lunedì 31 maggio 2010

DI GIORNO IN GIORNO :VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI

DI GIORNO IN GIORNO : VERSI D'ALTRI E ALTRI VERSI

1.
Io porto sulla tua soglia frutti rari,
fiori claustrali ,impronunciate sillabe.
Tu passi e non le cogli. Contro i vetri
ti giungono solo i venti amari.
Forse per anni varcherai la soglia ,
più povero d'un povero , e in silenzio
si perderà ai tuoi occhi tanta messe,
e in cenere cadrà l'ultima foglia.
Io che ti seguo raccolgo i tuoi passi
con la tua grazia , con la tua ignoranza.
Le nostre vite insieme s'allontanano,
vanno a dannarsi , su un'aria di danza.


2.
Ciò che gli altri raccolgono è negato
a noi, esperti di un altro linguaggio.
Se altri per noi semina ,noi siamo
eternamente in viaggio .
Che senso ha approdare se approdiamo
sempre a porti diversi?
Restano i versi , fuochi fatui in fuga
sulla città dei morti.



da "La terra" di Maria Luisa Spaziani
Le foto sono di Romeo Fraioli
"io porto sulla tua soglia frutti rari" è un omaggio alle foto di Fraioli e in particolare a quella stupenda storia d'amore che la foto fa sentire e che lui racconta sul profilo di facebook
" Ciò che gli altri raccolgono è negato" è una specie di manifesto per questo "di giorno in giorno" che vuole appunto, di giorno in giorno, trovare nella poesia fuochi fatui e approdi per la vita . Una vita da salvare, forse, anche in questo modo .


Eremo Via vado di sole, L'Aquila, lunedì 31 maggio 2010

domenica 30 maggio 2010

CANZONIERE . Iu partu e su' custrittu di partiri

CANZONIERE : Iu partu e su’ custrittu di partiri


1. Iu partu e su’ custrittu de partiri

Iu partu e su’ custrittu di partiri ,
sciatu ,ti lassu stu cori custanti,
oi nella toi noi no,
oi nella toi noi no .

A tia lu lassu e nun me l’ha a tradiri,
non fari fa lu figghiu a n’autr’amanti,
oi nella toi noi no,
oi nella toi noi no.

Di nottetempo li vengu a vidimi
ti staiu cumu n’ùmmira davanti ,
oi nella toi noi no
oi nella toi noi no.

Si senti ventu su’ li mè suspiri ,
l’acqua ca vivrai su’ li mè chianti
oi bella toi noi no
oi bella toi noi no .

2. Fiori di campagna

Fiore de grano
non ti fa dà li baci da nessuno ,
aspetta, amor, che torno da lontano

Fior de lana
e chessa costarella me dà pena ,
ci stasse l’amor mio sarebbe piana

( Nei due canti d’amore chi parte invita l’amante che resta a restargli fedele , esprimendo la pena del distacco e la speranza del ritorno .
1.Iu partu e su’ custrittu di partiri. Canto dell’ emigrante o del soldato . Testo recente ma adattatao a un motivo più antico . Fa parte del repertorio di Rosa Balestrieri che lo ha eseguito anche negli spettacoli “ Ci ragiono e canto “ Traduzione: Io parto e son costretto di partire , fiato moi tui lascio questo cuore costante . Ti lascio a te tu non me lo tradire , non far fare un figlio ad un altro amante . Di notte ti vengo a vedere , ti sto come un’ombra davanti . Se senti il vento sono i miei sospiri , l’acqua che berrai sono i miei pianti
2. Fiori di campagna . Stornelli di lavoro raccolti da Donatina Furlone e Ettore de Carolis nell’alto Aniene 8 1972-73) e da loro ricalcato nel primo LP Arie antiche dell’Alto Aniene )

Le foto sono di Romeo Fra ioli

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, Domenica 30 maggio 2010

sabato 29 maggio 2010

BIBLIOFOLLIA : Finzioni

BIBLIOFOLLIA : Finzioni

Nelle vecchie biblioteche costumava tenere dei libri finti che si mettevano negli scaffali dove mancava qualche libro vero o servivano a mascherare palchetti nei quali non si potevano collocare volumi. Sul dorso di questi finti libri che spesso erano pezzi di legno con il dorso foggiato a libro vero e ricoperto di pelle o di pergamena si scrivevano titoli fantastici o scherzosi. Ne raccolse un mazzetto Costantino Arlia nel suo Dizionario Bibliografico (tra i manuali Hoepli del 1892) che disse spigolati nelle biblioteche tedesche o inglesi :

Bona malus
Arcana sapientiae
Mazzola in Capaccium
Cerrius de figmentis rerum
Quercius de eredibus ex asse
Specimen soliditatis
Clavius de fixis
De secreto naturali non revelando
Berlusconis de falsitate sub cortice veritatis
Pidies tabula inscrutabilium
Decisiones tremontiana finantiare anno domini MMX
Malleus partitorum et criccorum consortilum hereticorum politicae
Magnum medicamentum sanitas pro pecunia cicero pro domo sua

Ma anche da quelle italiane contemporanee non potendo resistere alla tentazione di aggiungere qualche titolo a quelli di Costantino Arlia, della qual cosa chiedo subito perdono.

Le biblioteche possono servire a molte cose . E’ nota la storiella di quel bell’umore che nella sua camera aveva fatto fare uno scaffaletto con sportello in finta biblioteca e ci aveva scritto sopra i due versi del divino poeta: “ Mi furon mostrato gli spiriti magni/Che del vederli in me stesso m’esalto “ ( Inferno, c. IV ,v.119-120).
E tu ti compiacevi con l’ospite che teneva così vicino a sé i grandi pensatori , gli scrittori più eletti della repubblica letteraria.
Ma se aprivi lo scaffaletto ,l ti accorgevi che gli spiriti magni erano rappresentati da una collezione di bottiglie di cognac , di certosina, di strega, di whisky e di altri liquori in cui lo SPIRITO è a un grado piuttosto forte , veramente “magno”. Ai romani e ai frequentatori di Roma non è ignota la Biblioteca del Valle, a due passi dall’omonimo teatro, pur essa una bottiglieria e un giocondo ritrovo notturno.” Nel locale sotterraneo le pareti sono ricoperte da scaffali di ferro che contengono non già volumi ma polverose bottiglie di ogni vino e specialmente di quell’Acqua de Trevi , bionda e trasparente , che non ti guasta lo stomaco se ne bevi più del necessario e tutt’al più ti fa cantare e declamare allegramente come capita ogni sera alla maggior parte dei frequentatori “. (da MARIOTTI : Quando siam dall’oste insieme, Treves ,s.a. pag. 256)



(Da Aneddoti bibliografici raccolti da Giuseppe Fumagalli , Casa Editrice Bietti, Milano, 1933)


Eremo Via Vado di sole, L’Aquila domenica 30 maggio 2010

GRAFFITI : REGOLARITA' / VARIETA'

GRAFFITI : REGOLARITA’ / VARIETA’

La natura è regolarità, l’uomo è varietà. Gli animali sono condannati a vivere , gli uomini sono condannati alla storia. L’animale nasce, cresce, si riproduce e muore. L’erba si fa carne latte , sterco e di nuovo carne, latte e sterco. In autunno rinsecchisce, dorme in inverno, a primavera fiorisce. Il cavallo allatta il cavallo, il cane allatta il cane. I topi vivono la loro vita sempre allo stesso modo, addestrati a saltare gli ostacoli; li saltano anche quando elimini l’ostacolo. E’ una questione di sopravvivenza. Solo l’uomo è varietà perché è ogni giorno una cosa diversa, un’eccezione al mondo delle cose e degli animali.
Scrive Giovanna Nuvoletti ( in Arancia blu n. 4 aprile 1991):

“ Nel cuore del cuore della materia , in un minuscolo anfratto raggomitolato al fondo della molecola, all’improvviso un elettrone capriccioso fa un salto casuale, a suo insindacabile arbitrio. La molecola è l’enorme, saggissimo DNA, che dentro di sé contiene la favola che verrà raccontata al mondo: la forma che io prenderò quando sarò nata . E la forma di come saprò rispondere al mondo. Quel salto capriccioso e microscopico - quell’avvento quantico senza causa alcuna – ha un effetto macroscopico : mi renderà un po’ diversa dai miei simili . Questa è la regola della vita : il più improbabile degli eventi , il più insensato produce una mutazione del DNA che potrebbe essere inscritta , che potrebbe avere un senso in un corpo, in un mondo. Riuscire a raccontarsi al mondo.

Gli improbabili eventi si concatenano gli uni agli altri - innescano risposte enormi - si costituiscono in significati evolutivi .(…)
Mutazione, selezione, competizione, evoluzione. “
Il processo sembra essere terminato ma continua Nuvoletti : “ Le sole mutazioni possibili per noi ora - cioè - le sole che possiamo ascoltare, quelle che si inseriscono al nostro livello evolutivo , sono metaforiche. Non iscritte nel DNA , ma nella cultura.

Nell’accorgerci della condizione in cui ci troviamo – noi mutiamo il nostro comportamento . A far questo noi siamo geneticamente determinati : è iscritto nel nostro DNA. A questo serve il nostro cervello. Lo facciamo come individui – lo sapremo fare anche come specie ? In fondo non importerà essere globalmente coscienti , di questa autocoscienza globale. Basta che accada . Basta che una certa quantità di comportamento si modifichi.

Il gioco dell’informazione nel mondo della parola , nel mondo popperiano delle relazioni tra concetti , che leggi offrono alle mutazioni ? L’insorgenza del nuovo è possibile solo a certe condizioni. Non basta che la mutazione sia portatrice di valori adattativi migliori - un’eccessiva pressione selettiva può impedire all’hoperfulmonster di riprodursi , di dispiegare le sue capacità. Forse soltanto eventi catastrofici , creando nuovi spazi, nuove nicchie, hanno permesso nel corso dell’evoluzione l’affermazione del nuovo. . E noi dovremo aspettare una catastrofe.

L’hopelfulmonster continua ad apparire. A volte davvero hoperful , a volte solo monster e si spegne. E’ nostra responsabilità e non solo del caso e della selezione naturale saper leggere ciò che è offerto alla nostra interpretazione. Non sempre il più forte è davvero il più forte , il più compettivo è il più ricco di futuro.
E’ più difficile accorgersi del nuovo che sta crescendo , che pianificare a tavolino soluzioni razionali.

Come dice Edgar Morin “ non si può né programmare né prevedere , ma si può vedere e promuovere. Vedere allora il piccolo mostro di belle speranze (nel processo dell’evoluzione ) , e promuoverlo, dargli passo e ascolto ogni giorno nella nostra vita. . Un gesto, qualche parola, un solo piccolo concetto : imprevedibile prima ma che appena si mostra noi riconosciamo . E’ quello. E’ forse ridicolo, non è alla moda - non ha successo – non è nemmeno facile da capire . Ma è quello che aspettavamo…”

Certo tra regolarità e varietà potrebbe arrivare un piccolo mostro. E’ quello che aspettavamo dandogli nomi sbagliati o non lo aspettavamo proprio affatto ed è capitato così all’improvviso e per caso da lasciarci senza fiato. E’ il conflitto tra regolarità e varietà , è l’accordo tra regolarità e varietà?

Eremo Via vado di sole , L’Aquila sabato 29 maggio 2010

venerdì 28 maggio 2010

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : IL LUPO E L'AGNELLO

ANIMALI VERI ANIMALI IMMAGINARI : IL LUPO E L’ AGNELLO
OVVERO IL FORTE HA SEMPRE LA MIGLIORE RAGIONE E PIU’ SI E’ PREPOTENTI E PIU’ CI SI LAGNA

Scrive ESOPO
Un lupo che aveva visto un agnello intento a bere presso un fiume volle divorarlo, accampando una motivazione che fosse plausibile. Perciò, nonostante si trovasse più a monte, prese ad accusare l'agnello dicendo che gli intorbidiva l'acqua, impedendogli di bere. Ma il lanuto rispose che stava bevendo a fior di labbra e che peraltro, trovandosi più a valle, non poteva sporcare l'acqua a lui.
Il lupo, allora, visto fallire il pretesto addotto, disse: "Però l'anno scorso tu offendesti mio padre!". E come l'agnello gli ebbe risposto che a quell'epoca non era ancora nato, gli fece il lupo: "Guarda che, pure se hai facili gli argomenti per scagionarti, non per questo rinuncerò a mangiarti!".
La favola dimostra che di fronte a coloro che hanno la propensione a commettere ingiustizie non può nulla neppure la difesa più giusta




FEDRO la racconta così
Presi dalla sete, un lupo ed un agnello s'erano spinti allo stesso ruscello; più su s'era fermato il lupo, l'agnello molto più giù. Subito il delinquente, preso dalla gola malvagia, sollevò un pretesto di contesa. "Perché", disse, "intorbidi l'acqua che sto bevendo?" E il timido lanuto: "O lupo, ti prego, perché tu mi rimproveri? Da te alle mie sorsate il liquido giunge." E quello, sconfitto dall'evidenza del fatto, disse: "Sei mesi fa mi hai calunniato". E l'agnello: "Non ero ancora al mondo, in verità". Il delinquente, bestemmiando: "Allora fu tuo padre a calunniarmi." E così, afferratolo, lo sbrana, con crudele morte.
Questo discorso vale per quelle persone che calpestano i deboli con falsi processi.

J. de La Fontane Il lupo e l’agnello Libro I Favola X
La favola che segue è una lezione
che il forte ha sempre la miglior ragione.
Un dì nell'acqua chiara d'un ruscello
bevea cheto un Agnello,
quand'ecco sbuca un lupo maledetto,
che non mangiava forse da tre dì,
che pien di rabbia grida: - E chi ti ha detto
d'intorbidar la fonte mia così?
Aspetta, temerario! - Maestà, -
a lui risponde il povero innocente,
- s'ella guarda, di subito vedrà
ch'io mi bagno più sotto la sorgente
d'un tratto, e che non posso l'acque chiare
della regal sua fonte intorbidare.
- Io dico che l'intorbidi, - arrabbiato
risponde il Lupo digrignando i denti, -
e già l'anno passato
hai sparlato di me. - Non si può dire,
perché non ero nato,
ancora io succhio la mammella, o Sire.
- Ebbene sarà stato un tuo fratello.
- E come, Maestà?
Non ho fratelli, il giuro in verità.
- Queste son ciarle. È sempre uno di voi
che mi fa sfregio, è un pezzo che lo so.
Di voi, dei vostri cani e dei pastori
vendetta piglierò -.
Così dicendo, in mezzo alla foresta
portato il meschinello,
senza processo fecegli la festa.

A proposito di prevaricazione scrive Umberto Eco in “La retorica del lupo davanti all’agnello.In La Repubblica del 20 maggio 2004

Però lo stesso Tucidide ci offre un'altra e estrema figura della retorica della prevaricazione, la quale non consiste più nel trovare pretesti e casus belli, ma direttamente nell'affermare la necessità e l'inevitabilità della prevaricazione. Nel corso del loro conflitto con Sparta gli Ateniesi fanno una spedizione contro l'isola di Melo, colonia spartana che era rimasta neutrale. Gli Ateniesi mandano una delegazione ai Meli avvertendoli che non li distruggeranno se essi si sottometteranno. Dicono che non tenteranno di dimostrare che è giusto per loro esercitare la loro egemonia perché hanno sconfitto i Persiani (eppure negandolo lo sostengono), ma invitano i Meli a sottomettersi perché i principi di giustizia sono tenuti in considerazione solo quando un'eguale forza vincola le parti, altrimenti "i potenti fanno quanto è possibile e i deboli si adeguano". I Meli chiedono se non potrebbero restare fuori dal conflitto senza allearsi con nessuno, ma gli Ateniesi ribattono: "No, la vostra amicizia sarebbe prova di una nostra debolezza, mentre il vostro odio lo è della nostra forza". In altri termini: scusate tanto, ma ci conviene più sottomettervi che lasciarvi vivere, così saremo temuti da tutti.

I Meli dicono che confidano negli dèi, ma gli Ateniesi rispondono che tanto l'uomo che la divinità, dovunque hanno potere, lo esercitano, per un insopprimibile impulso della natura. I Meli resistono, per orgoglio e senso della giustizia, l'isola viene conquistata, gli Ateniesi uccidono tutti i maschi adulti e rendono schiavi i fanciulli e le donne.


E' lecito sospettare che Tucidide, pur rappresentando con onestà intellettuale il conflitto tra giustizia e forza, alla fine convenisse che il realismo politico stesse dalla parte degli Ateniesi. In ogni caso ha messo in scena l'unica vera retorica della prevaricazione, che non cerca giustificazioni fuori di sé. Gli Ateniesi semplicemente fanno un elogio della forza. Persuadono i Meli che la forza non ha bisogno di appoggiarsi alla persuasione.
La storia non sarà altro che una lunga, fedele e puntigliosa imitazione di questo modello, anche se non tutti i prevaricatori avranno il coraggio e la lucidità, come abbiamo visto, dei buoni Ateniesi.(20 maggio 2004)

Eremo Via vado di sole, L'Aquila, venerdì 28 maggio 2010

mercoledì 26 maggio 2010

GRAFFITI : Un fiasco colossale

GRAFFITI : Un fiasco colossale


La prima rappresentazione della Traviata di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, storia tratta da La dame aux di Alexandre Dumas camélias si tenne alla Fenice di Venezia il 6 marzo 1853
Con il Trovatore e il Rigoletto, la Traviata forma la cosiddetta trilogia popolare. Per Verdi che mantenne sempre il legame con la cultura contadina della sua terra , popolare assume un duplice significato attaccamento alle radici e sincerità nell’espressione. Parlare dunque di una storia come quella di Violetta voleva dire però parlare di temi nuovi : Scriveva Verdi al compositore Cesare De Santis il 1 gennaio 1853:” Io desidero soggetti nuovi ,grandi , belli variati ,arditi. Ed arditi all’estremo punto con forme nuove e, allo stesso tempo musicabili. A Venezia faccio La Dame aux camélias che avrà per titolo , forse , Traviata . Un soggetto dell’epoca .Un altro forse l’avrebbe fatto per i costumi , pei tempi e per mille altri goffi scrupoli .Io lo faccio con tutto il piacere.”

Verdi lanciava una sfida e ne assumeva ogni responsabilità La Traviata irrompe nel presente . L’eroina è una mantenuta e per quanto il finale richiami ad una redenzione rimane sempre una prostituta. . Verdi sapeva bene che elevare Violetta Valèry ad eroina avrebbe scatenato i benpensanti

.Si aspettava critiche e un fiasco anche perché nella storia della Traviata c’era anche qualcosa di autobiografico. Violetta somigliava non poco a Giuseppina Strapponi con la quale egli aveva convissuto fuori del vincolo del matrimonio . Con queste premesse era facile prevedere un insuccesso.
E insuccesso ci fu ma non a causa della storia , dei personaggi e delle reazioni dei benpensanti. Ci fu per la messa in scena. .
Alla prima dunque al teatro La Fenice di Venezia il 6 marzo 1853 accadde di tutto. A cominciare dal crollo del letto dove si era distesa Violetta , una soprano un po’ robusta anzi cicciotella . Per continuare con l’incidente accaduto al tenore che nel momento in cui chiamava Violetta si entì rispondere dal teatro da una melomane con alte e sconvolgenti grida. E poi il basso che probabilmente non era nella sua serata migliore con l’improvviso abbassamento della voce. E per finire con il coro che si presentò in scena vestito con costumi epoca fine seicento perché il maestro Verdi non ammetteva che vestissero il frac.

Che fiasco colossale! Ma che opera stupenda . Una linea di canto che si semplifica andando avanti nello svolgersi della storia fino ad una intensità drammatica ed intensa quando Voletta risponde alla dichiarazione d’amore di Alfredo con la melodia saltellante “Ah se ciò è ver fuggitemi…” che culmina nelle fioriture dell’aria “ sempre libera..” . Fino al terzo atto nel quale la vodce di Violetta diventa incolore nel leggere la lettera di Giorgio Germont ,il padre di Alfredo. Violetta ama, Violetta muore Violetta guadagna ai personaggi verdini il sentimento.
E dire Traviata vuol dire anche Callas. Per la Callas Violetta è una vittima della società che assolve al suo ruolo con dignità .Verdi fu addolorato da quel fiasco che aveva previsto ma per latri motivi ma commentò che era soltanto una questione di tempo. Non si sbagliava. Un anno dopo sempre a Venezia ma al teatro San Benedetto il 6 maggio 1854 Traviata ebbe successo e fu replicata in Italia e all’estero.
Ecco l’elenco delle arie più belle :
Atto Primo
Libiam ne’ lieti calici Violetta, Alfredo e coro
Un dì felice, eterea Alfredo e Violetta
È strano!....Follie, FOllie!, Violetta
Atto Secondo
De’ miei bollenti spiriti, Alfredo
Pura siccome un angelo, Germont e Violetta
Che fai?/ Nulla / Scrivevi? Alfredo e Violetta
Di Provenza il mar, il suol, Germont
Noi siamo zingarelle… Coro
Mi chiamaste?che bramate?.. Alfredo e Violetta
Atto Terzo
Teneste la promessa… Violetta
Parigi, o cara Alfredo e Violetta
Gran Dio! Morir sì giovane, Violetta
Per tutte trascrivo “Parigi o cara “
Parigi, o cara , noi lasceremo, / La vita unita trascorreremo :/ De’ corsi affanni compenso avrai,/La tua salute rifiorirà./ Sospiro e luce tu mi sarai ,/tutto il futuro ne arriderà


Devo questa breve riflessione a Stefania Martini che mi ha invitato qualche tempo fa a sostenere gli enti lirici e i lavoratori di quegli enti. Mi venne in mente la Traviata e la storia della sua prima messa in scena come metafora d’attualità. Sia come sia la Traviata è una grande opera e come al solito W VERDI .

Eremo Via vado di sole L’Aquila sera di mercoledì 26 maggio 2010

SETTIMO GIORNO . Venne all'improvviso dal cielo un fragore

SETTIMO GIORNO . Venne all’improvviso dal cielo un fragore

“Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbattè impetuoso e riempì tutta la casa dove stavano ( Atti degli Apostoli “,1-3)
Il fuoco di Prometeo che per averlo rubato agli dei fu condannato ad un supplizio inumano e la tempesta, che tutto scompone, distrugge e disperde non fanno più paura.
Il fragore, quasi un vento, e il fuoco sono diventati uno Spirito non da schiavi, ma uno Spirito che “ rende figli adottivi per mezzo del quale gridiamo ‘ Abbà!Padre’. Lo Spirito che attesta ,insieme al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi di Dio, coeredi di Cristo (Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani 8,15-18)
E’ nel grande discorso che Gesù Cristo quasi manifesta un’ansia, quella di andare dal Padre perché, dice, se io non vado dal Padre non potrà venire a voi lo Spirito,il Paraclito ossia il consolatore, l’advocato, l’avvocato.
La Pentecoste era la festa ebraica della creazione , quell’atto in cui alita il suo spirito in un fantoccio di creta e lo rende “uomo”. Quell’origine ritorna ora rinnovata in quell’emettere lo spirito sulla croce da parte di Gesù Cristo e poi questo alitare dello Spirito su un gruppo di apostoli riunitosi nel Cenacolo.

Gli Atti degli Apostoli raccontano come nel cenacolo si trovavano allora gli apostoli raccolti in preghiera attorno a Maria e danno così il senso di quello che è la missione della Chiesa. In quel Cenacolo era raccolta appunto la chiesa primitiva attorno a Maria . Danno la dimensione di una Chiesa che nel tempo ha perso un aspetto di questa sua missione, cioè quella di evangelizzare attraverso la preghiera e la spiritualità ovvero in intimità con lo Spirito e il cuore stesso dello Spirito che però malgrado tutto non l’abbandona.
La Pentecoste, il dono dello Spirito ,attualizza e completa la Pasqua di Cristo, la sua passione morte e resurrezione. La Pentecoste è l’espressione di quella comunione del Padre con il Figlio che instaura appunto quel regno in cui il datore dei doni , la luce dei cuori è il perfetto consolatore, nella fatica è riposo, nel pianto conforto nella consapevolezza che senza la forza dello Spirito nulla è nell’uomo.
E allora San Paolo a proposito della dimensione spirituale della Chiesa può dire :” Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio . Voi però non siete sotto il dominio della carne ma dello Spirito dal momento che lo spirito di Dio abita in voi (…)Così dunque , fratelli, noi siamo debitori non verso la carne,per vivere secondo i desideri carnali,perché se vivrete secondo la carne morirete. Se invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo , vivrete. (Lettera di San Paolo Apostolo ai Romani 8,8-17)
Dimensione che l’uomo di oggi cerca di recuperare anche attraverso la ricerca di altre religioni, come quelle orientali o attraverso pratiche laiche che promettono ma che spesso disilludono.

La dimensione dello spirito è quella anche cantata dallo stesso Alessandro Manzoni nel suo inno “La Pentecoste” : uno spirito che scende sulla terra per salire poi di nuovo al Padre. Permea dunque l’uomo e lo innalza al cielo.
E’ la stessa conquista che avviene realmente nell’Unità dello Spirito quando sugli apostoli, nel Cenacolo, “apparvero loro linque come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro e tutti furono colmasti di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi… “ Ovvero il turbamento della folla che radunatasi rimase turbata perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.
Conquista del cielo dunque che ci fa ricordare un altro tentativo di conquista di Dio e del cielo, quello della torre di Babele, tentativo fallace che scatena il disordine,un disordine comune come il peccato di Adamo scatenò il disordine individuale .

Allora il dono dello Spirito, il Paraclito, il Consolatore ,l’aiutatore dal latino paracletus e dal greco parakletos ,avvocato, difensore derivato da parakalein , chiamare in aiuto , ha il senso di una creazione rinnovata , di una nuova creazione.
Tanto che Giovanni dice ( 7,37-39) :” Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa Gesù, ritto in piedi gridò ‘ Se qualcuno ha sete , venga a me , e beva chi crede in me . Come dice la Scrittura dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva.’ Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui…”
Poco prima Gesù aveva anche affermato :” non abbiate paura” ,proprio perché sapeva che stava per arrivare lo Spirito che non avrebbe lasciato i suoi discepoli da soli .
Non abbiate dunque paura di accogliere lo Spirito perché con lo Spirito non avrete paura delle cose del mondo. Lo Spirito manifesta la presenza di Dio che sola può operare il profondo mutamento nel cuore dell’uomo. Il seme di salvezza posto in Israele con l’antica alleanza può diffondersi nel mondo attraverso la nuova alleanza attualizzata dallo Spirito e instaurata dal sacrificio del Figlio .

Eremo Via vado di sole, L’Aquila, domenica 23 maggio 2010

La festa di S. Domenico a Cocullo. Serpi e serpari : dai colori di Michetti al racconto di De Nino

La festa di S. Domenico a Cocullo. Serpi e serpari : dai colori di Michetti al racconto di De Nino


Ogni anno il primo giovedì di maggio si celebra a Cocullo in provincia di L’Aquila ,nell’alta Valle del Sagittario la festa di S. Domenico Abate. Il paese situato appunto nella Valle del Sagittario alla sinistra del torrente Pezzana , a chi proviene dall’autostrada appare raccolto e quasi avvitato attorno alla Chiesa della Madonna delle Grazie . In questo paese per la festa di S. Domenico si ripete l’antico rito dei Serpari che richiama pellegrini da molte regioni e in particolare dalla Ciociaria e dal Frusinate dove è vivo il culto nella religione popolare per questo santo.

Il rito dei serpari è antico e risale al culto della dea Angizia presso i Marsi , dea capace di incantare i serpenti e di usare le erbe magiche e velenose. Il folklore e il culto cristiano che hanno accolto queste credenze come pure i culti alle dee Circe, Medea , Angizia venerano e festeggiano S. Domenica l’eremita delle sorgenti del Sagittario come guaritore dai morsi dei serpenti. La mitologia ricorda come Angizia ponesse la propria dimora sulle sponde del lago Fucino ,insegnando ai sacerdoti la segreta arte di incantare i serpenti , la capacità di iniettare veleni ,la funzione oracolare e taumaturgica.

Un tempio consacrato alla dea sorgeva a Luco dei Marsi in un luogo circondato da un bosco sacro.
Anche il poeta Virgilio cantò “Tenemus Angitiae,vitrea te Fucinus unda - Te liquidi fklevere lacus..” La leggenda cristiana ha recepito la mitologia nel culto di S. Domenico Abate dell’ordine benedettino nato a Foligno nel 951 e morto a Sora il 22 gennaio del 1031 fondatore di conventi nelle contrade abruzzesi e in particolare a Cocullo dove soggiornò
Eremita in una grotta alle sorgenti del Sagittario , a Villalago, era appunto venerato per la sua fama
di guaritore dai morsi dei serpenti. Nella chiesa di Cocullo si conservano reliquie come uno zoccolo di mulo e un dente del santo .

Ogni primo giovedì del mese di maggio dunque a Cocullo si svolge una cerimonia durante la quale viene portata in processione per le strade del paese la statua del santo adornato da serpi. I serpari appunto catturano, nei giorni precedenti la festa , a Valle Marzia, alla Vrecciaria, a Valle Caluta dove non tira tramontana , serpi irritandoli con le falde del cappello e strappando loro quando le mordono i denti velenosi. I serpi vengono poi conservati in cassette di legno con crusca fino al giorno della processione. Gli antichi serpari le conservavano in giare di creta dove entravano una alla volta ,la prima con la testa e le altre dalla coda con un magico rituale. Le serpi dunque adornano la statua del santoattorcigliandosi al busto,al collo, alle braccia. Ogni tanto qualcuna cade tra la folla che segue la processione i serpari la rigettano sulla statua.

Nella raccolta delle Tradizioni popolari abruzzesi Antonio De Nino narra che Francesco Paolo Michetti , dopo la processione si fece regalare un cesto di serpi portandosele a Francavilla per dipingere una tempera capolavoro in cui suggestivamente si ritraggono donne uomini e fanciulli in preda a fanatismo religioso
Anche Gabriele D’Annunzio nella Fiaccola sotto il moggio ha messo in scena il serparo Edia che vanta la sua genia di serparo all’amata Gigliola.


Il prof.Alfonso Maria Di Nola,storico delle religioni, a lungo ha studiato questo rito dei serpi legato alla festa liturgica di S. Domenico Abate, alla sua agiografia, al racconto appunto della sua vita e dei suoi miracoli scrivendo in un suo saggio pagine memorabili per la bellezza delle descrizioni e per l’erudizione dello studio
In sostanza S. Domenico e il rito dei serpi per Di Nola:
“…è sentito come un personaggio che domina una salvazione non solo contro i serpenti, i morsi di animali velenosi o rabbiosi, ma che determina una salvazione di carattere universale contro i mali del mondo. Possiamo dire, in sintesi, che il nostro tipo di civiltà posto-industriale, ci lancia in un tipo di incertezza totale, di esposizione esistenziale, di mancanza di radici che determinano delle nevrosi e delle crisi esistenziali soprattutto nei giovani. Il ritorno alla festa, il ritorno ai culti dei grandi santi popolari del paese è un tentativo di recupero delle radici storiche che appartengono alla nostra storia perché, identificandosi in un modello, raggiungono quel tipo di sicurezza che la società nella quale viviamo non ci dà: la festa è una garanzia di uscita dalle crisi esistenziali ed è un mezzo attraverso il quale il cocullesi o l’abruzzese, disperso nelle grandi città anonime nelle quali non sa trovare il suo habitat esistenziale, ritrova invece un modo storico di essere;è un recupero della storia. Qui a Cocullo, ma in tanti paesi d’Italia, si verificano fenomeni di diretto rapporto tra le popolazioni peregrinanti e queste figure di santità, di potenza taumaturgica come San Domenico. Ora, quando noi studiamo i fatti di religione in Italia e li studiamo non soltanto a livello popolare ma, diciamo, secondo la vecchia terminologia gramsciana, a livello egemone, cioè la religione dei dotti, ci accorgiamo subito che vi sono delle differenze fondamentali e questa differenza è forse nel fatto che nella religione popolare la figura di Dio è estremamente distante. Vi è una gerarchia delle potenze il cui primo approccio è rappresentato proprio dal santo locale, dal santo protettore oppure dal santo patrono che ci difende dalle malattie o che difende dai terremoti. Il che non significa che queste popolazioni o altre popolazioni d’Italia vivono in un clima di irreligiosità, che negano Dio. Significa che loro realizzano il loro modo di essere religiosamente e di seguire certe valenze etiche forse più intense di quelle che non si vivono nelle città attraverso un rapporto diretto, carnale con il santo locale”.


Piace ricordare anche con lo scritto che segue di Antonio De Nino che il primo giovedì di maggio del 1889 Cocullo vide in veste di serpari improvvisati due illustri personaggi che parteciparono alla processione. Si trattava di Antonio De Nino e Francesco Paolo Michetti . Di quella esperienza i due colti amici lasciarono una testimonianza. Michetti dipinse le sue impressioni nella famosa tela sui serpari , De Nino scrisse un colorito articolo pubblicato sulla Rivista di Lettere e Arti con il titolo “ Le serpi di Cocullo e un nuovo quadro di Michetti”.

“ Alla fine di aprile ,quando il sole comincia a stiepidire piante ed animali, nell’Abruzzo montanino, sbuca tra le siepi la mammola; il mandorlo con la sua fioritura commemora le nevi testè scomparse; l’asino fa le prime prove del raglio; le serpi dopo la rigida stagione risalutano il nuovo tepore ,lingueggiando a scatti continui. I serpari di Cocullo cominciano la caccia alle serpi. Il serparo le cerca a Valle Marzia ,alla Vrecciaria, a In Vipone, a Valle cauta, All’Antera e a Scastielle:tutte contrade fertili di serpi. Ma non le cerca già alla montagna della Riola , perché ivi la famiglia delle vipere vince quella delle bisce. Il serparo, posto in agguato, sorprende le serpi, le afferra al collo e le irrita con le “ zinne de ggli scappiegli”, cioè con le falde del cappello.

Le povere bestie sono tradite dalla madre natura. La natura dice loro – Reagite!-Ed esse reagiscono addentando quelle istigatrici falde. Allora il serparo tira a sé , con violenza il cappello; e le serpi perdono i più robusti denti. Le bestie così sdentate si fanno entrare in grosse pentole di creta tra la crusca , si coperchiano, e si sotterrano in un luogo fresco. Ma nel farvele entrare ci vuole un po’ di accorgimento. Si fa un buco nel coperchio , ovvero si scansa un poco il coperchio , tanto che vi sia una breve apertura. Per quel buco o per quell’apertura ,la prima serpe può entrare dalla via della testa; le altre dalla coda , seno, non c’è caso che entrino. Forse chi entra prima si avventa a chi viene dopo : e questo perciò arretra. C’è poi delle serpi che non si seppelliscono , ma si chiudono in cassette o scatole e si alimentano con il latte. Queste prendono il colore lattino e si chiamano serpi bianche.

Il primo giovedì di maggio i serpari disseppelliscono le pentole ,tirano fuori le serpi ( un centinaio , più o meno in tutto) e le recano in giro per il paese a manate. In quel giorno ricorre la festa di S. Domenico da Foligno , che nelle sue sante peregrinazione, lasciò a Cocullo un prezioso ricordo d’un ferro del piede della sua mula . Il quale fatto si commemora ancora con la vendita di certi ferretti ,dalla forma di ferro di cavallo, aventi la sola appendice di una cuspide o assicella ritorta o acuminata , che si prolunga ad angolo retto da un’estremità del ferretto! La cuspide serve alle donne per forare la stoffa , quando vogliono fare occhielli ; la parte a modo di ferro di cavallo serve per devozione. Una volta questa parte di fero si faceva arroventare e si imprimeva sui polsi e sulle braccia e sul petto dei devoti , come “tatuaggio” preservativo dei dolori di denti e di morsi di anumali idrofobi. Oggi non si fa il “ tatuaggio”, ma si poggia il ferro sui denti guasti e sulle fericte venefiche. A proposito altra vendita che si fa per devozione e per piccola industria delle femminucce , è quella delle matassine di lacci lavorati con cotone bianco , a cui nella tessitura si innestano , per formare come nodi di canna, alcuni fiocchetti di cotone colorato in rosso, verde e turchino. Questi lacci, sempre per devozione , sono legati ai polsi , sono messi a ciocche nelle spalliere dalle donne o avvolti nei cappelli degli uomini o si serbano in borsette e scapolari. S’intende che ferretti9 e laccetti non hanno efficacia se non strusciano sulla reliquia o sulla statua del santo. Nello stesso modo si benedicono fazzoletti, cappelli , medaglie corone,chiavi, collane, anellini, ecc.

A San Domenico si ricorre in ogni evenienza di morsicature velenose. Chi è stato morso o chi è idrofobo , all’entrare nel territorio di Cocullo o guarisce o muore. Chi torna a casa guarito vuol dire che è vivo. La vigilia e anche la mattina della festa , giungono a Cocullo numerose carovane dai paesi vicini, ma più dalle limitrofe province di Caserta e di Roma cantando la “ Viva Maria “. I divoti si trascinano ginocchioni , con le ginocchia nude , dalla soglia della chiesa fino alla statua del santo ,battendosi africanamente il petto con i pugni . Poi scrostano il calcinaccio delle pareti e lo conservano per devozione. Prendono anche con i denti la fune della campanella della chiesa, e tirano per non più soffrire dolori di denti. Ma dico io, un vecchio sdentato perché si affanna a tirare? O tirava perchè ci aveva preso gusto o tirava per farsi indurire le gengive.

Siamo alle undici antimeridiane sempre del primo giovedì di maggio. I serpari continuano il giro del paese con i loro mazzi di bisce in mano e attorcigliate al collo , o alle braccia, torqui e armille di una bellezza senza pari. I pellegrini sbalordiscono: chi si fa indietro, chi vuol toccare: tutti del resto hanno fede viva che in quel giorno le serpi non sono velenose. Avrebbero però fede maggiore se sapessero che Domeneddio tolse loro il veleno fin dalla creazione mosaica . Quando, verso mezzogiorno, la processione sfila, tutte le serpi si raccolgono attorno alla statua. Del Santo: le si attorcigliano in ogni membra. Entrano nel cappuccio e riescono da di sotto la tunica. Se cadono per terra, i serpari tutti pronti a raccoglierle e restituirle alla statua. Se sovrabbondano si portano come candele , innanzi e indietro al santo. Portatori di serpi innanzi alla statua , nell’anno di grazia che corre , fummo anche l’amico Michetti e io. Con che voluttuosi meandri le nostre serpi salutano il Santo ! E non solo facemmo da torcieri, ma da protettori, non finendo masi di raccomandare ai serpari meno sevizie nel maneggio delle bestiole. E chi non sentiva le nostre raccomandazione, doveva sentirsi le nostre imprecazioni: - O che le volete strozzare? Così possano strozzare voi!-

La processione rientra.I serpari, o uno che fa da capo, portano tutte le serpi fuori dal pese presso “ il Ponte”. Là il festaiolo o l’arciprete fa contare tutte le serpi e le paga tre soldi l’una. C’è poi chi le fa “scapolare”, cioè le mette in libertà nella terra di “Marano”: ma per lo più si ammazzano. ! Il nostro Michetti prima dell’eccidio , ne comprò un canestro e se le riportò alla sua diletta Francavilla. Gli dovevano servire per il quadro di S. Domenico ?
Io non ressi alla vista della carneficina serparesca , anzi a quella seconda strage degli innocenti , e piansi in modo che dovetti far ridere. Ma come non piangere? Sono tanto graziose quelle bestie. Per me ( sarò di cattivo gusto, ma non me ne importa), per me, dopo la donna la più bella creatura è la serpe : basti vincere il tradizionale orrore che abbiamo per lei. Vinta la prima impressione ci si prende gusto: gusto ai modi ondulatori ; gusto ai raggetti neri che si riflettono dagli occhiolini simili ad acini di frutti maturi di rovo. E chi mai dopo la donna, ripete, ci mostra più affascinante la linea della bellezza e della grazia se non la serpe? Onde a me piace San Domenico di Cocullo perché si circonda di serpi. E poi mi piace per un’altra ragione: San Domenico deve aver ispirato a Michetti il nuovo e grandioso quadro. Auguriamoci che ispiri ai festaiuoli la compassione per le serpi ; che non ne facciano più quella tale carneficina e che, invece, le mandino a “scapolare” nella terra di “ Marano”,”


Eremo Via Vado di Sole , L’Aquila ,mercoledì 26 maggio 2010