giovedì 23 gennaio 2014

Caro Peppino

Caro Peppino



Caro Peppino ora posso sedermi e parlare un po’ con te. E’uno dei nostri colloqui, quelli che  dasempre ci hanno accompagnati  neisentieri  che abbiamo percorso assieme,qualche volta camminando fianco a fianco ,qualche altra rincorrendoci,qualchealtra ancora fermandoci ad aspettare.
Ieri sera ,quando mi hanno telefonato per dirmi  che ti eriincamminato da solo  per un viaggio ,nontanto sconosciuto ma  sorprendentementenuovo,ti ho pensato appunto in cammino  su una distesa di  campi assolati erigogliosi  tra le colline e di fronte almare ( che quella era la tua terra reale,quella dalla quale sei venuto in mezzoa queste montagne e di cui tante volte mi hai parlato ).
Ti ho visto camminare senza fretta  verso un casolare  dal quale venivano giù a rotta di collo,sustrade bianche e scorciatoie color vinaccia del suolo,  i tuoi due Flyn  che guaendo e scodinzolando ti hannointravisto al tuo apparire all’orizzonte. Quel Flyn che ti uccisero i fascisti quando ancora adolescente o giovaneuomo, vivevi ancora a Castel Castagna che io non ho conosciuto e quell’altroFlyn ,che pure io ho conosciuto, che fu investito da un’auto una mattinad’estate  su una strada lungo mare alrientro da una passeggiata .
E così a lungo  nellaserata sono rimasto con il pensiero di te e delle cose che ci dicevamo ultimamente. Quando tu passeggiavi sullastrada che dal ponte sull’autostrada porta all’edicola della Madonna di Pettino, da quando sei rientratonella tua abitazione, che sta proprio un poco discosta da quella  strada ,dopo il terremoto.
Io salivo da Santa Barbara, venendo da  Valle Pretara ,dove nei primi anni dopo ilterremoto  avevo trovato una dimora, perrecarmi a Cansatessa  alla Chiesadell’adorazione il venerdì pomeriggio. Mi fermavo ad aspettarti all’edicoladella Madonna se caso mai non ti avevo già visto per strada. E così
mentre mi dicevi “Arrivo all’edicola della Madonna, tre  Ave Maria e poi torno indietro “ mi chiedevisempre ,con la solita premura,.notizie dei nostri amici e conoscenti masoprattutto dei ragazzi che avevamo conosciuto nella casa di rieducazione, nelriformatorio e nel carcere minorile.
Erano ,da ultimo ,da quando anche  io ero andato in pensione, le nostregiaculatorie, le nostre litanie,una sorta di grani di rosario sgranati  tra il rumore del traffico di quella stradae  i battiti del nostro cuore..E quandol’affanno si faceva insostenibile  unpoco per la strada in salita e un poco per l’emozione dei ricordi ,cambiavamodiscorso  Così fino ai primi mesi diquesto inverno che seppure mite ha comunque portato giorni di pioggia e vento che probabilmente non ti ha permessodi uscire:
Non ho saputo più niente delle tue condizioni fisiche ma oranon è questo quello che conta. .Ora so che sei in buona forma  per affrontare questo nuovo cammino  e che non sei solo. Ti accompagnano i dueFlyn e la luce splendente d’un mattino di sole invernale,con appena un poco divento e il riverbero della neve su in alto in alto sui monti  dove lo sguardo si confonde , accecato,e tuttodiventa vastità azzurra.
Mentre poi questo pomeriggio venivo a salutare i tuoifamiliari mi sono venuti in mente questi versi Li ho scarabocchiati sul fogliodi un piccolo taccuino che tengo in macchina ,accostando ogni tanto per poterscrivere, un verso dopo l’altro ,come faccio qualche volta la sera  quando midistendo sul letto. Mi alzo e mi distendo di nuovo  ogni volta che mi viene in mente un verso . Unverso dopo l’altro.

Tu eri seduto accanto a me
e piano
ancora più piano delle altre volte
intralciando il traffico
a cinquanta chilometri all’ora,
come spesso andavi anche tu ,
sono arrivato.
Mi aspettavano Clara, Anna Rita
Francesco ,ma tu eri con me .
Da questo paese
che da quassù guarda il mondo
sono sceso a valle
con la piccola utilitaria
per salutarti  ora chehai deciso
di incamminarti da solo,
presi gli attrezzi per il viaggio
concordato il segnale
per ritrovare la strada ,
chiusa la porta dietro le spalle
senza fretta .
Ti sei messo in cammino
che cosa  può dunquesuccedere
in questa sera –giovedì – sui campi
laggiù tra gli sbuffi di nebbia,
che cosa può succedere. E’ questa
un’ora che intenerisce il cuore
e volge tutto alla malinconia
d’una speranza ,la speranza
che salutandoci  oranon entri nel buio.

  Avrei potuto raccontare a tutti i presenti queste cose. Maci ho rinunciato perché sarebbero state tradite dall’emozione del momento.Avrebbero avuto il ritmo frettoloso di chi si preoccupa del tempo adisposizione degli interlocutori, di chi frammenta un discorso scegliendo e non riuscendo così a condividere fino in fondo  proprio quell’emozione  del momento.
Avrei voluto raccontare quella stupenda parabola del buonseminatore. Metafora del nostro lavoro che tante volte abbiamo meditato insiemee da soli  e che in fondo rimane oggi ,oggi che sei partito, come un viatico per il cammino che mi rimane da fare
«Ecco, il seminatore uscì a seminare.  E mentreseminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e ladivorarono.  Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era moltaterra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo.  Ma, spuntatoil sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò.  Un'altra partecadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra partecadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, doveil trenta.”
Una sola semina, lo stesso seminatore, lo stesso seme, glistessi gesti, la medesima fatica, e tuttavia gli esiti sono diversi.  Perchè nonsi parla delle  sue qualità, di cui nullaviene detto, bensì della  sua sorte.
La sorte  del seme èla sorte della vita .E guai nella vita a non accontentarsi  solo dell’unico seme che cade “sulla buonaterra”e dà frutto .Frutto che non dipende ancora una volta dal seme ma dallaterra. Come si fa a vedere se la terra è buona? Con un atto di fiduciadeponendovi il seme.

E dunque caro Peppino è il cuore che  fa atti di fiducia. E dunque non dirò dellebanalità come quella che il tuo cuore  siè fermato, che il tuo cuore fa fatica ,perché non è vero. Perché il tuo cuoreera per gli altri .Gli altri dunque
E allora mi sono immaginato che forse arrivando al terminedel cammino che oggi hai intrapreso tu ti aspetti di trovare le bandiere delsindacato al vento ed un immenso corteo che ti saluta.in quella terra non ci sono cortei e bandiere al ventoperché è terra nuova dal cielo nuovo dove bandiere e cortei sono incongruentifuori     luogo.
Forse dietro la porta del casale troverai un saio daindossare per “Cantare lu Sand’Andonje


Se ci date una forma di cacio
non possiamo che darvi un bel bacio
un augurio per la casa bella
e l'Anno Nuovo e la Pasquella!

Se al contrario ci date un lonzino
con salami salcicce e buon vino
li mangiamo con la mortadella
ad Anno Nuovo e la Pasquella!

Se ci date un mezzo capretto
o magari un bell'agnelletto
noi mettiamo una grande padella
e l'Anno Nuovo e la Pasquella!

Con un buon piatto di tagliatelle
queste mura diventan più belle
un buon sugo con la coratella
e l'Anno Nuovo e la Pasquella!

E già ti sento cantare. Mentre scrivo mi sono ricordato unacosa. Parlando di questo momento abbiamo qualche volta  scherzato su un segnale di riconoscimento perritrovarsi. E allora ho cercato questa poesia di Eugenio Montale da “Satura”

Avevamo studiato  perl’aldilà
un fischio un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
Che tutti siamo già morti senza saperlo.

E se non è così caro Peppino tu fischia  ogni volta che ti fermi sul cammino,ad ogniincrocio,ad ogni tappa. Ti sento ,ti sento dentro al cuore.

Eremo Rocca S.Stefano giovedì 23 gennaio 2014

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