia alla propria soggettività per diventare un oggetto fantasmatico, creato dalla fantasia. Tuttavia, la seduzione è importante perché svolge un ruolo di trasformazione e di conoscenza poiché ci spinge a esplorare e lavorare sull’apparenza e a fare i conti con la nostra soggettività, col nostro mondo interno, dal punto di vista della conoscenza. In altre parole nella seduzione noi possiamo diventare più consapevoli della nostra soggettività, del nostro agire personale, di quella soggettività che ha creato, nella relazione con chi abbiamo di fronte, la divinità, l’idolo che adoriamo e che nella realtà non esiste se non nella forma che il nostro mondo interno gli ha conferito sotto la spinta dei nostri bisogni. I nostri bisogni creano l’illusione attraverso la quale essi possono o credono di potersi esprimere. L’individuo che ci affascina può diventare allora elemento trasformativo e conoscitivo poiché ci mette in contatto con questi bisogni profondi che creano la necessità di venerare chi abbiamo di fronte, di sopravvalutarlo e che se non soddisfatti e compresi consumano, logorano parte della nostra energia vitale. La seduzione attiva in modo prepotente quelle parti nascoste della nostra personalità, le parti che non sono mai messe in luce e di cui spesso ci vergogniamo. La dimensione della seduzione ci mette con le spalle al muro, in una situazione in cui non abbiamo alcuna possibilità di difesa, se non facendo appello alla nostra totalità psicologica di cui non abbiamo mai sospettato l’esistenza. L’inganno della persona che ci seduce, inganno in quanto tale persona non è mai come la vediamo, diventa possibilità di consapevolezza, trasformazione e verità.

Credo l’illusione sia un bisogno strutturale, innato dell’essere umano poiché soltanto attraverso gli errori possiamo andare incontro a ciò che chiamiamo “verità”. E’ la nostra individualità psichica che crea la realtà dell’amore. La sessualità stessa trova il suo significato nella seduzione poiché anche in questo caso siamo noi a crearci l’immagine della persona che ci attrae. La seduzione, nella dimensione sessuale, va oltre il gioco complesso di segnali e risposte biologiche in quanto nell’essere umano la sessualità si lega a quella fonte immaginativa interna che prevarica e va oltre gli elementi organici. La seduzione è come una rivincita dell’anima sulla materia, sul meramente corporeo. La dimensione seduttiva ci offre la libertà di perderci, poiché quando ci struggiamo dietro ad una persona mettiamo in gioco la nostra esistenza per possederla, spesso facendo anche le cose peggiori e anche se siamo perduti per un certo modello di realtà abbiamo la possibilità di attingere alla conoscenza di noi stessi. Ciò che ci seduce non è mai l’altro fuori da noi ma è l’altro sul quale noi proiettiamo l’immagine interna di cui siamo portatori e che ospita il significato della nostra esistenza. L’altro diventa ciò che noi vogliamo amare e conoscere di noi stessi.

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, martedì 20 settembre 2011