mercoledì 31 marzo 2010

HISTORICA : GIUSEPPE BELLEI

HISTORICA : GIUSEPPE BELLEI

Eravamo abituati ,durante il passeggio serale in Corso Ovidio a Sulmona a vedere Giuseppe Bellei con i suoi amici e allievi andare e venire e qualche volta sostare in Piazza XX Settembre.Anche se la sua natura schiva lo portava alla riservatezza e lo aveva riportato nel 1937 ,dopo un’esperienza romana, definitivamente a Sulmona dove era nato nel 1910.

Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte a Sulmona, sotto la guida di Alfonso Rossetti ,Bellei frequenta a Roma la libera scuola del nudo in Via Margotta.
Qui conosce gli artisti che a quel tempo lavoravano nella capitale e partecipa a correnti di pensiero e di discussioni che si chiameranno novecentismo, futurismo,metafisico e neocubismo.
Fino al 1937 produce opere scultoree di notevole impegno e valore. Tenta di soddisfare la sua interiorità che gli è pace e tormento allo stesso tempo .Tornato a Sulmona mentre inizia la sua vita di insegnante di plastica presso l’Istituto Statale d’Arte dove era stato allievo ,matura esperienze realizzando opere di vasto respiro che gli meritano l’accettazione alla III Quadriennale di Roma (1939) alla Mostra Nazionale di Arte al Maschio Angioino di Napoli e ad altre mostre di rilievo nazionale. Nel 1960 abbandona la scultura e porta avanti il lavoro pittorico.

Già la scultura. Quella scultura nella quale si dilettava il nonno mastromuratore che nei momenti di riposo scolpiva figure su pietra nella casa di Via Roosvelt a Sulmona dove Bellei era nato da Ferdinando ,calzolaio, e Anna Colaprete casalinga, nata in Argentina.

E anche se per sua ammissione ,era stato il suo insegnante di disegno all’Istituto d’Arte Alfonso Rossetti ad educarlo alla lettura analitica della realtà,la propensione al disegno che aveva lo dispone a risultati eccellenti .
Scrive Giorgio Di Genova in occasione di una mostra delle sue opere a Palazzo Mazzara di Sulmona come omaggio della città al suo impegno e lavoro artistico allestita dal 23 dicembre 1984 al 3 febbraio 1985 a cura della Galle ria “La Stadera” animata da Gino e Maria Carla Morbiducci. ”Giuseppe Bellei è un artista che, come suol dirsi ,possiede due anime. Una plastica e una pittorica,che sin dagli esordi ha cercato di assecondare in contemporaneità. Ma alla base di ambedue c’è una forte propensione per il disegno,attraverso cui ha imparato a guardare le forme del reale e nel contempo a interpretarle analiticamente (…) Sin dalla prima metà anni trenta ,quando più che ventenne Bellei faceva il suo tirocinio artistico, dimostrò una forte propensione all’idealizzazione , anche puristica,dell’immagine e dei suoi dettagli ,cosa bene evidenziata da talune sculture di busti e soprattutto di teste,,nelle quali ciò che lo preoccupava era l’esattezza del disegno dei volumi ,l’assolutezza dei ritmi di superficie e il conseguente inserimento delle fattezze in un impianto che, pur nell’ambito del figurativo, denotava nell’insieme e nei particolari un insopprimibile esprit de gèometrie , che era poi ciò che determinava il purismo delle sue forme plastiche.
Dalla testa di Popolana, il cui ovale è circoscritto spazialmente nello scialle , a quello di giovanetto del 1937, sorta di essenzializzazione di Testa di ragazzo del 1934 di cui ha perso quel parametro formale costituito dal girocollo del maglione, giù, giù fino a testa di donna del 1940 , a Fanciulla del 1941 e a Testa di donna del 1942 ,sembra che Bellei inseguisse un ideale di perfezione , basato su sentimenti arcaici e assieme sulla moderna lezione cèzaniana della riduzione della natura al cono, al cilindro e alla sfera.
Le sue teste, insomma ,tendevano a porsi al di là di ogni temporalità ed epoca, per divenire forme assolute dell’essere ,quasi per un sentire mitico intriso di memorie classiche sia nei contenuti , come è nell’Orfeo del 1936, che nelle forme, come è nel busto di Popolana del 1939 , meno assoluto della citata testa di medesimo soggetto e più per la positura da scultura antica e romana che per la morbidezza dei panni che la vestono.

Certo il fare plastico di Bellei non divergeva da certe soluzioni che negli anni Trenta si erano imposte nella scultura in Italia ,né mancava forse di guardare a suo modo alla lezione del grande Arturo Martini ( si veda al riguardo la rimarchevole Dormiente del 1935) così come a suo modo la pittura del Bellei non trascurava di rimeditare su certi esiti della Scuola Romana e sul mondo emblematico di Tomea; tuttavia mi sembra che l’ottica del nostro sulmonese si connotasse fin da allora fortemente purista in direzione di una sublimazione dei volumi che venivano così decantati forse anche per un’inconscia reazione alle distruzioni della guerra , dato che durante tutto il periodo bellico Bellei ha - e alcuni esempi li abbiamo citati - continuato a perseguire le sue decantazioni puristiche del reale. Si direbbe che Giuseppe Bellei, tutto immerso nei suoi problemi stilistici , abbia passato imperturbato attraverso le distruzioni della guerra, che non hanno minimamente scalfito la sua immaginazione né suggestionato il suo occhio plastico.
Anche negli anni del dopoguerra , quando si pensava alla ricostruzione, egli continuò a portare avanti nel più assoluto rigore formale il suo discorso ( testa di giovane 1947, Testa di fanciulla 1949). Con il senno di poi sappiamo che si trattava di una solitaria , quanto accanita ,anabasi stilistica, che raggiunse nel 1950 con Figura in giardino e Dormiente l’apice della sintesi. In queste due opere , dovute forse a suggestioni da Moore e Arp assieme, i volumi rotondeggianti e i ritmi curvilinei esprimono un modo nuovo , sintetico di fare scultura non dissimile da quello in cui il napoletano Venditti era approdato nel 1947.

Queste opere non mancano di segnare quelle prove in cui viene attuato un recupero di dettagli somatici , dico Contemplazione e Donna accoccolata dello stesso anno, quest’ultima immagine estatica di qualche risonanza orientale. E’ un primo cospicuo passo verso la geometrizzazione delle figure che negli ultimi anni del Cinquanta raggiungerà la sua maturità in una serie di terracotte a linee rette e spezzate ,nelle quali la dimensione plastica del tutto tondo viene come schiacciata per ottenere esiti di rigorosa frontalità. La scultura si fa così architettura dei ritmi dei vuoti e dei pieni , anche ad altorilievo ,evocativamente riferiti alla struttura dei corpi umani. Giungiamo con queste opere al 1960, anno in cui Bellei abbandona la scultura per dedicarsi anima e corpo alla sola pittura. (…)
Per anni Bellei popola i suoi dipinti di stilizzate figure secondo un’ottica che riduce l’uomo a morfologica geometria. Il discorso pittorico è tutto impostato sul ritaglio delle immagini , che tendono ad evidenziare la superficie piatta del supporto.
Può sembrare strano che un artista come Bellei,dotato di un’anima plastica sia approdato ad una pittura timbrica del tutto antiplastica. Ma ciò non è solo una conseguenza del suo veder geometrico, bensì è frutto di una sottile trasposizione della plasticità nel pittorico. Voglio dire che la dimensione differenziata delle forme nello spazio, che nella scultura era data dai volumi , nella pittura viene sostituita dalla differenziazione timbrica dei colori, che ora bucano l’immagine con cerchi ed ora alludono nelle variazioni cromatiche alla spazialità anche con l’ausilio delle sovrapposizioni di immagini. E nei fondi il colore viene sempre usato come elemento spaziale , naturalmente in direzione emblematica. Ecco , l’emblematismo. Esso diviene , dopo tante indagini sulla realtà circostante (nature morte,paesaggi peligni) il tratto connotativi della pittura di Bellei,il quale definisce le immagini ,spesso scure alla maniera dell’antica pittura vascolare a figura nera, con contorni colorati più chiari e luminosi, quasi a voler ribaltare al negativo la funzione di definizione al positivo tipica del disegno. Le immagini,pertanto, vengono come ritagliate dal colore sulla superficie in un complesso gioco di tinte piatte di alto valore decorativo .Con Il tempo (1962) diviene una sorta di meccanismo decorativo ,occhiuto e dentato, di forti valori totemici consonanti con il simbolismo pittorico africano; mentre La guerra ( 1972) si fa groviglio di armi, teschio, mostro nero, tutti stilizzatissimi nei modi della tradizione di certa arte precolombiana.

La fantasia di Bellei attua ormai i suoi sogni emblematici che sembrano discendere dai Maya e dagli Atzechi. Più che un riferimento culturale si tratta di una legge di sangue,essendo nato Bellei da una madre latinoamericana. Ma ai mostri precolombiani ( Fondo marino 1975) il pittore mescola talvolta situazioni più surreali , addirittura alla Marx Ernest (Presentimento 1967, Anelito 1984) rideclinando per puri fini compositivi i sostrati concretisti , ormai completamente riassorbiti dal suo emblematico figurativo.
E tuttavia la nuova esigenza di figurazione non dimentica la sua preistoria concertista. Ed eccola sovente spuntare da fondi astratto- concreti. Da qui proviene la sua vocazione alla stlizzazione e alla ricerca dei ritmi sia formali che compositivi. Il lineare vi predomina, riducendo i volti a maschere, anche quando il soggetto è di carattere religioso ( Cristo deriso 1977) Con queste naschere, soggetto che Bellei aveva trattato già negli anni Quaranta , quando guardava a Tomea, altro pittore di maschere ; con queste maschere , dicevo il pittore di Sulmona esprime sentimenti contrapposti. Così esse ora si fanno espressione di tensioni psicologiche (incubo 1977) ed ora abbandono alla gioia di vivere (Maschere 1979),con anche qualche propensione al grottesco addirittura ectoplasmatico da occhio infantile (Immagini del carnevale 1980)…”
Ma Giuseppe Bellei va considerato anche come insegnante prima presso l’Istituto d’Arte di Sulmona e poi presso quello di Avezzano di cui fu preside.
A Sulmona insegnò plastica. oreficeria, pittura, scultura mentre ad Avezzano diede una consistente struttura organizzatica e culturale a quell’Istituto.
Anche in questo impegno fu coerente alla sua natura , quella che lo aveva portato tanti anni prima a tornare a Sulmona , ad abbandonare la vita della capitale per una ricerca di approfondimento quasi fisiologica. Un atteggiamento schivo ed apparentemente isolato grazie al quale Bellei ci ha lasciato nelle sue opere e nel suo lavoro un prezioso insegnamento di coerenza alla realtà oggettiva del suo essere artista.
“…Bellei è potuto , proprio in virtù del suo splendido isolamento,rimanere fedele alla rottura da lui attuata nel 1950, con l’abbandono dell’interpretazione diretta della realtà, per un’intima ed imprescindibile esigenza di adeguamento al linguaggio dell’arte internazionale. E’ ciò che, pur nonostante momenti meno felici e talvolta troppo accondiscendenti al suo temperamento decorativo , gli ha fatto da faro nella sua lunga ricerca , che non di rado è più avanti e più moderna di quella di tanti giovani pittori suoi contemporanei…”.



In ordine le foto sono riproduzione delle seguenti opere del Bellei:
"Immagini" 1958 -terracotta -cm.40
Alfonso Rossetti professore di disegno all'Istituto Statale d'Arte di Sulmona frequentato dal Bellei
"Testa di giovanetta" 1952 - gesso patinato - cm 34
"Testa di ragazzo" 1958 -gesso patinato - cm. 32
"Busto di fanciulla" 1942 - gesso patinato- cm 44
"Testa di popolana" 1941 - gesso patinato cm.35
"L'oppressione" 1971 - olio su tela -cm.60x80
"Germoglio " 1967 - olio su faesite- cm 64x82
"Presentimento" 1974 -olio su tela - cm.80x60
"Cristo deriso" 1977 - olio su tela - cm 60x80
"Fondo marino " 1980 - olio su tela cm. 80x60


Eremo di Via vado di sole , L’Aquila marcoledì 31 marzo 2010

sabato 27 marzo 2010

GRAFFITI 6 : DIVERSITA'

GRAFFITI 6 : DIVERSITA’

Fabrizio De Andrè l’ha cantata con questi versi e con la sua musica inconfondibile.
Il poeta di Marinella, ,dei vicoli di Genova, il poeta amato da Don Andrea Gallo che dalle sue canzoni ha tratto un quinto evangelio non poteva rimanere indifferente davanti alla storia di Princesa (la canzone è contenuta nell’album “Anime Salve del 1996)
Canta Fabrizio di Andrè:

Sono la pecora sono la vacca
che agli animali si vuol giocare
sono la femmina camicia aperta
piccole tette da succhiare

Sotto le ciglia di questi alberi
nel chiaroscuro dove son nato
che l'orizzonte prima del cielo
ero lo sguardo di mia madre

"che Fernandino è come una figlia
mi porta a letto caffè e tapioca
e a ricordargli che è nato maschio
sarà l'istinto sarà la vita"

e io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola fica

nel dormiveglia della corriera
lascio l'infanzia contadina
corro all'incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna

nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni
ad albeggiare sarà magia
saranno seni miracolosi

perché Fernanda è proprio una figlia
come una figlia vuol far l'amore
ma Fernandino resiste e vomita
e si contorce dal dolore

e allora il bisturi per seni e fianchi
in una vertigine di anestesia
finché il mio corpo mi rassomigli
sul lungomare di Bahia

sorriso tenero di verdefoglia
dai suoi capelli sfilo le dita
quando le macchine puntano i fari
sul palcoscenico della mia vita

dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s'appende
nella mia carne tra le mie labbra
un uomo scivola l'altro si arrende

che Fernandino mi è morto in grembo
Fernanda è una bambola di seta
sono le braci di un'unica stella
che squilla di luce di nome Princesa

a un avvocato di Milano
ora Princesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone

”Mi sono innamorato di te. Ma mi sono innamorato anche della tua storia” Le aveva detto quel signore attraverso le sbarre del cancello che separava le sezioni. Così Fernanda aveva creduto di nuovo alla vita dopo aver tentato il suicidio in preda alla depressione.


Fernanda era nata in un paese lontano al di là del mare. Di quel paese a volte ora, richiusa in una cella sognava i colori , sentiva i profumi, i suoni,amava gli orizzonti. In quella terra lontana era nato Fernando che di giorno era Fernando e di notte diventava Fernanda. Poi come tutti i poveri che si trovano in quella condizione , che non ha soldi per affidarsi al chirurgo estetico , si affida alle donne del silicone.Mescola “ sogni con ormoni”,i suoi seni diventano miracolosi. E così Fernandino si trasforma in Princesa . Per vivere e fare soldi guarda all’Italia come un miraggio e raggiunge prima Milano e poi Roma. In queste città regala il corpo e il cuore “ad un passeggiar recidivo” fino a quando per una serie di eventi sfortunati viene arrestato deve scontare una pena. Qui in carcere conosce un sardo condannato per omicidio con il quale fa amicizia , del quale si innamora e al quale confida la sua vita. Per combattere la depressione lui la spinge a raccontare la sua vita scrivendo .Fernanda non sa esprimere bene le sue idee sulla carta. Anche quel signore non sa bene come fare. Sa che nella sezione accanto ci sono detenuti che sanno “scrivere”.Sono uomini che hanno dato vita ad un progetto “Sensibili alle foglie” che è una cooperativa di produzione e lavoro, ma è anzitutto un modo di guardare, un modo di cercare, un modo di porre domande sui vissuti delle esperienze estreme, sui dispositivi totalizzanti che sono all'opera nelle istituzioni, sull'immaginario, sulle risposte adattative e sulle risorse creative delle persone che le attraversano. Così giorno dopo giorno Fernanda scrive su dei pezzi di carta le sue idee e il suo amico le passa attraverso le sbarre a quegli altri uomini anche loro chiusi dietro le sbarre.
Il 15 aprile 1994 il Corriere della sera scrive dopo la presentazione del libro che racconta la storia di Fernanda Farias de Albuquerque:
“Princesa": il racconto del transessuale Fernanda nato a Rebibbia dall' incontro con un terrorista e un pastore. "…Non ho mai capito se i milanesi, molto piu' viziosi dei romani, comprassero una donna con il pene o un uomo con i seni... Lungo i marciapiedi di via Melchiorre Gioia, non seppi piu' se ero maschio o femmina. Furono loro, i 15 milanesi della prima notte, a precipitarmi nella confusione; quasi tutti vollero toccare; era maschio e femmina che mi volevano: 810 mila lire il guadagno della prima sera...". Righe di diario di un transessuale, ex drogato, ex sifilitico, sieropositivo, condannato a 6 anni per aver tentato di uccidere una sfruttatrice. Un vero "rifiuto della societa' "(…) L' autrice del diario si chiama Fernanda Farias De Albuquerque, nata, nel ' 63, come Fernandinho nel Nordeste, in Brasile. Gia' a 6 anni si rende conto di non essere ne' donna ne' uomo: "Due mezze noci di cocco furono il mio primo seno. La mia fantasia, pancia tonda e fessura di bambina". A 7 anni, lui, che la mamma sognava di vedere soldato, viene posseduto per la prima volta. Da allora si trasforma in un oggetto di piacere per uomini, fino a che, diciottenne, non si trasferisce in citta' , dove, la sera "sfilo i pantaloni, infilo mutandine femminili". Proprio come quella povera guardia giurata sorpresa l' altra sera a Milano. Quindi per Fernanda si apre una sola strada: la prostituzione, col nome d' arte di "Princesa", in Brasile, a Madrid, Roma, Milano. Con tutto il mercato che gira intorno: silicone o pastiglie per il seno, bombadeire (costruttrici clandestine di transessuali), alcool, eroina, relazioni con uomini sposati, perversioni di ogni tipo(…) Dopo un tentato omicidio finisce a Rebibbia. Attraverso le sbarre, a Giovanni Tamponi, detenuto da 15 anni, racconta dell' Amazzonia, della sua prostituzione. E lui, che sardo e' , parla con tenerezza della sua terra, della sua vita di pastore conclusa in ergastolo dopo una rapina. "Inventano una lingua, un misto di portoghese, sardo e italiano, costruiscono un mondo", racconta Maurizio Jannelli, il terzo protagonista irregolare di questo diario che apre squarci su un mondo infernale. Maurizio Jannelli, romano, ha 41 anni e due ergastoli. Dal 1976 ha preso parte a quella "disgrazia collettiva, per noi e per le vittime, che e' stato il terrorismo". Per non trasformarsi in "reduce", Jannelli cerca una strada diversa: scrive, ma non di lotta armata. "Ho scritto l' autobiografia di Princesa . ricorda .. Me ne aveva parlato Giovanni, che conoscevo da Fossombrone. E per un anno gli appunti viaggiano da una cella all' altra. La mia si popola di giaguari e diavoli del Nordeste brasiliano, di quella sessualita' in bilico che trascina sui marciapiedi un' onda di padri di famiglia, soprattutto italiani e spagnoli". Cosi' "l' esperienza di un corpo in transito da un' identita' sessuale all' altra" diventa un libro straordinario per umanita' dolentissima e per stile da grande scrittore: "Princesa", dove la protagonista appare "nuda e cruda", specchio ambiguo delle nostre ambiguita' . "Un libro senza lieto fine . dice Jannelli . perche' nato da tre persone senza illusioni".
Ed è questo un modo di ricordare Fabrizio De Andrè ora che tanto i mass media parlano di lui per una delle loro consuete o inconsuete celebrazioni.

Eremo di Via Vado di Sole, L’Aquila giovedì 25 marzo 2010

AD HOC 2 : LE QUATTRO NOTTI DELLA SALVEZZA

AD HOC 2 :LE QUATTRO NOTTI DELLA SALVEZZA

La prima notte: la notte della salvezza
La seconda notte: la notte di Abramo o della fede
La terza notte: la notte dell’esodo o della liberazione
La quarta notte La notte del Messia o dell’amore crocofisso



La notte di Pasqua ,la notte della salvezza,riassume il racconto delle quattro notti fonti del dono dell’esperienza di grazia che il Signore ha dato agli uomini.


La notte di Pessach i figli di Israele si siedono attorno ad una mensa addobbata con i segni della redenzione e proclamano le meraviglie che Dio ha compiuto per loro.
L’osservanza scrupolosa del “seder pasquale” consiste per ogni famiglia di magiare le erbe amare (“maror”),il pane dell’afflizione ,il “matzah” o pane azzimo ( pane non lievitato perché nell’urgenza della fuga dall’Egitto non ci fu tempo per farlo lievitare) e di bere il vino alle coppe della salvezza.
Il “ seder pasquale” è dunque il rito che regola la purificazione di ogni lievito, simbolo del fermento del male che è in noi (“chametz”) e la celebrazione del banchetto.

La notte della Pasqua i cristiani la celebrano attorno alla mensa dell’agnello, mangiano il pane della vita e devono il calice della salvezza, nutriti quindi del corpo e del sangue di Cristo.
Pane azzimo dell’ostia e calice del vino sono nel segno della continuità dell’eucarestia con il banchetto pasquale ebraico pur nella novità della presenza reale del Signore Gesù.
Perciò la liturgia della Veglia pasquale canta così: “Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti del Cristo dall’oscurità del peccato e della corruzione del mondo, li consacra all’amore del padre e li unisce alla comunione dei santi.. Questa è la notte in cui Cristo , spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.

Nel dialogo tra padre e figlio (Es.13,14) seduti intorno alla mensa del Pessach risuona una domanda : “ Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti ?”
Perché si fa memoria della schiavitù di Egitto , ci si dispone a gustare il sapore della libertà bevendo alle quattro coppe della salvezza.

La notte di Pessach è la notte che rivela le innumerevoli meraviglie di salvezza che l’altissimo ha operato: quattro, dalle quali derivano tutte le altre e tutte e quattro si sono compiute nella notte e nel buio del cuore, la luce è venuta a salvarci.
Il racconto delle quattro notti è riferito nella tradizione ebraica in rapporto alla benedizione ( o qiddush) delle quattro coppe in un antico documento che ne parla ed è il TARGUM ONKELOS a Es. 12,42.”In realtà quattro notti sono scritte nel libro del memoriale. LA PRIMA NOTTE fu quando il Signore si manifestò nel mondo per crearlo: il mondo era deserto vuoto e la tenebra si estendeva sulla superficie nell’abisso ma il Verbo del Signore era la luce e illuminava. Ed egli la chiamò notte prima (QIDDUSH della prima coppa) .

LA SECONDA NOTTE fu quando il Signore si manifestò ad Abramo dell’età di cento anni,mentre Sara sua moglie ne aveva novanta,affinché si compisse ciò che dice la scrittura : certo Abramo genera all’età di cento anni e Sara partorisce all’età di novant’anni. Isacco aveva trentasette anni quando fu offerto sull’altare. I cieli si abbassarono e discesero e Isacco ne contemplò la perfezione e i suoi occhi rimasero abbagliati per le loro perfezioni. Ed egli la chiamò : notte seconda (QIDDUSH della seconda coppa).
LA TERZA NOTTE fu quando il Signore si manifestò contro gli egiziani durante la notte : la sua mano uccideva i primogeniti di Egitto e la sua destra proteggeva i primogeniti di Israele per compiere la parola della Scrittura : Israele è il mio primogenito (Es. 4,22) Ed egli la chiamò : la notte terza ( QIDDUSH della terza coppa).


LA QUARTA NOTTE sarà quando il mondo giungerà alla sua fine per essere redento. Le sbarre di ferro saranno spezzate e le generazioni degli empi saranno distrutte.E Mosè salirà dal deserto e il Re dall’alto: e il Verbo camminerà in mezzo a loro ed essi cammineranno insieme., E’ la notte di Pasqua nel nome del Signore ,notte predestinata e preparata per la redenzione di tutti i figli d’Israele in ogni generazione (QIDDUSH della quarta coppa).”



Far memoria di queste quattro notti aiuta ad entrare intensamente nella notte di Pasqua, culmine e fonte della salvezza nostra e di tutte le creature che sono al mondo. Come quattro tappe esse scandiscono il cammino, teso a fare sempre più di noi , per tanti aspetti figli della notte, i figli della luce redenti dall’Amore.

“perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui è resuscitato” Luca 24,5
“non abbiate paura ,voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. E’ risorto come aveva detto…” Matteo 28,5
“ …non è qui .Ecco il luogo dove l’avevano deposto..Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea.Là lo vedrete come vi ha detto.” Marco 16,6
“donna perché piangi ? Chi cerchi? Ella pensando che fosse il custode del giardino gli disse “Signore se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai portato e io andrò a prenderlo “. Gesù le disse “Maria!” Essa allora voltatosi verso di lui gli disse in ebraico “Rabbuni!” che significa Maestro” Giovanni 20,15




BUONA PASQUA 2010

Eremo di Via Vado di sole ,L’Aquila, sabato 27 marzo 2010 vigilia della Domenica delle palme

venerdì 26 marzo 2010

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI 3 : IL CANE

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI 3 : IL CANE





Malgrado l’epoca dei Lumi e la Rivoluzione alle porte, la teoria che gli animali fossero solo e semplici macchine formulata da Descartes e convalidata dal teologo Malebranche divenne teoria ufficiale .Si diceva : se li prendi a calci si lamentano ma il loro lamento non è altro che il cigolio di un meccanismo. Se dimostrano di occuparsi della prole , costruiscono nidi ed hanno altri comportamenti ragionevoli dipende solo dall’istinto. Non hanno consapevolezza di quello che fanno . Soino macchine incoscienti senza memoria e senza raziocinio.
Anche il conte di Buffon al secolo Gorge Luis Leclerc (1707-1788),uno dei più eminenti naturalisti di tutti i tempi la pensava più o meno così quando voleva fare il benpensante ligio a quello che era appunto l’idea di un filosofo naturale come Descartes. Quando però assumeva la veste di ricercatore e di osservatore appunto della natura questa sua idea entrava in conflitto con la sua onestà intellettuale diremo noi oggi . Fortunatamente la sua onestà ha avuto il sopravvento cisì che ci ha lasciato delle descrizioni degli animali per quello che in realtà sono e non per quello che la visione ufficiale pretendeva che fossero.
Nella sua Histoire Naturelle che verrà stampata e ristampata in innumerevoli edizioni e in versione integrale o ridotta ad uso di tutti e finanche dei ragazzini ci ha lasciato una descrizione del cane che vale la pena di leggere o rileggere.
L’Histoire Naturelle fu famosissima dalla seconda metà del Settecento fino al 1859 data di pubblicazione dell’Origine della specie di Charles Darwin e dopo conobbe una progressiva eclissi fino a diventare una rarità per bibliofili.
Ecco dunque che cosa scrive del cane:”…le qualità interne sono la parte più sublime nell’animale,da che per esse si distingue dal puro automa,sovrasta ai vegetali ,e meglio si approssima a noi. Il sentimento adunque è quello che nobilita un ente, che lo regge,che vivifica,che comanda gli uomini ,rende attive le membra,fa nascere il desiderio ,e dà alla materia il moto progressivo,la volontà e la vita (….) Il cane ,indipendentemente dalla bellezza della sua forma,dalla vivacità,dalla forza,dall’agilità,possiede in grado eccellente tutte quelle qualità interiori che possono tra su di lui e fissare gli sguardi dell’uomo. Un natural focoso , collerico,ed altresì feroce e sanguinario,rende il cane selvatico formidabile a
tutti gli altri animali: ma questo naturale del cane domestico dà luogo a sentimenti più dolci,al piacere di amare e al desiderio di rendersi amabile.Vien egli perciò umile a mettere ai piedi del padrone il suo coraggio,la sua forza i suoi talenti ,aspetta i suoi ordini per farne uso, lo consulta, lo interroga, lo supplica e una sola occhiata basta per fargli intendere i segni della sua volontà; e benché non abbia come l’uomo il lume della ragione, egli ne ha però tutto il fervore del sentimento e lo supera in fedeltà e in costanza d’affetto (…)ma il cane ammaestrato dall’esercizio e dall’educazione,nonché dalla finezza del sentimento, che a lui solo appartiene non perde di mira l’oggetto che perseguita (…) Sembra che il cane sia il solo animale la cui fedeltà regge ad ogni prova; il solo che conosce sempre il padrone e gli amici di casa;il solo che subito si accorge della venuta di uno straniero; il solo che intende il suo nome e che riconosca la voce dei domestici; il solo che non confida sulle sue forze; il solo che quando ha perduto il suo padrone e non può ritrovarlo,chiamalo con i suoi gemiti; il solo che in un lungo viaggio sebbene fatto la prima volta , si sovviene poi della strada , e sa rintracciare il cammino; il solo finalmente i cui naturali talenti sono evidenti e l’educazione sempre felice…”
Da sempre la virtù dell’incrollabile fedeltà al padrone era nota. Lo dimostra la storia di Argo il cane di Ulisse . Fedeltà descritta da Thomas Mann in Cane e padrone. Ce lo dicono le tante storie di cui si occupano i mass media.
Ci sono premi e statue per cani valorosi. Ci sono gare di agilità e di bellezza. Ci sono anche storie di vivisezione, di sofferenze a cui questi animali sono sottoposti ,criminali gestioni di canili e soprattutto c’è la crudeltà, l’insensatezza, la perfidia la stupidità, l’ignoranza dell’uomo che si traduce nell’abbandono .
Ci sono gruppi su facebook che raccolgono proposte e iniziative in favore del “ miglior amico dell’uomo” anche se l’uomo non è sempre il miglior amico del cane.
Un vecchio detto popolare assicura che prima o poi il cane prende a somigliare al padrone e diventa un doppio dell’uomo irrompendo anche nella ritrattistica storica,luogo topico dell’identità come le immagini che illustrano questo post.


Le immagini in ordine secondo il testo sono foto delle seguenti opere :1)Francois Clouet (1510 circa- 1572) "Enrico II bamino" Olio su tela cm.16x13, Anversa Koninklijk Museum ; 2)Johann Joseph Zoffany 81733-1810) " Il Conte Mont Louis", Parma Accademia di Belle arti; 3)Johann Friedrich August Tschbein 81750 -1812) "Il duca Carl August van Sachsen-Weimar-Eisenach 1795 " Collezione privata; 4)Johann Joseph Zoffany (1733-1810) "Ferdinando di Borbone" Olio su tavola cm 107X86.Parma Accademia di Belle arti; 5)Antonio De Rosa "Eleonora Sacrati principessa di Cardito 1666, Firenze collezione privata; 6) Carlo Angelo dal Verme 71784 -1824) "Maria Amalia in veste di Diana cacciatrice ,Olio su tela cm 89X 72,5 ,Parma Accademia di Belle arti ; 7)Pier Francesco Cittadini (1613-1681) "Bambina con cagnolino",Olio su tela cm 118,9X84,7 , Parma collezione privata; 8)Anonimo lombardo ( secondo quarto del XVII secolo ) "Bambina con cane a vaso di fiori, Olio su tela cm 103X76 ,Milano collezione Koelliker 9)Carlo Ceresa (1609-1679) "Giulia Bonfanti Olio su tela cm.240X 122 ,Parma Galleria Nazionale.

Eremo di Via Vado di Sole, L’Aquila ,lunedì 15 marzo 2010

DIARIO DI UN TERREMOTO. DIARIO PER CERTI VERSI IN PROSA E PER CERTI VERSI IN POESIA. 20 - 21 e 22 Giugno 2009

DIARIO DI UN TERREMOTO. DIARIO PER CERTI VERSI IN PROSA E PER CERTI VERSI IN POESIA.20 - 21 E 22 giugno 2009


L’Aquila, 20 Giugno 2009

Tra i muri sbrecciati e i tetti
scompigliati, cresce ora l’erba
e il sole bagna uno sterpo di rosmarino
là dove c’erano gerani alle finestre
e colombi a spulciarsi al sole.

Le porte rimaste in piedi sulle pareti
sembrano macchie
che crescono dentro gli occhi
e che il fragore delle parole inselvatichite
potrebbe finire di buttare giù.

Ora quelle dita di fabbro ferraio,
quelle dita piene di scommesse
si alzano e si riflettono nel cielo.
Non c’è il blu nel cielo
ma i miei occhi guardano il cielo.



L’Aquila 21 Giugno 2009

Non dire che il sole nelle fermate
del terremoto non basta più.
Questa primavera con poco sole
ed albe troppo grandi
aspetta tra i ferri vecchi
della città,
quelli conservati nei cassetti dei mobili
delle case,
questa primavera aspetta
ore e ore per sapere che ne deve fare
dei fiori e dei colori, dei gatti
in amore,
che ne deve fare di questa città.

Ai tuoi occhi chiedo come
sarà la città domani
dove si odono di nuovo i passi
e le voci all’antica maniera
tra il mare delle pietre nuove
e delle memorie antiche.

Vuoi che ti spieghi dove sono finiti
i passi
dell’esilio,quei passi che ogni passo
è una partenza.
I tuoi occhi già me lo dicono
guardando lontano eppure vicino
tra le strade e le case.
Sono finiti sul volto d’una madre,
nel canto d’un bambino,
sono finiti nella città di tela
la notte gelida il giorno che scotta
sono finiti nel pianto mescolato alla pena.

Ma perché non dormi stanotte
e pensi a queste stupidaggini
e alle vuote parole per esprimerle
che ti fanno uscire di testa
(poeticamente “ di senno”)
e ti mettono il bruciore di stomaco
(quello meno poeticamente viene
dalle rabbie che mi fanno prendere
e dall’ingordigia di quello che mi mangio)
perché non dormi?


L’Aquila, 22 Giugno 2009

La quotidianità. Siamo costretti a vivere nel presente. Abbiamo inventato la storia perché la memoria, che può permettersi il lusso di dimenticare, potesse avere significato individuale e di gruppo. Immaginiamo il futuro.Però nell’istante vissuto si gioca e si realizza la distinzione tra contingenza e necessità,tra la scelta e l’inevitabile,tra l’altrimenti e l’immutabile.
L’istante presente diventa sempre più significativo se riesce a coniugare ( attraverso processi formidabili tra i quali l’educazione e la formazione dei giovani , la tolleranza dei diversi, l’accettazione dei vecchi) il pragmatismo e l’ideale , la concretezza e l’utopia, le certezze e i sogni, in due parole il cielo e la terra.
Superare la precarietà del virtuale e la finzione delle opinioni significa dare concretezza ad una società che è diventata “liquida” in cui niente è dato per la vita, niente è predeterminato e ha a che fare con la vita. La quotidianità è fonte allora di sincerità e verità per fare le scelte che ci aiutano a vivere.
E con il terremoto che c’entra. C’entra, c’entra e come che c’entra. ( Chissà che ne dice Stefania l’amica di Sonia che una lusinga l’ha già detta , evviva, che sono il suo filosofo preferito, evviva ).

Sembrerà ridicolo ma alle zoccole
bisognerà dare da mangiare altrimenti
con le fognature all’asciutto
andranno a cercarselo da sole
magari…
Così concertava il Consiglio
Comunale senza tener conto

che a Giorgio il nostro gatto grigio
ex sette chili perché è un po’ dimagrito
per i vermi nell’intestino
piace la coratella
specialmente come la cucina Pierina
e gli fanno paura le zoccole;
a Ombra un gatto nero che lo vedi e non lo vedi
di giorno e di notte
piace il manzo argentino con i piselli e verdure
in salsa patè delle scatolette
e forse gli piacerebbe anche ballare
il tango
se non fosse così pauroso
e a Micia a Micia piacciono secco secco
solo le crocchette
di buona marca a sette euro la confezione da un chilo;
che Alì che va appena all’asilo
è bravo a far saltare i grilli
e le ranocchie
che Massi che l’asilo se l’è scordato da una vita

sa far volare gli aeroplani di carta
che io non so far niente
e mi fanno male le dita se uso le chiavi
inglese
per svitare lo scarico del lavandino ,
che mi faccio sempre ferite mentre uso
gli attrezzi e mi sono fatto anche
l’antitetanica,
e che non c’è spazio a sufficienza
per me e per il cane
in questa branda da frate
nella tenda che uno dei due
prima o poi dovrà dormire sul pavimento
di plastica per poter riposare
e non dire al mattino mi fa male
un osso proprio nel mezzo della schiena.
E se il Consiglio Comunale non sa
queste cose
allora che Consiglio Comunale è ?


Dalla tenda n. 2 del complesso "L. Ferrari" Via Acquasanta L'Aquila

giovedì 25 marzo 2010

AD HOC 1 : RICOMINCIARE

AD HOC 1 : RICOMINCIARE. Ricominciare da Gramsci e Berlinguer

Ero un ragazzo e seguivo mio padre quando frequentava la sezione di Sulmona del Partito Comunista Italiano. Erano gli anni Cinquanta del Novecento.Le sezioni dei partiti, gli oratori parrocchiali , le piazze erano allora posti frequentati.
In quelle stanze che ospitavano la sezione del Partito grande era il fermento di discussioni,riflessioni, studio e lavoro di proselitismo, propaganda e politico.In definitiva quei comunisti che avevano attraversato la lotta partigiana ,che cantavano “Bandiera rossa” , applaudivano Palmiro Togliatti (è un modo un poco romantico di ricordare quel tempo ma perdonate ero ancora un bambino ),quei comunisti non mangiavano i bambini e nemmeno i preti.

Erano padri e madri che ricostruivano un paese e lo volevano nuovo e diverso ,un’Italia che di lì a poco avrebbe visto il boom economico e sarebbe ripartita con un motore a tutto gas. Un motore che piano piano si è andato imballando, che ha girato a vuoto e che oggi non ce la fa più non solo per la crisi economica ma per le ruberie, la politica alleata al malaffare e la criminalità organizzata.
Padri e madri che a quel tempo a volte non trovavano lavoro in questo paese e che furono costretti ad andare a costruire un’altra Italia nel mondo e soprattutto nelle Americhe .
Lì costruirono le Little Italy e vi giunsero spesso scalzi e affamati e molti di loro, con grande sofferenza restarono scalzi e affamati anche là.
Alcuni di loro tornarono e si portarono affibbiato addosso per sempre il nome di “ americano” e parlavano in modo strano , “job” per dire lavoro, “frigider” per dire frigorifero e amavano vedere alla tivvù italiana che cominciava allora a diffondere programmi di massa Frak Sinistra e Perry Como Show
Quell’emigrazione fu il salto della luna , un’apocalisse, lo spopolamento della campagna e della montagna abruzzese . L’Abruzzo di Natali e di Gaspari, isolato tra le montagne ,l’Abruzzo ancora di pecorai e di marinai.

Ma torniamo a Sulmona e alla sezione del P.C.I. Il partito di Palmiro Togliatti ma anche di uomini come Giorgio Amendola, Paolo Bufalini , Pietro Ingrao, Umberto Terracini . Emanuele Maccaluso, Alessandro Natta , Alfredo Reichlin, Armando Cossutta, Giorgio Napoletano e poi di Enrico Berlinguer. Uomini che venivano dalla lotta antifascista, dal confino,dall’esperienza di rifugiati in Unione Sovietica e che seppero affrancarsi dalla sudditanza alla “madre patria”. E il sulmontino Carlo Autiero che nelle sue conferenze di studio e nelle grandi occasioni ricordava sempre queste radici di lotta e di popolo . Un popolo rappresentato ,e ne voglio ricordare uno per tutti da Oreste “Bagonghe” .
Sullo stesso Corso Ovidio poi c’erano le sezione del Partito Socialista Italiano e que lla della Democrazia Cristiana. Il Partito Socialista di Nenni e Saragat , la Democrazia Cristiana di Alcide de Gasperi.

E poi gli oratori in ogni parrocchia. In particolare gli oratori di Don Orione a Santa Chiara e dei francescani d Sant’Antonio ,quest’ultimo con una scuola di arte e mestieri , l’attuale formazione professionale. Negli oratori le gare di calcio balilla e di ping pong ,la proiezione di film 16 millimetri su “pizze” dal catalogo della S. Paolo Film tra cui quelli più sponsorizzati la storia di Santa Maria Goretti e Domenico Savio. In forma cinematografica mi ricordo di aver visto molte opere del melodramma italiano dall’Otello a Madama Buttherfly.I pellegrinaggi a Roma dal Santo Padre dell’Azione Cattolica e le sere del giovedì e del sabato a vedere ad un piccolo tubo catodico in bianco e nero “Lascia o raddoppia” e “ Il Musichiere”
Questa è ormai una cronaca marziana.
Sono i ricordi di un ragazzo e poi di un adolescente che oggi quasi vecchio è consapevole che quel mondo non esiste più.
Ma proprio perché rappresenta una radice ancora forte e salda in quanti hanno vissuto quegli anni , di fronte alle vicende della politica di oggi , dell’imprese del malaffare e della criminalità organizzata di oggi ci indice a dire :” Perché non ricominciare da lì”

In termini di mutamento, di sostanziale cambiamento , di lotta alla corruzione perché non ricominciare allora
da Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer da una parte con la loro “questione morale” e dall’altra perché non ricominciare da De Gasperi, Rossetti, Moro, La Pira e Scoppola con quella loro “democrazia pluralista”. Ricominciare dalla democrazia pluralista che i padri costituenti vollero mettere al primo posto traducendola in una realtà che significa ascolto delle reciproche ragioni per trovare un punto di intesa , un momento di collaborazione e di identificazione di obiettivi comuni.
E sull’altro versante perché non ricominciare da Adriano Olivetti e dalla sua concezione dell’industria legata allo sviluppo della comunità,legata al tempo e al luogo . E scusate se è poco in tempo di ruberie e globalizzazione selvaggia.
Ricominciare da loro che non sono comunisti, socialisti, democristiani ma uomini politici e uomini imprenditori ma uomini per un Italia che ne ha oggi bisogno più di allora.

Eremo di Via Vado di Sole , L’Aquila mercoledì 10 marzo 2010