mercoledì 13 gennaio 2010

LESSICO FAMIGLIARE -poesie-

1.
Guardammo dalle sponde erbose
e dai campi arati
salire la notte di settembre,
il volto delle cose fuse
di colore, sapore, odore.
Sole conservano un respiro
sotto il cielo di settembre
che veste stasera la casa della torre
la casa, quella casa che tanto amiamo.

2.
Rotaie deserte luccicanti al sole
di una domenica mattina, E’ tutto
il mondo stamattina questo poco sole
d’una stazione ferroviaria. Pure brutta.

3.
Ottobre cuce l’autunno
su una tela ocra
e nello specchio di sole
di quest’angolo di giardino
si scalda una lucertola
prima del riposo invernale
attaccata com’è
all’idea del sole.


4.
Quei passi sonnambuli
per solitudini
di strade trasparenti
di grandine.
E, come per uno scherzo,
noi perduti affondati
nel tempo
d’un orologio che fa ora il rumore
del tarlo.

5.
Corre il vento la notte, sulle ore
dell’orologio del campanile. Viene
il sole all’orizzonte.
Comincia appena un altro
giorno. Come in un deserto
di tempo veleggia per le vie
del paese un azzurro mattino.

6.
Vele d’azzurro
a sfiorare il confine
lontano,
oltre costellazioni
alzate come stendardi.
Fa paura
salpare in questo mare.

7.
Pisciatoio fresco e odoroso
d’una stazione di campagna
nessuno più aspetta il treno
e alla fermata ora a richiesta
fiorisce solitario il rosmarino.


8.
E’ forse vero. Anche noi facciamo
come i cani randagi. Riconosciamo
i luoghi della nostra vita prodigio
irrazionale del miracolo ,solo dai pisciatoi.



9.
Vestivamo il diavolo senza poter comprare
i vestiti di Prada
che per la fame non avevamo nemmeno
gli occhi per piangere.
A volte le vecchiette di Vico Spezzato
ci dicevano attenti agli spiriti per farci
paura
e tenerci a bada monelli come eravamo
ma gli spiriti erano angeli con le scarpe
da zappaterra o con la camicia da ferroviere
padri e zii che lavoravano dalla mattina
alla sera
come mastro Salvatore Petrilli il muratore
e mastro Puntello il falegname
che poi la sera si sedevano specialmente
d’estate fuori la porta della cantina di Ioletta
e con un bicchiere di vino in mano
raccontavano storie affascinanti di Garibaldi
e qualcuno dei loro padri era stato garibaldino.
Oreste Bagonghe cantava bandiera rossa
e il professor Carlo Autiero commemorava
ogni anno
nella sezione del PCI di Corso Ovidio
Lenin e la Rivoluzione d’ottobre.
Avevo i calzoni corti e andavo dietro
a mio padre
trovai da leggere in quella sezione
“La madre” di Gorkj e “I cosacchi” di Tolstoi
e ho amato così la Bur grigia.
I cugini Marcone giocavano tutti al calcio
io non li guardavo nemmeno perché
forse del pallone non me ne importava niente
ma in fondo ero un po’ geloso
di non saper giocare al calcio come loro.
Andavamo a far guerra tirandoci sassate
fuori Porta e non avevamo ancora letto
“I ragazzi della Via Pal”.
Leggevo Capitan Mike,Grande Black
e il Monello
che costavano venti lire e me li comprava
mia madre il mercoledì
quando andava a dare l’acqua alle piante
di zia Liberata che in agosto andava
a Pescara da sua sorella.
Mi piaceva di più Gino Bartali
perché Fausto Coppi era un po’ aristocratico
e tutte quelle storie della Dama Bianca
che da ragazzo non capivo.
Parlavo nel sonno durante la notte
e zio Arnaldo qualche volta me lo riferiva
a modo suo che dormivamo nella stessa stanza.
Erano gli anni dell’oratorio, della prima comunione,
delle versioni di latino della professoressa Rizza
della colazione con pane e frittata prima
di entrare a scuola.
Erano gli anni che ricordo ora sempre di più
ogni giorno
e la notte quando non posso dormire
mentre faccio finta di dimenticare quello
che ho mangiato ieri
erano gli anni lievi che non ingombrano il cuore
il cuore leggero di quegli anni vissuti
alla leggera.

10.
Truccare non si possono più
le rughe di troppi secoli
e questo paese ha ancora il fascino
di un volto di fanciulla,
del canto per una danza sull’aia
in agosto,del respiro
d’un treno lontano nella valle,
del colore d’un pastello
che ha scompigliato l’aria.
Al mio paese nevica stamattina
secondo le previsioni del tempo
ed è tutto bianco stamattina
stamattina che nevica.

11.
Di Tione ricordo Olindo Rosati
maestro di scuola per una vita e pure
sindaco
e il suo amico Don Rinaldo che incontro
ancora qualche volta
e il gran parentado di Annamaria
la famiglia Trionfi e quella loro grande casa
sulla piazza.
E ricordo nonna Francesca tra i silenzi
del suo giardino di montagna
di fronte ad un’altra montagna
dove il gelo d’inverno e la solagna d’estate
spaccano ugualmente le pietre
e Massimino che da giovane andava
in bicicletta a l’Aquila per trasportare
così le sue merci
e quei morti che dopo la frana
non si sono più trovati
un cimitero scomparso
che Caterina andava a cercare nelle campagne
del pendio del monte
per accendere un lumino il due novembre.
Quel paese mi ricordo dove erano rimasti
solo due asini
che incontravi la sera all’abbeverata alla fonte.
Di Tione ricordo gli amici che Daniele
mi ha fatto conoscere
e che ora vado a trovare in quel piccolo
cimitero sulla strada per Fontecchio
ora che per le sue strade non s’incontra
più nessuno
né vivi né morti perché il terremoto
se li è presi tutti e si è preso le loro case
e s’è preso la Chiesa di S. Vincenzo
e solo la torre ha lasciato in piedi.
Di Tione mi restano nel ricordo
queste poesie di “Stelle in corsa”
che per Tione qui ho ricopiato come
l’alfabeto d’un pianto, il sillabario
di un dolore,
il canto d’una luna di gennaio
sul monte e sulla valle, lungo il fiume
e dentro i boschi ,come un respiro
che di respiro ha il vezzo
che l’ultima volta che l’ho visto
mi si è mozzato in gola il fiato.
Di Tione non voglio più dire ora
ora che dorme nel cuore un sogno
il sogno di tornare a rivedere i suoi tetti
le sue case e poi parlarne di nuovo.

(le poesie da 1 a 8 sono state pubblicate su “Stelle in corsa “
ottobre 2000 le altre sono inedite)


L’Aquila, Eremo di Via vado di sole
mercoledì 13 gennaio 2010

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