sabato 3 aprile 2010

CANTATA D'AUTORE : STABAT MATER

CANTATA D’AUTORE :STABAT MATER

Quell’anno fu un inverno duro per l’eremita della Sacra di San Michele. Era un anno imprecisato sul finire del X secolo non lontano dal Mille ma non più Mille.
Ripesa sanctos vocant . I luoghi scoscesi attirano i santi e il pio Alberto fattosi romito in cerca di solitudini aveva scalato le balze del Capraio , un montaccio da capre all’imbocco di Val di Susa.
Due secoli prima Carlo Magno sceso giù dal Monginevro aveva lì sbaragliato Desiderio re dei Longobardi. Quella sera di fine inverno Alberto vide arrivare un viaggiatore.
La Valle sottostante è una via di transito frequentatissima. Il viaggiatore è un monaco Guglielmo che sta raccogliendo notizie per scrivere un Chronicon Coenobii Sancti Michaelis de Clusa. Porta con sé anche un misterioso involucro da cui a volte si sente vibrare un’armonia.

A lui Alberto racconta la storia dell’eremo, la nascita di quel luogo solitario di preghiera, la nascita di quella minuscola abbazia.
“ Il pio Giovanni Vincenzo volle coronare quelle vette con un oratorio e si diede a tagliar tronchi ed ammassare pietre; che però nottetempo misteriosamente sparivano.Vegliando infine per scrutare l’arcano, l’eremita vide una schiera di angioli attorno ai quali volitavano colombe, che si caricavano senza fatica apparente i travi e massi sulle schiene alate, per traslocarli in volo sulla cima opposta , il Porcariano,un postaccio da maiali solitari al di là della valle; il quale poi si infuocò tutto per illuminare la comparsa di un San Michele additante con insistenza quelle rupi. Il sant’uomo capì il messaggio e mutò picco; e quando, terminato il lavoro, chiese al vescovo di Torino Amazzone di consacrargli quel rustico tempo , s’ebbe dal cielo un altro prodigio: perché il pigro Amazzone venne ma non si affrettò; e prima d’affrontare la salita pensò bene di fermarsi a dormire giù nella valle ad Avigliana.

Ma nel cuore della notte fu svegliato dai villici perchè sul Porcariano ardeva un globo di fuoco.
Amazzone lo prese come un sollecito e inerpicatosi verso quel faro celeste trovò nella chiesa un altare eretto dagli angeli.”
Guglielmo decisa di restare in quel luogo. Dopo tanto girovagare era tempo di fermarsi. In quello scenario di verde e pura natura si sentiva sospeso tra cielo e terra. La contemplazione del creato opera del suo Dio lo spingeva a cercare la purezza , l’essenza della purezza anche in quell’arte che fin da ragazzo coltivava e che si esprimeva attraverso quel misterioso ( per gli altri), fagotto che si portava appresso tra i bagagli : la sua viola e la musica che ne usciva.
In quella solitudine oscura della natura, dei boschi appena rischiarati dalla luce delle stelle egli sentiva la sinfonia delle sfere celesti che sfiorandosi si accarezzavano nell’universo.

AD VESPERAS. In uno stato di contemplazione restava ore ed ore su quella altura e dentro di sé risuonava la perfetta armonia dell’immenso che a volte provava trascrivere su dei figliacci che si portava dietro anche quelli.
Nella piccola cappella suonava la sua Viola d’arco di cui era rinomato maestro fino a Venezia. Così in quello stato suonava e cantava fino allo sfinimento trasformando in musica ogni cosa; la pace e la grazia di cui si era riempito guardando quella terra; la preghiera e la lode dovuta al suo Signore che quella terra gli aveva donato; la purezza e la mitezza che era il sangue della sua musica e del suo incontro con l’universo.
Dalla valle a volte giungevano attraverso i viandanti e villici le notizie più disparate.
Da anni il suo errare vagabondo di eremo in eremo lo aveva indotto a proibire a se stesso la musica delle cappelle e delle città. La giudicava con disprezzo :” intra augustos terminos esse positam; ut a suois progenitoribus, nulla similitudine sit agnoscende…”
Una sera al vespero trovò nella piccola cappella un giovane che amava le stelle e discusse con lui di astronomia, aritmetica, geometria e… musica.
Parlando dotto quekl cielo stellato alla presenza di quelle sfere celesti il giovane gli disse che se Platone e Dante avessero ascoltato il canto del coro della cappella a valle, dove più si distingueva una voce e una sola trale altre, l’avrebbero giudicato più bella della musica dell’universo.
Guglielmo si invaghì di quella vove e chiese di poterla ascoltare, ascoltare il canto di quel corso e l’afflato di quella voce.
Il giovane promise che lo avrebbe condotto in quella piccola chiesa giù a valle. E così fu.
Qualche sera dopo entrarono ai vespri in un posto gremito di gente mentre il celebrante intonva il DEUS IN AUDUTORIUM a cui risposero centinaia di voci che fecreo tremare il pavimento .
Ecco appena dopo i SALMI scanditi da un gruppo di cantori intorno al leggio. Venti fanciulli e più cantavano amemoria la voce del SUPERIUS e a quella messa di suono si univa il GLORIA del popolo presente.
Una tempesta di melodia si abbattè su Guglielmo. Ma fu dopo il CONFITEBOR intonato per quinte parallele che la melodia miracolosamente esplose: Le voci doppiate da cornetti e tromboni giungevano contemporaneamente da ogni parte della sala della chiesa, ma non si riusciva a rintracciarne l’origine come se non vi fosse traccia di persona che stesse suonando e cantando.
E in quel mezzo una voce si staglia netta al di sopra delle altre con il suo Regina Coeli.
Quella voce perfetta,dal timbro fuori del comune si spingeva nell’acuto e si addolciva nel colore e brillava come un fiume lento con i suoi specchi d’acqua infranti dal movimento. Scendeva poi nel grave e si scuriva come in un pozzo e risuonava forte del colore delle neri travi delle capriate del soffitto.
Sembrava che la voce scendesse dal paradiso.
Nei passaggi tra le lunghe note del canto fermo gorgheggiava a lungo come se volesse disegnare con la voce nell’aria.

“Ah ! se quella voce avesse potuto cantare la sua musica. Ah ! se potesse trovare quel corpo che emetteva quei suoni, quella meraviglia , guardare quel volto, ascoltarne il respiro”
E d’u tratto tutto si capovolse e Guglielmo svenne.
Quando si riebbe non sapeva dire dove si trovasse. Quanto tempo era stato assente alla sua coscienza e al mondo ? Non lo sapeva. Dalla piccola finestra della stanza che aveva raggiunto a fatica vide un paesaggio familiare: una sconfinata distesa di boschi e i monti ancora più in alto incombere. Che cosa gli era accaduto, perché si trovava nell’eremo lassù e non più a valle.
Il suo cuore così malandato era stato sul punto di cedere. Per quella voce emozionante che aveva ascoltato laggiù valeva la pena di vivere ma anche di morire. Ed era stato sul punto di morire.
Allora prese la sua viola , l’accordò con cura e cominciò a suonare. Suonò e cantò a lungo e sentiva che gli tornava un po’ di vita. Intonava con lo strumento la melodia di un mottetto come il Salve Regina o l’Alma Redemptoris e realizzava poi canoni con la voce e diminuzioni con lo strumento.
Così riprese le sue giornate lassù nell’eremo tra lavoro al suo Chronicon, preghiera, studio e musica.

Una sera al tramonto nel piccolo giardino dell’eremo abbazia trovò dei ragazzi che si rincorrevano fino al piano più in là nei loro giuochi, le loro voci si confondevano con quelle degli uccelli al tramonto.
Entrando in cappella sentì una voce che cantava l’armonia perfetta con cui si chiudeva il suo Salve Regina a cinque voci. Quei fogli lasciati sul leggio ancora freschi di inchiostro.In alto nel cielo già Venere si profilava e la luna nasceva all’orizzonte “…o clemens…” Orione e Sirio sarebbero diventati a breve i padroni della notte “… o pia…”, era davanti a lui un bambino che dal leggio cantava “ …o virgo…”… Maria”
E poi d’improvviso “…stabat mater …”
E così la sua musica, la musica di un vecchio monaco entrava , attraverso la voce di quel fanciullo nella melodia dei corpi celesti e sì che ora il suo cuore doveva resistere .
Anche se dopo aver ascoltato il suo STABAT MATER dalla voce di quel fanciullo la sua preghiera si alzava alta …” questo tuo servo Signore può andare in pace, lascia che vada in pace, perché le sue orecchie hanno ascoltato la meraviglia del tuo amore…”
E in ginocchio così pregava Gugliemo fino a quekl fanciullo non fu richiamato dagli altri e uscì dalla cappella sparendo nella notte e tutto fu silenzio.



Questa è una storia inventata. I monaci Alberto e Guglielmo e la musica di Guglielmo non sono mai esistiti se non nella mia mente e nel mio animo.
Invece le immagini della Sacra di San Michele sono vere . Sono di Pino dell’Aquila e sono pubblicate appunto nel volume “ La Sacra di San Michele “ Franco Maria Ricci Editore.
Il santuario sorge nel territorio di Sant’ambrogio Torinese , dista trenta chilometri da Torino ed è affidato ai Padri Rosminiani che vi risiedono da oltre centocinquant’anni



Eremo di Via Vado di Sole Sabato 3 aprile vigilia di Pasqua 2010

2 commenti:

  1. Errata Corrige . RIpesa sta per Rupes. La frase è "Rupes sanctos vocant" (n.d.r.)

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  2. chiedo il permesso di pubblicarlo sulla pag fb del gruppo Arcangelo Michele. complimenti vivissimi, Giulia Macrì.

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