sabato 26 dicembre 2009

Osservatorio di confine II : il confine


Il confine è un luogo. Il confine è un muro, il confine è una porta, il confine è un bordo , il confine è una linea,il confine è una pietra. I confini hanno varchi, ponti e gallerie,i confini sono recinti,i confini sono uno spazio immenso e tutto un mondo di significati.“…i confini muoiono e risorgono – scrive Claudio Magris in Come i pesci il mare in AA.VV. Frontiere, supplemento a Nuovi Argomenti, 1991, n.38, p.12 – si spostano, si cancellano e riappaiono inaspettati. Seguono l’esperienza,il linguaggio, lo spazio dell’abitare,il corpo con la sua salute e le sue malattie,la psiche con le sue scissioni e i suoi riassestamenti,la politica con la sua spesso assurda cartografia, l’io con la pluralità dei suoi frammenti e le loro faticose ricomposizioni,la società con le sue divisioni,l’economia con le sue invasioni e le sue ritirate,il pensiero con le sue mappe dell’ordine…”
Ma che cos’è allora un confine? Come funziona? Perché ad un certo punto qualcuno decide di stabilire un confine? Come viene vissuto un confine?
Il confine, un confine è tutto questo? Luogo e forma in continua trasformazione, paesaggio reale e immaginario. Luogo misterioso che si incontra negli spostamenti ma anche spazio che si trova tra le cose. Spazio che mettendo in contatto separa le cose e separandole mette in contatto culture, identità.
Spazio di confine e confine come spazio.
Il confine include ed esclude,è uno spazio che ha - come dice Michel Focault - :” … la curiosa proprietà di essere in rapporto con tutti gli altri, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti da loro stessi designati,riflessi o rispecchiati…” diventando in questo modo il luogo dell’obiettività.
Il confine è uno spazio rigido diverso dalla frontiera che accetta la possibilità di essere modificata . Il confine non si modifica. Stare sul confine però richiede la disponibilità a compiere un’esperienza di apprendimento “ oltre le abitudini, al di là delle convenzioni e dei preconcetti”.
“Provare il confine e la sua contraddizione – come afferma Piero Zanini - ma anche la sua sconfinata vivacità, vuole dire esercitarsi nella pratica della tolleranza, della convivenza,dello stare fianco a fianco malgrado le rispettive particolarità. Vuole dire anche cercare di avere uno sguardo più allargato sulle cose , in grado di comprendere aspetti diversi ( anche se molto lontani tra loro ) di una stessa realtà come parti di una sola complessità.
Confine e/o frontiera. Il confine indica un limite comune , è un modo pratico e pacifico di stabilire il diritto di ognuno. La frontiera è la fine della terra,il limite ultimo oltre cui avventurarsi. E’ andare al di là della superstizione ,contro il volere degli dei,oltre il giusto e il consentito,verso una terra sconosciuta.
Varcare il confine è la stessa cosa che varcare la frontiera.? No. Varcare la frontiera è avventurarsi in terre aspre, abitate da mostri pericolosi. Il confine è uno spazio familiare , è un luogo protetto è un recinto sicuro . Varcare il confine è mostrare il passaporto, l’identità e accedere a diritti, trovare e condividere regole.
La frontiera non è una linea ma sempre una striscia di terra, un territorio di mezzo, una terra a volte di nessuno.
Sono frontiere le muraglie costruite dai cinesi, il “limes” romano , lo stesso muro di Berlino.
E’ confine la linea che non ammette permanenze sull’orlo,che divide e basta, non è né neutrale né libero.
Esiste un confine naturale. Non esiste una frontiera naturale.
Confini e frontiere sono però in definitiva costruzioni culturali che possono assumere significati diversi “… sono contemporaneamente l’affermazione e la negazione di sé e delle dicotomie e delle ambiguità…” tanto che non sappiamo, come dice Bateson se siamo soli con i nostri pensieri , azioni e comportamenti che disegnano le cose o se le cose esistono contornate indipendentemente da noi. L’ambiguità dei contorni è tutta qui. Oppure bisogna fare come il signor Palomar che “…decide che d’ora in poi farà come se fosse morto ,per vedere come va il mondo senza di lui. Da un po’ di tempo s’è accorto che tra lui e il mondo le cose non vanno più come prima; se prima gli pareva che s’aspettassero qualcosa l’uno dall’altro,lui e il mondo ,adesso non ricorda più cosa ci fosse da aspettarsi ,in male e in bene , ne perché questa attesa lo tenesse in una perpetua agitazione ansiosa.
Dunque ora il signor Palomar dovrebbe provare una sensazione di sollievo , non avendo più da chiedersi cosa il mondo gli prepara,e dovrebbe anche avvertire il sollievo del mondo che non ha più da preoccuparsi di lui. Ma proprio l’attesa di assaporare questa calma basta a rendere ansioso il signor Palomar. Insomma, essere morto è meno facile di quel che può sembrare…”
Non possiamo dunque sapere a priori parlando di confine se riusciremo a tener fuori o chiudere dentro tutto quello che vogliamo.
“…Conoscere il mondo che vi riguarda (lo amate e ne avete paura, cui tendete o resistete) - come afferma Karahasan in Elogio della frontiera in Micromega 1995 n. 5 – il mondo che non è un oggetto muto, è possibile quando lo avvicinate e quando vi mettete sulla frontiera tra voi e ciò che conoscete…”
Allora “…pensare il confine come uno spazio e non solo come la linea che lo istituisce univocamente è possibile – come afferma Piero Zanini – solo cominciando a conoscere senza pregiudizi i confini,osservandoli un po’ meglio e un po’ più in profondità per poi cercare di dar loro una forma e un carattere nuovo. Non è sufficiente rimuovere la componente visibile di un confine per colmare la sfasatura che esso rende evidente.
Ideare un confine come spazio di dialogo richiede allora l’impegno di tutti i nostri sensi ,spinti all’estremo nel tentativo di percepire ciò che a volte c’è ma non si vede. Inventare, o forse reinventare questo confine significa provare a controllare queste figure in cui continuamente ci imbattiamo,per limitarne l’influenza sui nostri comportamenti e non subirne solo il controllo. Allo stesso tempo è un esercizio fondamentale per stare all’erta,per non cadere nella trappola di vedere e costruire limiti e barriere là dove non sono mai esistite….”
Il confine allora è anche un segno? Un codice, un’allegoria,un’immagine,una metafora ,un simbolo ? Pensare il “ segno” sembra essere uno dei compiti del nostro tempo.
Parlare di segno, per quanto riguarda la riflessione condotta nella seconda metà del Novecento,significa parlare dei modelli della significazione, della comunicazione,della linguistica dell’informatica. Nondimeno qui ci piace parlare del confine come un segno anche se la dottrina dei segni per eccellenza è la semiotica. E’ quindi avvenuto, a ben pensare la storia del concetto di segno,che una nozione semiotica generale,nata per definire fenomeni naturali è stata in seguito applicata a fenomeni linguistici. Un’archeologia del segno potrebbe aiutarci a chiarire questa riflessione ma altro ci interessa sul segno come confine.
E al confine allora non mettiamo confine. Ma qui si ricomincia il discorso: Per il momento , come il viandante, è tempo di sostare. Riprenderemo poi il cammino:

Dall’eremo di Via Vado di sole L’Aquila sabato 26 dicembre 2009

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