martedì 29 giugno 2010

GRAFFITI . Povertà

GRAFFITI . Povertà
I padri del deserto raccontano una storia affascinante. C’era un povero che andava a chiedere l’elemosina stendendo semplicemente la mano. I passanti gli porgevano uno o due denari senza però mai guardarlo. In nessun modo volevano vederlo .Per loro bastava porgere quell’obolo che era anche un oblio.Un modo per tenere lontano una domanda che avrebbe insistentemente interrogato la loro coscienza. Alla fine della giornata il povero si sentiva come un salvadanaio . Molti avevano riposto in lui una moneta ma nessuno aveva avuto voglia di guardarlo in faccia, di domandargli cosa avesse, se fosse triste, affamato, ammalato, Nessuno gli si faceva dappresso , si approssimava a lui e lo faceva suo prossimo. E’ questa la povertà dei poveri , quella di non essere ascoltati ed è anche la povertà dei ricchi che non sono capaci di creare ,oltre quella materiale, un’altra ricchezza , in aggiunta appunto a quella materiale.
Leggiamo nel vangelo di Luca che Satana mostra a Gesù ritiratosi nel deserto i regni della terra, quelli che gli sono stati affidati e loro ricchezze. I regni della terra che in verità gli sono stati affidati. Perché i regni della terra sono ancora di Satana e quindi se i poveri sono per i ricchi solo salvadanai i ricchi non sono altro che gli amministratori di Satana.

La foto è di Romeo Fraioli

Eremo Via vado di sole, L’Aqiuila martedì 29 giugno 2010

lunedì 28 giugno 2010

DI GIORNO IN GIORNO . Versi d'altri ed altri versi

DI GIORNO IN GIORNO .Versi d’altri e altri versi

Termopili

Onore a coloro che nella vita
hanno scelto le proprie Termopili e vi stanno a guardia.
Mai distogliendosi dal proprio dovere
Giusti e retti in ogni azione,
pur con un senso di pietà e di compassione;
generosi quando ricchi, e quando
poveri, generosi ancora un po’.
Ancora aiutando, per quanto loro possibile,
sempre dicendo il vero,
senza neppure odio nei confronti di chi mente.
Ed ancor maggiore onore gli è dovuto
Quando prevedano (e molti lo prevedono)
Che infine spunterà un Efialte
E che i Medi, alla fine, passeranno.
Costantino Kavafis (1903)
Θερμοπύλες
Τιμή σ' εκείνους όπου στην ζωή των
όρισαν και φυλάγουν Θερμοπύλες.
Ποτέ από το χρέος μη κινούντες•
δίκαιοι κ' ίσιοι σ' όλες των τες πράξεις,
αλλά με λύπη κιόλας κ' ευσπλαχνία•
γενναίοι οσάκις είναι πλούσιοι, κι όταν
είναι πτωχοί, πάλ' εις μικρόν γενναίοι,
πάλι συντρέχοντες όσο μπορούνε•
πάντοτε την αλήθεια ομιλούντες,
πλην χωρίς μίσος για τους ψευδομένους.
Και περισσότερη τιμή τους πρέπει
όταν προβλέπουν (και πολλοί προβλέπουν)
πως ο Εφιάλτης θα φανεί στο τέλος,
κ' οι Μήδοι επι τέλους θα διαβούνε.
Κωνσταντίνος Π. Καβάφης (1903)

Racconta Adele Cambrìa che un giorno mentre viaggiava in macchina con Pier Paolo Pasolini questi gli domandò appunto perché i trecento alle Termopili non si arresero o fuggirono essendo già certi all’inizio della battaglia della disfatta e della sicura morte. Lei rispose che forse era il loro senso dell’onore, il loro amore per la patria, la voglia di essere immortalati a tenerli fermi . E Pasolini improvvisamente le disse " no per niente di tutto questo, ma solo perché erano amanti . Come si dovrebbe riscrivere la storia se questa stupenda epopea gay fosse minimamente vera come se la immaginava Pasolini.?

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, Lunedì 28 giugno 2010

EDITORIALI : La necessità di un colpo d'ala

EDITORIALI :La necessità di un colpo d’ala
di Ernesto Galli della Loggia ,Il Corriere della sera 28.06.2010


Parlare di crisi finale di Berlusconi e del berlusconismo è senz’altro azzardato. Niente lascia credere, infatti, che se tra sei mesi ci fossero le elezioni politiche il Cavaliere non riuscirebbe per l’ennesima volta a riportare la vittoria. In un modo quale che sia, ricorrendo alle offerte elettorali più irreali, radunando le forze più diverse, gli uomini (e le donne) più improbabili, ma chi può dire che non ci riuscirebbe?
Se però il futuro appare incerto, il presente invece non lo è per nulla. Dopo due anni alla testa di un’enorme maggioranza parlamentare il governo Berlusconi può vantare, al di là della gestione positiva della crisi economica, un elenco di risultati che dire insoddisfacente è dire poco. Inauguratosi con l’operazione «Napoli pulita» esso si trova oggi davanti ad un’altra capitale del Mezzogiorno, Palermo, coperta di rifiuti, ridotta ad un cumulo d’immondizia, mentre l’uomo del miracolo precedente e dell’emergenza terremoto, Bertolaso, è assediato dalle inchieste giudiziarie.
Il simbolo di un fallimento non potrebbe essere più evidente. Ma c’è ben altro. C’è l’elenco lunghissimo delle promesse non mantenute: elenco che la difficile situazione economica e i grandi successi nella lotta al crimine organizzato non sono certo in grado di compensare. C’è la riforma della giustizia con la separazione delle carriere dei magistrati ancora di là da venire; ci sono le liberalizzazioni (a cominciare da quella degli ordini professionali) di cui non si è vista traccia; c’è il piano casa e delle grandi infrastrutture pubbliche a tutt’oggi sulla carta; la costruzione dei termovalorizzatori, idem.

La promessa semplificazione delle norme e delle procedure amministrative è rimasta in gran parte una promessa; la riforma universitaria ha ancora davanti a sé un iter parlamentare lunghissimo e quanto mai incerto; delle norme sulle intercettazioni meglio non dire; e infine pesa sull’Italia come prima, come sempre, la vergogna della pressione e insieme dell’evasione fiscali più alte del continente.
Una tale inadempienza programmatica è il risultato in buona parte dell’incapacità di leadership da parte del premier. Nel merito dei problemi che non lo riguardano in prima persona Berlusconi, infatti, continua troppo spesso ad apparire incerto, assente, più incline ai colpi di teatro, alle dichiarazioni mirabolanti ma senza seguito, che ad una fattiva operosità d’uomo di governo. In questa situazione lo stesso controllo che egli dovrebbe esercitare sul proprio schieramento è diventato sempre più aleatorio. Benché con modi e scopi diversi Fini, Bossi e Tremonti dimostrano, infatti, di avere ormai guadagnato su di lui una fortissima capacità di condizionamento. Riguardo le cose da fare ne risulta la paralisi o il marasma più contraddittorio.
Anziché governare le decisioni, il presidente del Consiglio sembra galleggiare sul mare senza fine delle diatribe interne al suo schieramento. E nel frattempo dalla cerchia dei fedelissimi, dove pure qualche intelligenza e qualche personalità autonoma esiste, continua a non venire mai alcun discorso d’ordine generale, continua a non venire mai nulla che abbia il tono alto e forte della politica vera. Il silenzio del Pdl che non si riconosce in Fini è impressionante. Ad occupare il proscenio rimangono così, oltre l’eterno conflitto d’interessi del premier, solo i ministri ridicoli (Scajola) o impresentabili (Brancher), il giro degli avidi vegliardi delle Authority, le inutili intolleranze verso gli avversari. Dov’è finita la rivoluzione liberale di cui il Paese ha bisogno?

Eremo Via vado di sole ,L'Aquila, lunedì 28 giugno 2010

sabato 26 giugno 2010

IL FISCHIO NELLA VOCE - Poesie -

IL FISCHIO NELLA VOCE
- Poesie -

1.
Vagabondo e viandante,
pellegrino dannato e deriso
uomo travestito
tra frenesia, sensazioni
e inganni
su una terra senza remissioni
e peccati ;
ingorghi frastornanti
su un violino tremante e piangente
alla ricerca della voce
degli angeli
ti accompagnano
uomo viandante e vagabondo…

2.
Tristi cappelli
sulla testa della gente
in fila alla cassa
d’una biglietteria
non automatica
mentre la suoneria
non smette
d’incantare
con la sua voce di rame
i tristi cappelli
di tutta quella gente.

3.
Quell’ombra di ragazzo che ci rimane dentro
il suono dell’organo che copre i cento profumi
l’incenso,le litanie del chierichetto
davanti l’altare
le corse sulla piazza bagnata ,lucida,
la voglia della domenica mattina sotto il sole,
la voglia di continuare ,
di non voler aspettare, mai .

4.
Ampi sorrisi filettati di giallo
sui denti marci
incastrati a raggiera come una traballante
grata
a guardia dell’anima si scoprono ,
a guardare meglio;
come in un acquario stamattina nuotano
gli uomini-pesci dalle bocche rotonde
che hanno preso quest’autobus
e il ritmo del loro muoversi
instancabile tra presente ed eterno
va tra sistole e diastole, chiuso-aperto
vivo-morto.

5.
Con il cuore della notte
incontro al mattino
il silenzio sulla bocca degli angeli
colorati di terra azzurra
il fischio nella voce,
come un merlo che canta dentro
le ossa,
in sordina e monotonia
ogni momento che vivo
colleziona l’universo
il coro del cielo, le aggiunte
della terra .

da Valter Marcone Santabarbara amore mio L’autore Libri Firenze 1989

Eremo Via vado di sole , L’Aquila, sabato 26 giugno 2010

giovedì 24 giugno 2010

SILLABARI : Va' pensiero

SILLABARI : Va’ pensiero

Mi sono domandato perché:
“Va', pensiero, sull'ali dorate/va', ti posa sui clivi, sui colli,/ove olezzano, tepide e molli/l'aure dolci del suolo natal!/Del Giordano le rive saluta,/di Sionne le torri atterrate.../Oh, mia patria, sì bella e perduta!/Oh, Membranza sì cara e fatal!//Arpa d'or dei fatidici vati,/perchè muta dal salice pendi?/Le memorie nel petto raccendi,/Ci favella del tempo che fu!/O simile di Solima ai fati/traggi un suono di crudo lamento,/o t’ispiri il Signore un concento/che ne infonda al patire virtù!”
dovrebbe sostituire “Fratelli d’Italia “ l’inno scritto da Mameli .
Perché proprio il “Va’ pensiero” del Nabucco e non il “Va’ pensiero” di Zucchero Fornaciari che dice :
Va pensiero sull' ali dorate/Cross the mountains and fly over the oceans/Reach the land find the place where all children grow/Every night after listening to this lullaby./There you find the heroes alive protecting the innocents/Bless them all 'cause their simple song is so pure and wonderful./Va pensiero sull' ali dorate/Life's beautiful dream carry on for all night long./Lead them your golden wings every feel will fly away/Take them by the hand help them find an easy wayLead them back to the light back to the light/Where they once used to belongWhere they carry me children as long as they want./Va pensiero sull' ali dorate/Cross the mountains and fly over the oceans/Reach the land find the place where all children grow/Every night after listening to this lullaby/Every night after listening to this lullaby

Affermano esponenti della Lega :
«Nelle occasioni istituzionali si suona l’inno di Mameli, in quelle politiche il "Va’ pensiero", poi ci sono circostanze dove si possono suonare entrambi. Certo è che la nostra gente sente molto di più il coro del Nabucco, è una questione di identità: vietarlo a priori sarebbe come vietare ai baschi di cantare il loro inno».

Il coro del Nabucco dunque è una questione di identità. Ma di quale identità si sta parlando.



"Va' pensiero sull'ali dorate" lo canta il popolo ebreo che, nel "Nabucco", è stato sconfitto dagli Assiri, deportato in Babilonia e ridotto in schiavitù. Il dolore dell'esilio, dell'allontanamento è un tema molto ricorrente nell'opera lirica. Baricco fa una lettura magistrale di quest’opera e richiama anche un breve testo di Adorno che dice che la felicità è un luogo della memoria, un luogo dell'anima che si può vivere solo nel ricordo. Qualcosa che si è perduto.

E allora mi domando sostituire l’inno di Mameli con un inno del popolo ebraico?

Può essere una sciocchezza.

Scriveva tempo addietro su Città Nuova ( 27.08.2009) Mario del Bello :



“L’onorevole Bossi è tornato all’attacco. Bisogna sostituire l’inno nazionale con Va’ pensiero del “padano” Giuseppe Verdi. Il quale, se potesse, rancoroso com’era, risorgerebbe dalla sua tomba milanese a protestare per questa proposta. La giudicherebbe, per usare un termine ricorrente nei suoi melodrammi, “insana” (lascio al lettore verificare l’etimologia del termine…). Il motivo è presto detto, anzi i motivi per cui si infurierebbe sono almeno due. E non vanno sottaciuti.

Il primo. Quando nel 1842 ci fu la “prima” del Nabucco al Teatro alla Scala, si cantò certo il coro Va’ pensiero (finale dell’atto terzo), destinato poi a sicura celebrità per la semplice e autentica bellezza della melodia. Nessuno lo percepì come un messaggio antiaustriaco o un canto all’unità nazionale, Verdi non ci pensava nemmeno, tant’è vero che dedicò l’opera ad una arciduchessa austriaca. Il Nabucco infatti è, sulla scia del Mosè di Rossini, un’opera “sacra”, e il compositore, come ha affermato egli stesso, si riferiva al salmo biblico n. 136 “Presso i fiumi di Babilonia sedevamo”, e a nient’altro.
Solo diversi anni dopo, quando l’unità d’Italia si stava realizzando, i circoli risorgimentali hanno dato a questo e ad altri cori, di Verdi ,Bellini, Rossini eccetera, un significato patriottico, lontani certo dalle intenzioni degli autori.

Secondo. Nel 1847 a Londra Verdi incontrò Mazzini. All’epoca il maestro era repubblicano, prima di convertirsi, grazie a Cavour, nel 1860 alla monarchia.
Con Mazzini Verdi decise di comporre un inno nazionale che fu Suona la tromba, nel 1848, i cui versi, vedi un po’, furono scritti dall’amico poeta Goffredo Mameli.
La musica di Verdi non era però convincente se poi Mazzini convolò su quella, di più sicuro effetto marziale, di Michele Novaro. Verdi quindi il suo bravo inno nazionale l’ha già scritto e non vale davvero la pena di ripescarlo o di sostituirlo con altra musica sua.

Terzo. Verdi, padano purosangue, era un convinto fautore dell’unità italiana e si diede da fare con i suoi mezzi – musicali ed economici – perché si realizzasse. Fu addirittura deputato nel primo parlamento “italiano” (non padano) del 1860. Poi ebbe la saggezza, ahimè poco in uso oggi, di ritirarsi: gli artisti non sono fatti per la politica attiva: a ciascuno il suo mestiere…
Perciò l’idea ricorrente di Bossi di proporre la musica di un autore “padano” che invece padano non voleva essere ma italiano,e per di più con un brano che tutto è fuorché un inno al riscatto nazionale, suona una offesa alla sua memoria, oltre che un atteggiamento culturalmente non eccelso.

E infine. Perché rovinare una pagina così intima e sommessa, una preghiera, riproducendola infinite volte nelle parate militari, nelle partite calcistiche e così via, riducendola ad una marcetta che tutti prima o poi scimmiotteranno? Non siamo abbastanza in basso, culturalmente, onorevole Bossi nel nostro Paese che di bello rischia di averne sempre meno, visto che il buon senso sempre più viene messo da parte? Lasci stare Va’ pensiero nel posto dov’è, tra i momenti più sinceri della nostra musica: non ha bisogno di venire banalizzato, ma rispettato. E teniamoci stretta la marcetta di Novaro-Mameli che, col suo ritmo bandistico, fa ancora una bella figura, perché è calda e autentica. Dice una bandiera, una idea. C’è gente che c’è morta, cantandola.
La storia insegna sempre. Se anche gli onorevoli la ascoltassero!...”

E allora se Fratelli d’Italia va sostituito perchè non scegliere tra altre aree celebri del melodramma . Non c’è che l’imbarazzo della scelta per esempio:
Dai campi dai prati, dal Mefistofele di Boito
e anche i dello stesso Verdi
O patria mia dall’Aida
O Signor dal tetto natio da I lombardi alla prima crociata




Eremo Via vado di sole , L’Aquila, giovedì 24 giugno 2010

FRATELLI D'ITALIA : Andare in giro con le manette

FRATELLI D’ITALIA ; Andare in giro con le manette

Enzo Carra esponente dell’UDC ,durante tangentopoli ,fu al centro del caso che aprì la discussione sulle “manette spettacolo” nel marzo 1993.
Il 7 giugno 1983 Enzo Tortora , il popolare presentatore tivvù ,fu mostrato in manette proprio in tivvù e Carlo Meloni nel 2001 fu arrestato proprio davanti alle telecamere.
Nel Codice di procedura penale ,nel 1999, è stato inserita la norma , comma 6 bis dell’art.114, che vieta la pubblicazione di immagini di persone ammanettate . La legge 492 del 1992 stabilisce che nelle traduzioni di un singolo detenuto l’uso delle manette è obbligatorio quando “ lo richiedono la pericolosità del soggetto o il pericolo di fuga o circostanze di ambiente che rendono difficoltosa la traduzione”.
Il problema della polemica sta nel fatto che il detenuto venga tradotto in manette o che che il detenuto sia mostrato dai mezzi di comunicazione di massa in manette istituendo così una sorta di gogna mediatica come è stata definita ?
Evidentemente non è né l’una né l’altra la ragione della polemica. Non è la prima ipotesi perché il codice penale va rispettato senza ma e se e senza giustificare inadempeienze con il probela della privacy. Non è il caso della seconda ipotesi perché la legge dà discrezionalità alla polizia penitenziaria di decidere soggetto per soggetto ma teniamo conto che ogni traduzione è sempre difficile. E allora afferma Donato Capace segretario generale del sindacato penitenziario SAPPE:” E’ regolare e legittimo che i detenuti ancorché imputati siano condotti con le manette durante le traduzioni. Tutti i giorni la stragrande maggioranza delle traduzioni avvengono con le manette. E giustamente - sottolineo - perché garantiscono ordine e sicurezza. Ma le polemiche scoppiano solo con i presenti eccellenti come se essere un qualunque sconosciuto giustificasse, comunque, a prescindere , l’uso delle manette “
Miriam Mafai si indigna in un articolo pubblicato su La repubblica di martedì 15 giugno 2010 perché “un signore della cricca “ è stato mostrato in manette mentre veniva tradotto in Tribunale..
Pochi però si indignano per quello che avviene nel nostro paese per esempio nel mondo del lavoro ( disoccupazione e povertà) , mancanza di sicurezza con l’aumento delle morti bianche, nel mondo della politica con corruzione e affarismo, nel mondo del consumo dove i beni non vengono prodotti per essere consumati ma per essere buttati e si potrebbe continuare alla lunga. Pochi si indignano per esempio per le morti in carcere. ,
Scrive Rita Bernard ini.”L’irresponsabilità della classe politica italiana ci sta portando al completo disfacimento dello Stato di diritto, della legalità, del rispetto della vita umana. Tanto che un leghista oggi può dire che i condannati al 41-bis e i pedofili possono ben suicidarsi per fare un gesto che fa piacere al popolo. Tanto che il garante della privacy interviene solo quando viene ripreso ammanettato da giornali e TV un esponente della “cricca”, ma non quando della stessa sorte è vittima un rumeno o un marocchino.
Altro che DDL Alfano! Le carceri le stanno svuotando con le morti per malasanità o per suicidio: qualcuno esulterà perché oggi si è liberato un posto al carcere La Bicocca di Catania."
La risposta immediata che l’Esecutivo sembrava voler avviare era stata quella del Piano carcere . Del “Piano Straordinario per l’Edilizia Penitenziaria”, meglio conosciuto come “Piano Carceri”, però si è iniziato a parlare alcuni anni fa, precisamente il 7 novembre 2008: prevedeva la costruzione di nuovi penitenziari e l’ampliamento di molte strutture già esistenti per la creazione di 20.000 nuovi posti.All’epoca nelle carceri italiane erano presenti circa 56.000 detenuti, cioè 13.000 in più della capienza regolamentare degli istituti di pena e 8.000 in meno rispetto alla capienza considerata “tollerabile”: aggiungendo 20.000 posti si sarebbe tornati a un indice di affollamento delle celle in regola con le normative vigenti.
Ad oggi (inizio 2010) i detenuti sono circa 66.000, (10.000 in più rispetto a un anno fa), ma 23.000 in più del consentito ed in eccesso anche rispetto al limite ritenuto “tollerabile”: in altre parole, in soli 12 mesi la metà del lavoro previsto dal “Piano carceri”, 750 milioni di euro, una cifra enorme, risulterebbe praticamente spesa per non risolvere affatto il problema.Se il ritmo di crescita della popolazione detenuta non cambia (e per ora non si intravedono segnali di questo cambiamento), a fine 2010 l’intero “Piano carceri” sarà “annullato”: 1.500.000.000 (un miliardo e mezzo di euro) sborsati, per ritrovarci al punto di partenza.Ma siamo sicuri che tra 12 mesi, o anche tra 24 mesi, almeno qualcuno dei nuovi “padiglioni detentivi” o dei nuovi istituti penitenziari siano pronti per ricevere i detenuti, quindi con dentro tutto il personale necessario a gestire un carcere?Finora i tempi dell’edilizia penitenziaria si sono misurati in decenni, anziché in anni. E il personale non c’è neppure per far funzionare le carceri attuali, allora, invece di cercare denaro pubblico che non c’è per predisporre “Piani” costosissimi e, ahimè, che ci
costringerebbero fra un paio di anni a cercare nuovi soldi per costruire nuove galere, perché non ricorrere a pene alternative alla detenzione per le condanne fino a 3 anni (sono quasi 20.000 i detenuti con pene inferiori a 3 anni); e perché non limitare i casi per i quali è prevista la custodia cautelare in carcere (degli oltre 30.000 detenuti in attesa di giudizio oltre i 2/3 è accusato di reati “minori” e il 40% è destinato - dicono le statistiche - ad essere assolto, e quindi a costare allo Stato un sacco di soldi in risarcimenti per ingiusta detenzione)?Intanto nel 2009 sono morte in carcere 1560 persone, 560 si sono suicidate. Il carcere di Sulmona ha la triste fama di carcere dei suicidi, si è ammazzata persino la direttrice del carcere. I dati di inizio 2010
dicono che metà dei carcerati sono in attesa di giudizioAlcuni ricchi, ,aspetta a casa e nemmeno agli arresti domiciliari ma con tutte le libertà e gli onori : altri godono di leggi ad personam. Il 30% di quelli che sono in attesa di giudizio sono dichiarati innocenti. I processi sono lunghissimi e farraginosi ma si arriva persino a dire che il numero dei magistrati italiani è superiore agli altri paesi, senza dire però che nessuno di questi ha 3 gradi di giudizio e ha un tipo di prescrizione basata su una infinita serie di rimandi e di lentezze ammesse per legge.Dei 64.000 carcerati il 37% sono stranieri, ma quando incide su questo l’aver dichiarato la clandestinità reato, unico
paese in Europa? 20.000 sono extracomunitari. e non godono di benefici per la mancanza di casa e famiglia. Vogliamo avere il coraggio di dire che questa carcerazione è il frutto spaventoso della Bossi- Fini? E della sua mancanza di fondi per applicare se stessa, di rapidità delle pratiche, di assenza totale di integrazione?L’80% delle carceri italiane ha più di un secolo di vita ed è ormai inadatto a qualsiasi cosa. Le condanne della Corte Europea non si contano. Il sistema carcerario italiano è fuori da ogni legalità.Metà degli imputati che lascia il carcere vi è rimasto non più di 10 giorni, mentre circa il 35 per cento esce dopo appena 48 oreIl 10% è recluso grazie alla Fini-Giovanardi sulla droga. E ci sono in carcere più tossici di quanti ne passino per i Sert. La destra ha pensato bene di curare la tossicodipendenza col carcere.. per i poveri si intende..In queste condizioni dunque se mai il carcere dovesse essere un deterrente dalla recidiva, è chiaro che le condizioni di vita creano insicurezza sia per
gli istituti carcerari che per il personale che vi lavora . Pregiudicare quelle che sono le opportunità di vita reale dei detenuti che vogliono attuare un percorso di reinserimento equivale a creare e perpetuare un ambiente criminogeno.Il 32 % dei carcerati deve scontare solo un anno e spesso vengono vanificate le possibilità di sostituire alternative alla carcerazione.Solo un detenuto su 4 può svolgere un lavoro e solo l’1% può seguire corsi professionali. L’85% dei lavoranti svolge lavori di pulizia o di preparazione e distribuzione del vitto per il carcere stesso. Per far fronte al sovraffollamento di alcune strutture carcerarie viene vanficato il principio della regionalizzazione della pena e sempre più spesso i detenuti scontano la pena in istituti lontani dal luogo di residenza. Con spese di viaggio per i colloqui da parte dei familiari L’80% dei detenuti è malato: diffuse le epatiti, le malattie respiratorie, poi la tossicodipendenza, depressioni e malattie mentali, malattie dei denti, malattie osteo-muscolari. La conferenza Stato Regioni ha avviato il trasferimento della medicina penitenziaria al Servizio Sanitario
Nazionale con prestazioni da parte delle ASL ai detenuti ma il progetto stenta a realizzare quello che in definitiva è il proprio obiettivo: garantire il diritto alla salute cosa che è difficile in alcune situazioni anche per i liberi cittadini. In carcere ci sono attualmente 71 bambini sotto i 3 anni che vivono con le madri detenute.Le piante organiche della Polizia penitenziaria, stabilite con decreto ministeriale dell’8 febbraio 2001, prevedono 41.268 unità; sono invece in servizio solo 35.343 , mancano 5.925 agenti e l’assunzione di 2000 agenti secondo il piano carcere è una goccia Di educatori ne sono previsti dalla legge 1.088, sono appena 686. Gli psicologi sono solo 352 per 60.000 persone. Il concorso del 2004 per 39 psicologi non ha portato ad alcuna assunzione.
I fondi della Cassa delle ammende, con cui lo Stato dovrebbe investire in progetti educativi e/o di reinserimento sociale dei detenuti, non vengono utilizzati o vengono destinati ad altre finalità.Tre leggi principalmente hanno prodotto l’inferno delle carceri italiane: la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi e la “ex Cirielli”, che ha limitato i benefici ai recidivi. Se a questo ci aggiungiamo la disapplicazione delle misure alternative e l’inspiegabile presenza di carceri vuote abbiamo un quadro di desolazione e rovina .
C’è qualcuno che si vuole indignare ?
I dati sono tratti dalle statistiche ufficiali del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria dalle fonti del Sindacato di polizia penitenziaria e in particolare dal sito http://masadaweb.org/ con l’articolo di Viviana Vivarelli del 14 gennaio 2010




Eremo Via Vado di sole , L’Aquila, giovedì 24 giugno 2010

EDITORIALI . E i giornalisti scoprirono le macerie dell'Aquila

EDITORIALI . E i giornalisti scoprirono le macerie dell’Aquila
di Giovanni Maria Bellu da L’Unità del 23.06.2010


Noi de l’Unità già conoscevamo quell’emozione per averla provata all’inizio di aprile quando venimmo qua, all’Aquila, con la nostra redazione-mobile, in occasione del primo anniversario del terremoto. Ieri l’hanno provata tanti altri colleghi che hanno visto per la prima volta la “zona rossa” e le sue macerie. Un’emozione rara per un giornalista: la sorpresa. Ancor più rara, e ancor più strana, se si considera che il terremoto dell’Aquila ha avuto, specie nei primi mesi, una copertura mediatica straordinaria: migliaia di articoli, centinaia di ore di televisione. Con una tale mole di informazioni chiunque, e a maggior ragione un professionista dell’informazione, avrebbe dovuto avere un’idea molto precisa dello “stato dei luoghi”. E dunque, nel visitarli, non avrebbe dovuto sorprendersi.

Magari restarne colpito, sì, perché vedere è un’altra cosa. Ma non sorprendersi. A meno di non scoprire una realtà nuova e, per alcuni suoi aspetti essenziali, sconosciuta. Il sindaco Massimo Cialente stava per avviare il tour dei giornalisti tra la macerie, quando le agenzie di stampa hanno diffuso il testo di una lettera di Guido Bertolaso il quale suggeriva ai giornalisti di non limitarsi a guardare le macerie e li esortava a soffermarsi anche sulle grandi cose che sono state già fatte. In definitiva, chiedeva ai giornalisti di fare quanto il principale telegiornale pubblico e il principale telegiornale privato (non a caso le loro telecamere ieri erano assenti) hanno fatto in questi quattordici mesi: nascondere la realtà e assecondare l’uso propagandistico del terremoto. Chissà se il sottosegretario alla protezione civile, mentre scriveva quell’incredibile appello alla stampa, era consapevole di rendere una pubblica confessione. O se invece, obnubilato egli stesso dalla disinformazione televisiva, davvero crede che le cosiddette “grandi cose” realizzate coi fiumi di denaro della gestione emergenziale possano nascondere il dramma degli aquilani: decine di migliaia di persone che cominciano seriamente a temere che la loro città sia entrata in un coma irreversibile. Destinata, come ha detto Cialente, a diventare una moderna Pompei. L’impresa della ricostruzione dell’Aquila è enorme. I costi, già altissimi, possono apparire inarrivabili in una fase di così grave crisi economica. Ma a tutto questo si aggiunge il peso dell’uso irresponsabile del terremoto.


Col presidente del Consiglio che, un anno fa, nel pieno dello scandalo delle escort, tentava di rifarsi una faccia e una credibilità guidando tra le macerie i grandi della terra. E con le sue televisioni, pubbliche e private, che oggi - smantellato il palcoscenico - nascondono la realtà e accreditano, nell’opinione pubblica nazionale l’idea che gli aquilani siano degli incontentabili e lamentosi rompiscatole. Ci vuole molta pazienza e molta saggezza per sopportare tutto questo. E anche per sopportare un governo che (altro passaggio della missiva di Bertolaso) candidamente dice che sono state le comunità locali e chiedere di avere la gestione della “ricostruzione pesante” (che poi è, semplicemente, la ricostruzione). In parole povere: l’emergenza - con adeguate risorse economiche - è stata gestita dal governo sotto i riflettori. La ricostruzione - senza risorse - spetta al comune. E i riflettori o devono restare spenti o, nel caso in cui proprio sia necessario accenderli, vanno puntati sulle “grandi cose” realizzate dal governo. Fino al punto - è quanto è successo ieri - di costringere un sindaco a improvvisarsi cicerone tra le macerie della sua città per tentare di ristabilire, almeno parzialmente, la realtà dei fatti. Ma Bertolaso sa cosa è la vergogna?


Eremo Via vado di sole, L’Aquila, giovedì 24 giugno 2010

mercoledì 23 giugno 2010

SETTEMBRE COMPAGNO DI NEBBIE - Poesie -

SETTEMBRE COMPAGNO DI NEBBIE
- Poesie –

1.

L’alba sorge,trema come un lume
nel vento che è risalito
appesa alla pianura azzurra
è già campagna fin dai primi passi
del giorno.



2.

Vanno, vengono i giorni
nel sole di gennaio si sta in silenzio
ad aspettare in una strada
dove le case sono ormai sparse
dove finiscono le corse degli autobus.



3.
Tutti i miei morti ho sognato stanotte
tutta la casa mi hanno invaso:
di questo buon incontro notturno
ricordo i sorrisi
e le voci risuonate per tutta la casa
ridotta ad un’improvvisata stazione.
Poi fece giorno.

4.

Nel mio angolo d’attesa che si stringe
lì madre quasi come in una foto
oh madre lontana
fermata per sempre puoi guardare
come a un monumento familiare
solo che nella foto non ci sei più tu .

5.

Se ne vanno per mano
lampi e onde d’azzurro
sulle sponde del cielo
somigliano al mattino
tra i rami d’un pino
in una tranquilla giornata d’inverno.


6.

Non ha rimorsi
la pazienza della collina
della pianura, del bosco immobile.
La pazienza è un modo di riposare
ma anche di aspettare.


7.

Incauta la luna
va turbando il giorno:
allusiva è come un pensiero
che torna continuamente
è il pensiero della luna di notte
durante il giorno.

8.

C’era chiaro di luna ed era niente
forse un’ora forse due
ansia di te e piena gioia
furono solo un esile mite chiaro di luna
esile come la vita allo specchio
allo specchio d’ un chiaro di luna.




9.

Settembre compagno di nebbie
come un niente labile furtivo
e silenzioso
insegui su pareti e mattonelle
della stanza
carezze stanche lasciate
da assenze.
Sono vuote le stanze e tu sei
il tempo dei silenzi
e della nebbia tu sei settembre.

Le foto sono di Silvana Thompson,Romeo Fraioli

Eremo Via vado di sole , L'Aquila, mercoledì 23 giugno 2010

ET TERRA MOTA EST : Due terremoti

ET TERRA MOTA EST :Due terremoti

Scrive Massimo Giuliani “Chi sta salvando - chi sta provando a salvare - L'Aquila dall'oblio, non sono gli intellettuali che scrivono sui grandi quotidiani: sono i cittadini sui blog e sui social network. Gente che sa che l'effetto dell'oblio non è semplicemente quello di far dimenticare all'Italia che nel suo cuore c'è una città colpita. È quello di riscrivere, giorno dopo giorno, la storia del terremoto come la storia di un colossale colpo di sfiga che si è abbattuto su una città. E invece è la storia di una delle più ingenti operazioni di negazione collettiva a cui il nostro paese abbia assistito. Negazione del fatto che un pezzo della memoria di tutti (di tutti!, anche di quelli che non sapevano di averla) sta sparendo per sempre; negazione delle responsabilità che gli uomini hanno di essere stati a guardare o, peggio, a ridere mentre un patrimonio collettivo andava in briciole; negazione del fatto che il numero, che già stringe il cuore, dei morti va moltiplicato per cinque, forse per dieci: ché la disperazione e la mancanza di prospettive continuano a fare vittime; che le percentuali dei disoccupati e di quelli che non hanno una casa sono a due cifre.

Va bene se di tanto in tanto i buoni sentimenti riportano L'Aquila sulle prime pagine: ma per dare voce ai testimoni, non per compiangere una terra che la storia e la geografia vorrebbero ancora lontana dai vantaggi dell'unità d'Italia.”
E’ nota la polemica su questo tema dell’informazione, della cattiva informazione e dell’informazione rimossa nata dalla lettura di un articolo di Claudio Magris su Il Corriere della sera ed è altrettanto nota la polemica a distanza tra il Sindaco di L’Aquila e il capo della Protezione sullo stesso tema.
Nondimeno può essere interessante soffermarsi ancora una volta sulla questione, che ci sta in testa come un chiodo fisso, per tentare di capire quali dei due terremoti ha fatto più danni alla città : quello della terra che il 6 aprile dello scorso anno si è mossa “motu proprio” o quello dei soccorritori che con le loro azioni, decisioni, condizioni, animate sicuramente da solidarietà ma non esenti a volte da interessi di parte, ingordigia, manipolazioni ecc. hanno aggiunta qualche problema a quelli che il terremoto aveva procurato.

Il sindaco di L’Aquila ha invitato i direttori dei quotidiani italiani a visitare la città per constatare lo stato delle cose. Ovvero i problemi che la città e la sua amministrazione vivono ad un anno e più dal terremoto del 6 aprile dello scorso anno e a qualche mese da quanto la Protezione civile ha terminato il suo compito investendo di ogni responsabilità il Commissario regionale.
L’iniziativa ha inteso richiamare, ancora una volta , l’attenzione di tutto il paese sul “problema L’Aquila “ per scongiurare la conseguenza che diventi una sorta di Pompei del secondo millennio. La convinzione del sindaco è che guai a spegnere i riflettori sulla città perché i problemi non sono solo dell’amministrazione , dei politici locali, dei cittadini ma dell’intero paese.
Fin qui dunque una tesi condivisibile o meno . Lo stesso giorno in cui si sarebbero dovuti recare a l’Aquila i direttori dei quotidiani hanno ricevuto dal Capo della Protezione civile un dossier sul terremoto dell’Aquila con la raccomandazione però di “allargare lo sguardo” ad un contesto più ampio, senza fermarsi solo al centro storico e quindi l’invito a considerare nella valutazione della situazione anche le realizzazioni fatte in soccorso della popolazione residente nel così detto cratere . Fin qui dunque un’altra tesi condivisibile o meno.

L’aggiunta però da parte di Bertolaso che in conclusione alle sue argomentazione rivolge una severa rampogna , non si capisce bene se agli amministratori della città o agli stessi aquilani di rimboccarsi le maniche , di lavorare e lavorare , fa nascere delle domande e ci riporta al tema dei due terremoti .
Ci si può chiedere infatti : ma avesse per caso ragione Bertolaso quando dice che occorre rimboccarsi le maniche e lavorare ? E provocatoriamente viene da pensare: ma questi amministratori che hanno fatto finora? E gli aquilani che hanno fatto finora? Che cosa è successo in questa città che amministratori e cittadini non hanno capito e che il Capo della Protezione civile ha capito per poter esprimere così la sua opinione?

Sono domande alle quali è difficile dare una risposta?Ci interrogano quotidianamente? Riusciamo a dare risposte concrete , equilibrate, positive e produttive all’unico fine che conta: riavere una città funzionante, alloggi riparati e agibili, condizioni di vita materiale e comunitaria accettabili.?
Proviamo allora , rispetto a questo obiettivo ad accettare un attimo la logica del ragionamento e della rampogna del Capo della Protezione civile. Niente è stato fatto e nessuno ha fatto al di fuori di quello che ha fatto la Protezione civile tanto è che l’invito (diciamo così, se non l’esortazione o la raccomandazione ) è quello di rimboccarsi le maniche e lavorare. Domanda : solo la protezione civile ha dunque lavorato e con ingratitudine oggi ,qualche volta , gli aquilani e non tutti gli aquilani le chiedono conto di quello che ha fatto? Le domandano se si potevano fare cose diverse; se si poteva tenere in diverso l’urgenza che ha contraddistinto le cose fatte? E’ questa la sottesa intenzione di ogni lamentela, di ogni ansia , di ogni espresso malcontento degli aquilani?

Proviamo di controverso ad accettare l’ipotesi che veramente nulla di più è stato fatto di quello che ha fatto la Protezione civile che è stata presente sul territorio fino a dicembre dello scorso anno. Proviamo allora a domandarci con metodo socratico : ma quando il Presidente dell’Esecutivo e il Capo della Protezione civile hanno ridisegnato L’Aquila hanno chiesto la collaborazione degli enti locali , dei cittadini, delle istanze del territorio? Politici, amministrazioni locali e cittadini hanno detto o hanno potuto dire la loro opinione su queste decisioni? Quali luoghi e istanze sono state messe in piedi per garantire questa forma di “collaborazione” in nome della trasparenza e dell’esercizio democratico del potere ?E quando prendevano alcune decisioni che hanno determinato l’attuale assetto stavano facendo per fare o stavano facendo per saper fare? Stavano facendo convinti di fare per far vedere o di fare per soddisfare e rispettare i bisogni dei cittadini?
Hanno pensato e riflettuto sulle conseguenze delle loro decisioni negli anni a venire?
Bisognava fare a tutti i costi e l’imperativo era di fare ? Che cosa? Per chi? Secondo quale piano urbanistico di ricostruzione della città? Secondo quali linee di sviluppo economico del territorio? O sono domande superflue perché l’imperativo era solo mettere un tetto in testa a qualcuno , a molti , forse a tutti ? Un tetto e solo quello ? E poi che tipo di tetto?

Che le risorse finanziare fossero poche lo si sa oggi come lo si sapeva allora e quindi perché non scegliere insieme, con accuratezza , analizzando le numerosi varianti sul tavolo
Abbiamo provato a guardare le due facce della medaglia, abbiamo provato a fare domande. Torniamo all’inizio del ragionamento. Ci sono stati due terremoti a L’Aquila? Probabilmente sì e il secondo è proprio quello che si sta vivendo in questi mesi e che da più parti viene segnalato, analizzato, discusso, che suscita polemiche , che induce a riflessioni e ad azioni a volte sconcertanti. Se si, vale a dire che c’è stato “un terremoto nel terremoto” che significa , come molti affermano, che il terremoto di L’Aquila è stato trattato come “un grande evento “ considerato che forse il nostro paese è abituato a considerare tutto “un grande evento”. Un giubileo in cui gli aquilani, in pellegrinaggio alle porte sante della politica, dell’informazione, della cultura , dell’intrattenimento , vanno chiedendo indulgenze. Dove indulgenza sta per proroga degli sgravi fiscali,per costante attenzione ai problemi del dopo terremoto, per aiuto alla sua economia .

Ma non è che le indulgenze ( e ricominciamo con le domande) come una volta , tanto tempo fa si vendono? E a quale prezzo? Almeno in quel caso, quello di tanto tempo fa , si trattava della salvezza eterna dell’anima che non è poca cosa in un mondo in cui non si poteva cambiare molto delle condizioni in cui si trovava il corpo ( malanni fisici difficili da curare, angherie, sopraffazioni, fame ecc.) Qui si tratta non della salvezza dell’anima ma proprio del corpo dalle intemperie, dalle ristrettezze economiche , dell’impossibilità di soddisfare elementari bisogni tra cui a volte quello della rassicurazione per un presente e perché non per un futuro che appare incerto e minaccioso .


Le foto sono di Daniele Aloisi

Eremo Via vado di sole ,L’Aquila, mercoledì 23 giugno 2010